X. SENTIRVI FAMIGLIA PAOLINASe noi comprendessimo le grandi grazie che il Signore ha concesso all'anima nostra, l'ameremmo tanto e poi canteremmo spesso il Magnificat onde ringraziare il Signore, il Padre misericordioso, il Figlio buon Pastore, lo Spirito Santo amore, ringrazieremmo e loderemmo la santa Trinità: Gloria in excelsis Deo, et in terra pax hominibus bonae voluntatis (a).
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Vivere la nostra vocazione, quale è descritta nelle costituzioni e, più ancora che la lettera, [vivere] lo spirito di essa, di essa lettera. In questi giorni ero impressionato di questo, che leggo durante la visita al santissimo Sacramento e come meditazione san Paolo non finisce più di <ce> raccomandare la concordia, l'unione, volersi bene (a). Voi già lo fate, no? Siete concordi, vi volete bene, vi è carità fra di voi e quello che voi aggiungete per le anime, e cioè per aiutare le anime.
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Sto arrivando alla casa divin Maestro per gli esercizi spirituali. Prima si son fatti gli esercizi per i ventun sacerdoti che dovevano e che hanno ricevuto la sacra ordinazione sacerdotale, e per i venticinque che han ricevuto la tonsura con gli ordini minori. Poi un altro corso, e a cui erano presenti ottantasei sacerdoti; poi un altro corso a cui erano presenti - mi pare - settantadue - non ricordo più in questo momento il numero esatto - press'a poco. E adesso stavo portando su - quest'oggi abbiam messo in moto le macchine, le automobili per portare su - i Gabrielini e le Annunziatine, e ne avevo tre in macchina, adesso [sono] andati su. Poi vi saranno gli esercizi spirituali per cento e settantacinque Pie Discepole, a quella casa. Poi seguiranno per i chierici, i fratelli laici, ecc.
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Sentirvi non sole, ma sentirvi di una Famiglia Paolina. Non sentirvi sole: una concordia, un'unione, una carità! Dilatate il vostro cuore, amate tanto, perché il Signore è stato buono, tanto buono! E non ha badato né alla nostra indegnità né ai nostri peccati, ha ecceduto con la sua misericordia. Sì, l'Oremus della messa di domani lo dice che eccede sempre, lui ci dà di più di quanto noi desideriamo e quanto chiediamo. E' tanto buono il Signore! E lo avete sempre con voi, in casa vostra. Ecco, sentirvi membri della Famiglia Paolina. Oh, se voi arriverete a questo spirito, se sentirete questo - diciamo - spirito forte di unione, di carità, farà ancor delle altre cose il Signore per voi. Chissà cosa abbia scritto in quei suoi libri! Egli dispone tutto in sapienza e amore. E allora: sapienza e amore.
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Vedete, non fate mai obiezioni, non portate difficoltà se non per sentire il modo di superarle, ma piuttosto per aver aiuti per superarle non per fermarsi, no! Sulla terra noi continuamente abbiamo da incontrare ostacoli e più di tutto siamo ostacoli noi al progresso e al perfezionamento, progresso dell'istituto e perfezionamento di ogni persona.
Ma il Signore è buono; lasciamogli la libertà di darci tutto ciò che vuole. Lasciamogli la libertà di darci tutto quel che vuole! Non mettiamoci orgoglio, amor proprio, ripicchi, punti - diciamo - che formano ostacolo al cammino, al progresso della grazia, no.
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Ecco poi la parola che volevo dire stasera: la suora o che è fervorosa o che non è suora veramente. Tutto lì! Perché il fervore consiste nel donarsi al Signore pienamente. Ora, è proprio quello che è la professione: il dono intiero di noi a Dio. Sì. Il dono - così - che comprenda la nostra intelligenza, il nostro cuore, la nostra volontà, la nostra salute, il nostro corpo... tutto l'essere. Tutto, solo e sempre in Gesù buon Pastore.
