Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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VI. L'UMILE E' FORTE
San Paolo ha due frasi che è buono ricordare adesso, cioè: Cum [enim]infirmor, tunc potens sum [2Cor 12,10b], quando son malato, son più forte. Cosa vuol dire? Vuol dire che, quando noi riconosciamo le nostre debolezze o fisiche o morali, siamo più forti. E come si mette d'accordo, questo? Non può più camminare, tanta è la debolezza, e dice che è più forte! E' più forte in Dio e cioè: più fede, più ferma la speranza, più viva la carità... Più fiducia in Dio, e allora cioè, se si mette Dio al nostro posto, ah, Dio ne fa delle belle cose, no? E noi cosa facciamo? Rompiamo i piatti, invece, e cioè sbagliamo. Ne rompete qualche volta, i piatti? Sono atti di virtù? Non tanto, eh! (a)
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Mettiamo il Signore: «Io non ho dei meriti; Gesù, metti i tuoi, dammi i tuoi, sono infiniti. Tanto a togliertene un poco (a), non li diminuisci perché sono infiniti, dammene un po' dei tuoi. I meriti della tua agonia dell'orto, i meriti della flagellazione, dell'incoronazione di spine, del viaggio al calvario, della crocifissione, dell'agonia, della morte di Gesù. Dammi i tuoi meriti». Allora anche se siamo stati cattivi, peccatori, anche se abbiamo fatto poco bene nella vita finora, ci prendiamo i meriti di Gesù ed ecco che si diventa ricchi, si diventa potenti. Quando non ci fidiamo più di noi, quando non ci fidiamo più di noi, cum infirmor [2Cor 12,10] allora, se ci fidiamo di Dio, le cose van meglio, sempre meglio, perché interviene il Signore!
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Poi c'è un'altra frase di san Paolo che dice: /Non/ (a) gloriabor nisi in infirmitatibus meis ut inhabitet in me virtus Christi [2Cor 12,5;12,9] mi glorio solo delle mie debolezze, cioè parlo solo delle mie debolezze, perché abiterà così in me la virtù, la grazia di Gesù Cristo, la grazia di Gesù Cristo! Quando parliam solo delle nostre debolezze cioè non stiamo a contare i nostri prodigi di virtù, eh? Non restiamo a contare le cose che ci danno, diciamo, un po' di soddisfazione, che pensiamo che ci portino un po' di stima; ma ricordiamo solo che sappiamo niente, che abbiam poca virtù, che facciam poco progresso, che non ci siamo ancor fatti santi dopo tanto tempo che sentiamo delle belle e sante cose; dopo tante comunioni non siamo ancor veramente come Gesù... Ecco allora: ut inhabitet in me virtus Christi [2Cor 12,9] starà in me la grazia di Gesù, starà in me la grazia di Gesù.
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Siete alcune inferme (a), ma guarirete tutte, e poi starete bene e lavorerete come prima. Però bisogna notare che ci voglion le cure, tuttavia mai alzar la cresta. Cosa vuol dire alzar la cresta? Cosa vuol dire? Eh?... (b) Non ho capito... è insuperbirsi, ecco, brava! Mai alzar la cresta; giù giù, la cresta eh, giù la cresta, sì, due forbici, o almeno una: tagliar la cresta. Ce n'è della superbia, qui? Ce n'è? (c) Oh, che robaccia! Avete ben il posto da metter la spazzatura, no? Portarla tutta lì e metterla là e poi coprirla bene, giù, giù, giù, così quella spazzatura diviene concime che dopo spargete nell'orto e fa venire su bene i cavoli, fa venir su bene le carote, le patate, i pomidori, ecc. Questa superbia che dispiace a Gesù, eh, «mite ed umile... (d) di cuore». Ciò vuol dir proprio l'umiltà interna. Non stare a dire: «Io sono una peccatrice, io sono... niente»; pensarlo sì, perché, qualche volta quando si dicono delle cose quasi in disprezzo di noi, interiormente si mira ad essere stimate, ad esser creduti umili; superbia più fina, eh? Più fina! Quando c'è quella lì, portarla là nel deposito della spazzatura, ma metterla proprio sotto, eh? sotto, sotto, giù al fondo, proprio sotto quella superbia lì.
