Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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19. IL FARISEO E IL PUBBLICANO*

Il Vangelo di oggi ci ricorda la parabola del fariseo e del pubblicano. Gesù Cristo nel raccontare questa parabola non intendeva parlare solo di quelle due persone le quali, appunto perché parabola, non saranno neppure esistite, ma voleva parlare di tutte le anime, di tutti i tempi, che si sarebbero trovate in quello stato: parabola quindi immortale, eterna.
«Due uomini ascesero al tempio a pregare: uno era fariseo, l'altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, così dentro di sé pregava: "O Dio, ti ringrazio di non essere io come tutti gli altri: rapaci, ingiusti, adulteri, come anche questo pubblicano. Io digiuno due volte la settimana, pago le decime di quanto possiedo". Il pubblicano, invece, stando da lungi, non ardiva nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto, dicendo: "O Dio, abbi pietà di me peccatore". Vi assicuro che questi tornò a casa sua giustificato, a differenza dell'altro; perché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato»1.
Sta qui il gran male: nel crederci giusti e nel disprezzare gli altri. Bisogna che ci crediamo tutti peccatori. La Chiesa non fa distinzione: "Nobis quoque peccatoribus"2. Così nell'Ave Maria: "Prega per noi peccatori..." e nella Salve Regina: "... a te ricorriamo esuli figli di Eva, gementi e piangenti in questa valle di lacrime".
Bisogna che siamo convinti di essere peccatori. Bisogna che pensiamo che altri possono anche avere dei conti da aggiustare con Dio, ma che ne abbiamo di più noi per le tante grazie venute a noi dalla bontà di Dio. Gli altri possono avere la pagliuzza nell'occhio, ma noi abbiamo la trave3. Certe mancanze in noi possono assumere una maggior gravità, appunto per la
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abbondanza di grazie che abbiamo avuto. Gran male è la superbia! Quella superbia che disprezza gli altri. Talora si raccontano i mali che vi sono nel mondo, quasi con disprezzo degli altri tenendoci noi sicuri, infallibili; questo non va bene, non va bene.
Si dice: fuggire il mondo; ma ciò perché noi siamo deboli, perché nel mondo si respira un'aria inquinata dal male che, data la nostra debolezza, potrebbe nuocerci, e non per fuggire i peccatori e disprezzarli.
Il fuggire il mondo nel senso inteso da tante figliuole, è un errore, è superbia. Bisogna che ci crediamo cattivi, come siamo; pensiamo che nonostante tutte le grazie, siamo sempre in pericolo di offendere il Signore. Dobbiamo credere alle nostre debolezze, accusarle e pensare che tante volte siamo proprio noi la causa del male che lamentiamo negli altri.
A coloro che confidano in sé e disprezzano gli altri, Gesù raccontò la parabola del fariseo e del pubblicano. Tutti e due avevano buona volontà; tutti e due volevano pregare, ma con quale diversità di spirito!
L'uno si credeva proprio cattivo e implorava la misericordia del Signore: «O Dio, abbi pietà di me peccatore!». E Dio misericordioso lo rimandò a casa giustificato, e chissà che non sia andato molto su in Paradiso. Quanti «precedent vos in regnum Dei»4! La misericordia di Dio è misteriosa, agisce in maniera infinitamente diversa dai nostri ragionamenti umani. Vedremo in Paradiso sopra di noi, certuni che adesso crediamo peccatori. Gli è che il Signore vede dentro. I raggi X fanno vedere le ossa e l'ombra, più o meno, del torace, polmoni, cuore, ecc. Ma il Signore ci prende la fotografia dell'anima.
Nell'eternità la storia di ogni anima sarà manifesta a tutti, nei minimi particolari, come nel giorno del giudizio. Ci si sforza, ora, in Confessione, per dire tutto, ma ci vuol altro! Finiamo sempre col dire un po' alla grossa. In Paradiso, invece, apparirà tutto il bene e il male, davanti a tutti e per sempre. Attenzione a non disprezzare i peccatori: essi hanno dei privilegi che loro concede il cuore di Gesù: «Sono venuto a cercare i peccatori...»5.
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Essi sono un po' come i bambini. Bisogna andare adagio a disprezzarli, perché la misericordia di Dio è misteriosa. Non viviamo secondo i ragionamenti umani: viviamo secondo la fede.
La superbia può anche essere peccato mortale (come nel caso del fariseo). Stiamo un po' attenti!... È facile ingannarci credendoci giusti.
Talvolta si pensa: Mi hanno ammessa alla vestizione, dunque... Mi hanno ammessa al noviziato, dunque... Ho fatto professione, dunque...
Non ci canonizziamo! Fossimo anche sulle nubi... Lucifero era al disopra delle nubi e precipitò nell'Inferno. Talvolta vorremmo dare dei consigli persino a Dio: questa è gran superbia, quella superbia che è principio di ogni altro peccato. «Initium omnis peccati superbia»6. Se uno è umile, anche se avesse molti difetti, costui ha un buon fondamento.
L'umiltà infatti è il fondamento su cui Iddio stesso innalza l'edificio della santità. Non crediamoci qualche cosa, non esaltiamoci. Nel Capitolo che si recita a Vespro e alle Lodi dell'Ufficio delle Vergini, vi è questo: «Non omnis qui se commendat ille probatus est, sed quem Deus commendat»7. Ossia, se noi ci diamo dieci, non vuol dire che ce lo dia il Signore. Alcuni si danno dieci con "summa" lode. Ma tutta questa superbia a che vale?