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Stamattina scrivevo un avviso generale per la Famiglia Paolina, questo: si comprende ancora come la suora che si è donata a Dio e che ha una famiglia soprannaturale - e una famiglia di sorelle consecrate al Signore - possa interessarsi tanto di cose umane e di se stessa e di salvare l'amor proprio? Eh, non osavo scriverlo, veramente; l'ho tenuto lì, preparato, saran cinque o sei mesi, anzi forse ancor di più, e non ho osato ancora, diciamo così, terminare perché ecco quel che appare: noi abbiamo un quarto comandamento, non è vero?
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Qual è il quarto comandamento? (a) Come? (a) E poi? (a) Oh, va bene; questo è obbligatorio. Però, dai ventun anni in su, uno può prender la sua strada, non è vero? Il comando di amarli c'è sempre; invece il comando di servire a loro non c'è sempre, perché sono i genitori che devono pensare ai figli, dice san Paolo, non i figli ai genitori [cf. 2Cor 12,14]. Quando si prende una strada si forma un'altra famiglia, la famiglia religiosa. Come se aveste in casa una sorella che si sposa e passa a formare un'altra famiglia, quello è il suo impegno; quello è il suo impegno: l'altra famiglia. Ai genitori potrà portare amore, potrà pregare per loro, potrà anzi desiderare il loro bene e soprattutto consolarli, mostrando che ha ricevuto una buona educazione da essi e vivendo /da buona figliuola, da buona cristiana/ (b), onde i genitori poi possano presentarsi al tribunale di Dio e dire al Signore: «Quelli che mi hai dato, eccoli io li ho avviati per la strada del paradiso». Ma la suora deve amare la congregazione, la nuova famiglia.
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Sempre continuare a pregare [per i genitori] e pregar meglio di prima, perché la preghiera della suora è più efficace che quella di una sposata. Più efficace la vostra preghiera, perché preghiera di anima consecrata al Signore. Sempre desiderare il loro bene, incoraggiarli, consolarli, sì! Eh, consolarli facendo loro dimostrare che siete contente di esservi consecrate al Signore. E che partano pure per il paradiso, perché qui lasciano delle figlie che son sulla strada ottima, la migliore strada, non è vero? Consolarli così! Pregare mentre son vivi, pregare dopo che saran passati all'eternità. I genitori delle brave suore non si perderanno, ecco. «Io convivo con Gesù, nel suo tabernacolo, che è qui, nella casa: famiglia divina». Sì. Poi una famiglia di anime, una famiglia di anime.
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Che cosa abbiam da pensare di quella parola: /Centuplum accipietis, vitam aeternam possiedebitis/? (a) [Mt 19,29]. Avete lasciato una famiglia dove avreste avuto affetti umani e forse, se piaceva al Signore, anime che dovevate avviare al cielo. Centuplum accipietis, riceverete il centuplo. Oh, tutte le parrocchie sono aperte: centuplo! Rimane solo il limite del possibile per noi. Che porta vi è chiusa? Che diocesi vi ferma, vi esclude? Niente! Siete entrate nell'ambito del buon Pastore, del sommo Pastore che è il Papa; nell'ambito, in quelle anime che coadiuvano al pastore eterno e al suo vicario, Pastore sommo in terra, il Papa.
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Ecco, vivere in una spiritualità, non in tanta materialità, non in tanto egoismo, non in tanto ragionar le cose così umanamente soltanto. La ragione ce l'ha data il Signore per ragionare, ma sopra la ragione noi abbiam la fede, e sopra la fede, e cioè nella fede, meglio, abbiamo la professione religiosa, la quale importa una maggiore unione con Dio. Vivere di spiritualità, non di umanità. Si sentono alle volte delle suore parlare così soprannaturalmente; si <pensano> sentono delle suore alle volte che sembrano donne comuni: «Quella difficoltà... questo... quel modo... m'ha detto... mah...» Cosa fanno?
Parlare soprannaturalmente!
