Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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3. [NECESSITÀ DELLA GRAZIA]*

Ieri sera abbiamo detto quali passi deve compiere l'anima per unirsi a Dio: il lavoro che essa deve compiere è più intenso dopo i voti perpetui, quando maggiore deve essere il fervore e il merito.
La nostra santificazione dipende specialmente dal lavoro della grazia: per questo occorre una grande confidenza in Dio, che va sapientemente guidando la nostra anima della quale ha una cura paterna, per confortarla e rialzarla se mai fosse caduta, per sollevarla, per farla progredire. Ci riempiremmo di giubilo se potessimo fin d'ora conoscere le finezze della grazia di Dio a nostro riguardo. Noi abbiamo sempre un assoluto bisogno della grazia. Per farci un merito, per compiere un'opera buona, anche per avere un buon desiderio, ci vuole sempre l'aiuto di Dio.
Prima ci vuole la grazia di «affectus», che ci fa desiderare la cosa buona; poi ci vuole la grazia «resolutionis» con la quale il Signore infonde nell'anima la forza di prendere buone risoluzioni. In terzo luogo ci vuole la grazia «illuminationis» che penetra la nostra mente e la dispone a quella data opera buona. Solo con queste grazie si potrà ricavare un frutto spirituale, ad esempio da una meditazione, altrimenti si andrebbe ad essa come si va a sentire la spiegazione di una materia profana, ad esempio la geografia. È di fede che noi non possiamo neppur concepire un minimo pensiero soprannaturale senza l'aiuto dello Spirito S. È Dio che mette in noi il soprannaturale: non siamo noi che lo facciamo nascere. È più facile fare un circolo quadrato che andare a Dio senza la grazia. Dopo che Dio ha messo in noi le buone disposizioni ad un'opera buona con le tre grazie suddette, allora viene il «velle», la risoluzione cioè di compierla (ad esempio di andare a far la meditazione) ma il ricavarne veramente frutto, il sentirsi poi bene impressionate, ecc. dipende poi ancora dalla grazia di Dio. Come un cadavere messo in un banco di scuola non potrebbe risolvere un problema, e non potrebbe perché
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non ha l'anima, così noi senza la grazia non potremmo fare bene una meditazione, prendere buone risoluzioni, ecc. Il «cogitare», il «velle», e il «perficere», dipendono sempre da tre grazie «di affetto, di ispirazione e di illuminazione»: questo è di fede. E quando un'anima è disposta a compiere un'opera buona, la vuole compiere e la compie realmente, allora si opera in lei un miracolo di grazia dello Spirito S.: un miracolo che non si vede, ma un vero miracolo. Tanto più questo si deve dire allorché si tratta di fare un passo importante nella vita spirituale; in essa noi dobbiamo corrispondere alla grazia, cooperare ad essa, come il corpo coopera all'anima nelle sue operazioni, ma la parte più importante la fa Iddio il quale già ci ha creati e ci sostiene in vita, di modo che se per un istante cessasse di sostenerci con la sua azione conservatrice, noi tosto ricadremmo nel nulla. Perciò noi dobbiamo sempre pensare che siamo niente: niente quanto all'essere, niente nell'ordine naturale e nientissimo, se così si potesse dire, nell'ordine soprannaturale, niente quanto all'operare. Noi siamo niente, ma Dio è tutto.
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* Dattiloscritto, carta vergata, fogli 1 (21x30,8). In alto è scritto: “ Continuazione della precedente”. Non è stata però rintracciata altra meditazione. Con probabilità si tratta di un ritiro o di un corso di Esercizi in occasione della professione perpetua. Il Fondatore fa riferimento a qualche manuale. Il dattiloscritto porta la data seguente: 19 marzo 1944. Non c'è titolo, ma la semplice indicazione: “Predica del Primo Maestro”.