Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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19. PREPARAZIONE ALLA VESTIZIONE
Obbedienza e carità

Domenica tra l’Ottava del Corpus Domini (II dopo Pentecoste)
Meditazione, Castel Gandolfo, 8 giugno 19581

Nel mese corrente la preparazione al passo che si dovrà fare come chiusura solenne2. Ora la preparazione è di preghiera, sì. La preparazione è di una maggior penetrazione, conoscenza della vita religiosa, ma è soprattutto la preparazione con l’esercizio della obbedienza e della carità: preparazione di vita. Siccome la vita religiosa è praticamente obbedienza e carità, allora occorre viverla questa vita perché l’abito esterno indichi che veramente questa vita si sente e si vive, si sente e si vive.
Oh! Sempre c’è quindi da penetrare più profondamente sia la carità e sia l’obbedienza: l’obbedienza coi pensieri e coi giudizi e, quindi, poi di conseguenza con le parole e con le azioni, con la sottomissione, con l’osservanza religiosa; e la carità nei pensieri, nei sentimenti, e poi nelle parole e nelle opere: e quindi volersi bene, profondamente bene. Sì.
Il volersi bene, però, non è una cosa soltanto di parole. Dice l’Epistola di oggi, l’Epistola che è ricavata da san Giovanni: «Non amate con le parole e con la lingua, ma amate con le opere e in verità»3. «In verità» vuol dire nell’interno:
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vi sia proprio il vero affetto tra i figli4. E poi le opere sì, di conseguenza, le opere esterne che sono… sono opere tanto i discorsi che si fanno, le parole che si dicono, quanto – le opere – le azioni, i servizi, la bontà, il compatimento, l’aiuto, eccetera.
Oh! Perché la vita religiosa si compone specialmente di queste due virtù? La vita religiosa non è in primo luogo povertà, castità, obbedienza e vita regolare, vita comune? Certamente! Ma tutto questo si ottiene nell’obbedienza e si realizzerà, si vivrà nell’obbedienza. Infine l’obbedienza è quella che regola anche la povertà. Per [vivere la] povertà noi obbediamo e, cioè, obbediamo nelle regole, nelle disposizioni che ci son date riguardo all’esercizio della povertà. Così chi vive nell’obbedienza schiva i pericoli e pratica la pietà, che è garanzia, sicurezza nella vita consecrata a Dio. E poi la vita comune pure, sì: nella vita comune vengono disposte le cose e ci sono gli orari, ci sono le pratiche, ci sono i lavori da compiere; in sostanza la vita della giornata è regolata. E allora, ecco, questo è lo spirito di obbedienza.
Oh! L’obbedienza quindi nei pensieri. Se noi vogliamo pensar diverso, se noi vogliamo pensare che deve valere il nostro giudizio o che è migliore il nostro giudizio – tanto più se poi viene questo manifestato –, è disobbedienza spiegata, chiara, e non ci può essere la vita religiosa; tanto più se si disapprovano le cose, se si disapprovano innanzi alle anime. Tutto deve tendere a unificare tutto nell’obbedienza, ogni cosa.
Quindi noi abbiamo da sentire profondamente quello: proprio di fare quest’ossequio, quest’adorazione a Dio. Quest’ossequio, questa adorazione a Dio è prima nel sottomettere il giudizio, il pensiero… e la volontà di conseguenza. Non è fatta soltanto di qualche canto, seppur si cantassero i Vespri o si cantassero le più belle Lodi! Il primo ossequio non è di lingua: «Non diligámus» con le parole o con la lingua, «neque verbis neque lingua, sed in opere et veritate»5,
