ISTRUZIONE XIII
CARITÀ NELLA FAMIGLIA
[81] Per alimentare la carità è tanto utile la devozione allo Spirito Santo. Il Padre celeste è il Creatore, cioè a lui si attribuiscono le opere di potenza: creazione e governo del mondo. Il Figlio è la Sapienza del Padre e a lui si attribuiscono le opere di bontà e d'amore. Ma se una persona desidera fare il proposito sulla carità, si rivolga allo Spirito Santo e lo invochi e acquisti la divozione verso di lui.
Lo Spirito Santo è fuoco celeste disceso sugli Apostoli nel cenacolo, sotto forma di piccoli globi e lingue di fuoco le quali si fermarono sul capo di ognuno e in particolare sulla SS. Vergine1, la quale diventò la Madre del bell'amore, cioè dell'amore santo che ella infonde nel cuore di tutti i suoi figli.
Meditiamo2:
1) Chi ama Gesù Cristo non si invanisce per quello che ha, non è superbo, non si compiace, ma si umilia e desidera che solo Gesù sia amato e lodato: «Deus meus et omnia!»3. Se c'è qualche merito, per quanto può lo attribuisce agli altri, non a se stesso.
Assistevo una volta dopo gli esami allo spoglio dei voti. Una maestra, che aveva cambiato faccia alla sua classe, aveva ottenuto le votazioni migliori, ma attribuiva il risultato alle sue alunne, le quali, diceva, si erano tanto impegnate e avevano fatto progresso: tutto il merito era | [82] delle sue scolare! Così avviene quando si ama il prossimo: una persona è talmente abituata a vedere nelle altre dei pregi che li rileva anche dove non si crederebbe e li fa risaltare. A volte, invece, siamo così pieni di noi che se non facciamo noi le cose, è un guaio; alcune diventano insopportabili e incapaci di guidare: se le altre fanno le cose, non son ben fatte... ma bisogna lasciare alle figlie una certa libertà e responsabilità. Vi sono persone che sembra non si muovano, non facciano niente, e intervengano solo dove c'è una debolezza da
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coprire o una mancanza da sopportare, e rendono soddisfatti tutti. L'amore del prossimo ci porta ad una pedagogia, ad un modo di comportarci che lascia tutti bene.
Talora pensiamo che tutto consista nel buon appetito e nella buona sera o in altre cosucce di buona educazione.
La carità vera comprende le opere di misericordia corporale e spirituale: molte persone le praticano senza avvedersene tanto vi sono portate e abituate, hanno il cuore come Gesù e sono la benedizione di Dio ovunque vanno e con chiunque si trovano; mostrano fiducia e tutte si fidano di loro. La carità porta adunque ad attribuire alle altre il bene che si vede: rilevarlo, scoprirlo, attribuendo i buoni risultati alle persone che convivono con noi o alla misericordia di Dio. Il superbo è come un pallone che si gonfia, ma bucato non ne esce che dell'aria; una persona caritatevole invece è inclinata a umiliare se stessa e a prendersi i torti, ad attribuire a sé i mali che vi sono stati. Una persona vi fa la relazione del suo gruppo o reparto e dopo che l'avete sentita, voi dovete dire: Tutte sono scadenti, meno male che c'è lei...: questa è | [83] indietro, quella è incapace, quell'altra avrebbe le qualità ma non ci arriva, ecc.. Se poi c'è qualcosa da rimediare, il torto è degli altri o degli avvenimenti... mai suo. La carità invece desidera il bene degli altri, incoraggia, sostiene nel bene e quando non può fare altro dà di mano alla preghiera. Come si sta bene in una casa, in un gruppo, in una scuola, dove chi guida è umile e ama davvero! Invece quando si trova l'egoismo e tutto è incentrato in se stessi, ci si trova davvero male.
Fin da principio dell'Istituto si è cercato di dare ai benefattori più di quanto si prende: le sante Messe4. Questa è una gran cosa da far risaltare; è la carità dell'Istituto verso chiunque gli fa del bene. Vi sono invece persone che vogliono solo ricevere: stima, lode, interesse, tutto è indirizzato al sollevamento del proprio io. Occorre che siano esaltate le anime, che l'onore vada a Dio: «Soli Deo honor et gloria»5, che riconosciamo come noi non siamo che un sacco di miserie, e che dovunque siamo passati, abbiamo sporcata la via coi nostri difetti. Quindi l'attribuire agli altri la lode è vero segno di carità, come pure l'attribuire a noi il
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torto, lo sbaglio, il male fatto. E come gli altri hanno rimediato a molti nostri difetti, così Dio trova sempre il mezzo di rimediare ai nostri sbagli.
