Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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24. LA MORTE *

I. La morte frutto del peccato

Questa mattina abbiamo fatto la meditazione sul grande privilegio della nostra madre Maria: l'Immacolata Concezione. La santa Madonna non andò soggetta al peccato originale, né a quello attuale da cui fu singolarmente preservata.
Tutti gli uomini furono sommersi nel mare della colpa originale, eccettuata Maria, simile all'arca di Noè che galleggia sulle acque del diluvio senza affondare. Dall'arca uscirono poi gli uomini che ripopolarono la terra divenuta deserta: da Maria nacque Gesù, capostipite di una nuova generazione, quella degli eletti.
La santa Madonna però, sebbene non macchiata dal peccato originale, pure andò soggetta a tutte le di lui conseguenze, meno che alle passioni e al male. Maria santissima perciò conobbe la morte, ma risuscitò al terzo giorno come Gesù e fu assunta in cielo1.
Dunque questa sera dell'Immacolata, noi incominceremo il ritiro sulla morte e lo metteremo sotto la di lei protezione.
Iddio creò Adamo ed Eva immortali, li pose in un paradiso di delizie, ma disse loro: «Se mangerete del frutto proibito, voi morrete»2. Essi però ne mangiarono e furono colpiti dalla condanna. Dio infatti disse ad Adamo: «Tu sei polvere ed in polvere ritornerai»3. E non solo Adamo personalmente, ma tutti i suoi
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figliuoli e posteri. Qual grande male è dunque il peccato, se Dio per punirlo non colpisce soltanto cento persone, ma tutti gli uomini!
Quando un re, per domare una rivolta, condanna a morte dieci o venti persone, si pensa subito che la cosa sia stata grave; quanto più grave se ne condannasse cento o se volesse sterminare la popolazione di tutta una regione! Incalcolabile dunque è il male del peccato se Dio per esso castiga non una regione o una nazione, ma tutta l'Europa, tutta l'Asia, l'Africa, le Americhe, l'Oceania con tutti i loro abitanti che furono, sono e saranno. Sembra perfino poco alla nostra piccola mente!
Iddio condannò Adamo, ma egli non comprese se non dopo alcuni giorni, quando tramontato il sole, venne la sera e Abele non tornò a casa. Adamo ed Eva si guardarono meravigliati e decisero di andarlo a cercare. La notte era profonda, essi lasciarono la capanna, camminarono un pezzo guardando fra le siepi e sui prati e finalmente si inoltrarono in una foresta e lo trovarono disteso a terra, cadavere. Quale angoscia, quando lo chiamarono, lo scossero e videro che non era più! Più terribile fu lo strazio alcuni giorni dopo, quando sollevando il fogliame con cui l'avevano ricoperto, lo scorsero tutto corroso dai vermi e coperto, nelle parti ancora intere, da una lanugine gialla. Ah, quanto pianse la povera Eva!
Ebbene, il peccato noi dovremmo temerlo più della morte. Se potessimo vedere un'anima che ha commesso un peccato, la scorgeremmo ben più orribile di un cadavere.
Chi dicesse: Ho fatto gran male forse?, mi sembrerebbe colui che pochi istanti prima di morire se ne va a passeggio dicendo: Mi sento meglio, sono in via di guarigione!. Poveretto, ma non vedi che hai la morte alle spalle?
Ah, se comprendessimo che cos'è il peccato, andremmo piano con certi pensieri, certi sospetti temerari, con certe parole! Se meditassimo la morte non peccheremmo.
«Meditare novissima tua et in aeternum non peccabis»4: chi medita la morte non pecca.
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Che cos'è la morte? La morte è la separazione dell'anima dal corpo. L'anima unita al corpo gli dà la vita ed essi stanno bene assieme, per cui se si separano momentaneamente con la morte, torneranno ad essere eternamente uniti nel giudizio universale. L'anima in unione col corpo fa sì che questo veda con gli occhi, senta con le orecchie, che il cuore pulsi ed ami, che l'uomo compia le belle opere di cui è capace. L'anima per stare nel corpo vuole che questo sia sano ed integro, come un buon liquore non può stare in una bottiglia rotta.
Se dunque il corpo si rompe in qualche sua parte vitale (nel cuore, nel polmone, nelle vene), l'anima ne esce subito, e si muore.
Se andate a visitare un cadavere come lo trovate? Con le labbra livide e fredde, col volto affilato, le mani ed i piedi violacei, l'occhio vitreo. Quella persona non vede più, non sente più, non capisce più. Se poi andate a vederla dopo alcuni giorni, lo trovate tanto puzzolente da far ribrezzo. Bisogna portarlo via di casa assolutamente.
Ecco, come ci ridurremo! E perché allora tanta soverchia premura di mantenerci in salute, di soddisfare i sensi, di risparmiarci le fatiche? Perché siamo così solleciti per la colazione e poco della Comunione? Vogliamo la bevanda e non sappiamo farne a meno, ma della meditazione che è la vera bevanda dell'anima, abbiamo la medesima sete? Quando le preghiere ci bastano scorciate, quando lavoriamo meno di quanto potremmo, allora togliamo tanta gloria a Dio, siamo irragionevoli! Adoperiamo il corpo a far tanto bene.