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ma con i fatti e con la verità. Quindi questa sottomissione, questa dimostrazione di adorare Iddio, la sua volontà, il supremo dominio che egli ha su di noi: egli è il Signore, noi siamo i suoi servi. E la sua volontà risulta non soltanto dai comandamenti, ma risulta poi dalle disposizioni che vengono date dall’autorità. E quindi in san Pietro [si] dice: «Oboedite praepositis vestris»6 [Eb 13,17] «…etiam dyscolis»7 [1Pt 2,18], parlando ai cristiani e riferendosi all’autorità pagana – chi dominava allora ancora in Roma era l’imperatore, il quale non è mica che fosse uno stinco di santo! –8; ma obbedire ai vostri superiori ancorché fossero discoli, cioè mancassero, perché intanto si fa la volontà di Dio e si guadagna il merito; e con le nostre ragioni e con le nostre scuse non facciamo che dei debiti con Dio, non riconosciamo l’autorità di Dio sopra di noi. E allora? E allora la prima adorazione che è con la mente, è con la volontà, non ci sarebbe, mancherebbe. Oh! Veramente obbedienza!
Del resto vi sono persone nel mondo che sono ottime per tante ragioni; hanno sofferto per la vita religiosa perché vogliono scegliersi il bene che vedono loro e far trionfare una loro ragione, perché credono che sia meglio. E allora non son fatte per la vita religiosa, perché nella vita religiosa non c’è da far trionfare il proprio parere o da consigliare una cosa migliore: c’è da ascoltare, pensando che il migliore è proprio obbedire, proprio fare quel che è dato, quel che è detto. Sì. Concetti falsi sull’obbedienza ce ne son tanti, ma questo impedirebbe la vita religiosa nella radice, nel fondamento: non ci potrebbe essere la possibilità. Dopo ci vuole la pietà, ci vogliono tante cose, ma tutto questo è nell’obbedienza, sempre nell’obbedienza: nell’indirizzo, nello spirito che è9 dato, nelle disposizioni che vengono prese, eccetera.
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Ma proprio che andiamo alla radice dell’esame di coscienza. Se onoriamo Dio «in spirito e verità» [cf Gv 4,23-24], cioè vuol dire: con la testa che crede che sto dando il giudizio che si conforma…; non che [qualcuna] fa le osservazioni, ma per imporre i propri pensieri: e lì, lì è che non si vivrà mai la vita religiosa, né si sarà mai vere religiose per quanti siano gli ammennicoli esterni o le dimostrazioni esterne o le proteste che si fanno o le parole che si dicono, eccetera. Veramente religiose? Sì.
E siccome questa nostra unione di mente, unione di cuore con Dio è la prima, allora ecco che la religiosa è quella che vuole viverlo pienamente questo, questa sottomissione, questo stato di obbedienza, questo stato di obbedienza. Sì. Vediamola in san Giuseppe, vediamola in Gesù, vediamola in Maria: la Famiglia Sacra è la famiglia modello delle famiglie religiose. Ora, chi comandava in quella casa? Giuseppe. Chi obbediva? Maria. Chi obbediva? Gesù, Maria. Chi ne sapeva di più? Certamente ne sapeva più di tutti Gesù, ma chi comandava era Giuseppe, che ne sapeva meno di Gesù e meno di Maria; ed era santo ma meno santo di Gesù e meno santo di Maria. Allora Gesù «factus oboédiens usque ad mortem, mortem autem crucis»10 [Fil 2,8], Gesù… e obbedì fino ai carnefici quando gli hanno ordinato di stender le mani perché fossero disposte in maniera che potessero inchiodarlo. E poi quante volte Giuseppe avrà disposto di cose che si potevano disporre diversamente o che si poteva disporre anche meglio, ma Gesù: «subditus illis»11 [Lc 2,51], soggetto. Perché si parla di umiltà, ma questa è la prima umiltà, questa è la prima umiltà: sottomissione nella mente, nel giudizio, nel cuore, e quindi di conseguenza nelle parole. Le parole devono portare solo a migliorare l’obbedienza.
Ecco, trattandosi qualche volta di cose utili da farsi oppure da cambiarsi, eccetera, la suora che mi faceva migliore impressione era quella che, quando veniva detto qualche cosa dalla superiora o proposto cose… – allora si faceva la