Chi ama il Signore, desidera che tutta la lode vada a lui, e a noi solo il disprezzo, come ci meritiamo davvero. Dice YImitazione di Cristo che Dio provvede a noi materia di umiltà, se siamo capaci di prenderla e a utilizzarla per il vantaggio spirituale dell'anima nostra: «Gli altri parlano e sono ascoltati, tu parlerai e nessuno ti ascolterà; gli altri domandano e ottengono e tu non | [84] ottieni; gli altri saranno grandi nella bocca degli uomini, di te si tacerà; agli altri si dà questo o quest'altro ufficio, tu sarai ritenuto buono a nulla. Si contristerà talora la natura, ma tu farai gran profitto nello spirito»6. Chi poi è umiliato non si irrita, ma si umilia di più dicendo: Non hanno conosciuto tutto... e poi penitenza per penitenza: vada per tutte le volte che me le sono meritate senza averle.
2) Chi ama davvero Iddio, tende ad onorarlo, e fa come la SS. Vergine, la quale dopo essere diventata la Madre di Dio, andò a servire S. Elisabetta. S. Elisabetta si sentì confusa nel vedere che «la Madre del suo Signore» andava a servirla, ed esclamò: «Ma quale merito ne ho io? Tu sei la Madre di Dio!»7. La Vergine non si compiacque di queste parole lusinghiere, ma rispose cantando: «L'anima mia glorifica il Signore, respexit humilitatem ancillae suae»8.
Chi ama il Signore, cerca che lui sia glorificato e nella preghiera non si perde a chiedere benefici, ma chiede la sua glorificazione. Chi ama il Signore dice bene il Padre nostro: che il nome di Dio sia onorato e amato; che si estenda il suo regno sulla terra, che tutti facciano la sua volontà, come la fanno in cielo gli angeli. Poi le domande per noi: il pane, il perdono, la liberazione dalle tentazioni e dal peccato. Ed allora l'anima prega perché la Chiesa sia glorificata, che gli uomini sfuggano la dannazione e si salvino; quando una cosa riesce bene ha subito pronto il «Deo gratias» che le esce spontaneo dal cuore. Ella sa che è un nulla, che ha tanti debiti con Dio, e vuole scoprirli affinché sia glorificato solo Dio e non lei stessa.
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Una figliuola si alzava prima al mattino, | [85] scopava e spolverava dove dovevano passare le sorelle, poi si rimetteva a letto, perché nessuno lo sapesse e il Signore solo fosse lodato. «Fra Giustino francescano era arrivato alla contemplazione ed all'estasi, ma era desideroso della stima. Un giorno il Papa lo chiamò e gli concesse l'onore di farlo sedere al suo fianco e di abbracciarlo. Il frate s'invanì talmente che S. Giovanni da Capistrano, incontratolo subito dopo, gli disse: Fra Giustino, siete entrato angelo e siete uscito diavolo. Difatti questo frate percosse e ferì un fratello, fu chiuso in carcere e morì impenitente»9. La superbia è la rovina di tutto, e noi dovremmo tenerci sempre umili con questo pensiero: Chissà quanto bene di più avrei fatto senza superbia! Chissà quante grazie avrebbe l'anima mia senza questo maledetto amor proprio! Chissà quanto bene in più avrei fatto alle persone che mi circondavano se avessi sempre saputo glorificare Iddio. Io cammino con la testa alta, senza pensare alle conseguenze della mia vita, ma al giudizio si vedrà... Dunque concludiamo: colui che ama il Signore desidera la stima degli altri e la gloria di Dio. Chi invece ama se stesso ed è pieno di amor proprio, vede solo il suo io e si crede qualche cosa di grande, e non sa attribuire agli altri quella stima che meritano, e non cerca la gloria di Dio.
Perciò lodiamo sempre il Signore e vediamo se veramente lo amiamo, se c'è in noi il desiderio cordiale di cercarlo e di procurare la stima, la lode e la felicità degli altri.
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1 Cf At 1,13-14; 2,1-4.
2 Don Alberione in questa meditazione segue ancora S. Alfonso, Pratica di amar Gesù Cristo, IX, 9; X, 2.
3 «Dio mio e mio tutto!».
4 Riferimento alle Duemila Messe celebrate ogni anno da sacerdoti paolini per i benefattori (cf nota 3, p. 164).
5 Cf Rm 16,27: «A Dio solo l'onore e la gloria» (Volgata).
6 Cf Imitazione di Cristo III, XLIX, 2.
7 Cf Lc 1,43.
8 Lc 1,46.48: «... perché ha guardato l'umiltà della sua serva».
9 Cf S. Alfonso, Pratica di amar Gesù Cristo, X, 2.