La morte separa da tutto e da tutti. Vedete? Quando sta per spirare una persona, alcuni circostanti si allontanano per non assistere al triste momento del trapasso, talvolta invece le stanno d'intorno, ma fanno certi discorsi... (A questo proposito, diremo che per i morenti ci vuole molta assistenza e raccoglimento). Si sentono delle frasi! Eh, poveretto, speriamo che Iddio gli usi misericordia! Avrebbe potuto farsi tanti meriti, ma aveva quel benedetto carattere..., e via di seguito.
Ammettiamo però che intorno al nostro letto di morte, [vi] siano solo delle care persone. Noi morremo egualmente, ma una volta tornate dal cimitero, ognuna, senza dubbio, ritornerà
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alle proprie occupazioni e dopo qualche giorno saremo dimenticati. Sempre così avviene!
Si pensa forse molto ai morti? Si prega tanto per loro? E poi le preghiere che, per noi defunti, saranno fatte dagli altri, non varranno ad aumentare di un ette5 i nostri meriti.
Invece le opere buone che facciamo in vita, hanno un triplice valore:
1) soddisfattorio «absolute», mentre per i defunti è solo soddisfattorio «ad modum suffragii». ossia secondo come Dio vuole e quando vuole. Leggiamo nel Vangelo che il Signore ha detto: «Si darà a voi con una misura piena…»6, ecc.; a voi, non agli altri per i quali resta soltanto la divina misericordia, non la promessa. Ecco dunque, che la Chiesa per i vivi apre con le proprie chiavi, mentre per i morti si rimette alla divina misericordia. Quando eravate piccoli e chiedevate i dolci alla mamma, eravate ben contenti se essa non veniva a darveli, ma senz'altro vi consegnava le chiavi della credenza.
2) Valore impetratorio. Il bene fatto in vita guadagna grazie, ma non per i defunti. Chi dice un rosario per i morti potrà applicare ad essi il relativo valore soddisfattorio, ma non il merito di aver recitato un rosario.
3) Valore propiziatorio. Infatti chi opera bene in vita non solo acquista dei meriti, ma ancora si propizia la divina giustizia, ossia può applicarlo in penitenza dei propri peccati.
Facciamo dunque il bene finché il nostro corpo sta bene, e se non sta tanto bene, approfittiamo anche di questo per farci dei meriti nella pazienza.
La morte ci separa dal corpo e dalle cose. Pensiamo ai nostri cari che sono all'eternità. Nel grande affetto che loro portiamo, rifuggiamo dal pensarli in luogo di perdizione. Essi sono all'eternità e il loro corpo è al cimitero ove col tempo sarà ridotto in polvere.
Perché non ci serviamo sempre dei nostri sensi per Dio? Degli occhi per guardare l'altare e gli oggetti del nostro lavoro
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quotidiano, della lingua santificandola con parole sante nella convivenza giornaliera con le nostre sorelle, con parole dolci e serene che mettono sempre la pace. Santifichiamo il cuore perché ami il Signore e le persone care in lui. Usiamo bene lo spirito! Non siamo di quelli che perdono il tempo migliore, e non perdiamoci nemmeno in vani rammarichi; adesso è tempo: siete piene di energie, di vitalità. Considerate: la santa Madonna morì a settantadue anni. Ah, l'Immacolata nostra madre, che vita piena! Essa che era piena di grazia e quindi amava sempre nel modo più perfetto, anche dormendo! Quanti meriti in lei! Che altezza di fede, che luce di speranza, che ardore di carità! Noi invece come usiamo il tempo?
Si sentono alcuni esclamare: Facciamo passare un poco le ore!. In punto di morte i medesimi diranno: Si daretur hora: se ci si desse ancora un'ora, quante cose non faremmo!.
Noi però approfittiamo adesso. Al mattino, alzandoci, mettiamo subito l'intenzione santa di voler occupare bene tutti i minuti della giornata. E li spenderemo certamente bene se faremo bene il nostro dovere.
Se i dannati avessero a loro disposizione cinque minuti, ne approfitterebbero per piangere e pentirsi. Invece noi talvolta perdiamo il tempo in chiacchierare oppure trascuriamo il compimento del nostro dovere. Non perdiamo tempo, per carità!
Amiamo il Signore, amiamolo sempre di più. Il tempo si può perdere in quattro modi: prendendo troppo riposo, occupandoci in cose inutili, divagandoci in bagattelle da niente, mettendo poca retta intenzione nelle proprie azioni.
Ebbene, non perdiamone più! Figuriamoci sovente la morte che ci viene incontro a grandi passi, anche quando dormiamo, anche quando meno vi pensiamo.
Questa sera domandiamo all'Immacolata la grazia di bene prepararci alla morte. Allora sì che vorremmo avere dei meriti!