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conferenza, si poteva esporre il proprio pensiero –, sempre aiutava a confermare il pensiero della superiora, aiutava a conformarsi. Quindi non solo a confermare ma a conformarsi nella vita religiosa, sapendo che poi è quel lì che guadagna il merito principale della vita religiosa, e sapendo che senza quello non può esistere vita religiosa. Ci fossero anche dieci abiti l’uno, ma chi fa la vita religiosa non è la sarta che vi fa l’abito, ma è la persona che acquista la vita religiosa, che vive la vita religiosa.
Oh! Poi, in secondo luogo, la carità. La carità, la quale sa comprendere, compatire, aiutare, intervenire e tuttavia, in carità, sa dare i consigli, sa esigere l’obbedienza e, in carità, sa non solo procurare per i beni della salute fisica se qualcheduna non sta bene, ma ancora per lo spirito perché si progredisca. E quindi anche le correzioni, l’aiuto e l’assistenza, l’incoraggiamento e i richiami, eccetera, si danno, ecco. E ci sia una carità vera, soprannaturale: quando si mira a formare le virtù religiose e si mira a ottenere una vita ordinata, una vita veramente conformata a quello che è il Vangelo, quello che è il Vangelo. Gesù è l’autore della vita religiosa: ma come l’ha descritta? Ci sono dei versetti nel Vangelo che la descrivono, da cui risulta che cosa sia la vita religiosa bene12.
Oh! E allora noi abbiamo sempre da domandare – e sia questa la preparazione –, domandare queste due virtù, domandarle veramente. E lo sforzo, lo sforzo! Sì, ci sono tanti propositi utili ma, trattandosi di costituire la vita religiosa, bisogna che noi soprattutto ci orientiamo verso queste: obbedienza e carità; e sempre prima nell’interno «in spiritu et veritate» [cf Gv 4,23–24], nello spirito e nella realtà. In spirito, cioè nell’interno e nella mente. Che non sia una protesta di parole, né l’obbedienza né la carità, ma una verità: che davvero si possiedano queste virtù!13
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Oh! Chiediamo queste grazie in questo mese e certamente avrete consolazioni e farete un gran progresso, un grande progresso che vi darà tanta soddisfazione, tanta soddisfazione. E la vita religiosa è una vita di gioia ed è una vita di anticipato paradiso, di anticamera del paradiso, però a costo, a costo di queste due cose. Se non ci sono, non si gusterà mai la vita religiosa perché non si vive; ma se si hanno queste due virtù – obbedienza e carità – allora si gusta e si sente di prevenire sulla terra un poco [di ciò che] poi vi sarà in cielo, l’eternità felice nel cielo.
Sia lodato Gesù Cristo.
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1 Nastro originale 25/58 (Nastro archivio 28a. Cassetta 28, lato 1. File audio AP 028a). Titolo Cassetta: “Obbedienza e carità”.

2 Il PM si riferisce alla preparazione per la Vestizione delle prime sette ragazze, che si sarebbe svolta il successivo 29 giugno.

3 Epistola: 1Gv 3,13-18. È il versetto 18 che, più avanti, il PM citerà ancora in latino.

4 Parola incerta.

5 «Non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e nella verità».

6 «Obbedite ai vostri capi».

7 «Anche a quelli prepotenti».

8 Il PM cita insieme le parole di due brani diversi. Il testo di Eb 13,17 riguarda i responsabili religiosi, non i capi civili. Il concetto che vuole esprimere, è comunque effettivamente formulato in 1Pt 2,13-18, in cui si parla della sottomissione alle autorità civili a vari livelli, e ai propri padroni.

9 Dice: ha.

10 «Facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce».

11 «Stava loro sottomesso».

12 Intende: dai quali risulta ben evidente cosa sia la vita religiosa.

13 Parola incerta.