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Oh, allora umiltà sempre, sempre umiltà, però che non sia viltà. L'umiltà è una grande virtù, virtù fondamentale, ma la viltà è, che cosa? Eh, la viltà è la pigrizia, è l'indifferenza, la viltà è la mancanza di fiducia nel Signore, in sostanza. Tunc potens sum! [2Cor 12,10b].
Quando conosciamo che siamo ancor orgogliosi, ecco cominciamo a diventar umili perché riconoscerci superbi è già l'entrare nell'umiltà. E sovente umiliarci per la nostra superbia, per la fiducia che abbiamo in noi perché se no il Signore ci fa dar qualche nasata e allora ti rompi il naso e corri dall'infermiera a fartelo aggiustare, e qualche volta si aggiusta bene e qualche volta non riesce più tanto bene, neh? Sì! Perché alle volte si dan delle nasate nella vita spirituale, nella vita intiera... Scrivi e riscrivi e torna a scrivere: non voglio più stare. Beh, finalmente, va! Dopo due mesi: e scrivi e riscrivi e riscrivi: voglio rientrare. Adesso basta! Una che si mostra debole così, non si riaccetta più. «Eh, ma era una tentazione». E se era una tentazione c'era anche il Signore, no?, il quale dà la grazia.
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Dunque, guardarsi bene dall'orgoglio, ma ugualmente dallo scoraggiamento, dalla disperazione, dalla sfiducia. Tutti e due vizi contrari alla speranza, tutti e due: uno è la presunzione e l'altro invece è la disperazione. Il diavolo, queste due tentazioni opposte, specialmente le muove con coloro che sono vicini al giudizio di Dio, vicini alla morte, e con coloro i quali magari cominciano a distinguersi un poco. Stiamo attenti perché il demonio o ci vuol prender da destra o ci vuol prender da sinistra, e noi diritti, eh? Camminare verso il Signore, né a destra né a sinistra; né sfiducia o presunzione di noi, né viltà e cioè sfiducia, disperazione. «Da me nulla posso, con Dio posso tutto», ecco la misura giusta, «da me nulla posso e con Dio posso tutto» e avanti, c'è Dio con me: Cum [enim] infirmor, tunc potens sum [2Cor 12,10b].
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Adesso andrete a ascoltare la messa. Che il Signore ci tenga sempre nella via diritta. Vi sono persone che alle volte poi sprecano tre, quattro, cinque anni perché o han fidato troppo di sé oppure non hanno avuto abbastanza confidenza col Signore. /Via diritta, in mezzo/ (a), via diritta, sempre; tenerci sempre a posto, sempre: Ad te Domine oculos levavi, levavi oculos meos in montem unde veniet auxilium mihi [cf. Sal 15,1; 123,1; 121,1], i miei occhi a Dio, confesso la mia infermità e faccio però da me quanto posso, confidando tutto in Dio. E cioè: far tutto come se tutto dipendesse <da Dio> da noi, e confidare solo in Dio come se tutto dipendesse da Dio.
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Tranquille! E vi farete sante, sapete. Se state sempre così nella via giusta, ed è difficile, eh?, vi farete proprio sante.
- Avete voglia di farvi?
- Sì, Primo Maestro.
- Proprio vero?
- Sì, Primo Maestro.
- Non lo dicono tutte! (a)
- Lo diranno tutte nel cuore, no?
- Sì, Primo Maestro.
- Eh? tu lo dici per tutte? Fai testimonianza per tutte e credo che corrisponda realmente a quel che ognuno pensa, quel che tutte pensan nel cuore:
Sante, neh? e avanti. Maggio: tempo di far dei passi veri, nella santità, neh? dietro Maria.
Sia lodato Gesù Cristo.
«State liete, delle belle lodi cantate, delle belle lodi cantate» (b).

Albano Laziale (Roma)
20 maggio 1959

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46 (a) Don Alberione usa un tono scherzoso e l'assemblea partecipa vivamente.

47 (a) R: Pochi.

48 (a) V: Nihil.
I due versetti di san Paolo vengono pronunciati legati tra loro senza stacco.

49 (a) In questo periodo parecchie suore e postulanti erano ricoverate all'ospedale Regina Apostolorum per una infezione.
(b) L'uditorio partecipa rispondendo. Si inizia così un dialogo vivace.
(c) La risposta è affermativa.
(d) Don Alberione si ferma appositamente per la risposta: l'assemblea completa: di cuore.

52 (a) Così T. Omette R.

53 (a) Sonora risata da parte dell'assemblea.
(b) Espressione pronunciata mentre Don Alberione se ne andava.