II. Prepararsi a ben morire

Nel ritiro mensile noi facciamo tre cose: 1) l'esame del mese passato per accusarci delle mancanze che vi furono e per ringraziare il Signore del bene fatto; 2) facciamo il proposito per il
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nuovo mese; 3) domandiamo insistentemente al Signore la grazia di una buona morte.
Il ritiro di questa volta ha un'importanza speciale perché dicembre è l'ultimo mese dell'anno e si tratta in questo tempo di ringraziare per i favori ottenuti e di riparare le mancanze del 1934. Questo mese ci serva dunque per pagare tutti i nostri debiti al Signore, per disporci santamente al santo Natale e per incominciare un nuovo anno più santo, se il Signore ce lo vorrà dare.
La morte è una buona consigliera. Primo suo consiglio: la morte è certa, quindi ci dice: Mettiti con ogni impegno per salvarti. Tutto è incerto a questo mondo, meno la morte. Dopo di essa viene il Paradiso, ma il Paradiso deve essere conquistato. La morte è certa e nessuno ne va esente. Lo possiamo vedere nell'Antico e nel Nuovo Testamento, nella storia civile ed ecclesiastica: tutti muoiono. Ogni uomo nascendo ha già scritta la sua condanna; come nel battesimo è iscritto nel registro dei battezzati, così un giorno sarà iscritto nel registro dei morti.
Nel cimitero vi è un posto per noi. Verrà un giorno di cui non vedremo la fine, un'ora che non termineremo; suonerà anche per noi la campana. È incerto se vivremo molto o poco, sani o malaticci, stimati dal mondo o disprezzati. Né l'onore, né la riuscita, né la salute sono cose certe, solo la morte è certa: «Nihil est morte certius»7.
Il demonio poi ce la descrive così lontana che quasi quasi noi la perdiamo di vista. Anche i vecchi sperano sempre di poter andare avanti. Questa speranza è buona per farci fare dei meriti, ma poi senza dubbio verremo presi e portati al giudizio. La morte ci consiglia così: Fatevi del bene, fatevi santi e fate presto. E noi le diamo ascolto perché sappiamo che veramente dobbiamo morire, che il nostro posto non è qui, che Dio e gli angeli ci attendono nell'al di là.
Resteranno delusi coloro che nella vita avranno cercato onori e soddisfazioni. Tutto passa come fumo. Dinanzi a noi sta solo la tomba.
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Ebbene, se tutto passa così, che dire? Chi viaggia non si affanna troppo se i paesaggi sono monotoni, se il posto che occupa non è tanto comodo, se la compagnia con cui si trova è poco piacevole, tanto egli sa che tutte queste pene sono transitorie e che, giunto al termine del suo viaggio, troverà la propria casa con tutto quel che può desiderare.
Lavoriamo, lavoriamo, diceva il beato Cafasso8, e ci riposeremo in Paradiso!. Andiamo avanti e ci riposeremo quando saremo a casa nostra! Che importa l'essere approvati o disprezzati, ammirati o tentati?
Vedete, succede talvolta che coloro che circondano un morente non si accorgono nemmeno del suo trapasso, che può avvenire anche senza nessun fatto esteriore rimarchevole. Parte l'anima dal corpo, silenziosa, e non prende nemmeno un fazzoletto, non una valigia per il grande viaggio, non una cosetta per la cena, nulla. Parte con l'unico fardello dei suoi meriti che saranno i tesori di cui si adornerà per le nozze, o con i rimorsi del male compiuto che saranno vermi che la sfigureranno. La settimana scorsa sentivo dire di una donna appena passata all'eternità: Io non so che cosa avrebbe potuto fare di più quella creatura! Era pazientissima in famiglia, sempre serena, servizievole. Si vedeva sempre attiva, per tutti aveva all'occorrenza una parola buona.
Tutte cose piccole, ma sono proprio queste che hanno valore dinanzi a Dio. Egli non guarda alle doti più o meno grandi dell'intelletto, del saper fare, agli ornamenti esterni, per così dire. A che ci avrà servito il ben parlare, il far bella figura, se ci sarà mancato il sostanziale?