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Vedete, siete state mandate in generale in - quasi diremmo - in gioventù, ecco, ancora, ed è facile, a forza di sentire ragionamenti che non hanno l'ispirazione dalla fede ma alle volte dal sentimento, alle volte dalla passione, alle volte sol dalla ragione umana, e allora ci vuole una certa difficoltà a sostenervi nello spirito vostro. Ci vogliono: meditazioni profonde! Meditazioni profonde! Ci vuole la visita al santissimo Sacramento. Dopo le conversazioni degli uomini, qualche volta anche delle persone che pur dovrebbero esser più soprannaturali, la conversazione con Gesù, la visita: /conversatio vestra <in coelestis> in coelestibus/ (a) [Fil 3,20]. Oh, sì, il nostro modo di pensare, di vivere, di ragionare, di comportarci, di parlare, ecc. sempre ispirato dalle verità della fede. Questo vuol dire aver fervore.
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Sentire dentro che siam di Dio. E manifestarci all'esterno come persone di Dio. Se il Signore vi ha elette, considerate la grande grazia! E allora diciamo sempre: «Io non so se ho corrisposto a tutte le grazie. Io però intendo di riparare a quello che non ci sia stato di corrispondenza e intendo adesso di corrispondere sempre di più».
- Ma io ho fatto ciò che potevo...
Chi è mai che fa tutto ciò che può? Nessuna lo dica perché questo è orgoglio. Il solo aver poca umiltà e poca fiducia ci impedisce di far tutto ciò che possiamo. Chi ha poca fede e poca umiltà, eh, impedisce che si faccia tutto ciò che si può e che si ricevan tutte le grazie che son necessarie. Dunque sentirvi di Dio.
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E sentir che dovete portar Gesù alle anime. Ecco, che il vostro petto sia tutto il tabernacolo della Trinità, e che le parole che si pronunziano, le attività che si svolgono, gli apostolati che si compiono: ispirati da quella Trinità che è nel vostro cuore.
Oh, questa volontà, questo impegno a preparare sempre dentro di voi un cuore santo, un tabernacolo alla Trinità! La quale opera in noi, nella quale noi - diciamo - dobbiamo operare e dalla quale dobbiam prendere tutte le nostre risoluzioni, tutte le nostre parole. Ecco, vivere soprannaturalmente.
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Volevo, allora, spiegare meglio questo, ma non ho visto nessuna lavagna. Quando si fa la professione (lascia pure, lascia pure, spiegherete poi da voi!) (a), quando si fa la professione, si è arrivato a un certo grado di spiritualità, di fervore, di vita interiore, di amore a Dio, di fede...
Diciamo, ci si trova sopra un piano elevato; un piano elevato per mezzo dell'aspirandato, del postulato, della professione anche temporanea, poi voglio riferirmi soprattutto alla professione perpetua. Si è sopra un certo piano elevato. Vedete un po': da questo piano si eleva un monte altissimo e si sprofonda una valle, una valle, anzi quasi un abisso, sì. Vi sono suore che da quel piano cominciano l'ascesa e vanno su verso il monte della perfezione. E dopo un anno, dopo dieci, dopo quindici, sono salite, salite, salite... (b). Qualche volta cadendo anche, magari, ma riprendendosi specialmente ogni anno negli esercizi, riprendendosi ogni giorno nella meditazione. Salgono, salgono! (c). Ecco, <con> magari con fatica, ma sempre dirette al monte della perfezione: Quis ascendet in montem Domini [?] [Sal 23,3] eh, chi ascende al monte del Signore. Progrediscono, progrediscono! (d).
[Per] altre comincia la discesa, giù verso la valle; chissà che non divenga un abisso! Anche tradimento di vocazione. Eh, allora quanti affanni, eh... possono nascere in quelle persone che vi amano. E quale cecità di mente! E quale durezza di cuore! Ecco gli esercizi: sto salendo o sto discendendo?
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Il salire è il fervore, il discendere prima è tiepidezza, poi è cattiveria, poi può essere durezza di cuore, ostinazione, cecità... Così cecità che non si vede più nulla, non si capiscono neppure le esortazioni. Sempre vi sono difese e solo difese, perché in fondo c'è l'amor proprio che ha da esser difeso.
Oh, allora se si sale è la vita di fervore; se si discende è la vita di tiepidezza e che può anche essere <di> vita, dopo, anche cattiva. Quando non ci si vede più, meglio se non si fosse fatta la professione. Sì, perché una può aver anche avuto la vocazione - oh, quanta umiliazione nel dir questo - ma uno può anche aver avuto la vocazione ed essersi comportato come Giuda.
