Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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L'AMORE DEL PROSSIMO

[61] Noi comprendiamo sempre più che l'amor di Dio sta in questo duplice atto: 1) desiderare di conoscere Iddio e cercare di conoscerlo costantemente e voler ad ogni costo contemplarlo in Paradiso: in questa conoscenza gli angeli e i santi sono felici; 2) volere ciò che egli vuole, desiderare ciò che egli desidera, odiare ciò che egli odia, in modo di aver una sola volontà uniformata a quella di Dio, il quale ha un doppio atto di volontà: odio dichiarato al peccato e desiderio continuato ed indistruttibile verso tutto ciò che è bene.
L'amor di Dio in pratica consiste in questo: in ogni cosa mirare a Dio, cercare solo quello che piace a lui, cosicché possono essere tante le azioni della giornata, ma in ognuna vi è una sola mira; per l'anima che ama Iddio è tutta una cosa cantar le lodi a Dio e scopare, pregare e nutrirsi, studiare e ricrearsi, essere in un luogo o in altro: tutto è amor di Dio, tutto è servizio di Dio. E questo voler conoscere sempre di più il Signore, volere sempre più uniformarsi in tutto alla volontà di Dio, e cercarlo in tutte le cose, è un'occupazione della terra che precede quella del cielo ove si avrà la visione, il possesso e il gaudio eterno di Dio. Se dunque tutto è uno, ne viene che l'amor del prossimo è tutto uno con l'amor di Dio. Infatti una persona non dice: «Io amo Dio del tabernacolo e amo il Crocifisso | [62] che porto al collo o alla corona», ma è tutto un amore solo che si esplica in tanti modi, cosicché chi ama il Signore estrae il Crocifisso immagine di Dio e lo bacia, e riceve Gesù vivo nella Comunione. Quando si arriva a una certa perfezione, tutta la vita è un cantico d'amore, fosse anche quest'amore esplicato nel piantar cavoli o pulire le pignatte. Solo la carità rimane, essa persiste in Paradiso dove non vi sarà più la fede perché si vede, né la speranza perché si possiede, ma la carità, dove l'anima è immedesimata in Dio. Tutte le virtù sono la carità.
La carità verso il prossimo si compone di tre atti come l'amor di Dio: compiacenza, benevolenza, concupiscenza.
1) [Amore] di compiacenza. Una persona si compiace del prossimo, del suo bene, dell'intelligenza, del buon carattere, della
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salute. Tante volte non ci si compiace di una immagine mal stampata, ma ci si compiace di Gesù che è rappresentato: l'amore si compiace del prossimo perché è immagine di Dio e immagine che vale immensamente più che un'immagine di Gesù Cristo fatta col gesso o col legno. Chi ama il prossimo prova un vero piacere nel vedere le altre buone, in alti uffici, con molte capacità, che hanno buona volontà, che soffrono le malattie per amor di Dio, che sono lodate e stimate più di lei. E si sforza di pensare bene delle altre, di parlarne bene, senza però finire nelle bugie, perché non si può di una dire che reciti giaculatorie, se pronuncia mormorazioni; l'anima si compiace non fosse altro per questo motivo: il prossimo è opera del nostro Dio creatore; quanto è sapiente il Signore, ha creato i fiori, le stelle, gli uccelli, ma quanta sapienza nel | [63] crear l'uomo! Per questo S. Francesco si compiaceva di tutte le creature: di frate sole, di sorella acqua, di tutti i viventi. Quanto più noi dobbiamo compiacerci delle nostre sorelle!
2) Amore di benevolenza. La benevolenza consiste nel desiderare al prossimo quello che ancora non ha: nessuno è ancora salvo; desideriamo per tutti la salvezza e preghiamo che gli uomini giungano alla verità, che si compia l'unità della Chiesa col ritorno degli eretici, degli scismatici; che i peccatori si convertano all'amor di Dio, che i moribondi siano protetti, desideriamo a tutti tutto il bene che è possibile.
