Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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25. IL DEO GRATIAS
Riconoscenza è corrispondere al dono di Dio

Domenica XIII dopo Pentecoste, Meditazione, Castel Gandolfo, 24 agosto 19581

La Messa celebrata era per san Bartolomeo Apostolo, ma noi ci fermiamo per la meditazione sopra il Vangelo che è quello della Domenica decimaterza dopo Pentecoste.
«In quel tempo: Andando Gesù a Gerusalemme, passava per mezzo alla Samaria e alla Galilea. E stando per entrare in un villaggio, gli andarono incontro dieci lebbrosi che, fermatisi in distanza, gridavano: Gesù Maestro, abbi pietà di noi. Ed egli, vedutili, disse loro: Andate e mostratevi ai sacerdoti. E mentre andavano furono mondati dalla lebbra. E uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro glorificando ad alta voce il Signore, e gli si prostrò dinanzi per ringraziarlo; e costui era un Samaritano. E Gesù prese a dire: Non sono stati guariti tutti e dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato altri che tornasse a ringraziare Dio, se non questo straniero? E gli disse: Alzati, va’, la tua fede ti ha salvato»2.
Ecco, in questa domenica l’Oremus domanda al Signore aumento di fede, speranza e carità: «Da nobis augmentum fidei, spei et caritatis». Queste tre virtù, che sono infuse dallo Spirito Santo, portano poi come frutto la vita religiosa, quando arrivano ad una grande intensità. Oh! Sempre abbiamo da
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chiedere di credere sempre di più e di amare sempre di più, eccetera3
In questa parabola… o, meglio, in questo episodio del Vangelo ci si insegna la riconoscenza al Signore: e questo è il frutto da ricavarsi nel Vangelo presente. Dunque erano dieci i lebbrosi, e avevano invocato da Gesù la grazia e la ottennero. Fra i dieci uno solo, ed era uno straniero, un Samaritano che non apparteneva propriamente al popolo Ebreo – vi era una distinzione, almeno – uno solo tornò indietro a ringraziare il Signore del dono della sanità, del dono ricevuto. Gesù se ne lamentò: Non sono stati dieci i guariti? E perché soltanto uno è tornato per far ringraziamento per il dono ricevuto?. Noi siamo sempre più facili a domandare che a ringraziare, e questo è un grande errore. Questo – è vero – è un po’ frutto di egoismo. Vogliamo aumenti di doni e poi non pensiamo che questo aumento di doni importa in noi l’obbligo della riconoscenza. Che cosa significa riconoscenza? Significa riconoscere. Riconoscere che siamo creati: quindi abbiam nulla; che siamo stati fatti cristiani: quindi la grazia che abbiamo, la speranza del paradiso, i sacramenti, la Messa, la vita religiosa… tutto è dono di Dio; terzo: che il Signore ci ha conservato in vita, non solo ce l’ha data, la vita, ma ce l’ha conservata anche stanotte – quanti sono passati all’eternità stanotte!, ne passano novanta al minuto all’eternità! –; e poi abbiamo avuto la grazia della vocazione: e proprio di entrare in una Congregazione la quale ha un fine così alto, sia la santificazione e sia l’apostolato così prezioso, così importante, necessario nella Chiesa di Dio. Quindi diciamo: «Vi ringrazio di avermi creato, fatto cristiano, conservato in questa notte e avermi condotto in questa Congregazione»4. Diciamolo di
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cuore, cioè riconosciamo che tutto è di Dio! Riconoscenza vuol dire riconoscere.
San Paolo energicamente domanda: Che cos’hai che non abbia ricevuto? Hai qualche cosa che non ti sia stata data? E se tutto hai ricevuto, ci può stare l’orgoglio? Cioè vantartene, gloriartene, come se non fosse stato ricevuto? Come non fosse dono di un altro? Non è cosa tua! [cf 1Cor 4,7]. Vantarsi di un dono è stoltezza, come se fosse cosa nostra, considerarlo come cosa nostra. Averlo e utilizzarlo. E ringraziando il Signore! Quindi, anche l’amor proprio si deve portar lì. Chi ringrazia, è riconoscente, attira altri benefici. Attira a sé altri benefici perché, se una persona si mostra riconoscente, si guadagna un po’ l’animo del donatore il quale sarà più disposto a dare altro. Invece di domandar tante grazie, alle volte, sarebbe meglio ringraziare di avere ricevuto perché intanto facciamo un atto di adorazione: Tu sei l’autore di tutto e sei il fine di tutto… voglio offrir tutto a te e voglio utilizzare i beni che mi hai dato per te. E qui il Signore si commuove ai nostri ringraziamenti e ci darà di più. L’abitudine di dire Deo gratias5 è tanto preziosa… ma che non si riferisca agli uomini!, si riferisca a Dio! Alle volte si scambia il grazie col Deo gratias. Il Deo gratias che sia sempre rivolto a Dio. Quando invece si deve adoperare il grazie? Quando l’altro, la persona, ha messo la sua parte.
E quindi, per il dono: Deo gratias. Per la collaborazione che io avessi questo dono… per esempio, che viene il piatto a tavola: quel che mangio è di Dio, ma questa persona si è fatto strumento nelle mani di Dio perché mi venisse a tavola questo piatto – fert quid Deo6 – che contiene il cibo… E alle volte [il Deo gratias] si adopera in un senso non del tutto buono, ma… in sostanza, il Deo gratias si riferisce sempre a Dio; e si può anche mostrare la riconoscenza a chi si è fatto strumento, mezzo, perché noi avessimo questo dono:
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e allora è un grazie. Il Deo gratias a Dio e il grazie agli uomini7. Oh!
E però ciò che urge e ciò che ci deve impegnare è il Deo gratias. Gli altri sono atti di gentilezza che ci possono stare, ed è utile che ci siano anche nella società. La riconoscenza ci attira le grazie di Dio più che la stessa domanda.
Secondo: l’atto di riconoscenza è un atto di gentilezza, indica buon cuore, indica sensibilità verso l’autore, indica sensibilità; perciò anche naturalmente bisogna avere un cuore così retto, così ben fatto. Quando si dice di una persona: Che ingrato...!. Proprio è avvenuto che durante l’ultima guerra il Papa ha salvato la vita a delle persone, e in varie maniere, e una volta finita la guerra si son messe contro di lui: e che parole e che posizione politica contro la Santa Sede!8 Eh… ingrati! Dire ad una persona che è un ingrato è cosa che alle volte fa pena, ma qualche volta bisogna dirgliela, anche.