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Oh, adesso dunque, la conclusione era di esaminarci sul fervore, i segni del fervore. I segni del fervore sono particolarmente questi: migliorare la pratica dei voti - povertà, castità, obbedienza -, migliorar la vita comune e migliorar l'apostolato. Vi sono alle volte persone che si credon di aver fatto abbastanza e che si fermino e, fatta la professione, si fermino. Ma non si sta su quel piano, quella linea retta! Lo stare è già decadere, è già discendere, perché ognuna ha delle responsabilità per le nuove grazie e, se non le corrisponde, ecco che si trova in debito con Dio. Grazie che non ha accolto, sì. Non si può star fermi neppure un giorno; questo giorno fai meglio o fai peggio.
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Il maestro Giaccardo (a) - e ricevo, di tanto in tanto, la notizia di qualche grazia che viene concessa per la sua intercessione - diceva così: «Se volete vivere in fervore, guardate che la giornata di oggi sia migliore di tutte le altre giornate della vostra vita», cioè, sia migliore di ieri, l'altro ieri, ecc. Ogni giorno dev'essere un po' migliore: migliore la vostra pietà, la comunione, la messa, le preghiere, la meditazione, gli esami di coscienza... migliori! Migliore <la> la carità, la vita comune, migliore l'apostolato, di ieri; e domani sera, si farà l'esame. Poi l'altro giorno si farà ancor l'esame.
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Vedere se c'è questo progresso, questo salire o se c'è questo discendere. Non fermatevi mai! Nessuno creda: «Adesso c'è la professione perpetua, adesso sono a posto...». Adesso ci siam messi in cammino. Quando uno si mette in cammino per salire il monte e dice: «Sono a posto, sono a posto, cioè mi son messo sulla strada buona», stai lì? Se stai lì, non sali al monte. E, siccome perdi tempo, sei responsabile delle grazie e del tempo che perdi.
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Vedere di stabilire come un grafico; arrivato alla professione in questa condizione di spirito: son salito, son salito, son salito ogni giorno? E se qualche giorno è stato un po' mancante, mi sono umiliato, mi son ripreso? E mi son confessato e ho fatto migliori visite, migliori comunioni, migliori messe, ecc. per rafforzar la volontà? Sì. L'esame quindi sopra questi punti e se caso mai ci trovassimo meno santi, meno fervorosi ora che il giorno della professione, allora con sincerità diciamo: «Io sto discendendo. Voglio riprendermi. Oggi comincio! Domani sarà la giornata più bella della mia vita, più santa della mia vita».
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E così avanti in serenità, in continuità. Il Signore è molto abbondante di grazie con voi che siete le prime dell'istituto. Corrispondete tanto tanto!
Albano Laziale (Roma)
1° agosto 1959
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96 (a) Dall'Ordo missae.
97 (a) Cf. Rm 13,5; 15,1-6; 2Cor 6,6, 13,11, Ef 1,15; 4,2; Fil 1,27; 2,1-2; 1Ts 5,13; Eb 13,1; ecc.
103 (a) L'uditorio risponde.
(b) R: da buone figliuole, da buone cristiane.
105 (a) R: Centuplum accipiet et vitam aeternam possidebit.
107 (a) V: Nostra autem conversatio in coelis est.
110 (a) Don Alberione si rivolge ad una suora che cercava di provvedere per la lavagna.
(b) Tono dimesso ma grave.
(c) Tono dimesso ma grave.
(d) id.
113 (a) Nato a Narzole (CN) il 13 giugno 1896 passò dal seminario Vescovile di Alba al nascente seminario della Pia Società San Paolo il 4 luglio 1917 come maestro dei primi fanciulli. Fu il primo sacerdote paolino, ordinato nel 1919.
Nel 1926 a Roma diede inizio alla prima casa filiale della congregazione, collaboratore fedelissimo del Fondatore.
Morì a Roma il 24 gennaio 1948.