La morte è certa; stiamo preparati. È incerto se vivrai molto o poco, se diverrai vecchio rimbambito o se conserverai fino all'ultimo l'uso di ragione. Incerto se la morte ti sorprenderà in letto o in istrada, in apostolato, in cortile o a scuola. Ne muoiono tanti e dovunque. Abbiamo visto [qualcuno] morire in chiesa
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subito dopo essersi confessato, morire in viaggio, morire nel breve spazio di due ore: così avveniva tempo fa ad un ragazzetto. Il male può essere improvviso ed inesorabile, può coglierci mentre facciamo un discorso non buono, proprio di quelli che non vorremmo portare al tribunale di Dio.
Ricordo di quando ero in seminario che un mattino in camerata ci alzammo tutti meno uno. Si fece pulizia, si andò in chiesa, a colazione, e quel compagno non si faceva vedere. L'assistente che aveva tollerato quel ritardo nella levata attribuendolo a stanchezza, disse: Basta, adesso è proprio ora di finirla con questa pigrizia!. Andò su, lo chiamò, lo scosse, nulla! Lo toccò sulla fronte: gelato. Era morto. Morto così, senza far strepito, senza svegliare nemmeno il compagno vicino che gli stava distante solo circa mezzo metro.
Quando la morte arriva improvvisa, se uno ha sempre fatto il proprio dovere, non può dirsi imprevista. Improvvisa, non imprevista. Nel caso contrario, quale disgrazia! Viviamo dunque bene per morir bene, senza peccati e senza debiti di pena. Acquistate bene il Giubileo, fatevi tanti meriti per la vita eterna, tanti meriti! Stiamo pronti in qualunque giorno.
Altro consiglio della morte. Vi è la morte del giusto e quella del cattivo. Quale sarà la nostra? Come [è stata] la vita. Chi si abitua a fare le confessioni freddamente, farà l'ultima freddamente. E chi avrà sempre fatto la Comunione con freddezza, riceverà anche il Viatico con freddezza e così l'estrema unzione. Adesso certi pensieri, certe parole, ci sembrano giuste, ma in punto di morte, quanto diverse saranno le cose! È necessaria dunque grande diligenza, umiltà, amore. Chi merita la morte dei cattivi che la Scrittura chiama: «mors peccatorum pexima»9? Chi è negligente, chi abusa della grazia di Dio. Beato invece chi muore della santa morte dei santi: «Pretiosa in conspectu Domini mors sanctorum eius»10. Bella la morte di S. Ignazio11, di S. Luigi, del beato Cafasso! Essi però la meritarono. Che cos'è dunque la morte di un santo? È l'incontro di un'anima
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che finalmente trova Gesù, quel Gesù che ha sempre tanto sospirato. Essa ha sempre detto con fede: Gesù è con noi, noi siamo con Gesù!12. ed ecco che finalmente gode di quella unione che in realtà aveva anche prima, sebbene non fosse sensibile. Sarà allora una unione sensibilissima e che la rende beata.
Due mezzi per fare una santa morte: 1) Vivere bene. Dio non nega una santa morte a chi è vissuto bene. 2) Pregare per ottenere questa grazia. Le preghiere più indicate sono: l'Atto di accettazione della morte, con cui si guadagna l'indulgenza plenaria in articulo mortis; recitiamo ancora la preghiera per domandare la grazia di non morire di morte improvvisa e imprevista; essa consta di tre parti. Poi vi è quella specie di litania che finisce con: Abbiate pietà di noi; e la Raccomandazione dell'anima. Diciamo queste preghiere almeno nel ritiro mensile, costantemente13.
Abbiamo dunque detto che la morte è certa e ci dice: Preparati! Incerta e ci dice: Sta' attento! La morte dei cattivi è tremenda; preziosa quella del santo.
Vi sono alcuni che hanno una pietà vaporosa e si perdono in mille cose accessorie, trascurando le principali. I santi invece parlavano semplicemente di questo: del Paradiso, di Dio, della morte. Facciamo anche noi così. Il Signore per amore del suo divin Figliuolo ci conceda la grazia di salvarci. Ah, che nessuno di noi abbia da dannarsi! È più sicuro chi teme, meno sicuro chi presume. Attendiamo con gran cuore ed umiltà alla nostra santificazione per prepararci ad una santa morte. La vita passa, la vita passa!