Oh!, qual è il segno però principale della riconoscenza? Il segno principale della riconoscenza è la corrispondenza. Se abbiamo gli occhi, adoperiamoli bene! Ecco corrispondere: questo è più che dire il Deo gratias! E se abbiamo la lingua, adoperiamola in bene a dir cose sante: questo vale più che non proteste inutili! Adoperiamo lì la lingua per pregare, per lodare Iddio e per quelle relazioni che dobbiamo tenere nella società, nella nostra posizione. Così se abbiamo il tempo della vita ogni giorno adoperato bene – adoperato bene a riempirlo di meriti vuol dire –, se Dio ce lo dà è perché noi lo glorifichiamo e riempiamo la giornata di beni, di meriti per l’eternità. Ecco, così: corrispondere, usare bene dei doni ricevuti, dei beni, dei doni ricevuti. Ecco, sì!
Se il Signore ci dà una casa, riempirla di meriti, di vocazione, di apostolato, di bontà, di lodi sacre, di conversazioni
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sempre serene, edificanti. Che cos’è che non abbiamo ricevuto? E allora tutto va adoperato. Avete qui il terreno: fatelo rendere!, se no non si corrisponde al dono di Dio.
San Vincenzo de’ Paoli9, che aveva tante istituzioni, la sera andava lui a contar le uova nel pollaio con la Madre, per prendere anche l’attenzione che se una gallina non faceva [le uova], l’ammazzavano, la mangiavano! E poi sceglievano: E cosa bisogna fare?10, …dappertutto bisogna fare così. Tanto terreno: e coltivate i fiori per il Santissimo Sacramento; una sia incaricata.
E come faceva a crescere il suo pollaio?! Oh! E lui era ministro del re, intanto. Ma bisogna proprio esser pratici nella vita! Non ci dovrebbe esser mai un giorno che [non] andiate a dare il giro e controllare11 diligentemente l’orto, il giardino, il frutteto… se così rende, cosa non rende, che cosa se ne sta lì a… – «ut quid terram occupat?» [Lc 13,7] – per fare nessun frutto!, come diceva Gesù: Perché questo fico sta qui a occupare il terreno e sono due anni che non dà fichi? Allora togliamolo!. Bisogna scender più al pratico nella vita: e se si ha un libro, usarlo bene, leggerlo un libro; così bisogna che vi dividiate i lavori in casa e che, anche proprio se non si sa, almeno si dà occhio e si incoraggia e si impara, e si impara in tutto! Nella vita bisogna imparare tante cose, innumerevoli cose: di esser pratici, pratici! E soprattutto dare… va chiesto che ci sia il lavoro diviso e sia impegnativo e si guardi che sia compiuto, perché il Signore ci guarda non le parole ma
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guarda le opere, e ciascheduno riceverà secondo le sue opere, sì! [cf Rm 2,6; Mt 16,27]. Qui è una grande grazia: se sapete utilizzare bene, il Signore vi aumenterà sempre; se non si utilizza, cioè non si corrisponde, non si è riconoscenti in sostanza al Signore, il Signore ci lascia lì nella nostra povertà. Comincia ad usare quel che hai, poi io aggiungerò quel che non hai. Comincia ad usar la tua intelligenza, applicarti allo studio, poi ti illuminerò se c’è bisogno, per la tua missione, di conoscere, di sapere. Ma se uno non si impegna a imparare e a usare bene, già intanto, dell’intelligenza che ha, il Signore non darà la sua luce in aumento. Ma quando uno occupa il tempo, si impegna, eccetera, allora il Signore dà; però bisogna discendere nei particolari12; bisogna considerare che la massima penitenza, fuori della carità e dell’obbedienza – che quelle son sempre due penitenze per tutti i religiosi – …ma la vostra particolare è il lavoro. Essere energici e non dar tempo al diavolo di tentare; il tempo è gran dono! Non ci sia mai un momento vuoto nella giornata. Oh!, si va a dormire perché c’è bisogno, si va a nutrirsi perché bisogna, e poi si passa alle altre occupazioni cantando lode a Dio e operando, sì, lietamente. Come diceva san Paolo: «In hymnis et canticis» […] [cf Col 3,16; Ef 5,19-20], lodando Iddio nella vostra giornata con gli inni, coi canti, e riempirete la casa di letizia, non di malinconia. Oh!, così piace al Signore: Laudate Dominum in laetitia13 [cf Sal 100(99),2].
Dunque bisogna che noi siamo riconoscenti, riconoscenti! E stiamo sicuri che, mostrando la nostra riconoscenza umilmente, e poi dopo utilizzando i doni del Signore, il Signore darà altro, darà altro, sì. Oh! Perché, come la vocazione è un dono che il Signore dà a chi ha già… chi pratica tutti i comandamenti e [ha] utilizzato le sue forze cristianamente a servizio di Dio, allora la vocazione è alla perfezione, aumenta…; così è nelle cose materiali, così è nelle cose intellettuali, così è nelle cose apostoliche, di apostolato. Sempre, sempre
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riconoscenza fattiva di opere, sempre: «Fides sine opéribus mortua est» [Gc 2,20], la fede senza le opere è morta, e qui si applica pure questa espressione che è dello Spirito Santo: la fede senza le opere…. Così le parole senza la corrispondenza sarebbero parole vuote che non contano. Bisogna che contino… e tanto.
Gesù ci benedica tutti, ci illumini perché c’è ancor molto da capire: star molto umili, sempre domandare aumento di grazia, aumento di luce… non compiacersi. Tutto questo è preparazione per quello che si dovrà fare nella vita, per corrispondere sempre di più alle grazie e, d’altra parte, riempire la vita di meriti, riempire la vita di meriti. Che non ci sia neppure un respiro che non sia indirizzato al Signore: tutto. E Gesù certamente sarà largo nella sua benedizione.
Sia lodato Gesù Cristo.
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1 Nastro originale 42/58 (Nastro archivio 45a. Cassetta 45, lato 1. File audio AP 045a). Titolo Cassetta: “La riconoscenza”.