Venendo poi a noi: desideriamo alle sorelle ciò che non hanno, o la salute o la consolazione o la luce di Dio o la obbedienza o la benedizione sulle iniziative; a chi un aumento di povertà, a chi di carità.
3) Amore di concupiscenza. Quest'amore desidera realmente di stare con le persone di cui dobbiamo amare la compagnia, cioè con le sorelle. Perciò l'amore di vita comune, lo sforzo di favorirla e di renderla lieta, l'aiuto alla Congregazione: ai superiori, alle sorelle, infine il desiderio di rimanere per sempre assieme in Paradiso. Quando le persone care si portano nel cuore, si raccomandano a Dio ogni momento, si chiede per loro la benedizione del cielo: sono le più cercate e le più desiderate.
Ecco l'amore del prossimo: esso costituisce il secondo precetto e applica in vari modi il primo.
Perché dobbiamo amare il prossimo? È evidente: per amore di Dio, perché esso è immagine di Dio e ci rappresenta il Signore
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L'amore del prossimo non è una passione, ma amore grande e sereno: non è interesse che dobbiamo stabilire | [64] con un contratto, no; il prossimo è amato da Dio, e l'ameremo come lo ama Dio, non per motivi umani o passeggeri. Se amo solo perché la sorella è graziosa, e domani ne viene un'altra non più graziosa, dove va la carità? Se l'amo perché è intelligente e domani avrò una compagna rude, un po' indietro... cosa avverrà? Ma noi abbiamo un motivo immutabile: per amor di Dio, perché il prossimo è immagine di Dio, immagine forse caduta nel fango, ma sempre rispettabile per la figura di Dio. Per amor di benevolenza amiamo chi è più bisognoso ed infelice; per amor di compiacenza chi è più buono, di concupiscenza tutti indistintamente.
Amiamo dunque per motivi immutabili; perché il prossimo è stato redento dal sangue di Gesù. Vedete fino a che punto ci ha amati il Signore! Chi potrà capire l'amore che Gesù ha portato a ciascuna di noi? E notiamo: eravamo peccatori, avevamo offeso proprio lui, eravamo tutti indegni e il Figlio di Dio è venuto dal cielo e il Padre l'ha dato a noi: «...dilexit nos et tradidit semetipsum pro nobis»1. Dunque Gesù ha amato chi non l'aveva amato, chi l'aveva offeso con peccati mortali, peccati commessi in gioventù, in virilità e anche più avanti. E allora che cosa metteremo di limite all'amore del prossimo? Dove potremo fare una obiezione giusta a questo precetto? Gesù ci ha dato l'esempio nell'ultima cena, ha lavato i piedi agli Apostoli e a Giuda: ecco, fin dove ci ha amato2. Di una buona suora si diceva: per essere amate da lei bisognava farle dispiaceri; queste persone si attiravano le sue premure e le sue preghiere. E noi dobbiamo avere il cuore di Gesù come S. Paolo, e amare come amava lui. Noi poi | [65] dovremmo sentire l'amor del prossimo in questo senso perché, chiamati all'apostolato, dobbiamo curare la salute del prossimo, e quando uno ha già bisogno, occorre amarlo di più e zelar la sua salute.
Amare il prossimo, perché vi è un tratto di Vangelo che è invincibile e quasi misterioso, e sembra che tutta la santità dipenda esclusivamente da questa carità. Dice il Vangelo che alla fine del mondo, quando saran risorti gli uomini e divise le schiere
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dei reprobi dagli eletti, Gesù scenderà dal cielo con la croce e grande maestà e farà il giudizio. Ma... perché questo giudizio se l'anima è già eternamente salva o eternamente dannata? Perché nel giudizio particolare l'anima è giudicata come individuo, mentre al giudizio universale appariranno i doveri di ognuno come membro della società, e particolarmente i doveri della carità. Si volgerà dunque il Signore agli eletti con volto benigno da estasiarli e dirà loro: «Venite, benedetti dal Padre mio, prendete posto nel regno che vi siete