III. Impegno per la santità

Lettura del Vangelo della domenica [seconda di Avvento]: Matteo 11, 2-10.
È proprio una bella conclusione al vostro ritiro mensile questa pagina del Vangelo! Quale è infatti il compito del ritiro? Il
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ritiro ci illumina nella fede, ci fa camminare più spediti se andavamo zoppicando, ci fa udire meglio la parola di Dio, ci fa risuscitare, se mai fosse necessario, dalla morte spirituale.
S. Giovanni [Battista] fu lodato da Gesù Cristo: «Chi siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento?... Un uomo vestito mollemente?»14.
Gesù non è un adulatore e non si inganna. Egli conosce i sentimenti, l'interno e l'esterno. Non erra dunque nel lodare S. Giovanni per la franchezza con cui lo confessa e gli prepara la via, per la sua costanza, lo spirito di penitenza, per la sua corrispondenza alla grazia.
Imitiamo S. Giovanni nel disporre le nostre anime a ben ricevere Gesù nel santo Natale con la pienezza della sua grazia, mondandoci dalle imperfezioni, lavandoci proprio da capo a piedi. Nella scorsa domenica si diceva: «Excita, Domine, potentiam tuam et veni!»15. In questa invece diciamo: «Excita, Domine, corda nostra ad preparandas Unigeniti tui vias»16, ecc. Nella prima domenica d'Avvento si domanda al Signore di scuotere la sua potenza, nella seconda di scuotere la nostra pigrizia. Questi due Oremus vanno bene insieme: mettiamo da una parte la nostra cooperazione e poi diciamo al Signore di venire.
Le lodi che Gesù fa di Giovanni dovrebbe poterle tessere anche di noi. Egli dice: Vedete, Giovanni non è una canna sbattuta dal vento, non è un incostante, un volubile, come quei tali che cambiano come il tempo, dopo le tante grazie ricevute in tanti anni, in tanti Esercizi, in tanti ritiri!
Questi talora possono riconoscere molto tristemente che hanno concluso poco o niente perché andarono sempre troppo dietro alle impressioni. Per farci santi non bisogna variare con tanta facilità, ma aver pazienza, costanza, umiltà.
Non crediamo di poterci far santi in un giorno! Il lavoro per la propria santificazione è un lavoro lungo, accurato, paziente. Quanti nel mondo vivono bene o male secondo le circostanze!
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Ma noi li imiteremo? No! Continuiamo nei nostri buoni propositi, perseveriamo, non pretendiamo di far tutto in un giorno. «Gutta cavat lapidem: la goccia scava la pietra»17.
Varino pure le circostanze, non muteranno i nostri propositi. Nostro Signore loda S. Giovanni per la sua mortificazione. Egli era rivestito di una pelle di cammello, viveva in un deserto lungi dal mondo, dalle comodità della sua famiglia benestante, nella massima mortificazione. Avrebbe potuto servire il Signore anche in famiglia, nel proprio paese e con meno rigore, ed invece aveva tagliato nettamente ogni comunicazione con gli uomini che avrebbero potuto distoglierlo dall'amore verso il suo caro Messia.
Ecco dunque che la mortificazione è indispensabile per il progresso spirituale, almeno la mortificazione della gola, delle voglie18, del cuore.