2 Vangelo: Lc 17,11-19. Nella meditazione il brano viene citato liberamente dal PM.

3 Il testo completo dell’Oremus recita così: «Omnipotens sempiterne Deus, da nobis fidei, spei et caritatis augmentum: et, ut mereamur assequi quod promittis, fac nos amare quod praecipis», «Onnipotente, eterno Dio, aumenta in noi la fede, la speranza e la carità; e perché meritiamo di conseguire ciò che prometti, fa’ che amiamo ciò che comandi».

4 Preghiere, ed. 1957, p. 13; cf ed. 1985, p. 19.

5 Locuzione in lingua latina, ricavata dal Congedo della Messa, che tradotta letteralmente significa: a Dio grazie. L’espressione originale completa da cui deriva è Deo agimus gratias, che significa: rendiamo grazie a Dio.

6 «Porta qualcosa da parte di Dio». L’espressione è però incerta.

7 Ricordiamo quanto il PM si ispiri al santo Cottolengo che aveva introdotto la prassi di usare questa espressione nelle sue Case. Cf LINO PIANO, op. cit., pp. 681-683; DFst 81in, note 112-113.

8 Si riferisce all’azione di Pio XII durante la II Guerra Mondiale (1939-1945) a difesa dei perseguitati politici e degli Ebrei.

9 San Vincenzo de’ Paoli (1581-1660), definito il santo della carità per aver creato un’articolata organizzazione per l’assistenza ai poveri, fondò in Francia la Congregazione della Missione (i Lazzaristi), le Dame e le Figlie della Carità. Tra le sue numerose mansioni, ricoprì anche la carica di consigliere alla corte di Luigi XIII.

10 Cf LUDOVICO ABELLY, Della vita di S. Vincenzo de’ Paoli, Libro Terzo, Firenze 1913, pp. 389-391. In riferimento alla amministrazione dei beni della sua Congregazione, il testo dice, tra l’altro: «Fece due cose: la prima di far fruttare quei pochi beni che avevano, e la seconda di saggiamente amministrare la piccola rendita. […] Prendeva cognizione delle più piccole cose come delle grandi, e rivedeva di tempo in tempo i conti della piccola rendita del pollaio. Vegliava a tutto, prendevasi cura di tutto, e conferiva di tutto, anche degli alberi e delle frutta del giardino, affinché nulla andasse perduto o si dissipasse per mancanza di previdenza e di buona amministrazione; insomma nulla stimava che fosse indegno della sua direzione».

11 Parola incerta.

12 Intende probabilmente: essere pratici, essere concreti.

13 Lodate il Signore nella gioia. Il versetto recita: «Servite il Signore nella gioia».