La pietra di paragone della virtù è l'umiltà che è una parte della verità; quella parte, cioè, che si riferisce a noi. Non diciamo tante cose rare e sublimi, diciamo che siamo poveri peccatori. S. Vincenzo de' Paoli8, sì che è un'anima santa, perché si manteneva perfettamente umile in mezzo ad opere trionfali. Vi sono delle suore che hanno molta virtù, ma che non si manifesta attraverso le apparenze esterne, nelle grandi opere, perché è tutta interiore, come la virtù della Madonna. Io vorrei che fosse contata una volta al giorno la storia di S. Filippo Neri e della monaca santa, ripetuta ogni giorno la frase: «Se avrete carità vicendevole, basta»9.
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Se avrete carità e l'umiltà sarete vere Figlie di San Paolo. L'umiltà è il fondamento dell'edificio spirituale, la carità ne è la corona. Questo è l'utilissimo e il verissimo insegnamento: disprezzare noi medesimi, confonderci nel pensare alle grazie ricevute e alle nostre ingratitudini; quindi confidare solo nella misericordia del Signore.
Chi lavora, chi compie atti di virtù, chi prega, ma facendo tutto senza umiltà è come colui che mette farina in saccum perfusum10. Quanti meriti perduti! Attenzione all'umiltà. Non nascondere i falli e mettere in vista il bene. Essere schietti, prima con noi, riconoscendo che dovremmo fare molto di più, amare molto di più il Signore.
Gesù conchiude la parabola con questa frase: «Chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato». Un'anima molto umile in pochi mesi può farsi una gran santa, ma un'anima superba non toccherà neppure i primi gradini della santità. Ricordiamo che S. Paolo le dice alle vergini queste parole: «Non omnis qui se commendat ille probatus est, sed quem Deus commendat»11.
Come esser umili. Anzitutto nel concetto: la superbia sta, prima di tutto, nella mente poi nel cuore. Dio ci vuole umili di cuore. Non basta ostentazione. S. Francesco di Sales quando venne a Roma a dar l'esame da vescovo, durante il viaggio invece di studiare, pregava mostrandosi molto tranquillo. Sapeva anche molto, è vero, ma più che altro era umile. Diceva che non sapeva se si guadagnasse di più a far bella figura o a far brutta figura, purché si facesse per amor di Dio.
Dunque, anzitutto umiltà di mente e di cuore; quella di parole e di opere non è da studiarsi tanto. Osservarla mediante la sincerità, l'obbedienza. In particolare l'umiltà si identifica con l'ubbidienza. Chi finge, chi disubbidisce, si scava la fossa, mentre l'umiltà scancella talvolta anche il peccato per l'amor di Dio che comprende in sé.
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Uno potrebbe anche essere vestito di oro, ma non è questo che conta: ciò che conta è la virtù. Bisogna avere la virtù sufficiente, prima di voler fare certe cose, essere sode, altrimenti... gira la testa. Non salire molto in alto quando si patisce il capogiro; è necessario essere molto fermi per certi uffici; è necessario avere l'umiltà di cuore per certe cose..., professioni. Non c'è ancora la virtù di fare certe cose... Vorreste paragonarvi a certe persone le quali hanno fatto delle vere rinunzie, e che hanno dei secoli e degli anni a loro favore? «Ama nesciri et pro nihil reputari: Ama di essere messa da parte, ripresa a torto, castigata»12. Non basterebbe tutta una vita di penitenza per scancellare il più piccolo peccato veniale, fatto ad occhi aperti. Vigiliamo, vigiliamo.
S. Francesco Saverio aveva già battezzato milioni di anime e fatto tanti miracoli, tutti lo stimavano un santo, eppure quando scriveva a S. Ignazio lo faceva in ginocchio, stimandosi indegno di rivolgere la parola al suo superiore.
Se saremo umili riceveremo tante grazie, perché il Signore e la Madonna ci rivolgeranno lo sguardo benevolo, avremo le compiacenze divine e saremo care a Dio e agli uomini; invece il superbo è sale infatuato, è amico di Lucifero.
Umiltà quindi, ma vera umiltà, quella che consiste nella sincerità, nella obbedienza, nel riconoscerci peccatori come siamo.
Diciamo un Padre nostro per chiedere a Dio la vera umiltà.

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* Meditazione, in ciclostilato, 3 fogli (33x22). Sull'originale è indicato il titolo: “Domenica X dopo Pentecoste”, la data: “25 luglio 1937”, l'autore: “P. Maestro”.

1 Lc 18,10-14.

2 «Ed anche a noi peccatori».

3 Cf Mt 7,3.

4 Cf Mt 21,31: «... vi precederanno nel regno di Dio».

5 Cf Lc 5,32.

6 Sir 10,13: «Il principio di ogni peccato è la superbia».

7 2Cor 10,18: «Non colui che si raccomanda da sé viene approvato, ma colui che il Signore raccomanda».

8 Vincenzo de' Paoli (1581-1660), francese, sacerdote, padre dei poveri. Fondatore dei Preti della Missione e delle Figlie della Carità.

9 Cf 2Gv 5.

10 Cf Ag 1,6: «In un sacchetto forato».

11 Espressione errata; aggiunta e correzione in [ ]: Non omnis [qui] se commendat ille probatus est, sed quam [quem] Deus commendat.

12 Cf Imitazione di Cristo, I, II, 2.