Togliamo come Giovanni le cose superflue o almeno stacchiamo il cuore. Sappiamo vivere nell'abbondanza senza approfittare e nell'indigenza senza lamentarci, come raccomanda il nostro padre S. Paolo19.
Certo però che, quando è possibile, è sempre meglio privarsi del tutto20 dei beni della terra, giacché meno21 abbiamo e più siamo agili nel muoverci. Accontentiamoci del puro necessario, pronti a rinunziare anche ad esso, se al Signore piacesse.
«Chi non rinunzia a quanto possiede, non può essere mio discepolo»22. Infatti S. Giovanni nel deserto si purifica, si santifica, si eleva tanto verso Dio che i farisei gli mandano a chiedere se mai è lui il Messia. E quando poi sanno che il Messia è Gesù, quasi non vogliono crederlo perché hanno veduto le maggiori penitenze di Giovanni. (Nostro Signore aveva le sue ragioni per farne di meno e per volerne di meno dai suoi discepoli).
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Rispecchiamoci in S. Giovanni e imitiamolo. Sappiamo sbrogliarci anche da noi dall'inutile bagaglio che ci impedisce di salire. S. Giovanni in tante penitenze e predicazioni mirava unicamente alla gloria di Dio e, una volta venuto il Messia, egli comprende essere finito il suo compito. Gli manda adunque i suoi discepoli affinché lo seguano. Quanto è ammirabile qui S. Giovanni mentre si trae in disparte dopo aver tanto operato, ma unicamente per amor di Dio! E noi, siamo così staccati anche dal bene che facciamo? Sappiamoci tirare indietro al momento opportuno per non impedire la maggior gloria del Signore.
Dopo tante fatiche e tanti stenti S. Giovanni soffrì ancora il martirio. Meritava dunque davvero di essere lodato da Gesù! Che potrebbe invece dire il Signore di noi? Siamo così mortificati, così umili, così attivi, così amanti del nascondimento, così staccati dalla terra e dal bene che operiamo? Imitiamo questo grande santo che è il protettore dell'Avvento, affinché Gesù Bambino possa venire in noi e con lui possiamo fare tutto quel progresso che infallantemente23 Dio vuole da noi. Lo dice S. Paolo: «Iddio ci vuole santi»24. Facciamo dunque tutto quel che possiamo per la gloria di Dio e per Dio, pronti sempre a riconoscere che siamo servi inutili.
Ricordiamo le parole del divin Maestro: «Sine me nihil potestis facere»25. Non ci venga dunque la voglia di gloriarci.
Concludiamo con l'Oremus: «Eccita, te ne preghiamo, o Signore, i nostri cuori a preparare la via del tuo Unigenito, affinché per la sua venuta meritiamo di servirti con anima purificata».
Dal Signore stesso dipende il velle e il perficere: il volere e il perfezionare. Rivolgiamoci perciò a lui e confidiamo nell'aiuto della sua grazia onnipotente.
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* Ritiro mensile, in ciclostilato, fogli 5 (23,3x35). Comprende tre prediche: due tenute il sabato pomeriggio dell'Immacolata, come si esprime la cronaca (cf EC, 12[1934]1): «Nel pomeriggio ebbe inizio il ritiro con due prediche tenute dal Signor Primo Maestro». La terza, il mattino successivo, seconda domenica di Avvento. La data è quindi la seguente: Alba, 8-9 dicembre 1934. Nel ciclostilato il titolo è semplicemente: “Ritiro mensile”, suddiviso in “I, II, III predica”.