meritato, perché ebbi fame e mi sfamaste, ebbi sete e mi dissetaste, fui afflitto e mi consolaste, ospite e mi albergaste... E gli eletti diranno: Ma, Signore, quando mai ti vedemmo affamato, assetato, afflitto, ospite e ti abbiamo aiutato? E il Signore dirà: Ogni volta che avete fatto questo ai minimi dei miei fratelli, l'avete fatto a me»3. Oh, quel giorno noi vorremo udire questa sentenza dolcissima, questo invito al Paradiso, questa parola che fisserà la nostra sorte eterna! Bisogna che facciamo le opere di carità. Qui ne sono enumerate alcune, ma sono adombrate tutte, specialmente le spirituali che non sono nominate, ma sottintese e comprese.
Poi Gesù si volgerà ai cattivi con voce potente | [66] da agghiacciarli e dirà loro: «Andate lontano da me, maledetti, perché foste lontani dal vostro prossimo; ché ebbi fame e non mi sfamaste, sete e non mi dissetaste, afflitto e non mi consolaste... Ma i reprobi diranno: Signore, quando mai noi ti abbiamo visto affamato, sitibondo, afflitto e non ti abbiamo soccorso? E Gesù li manderà all'Inferno dicendo: Quando non l'avete fatto al prossimo, l'avete negato a me»4. Perché io ero nel vostro prossimo. L'infermo è Gesù Cristo, il povero è Gesù Cristo, l'ignudo è Gesù Cristo e sempre la sentenza cattiva data da Gesù Cristo è motivata dalla mancanza di carità.
Quando il dottore che si vantava di operar la legge di Mosé, sentì dire dal Signore che vi era un altro precetto, quello dell'amor del prossimo, chiese a Gesù: «Chi è il mio prossimo?»5. E Gesù: Prossimo è chi si avvicina. Se tu vai dall'infelice sei suo prossimo; ma se lo odi non sei il suo prossimo, perché gli sei lontano col cuore. Gesù, volendo spiegare chi è veramente prossimo e
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cosa si richieda per la carità, raccontò la parabola del samaritano. I samaritani erano gente odiosa per i giudei, e non vi era relazione di sorta tra loro. Orbene, un poveretto era caduto nelle mani dei ladri che lo derubarono e ferirono in mezzo alla strada. Passò un sacerdote e non lo guardò, passò un levita e tirò dritto: non avevano cuore per l'infelice poiché non videro nemmeno se fosse vivo per poterlo aiutare. Passò un samaritano: visto il malcapitato, scese subito dalla cavalcatura, lo sollevò, lo fasciò, gli diede qualche ristoro, e lo mise sul giumento per condurlo all'albergo vicino, sostenendolo con cura. Ivi pagò l'albergatore raccomandandogli di averne cura, che il di più glielo avrebbe dato al ritorno. Ora, chi fu il | [67] prossimo per quell'infelice? chiese Gesù. Penso che sia il samaritano che l'ha soccorso, disse il dottore. E Gesù: «Va' e fa' anche tu così e avrai la vita»6. Abbiamo capito? Facciamo anche noi così: per la carità andremo in Paradiso. Tutto il bene che facciamo al prossimo, Gesù lo cambia in gradi di gloria per noi; colla carità acquistiamo credito presso Dio. A volte noi ci lamentiamo perché il prossimo non paga subito o non ci mostra la gratitudine; infelici! Non ci contentiamo di un po' di fiato o di un grazie; vogliamo il possesso e il gaudio di Dio. Ci ispiri il Signore e ci dia la grazia di praticare la carità nelle sue due manifestazioni: verso Dio e verso il prossimo.
Voi potete già fin d'ora trarre le conseguenze di questa mirabile dottrina sulla carità: leggete anche la Pratica di amar Gesù Cristo7, libro d'oro che ci insegna ad amar il prossimo per mezzo della carità verso il Signore. Ci dia il Signore la carità!
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1 Cf Gal 2,20: «... ci ha amato e ha dato se stesso per noi».

2 Cf Gv 13,14-15.

3 Cf Mt 25,31-40.

4 Cf Mt 25,41-46.

5 Lc 10,29.

6 Cf Lc 10,30-37.

7 S. Alfonso M. de' Liguori, Pratica di amar Gesù Cristo. Pubblicata nel 1768 e tradotta nelle principali lingue, ha raggiunto oltre cinquecento edizioni.