1 Don Alberione espone una tradizione sull'Assunta il cui dogma sarà definito da Pio XII. Cf Costituzione Apostolica Munificentissimus Deus, emanata l'1 novembre 1950, dove si dichiara che Maria: «… terminato il corso della vita terrena è stata assunta in corpo ed anima alla gloria celeste».

2 Cf Gen 2,17.

3 Cf Gen 3,19.

4 Cf Sir 7,36: «In tutte le tue opere ricordati della tua fine e non cadrai mai nel peccato».

5 Termine usato familiarmente per indicare un nonnulla, un minimo.

6 Cf Lc 6,38.

7 Cf Sal 89,49.

8 San Giuseppe Cafasso (1811-1860), piemontese, sacerdote. Si dedicò alla formazione dei sacerdoti presso il Convitto della Consolata in Torino, al ministero delle confessioni, all'assistenza dei carcerati e condannati a morte, e all'insegnamento della morale alfonsiana. È uno degli autori più letti e seguiti da Don Alberione (cf AD 133).

9 Cf Sal 33,22: «La morte dei peccatori è orribile» (Volgata).

10 Cf Sal 116,15: «Preziosa agli occhi del Signore è la morte dei suoi fedeli».

11 Ignazio di Loyola (1491-1556), spagnolo. Nel 1540 fonda la “Compagnia di Gesù” o Gesuiti. Il suo capolavoro: Gli Esercizi spirituali.

12 Giaculatoria in uso nella Famiglia Paolina.

13 Queste preghiere erano contenute nei libri di pietà del tempo, come Massime eterne, Un segreto di felicità.

14 Cf Lc 7,24-25.

15 «Ridesta la tua potenza e vieni, o Signore» (cf Orazione della Messa della I domenica di Avvento; cf anche Sal 80,3).

16 «Ridesta, Signore, i nostri cuori a preparare le vie del tuo unico Figlio» (cf Orazione della Messa della II domenica di Avvento).

17 Notissimo proverbio latino, citato da Ovidio, che corrisponde a: “Chi la dura la vince”.

18 Corrisponde a: desideri sensibili.

19 Cf Fil 4,12.

20 Originale: affatto.

21 Originale: più.

22 Cf Lc 14,33.

23 Significa: immancabilmente.

24 Cf 1Ts 4,3.

25 Cf Gv 15,5: «Senza di me non potete fare nulla».