Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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22. LA VITA COMUNE*


Ecco, il secondo avviso che vi volevo dare, ed è la voce di Gesù che vuol farsi sentire stasera alle anime vostre. Nella formula dei santi voti si dice: «Ad onore della Santissima Trinità, dell'Immacolata Vergine Maria, Madre di Dio, Regina degli Apostoli e di S. Paolo apostolo, professo... i voti di povertà, ubbidienza, castità e fedeltà al Romano Pontefice1 nella vita comune secondo le Costituzioni della Pia Società delle Figlie di San Paolo».
Si dice nella vita comune perché si potrebbero fare i voti anche in famiglia, in senso largo, ma in tal caso, non sono voti religiosi, ma di devozione che un'anima, che vuol farsi più santa dell'ordinario, fa pur restando in famiglia. Questi voti sono simili a quelli che si fanno di andare in pellegrinaggio, di obbedire al confessore, di progredire ogni giorno, ecc. Vi sono nelle chiese alcune Famiglie, o Congregazioni, o Confraternite, come quella di S. Angela Merici2, in cui quelli che si ascrivono si obbligano a certi voti, per esempio: di non spendere senza permesso, di stare all'orario, di dire certe preghiere, ecc.. Ma questi voti sono ben lungi dall'essere voti religiosi: questi hanno maggior merito, legano l'anima al Signore e la mettono in uno stato più perfetto. Le religiose riconosciute dalla Chiesa sono quelle che hanno i voti nella vita comune; e le persone del mondo si chiamano impropriamente religiose.
Gli Istituti riconosciuti dalla Chiesa sono quelli che impongono la vita comune, e una religiosa, veramente tale, deve stare nella vita comune, e non può stare molto tempo fuori di casa.
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Quanto più sono rari questi permessi, tanto più ne guadagna lo spirito. Per andare in famiglia ci vogliono motivi gravi, ma vi è rigore e rigore, perfezione e perfezione. In alcune religiose questo dovere è più stretto e si richiedono casi di maggior gravità, in altre meno. Quando una religiosa ha buon spirito, la osserva il più possibile. L'elogio più bello che si possa fare di una religiosa è questo: è davvero osservante.
Stasera intendiamo vita comune nel senso più largo, non che riguardi solo lo stesso orario, ma di più.
[I.] Prima di tutto si deve avere vita comune di pensiero. In comunità bisogna abbracciare un certo modo di pensare3, un numero di regole, di massime, di abitudini che sono come il patrimonio della comunità. Nella Chiesa vi sono leggi scritte e [leggi] tramandate a voce; così nel suo piccolo è nella Congregazione: vi sono le regole scritte e altre norme non scritte. Quello che è scritto nelle Regole è il meno; non è molto di più di quanto dice il Diritto canonico per tutte le religiose. Ma vi è inoltre un complesso di massime che, sebbene non scritte, si vivono.
La Regola non sta solamente nel libro che possediamo, ma [anche] negli avvisi che riceviamo, nelle conferenze domenicali4, nelle meditazioni, nell'orario, nelle abitudini. La vita comune importa che abbracciamo questi pensieri. Quando una figlia vuol prendere bene l'indirizzo, fa bene quanto si dice. Per esempio vien detto: Siate brevi in confessione, lo è davvero. Vien detto: Presto a letto; lo pratica. È un gran patrimonio quel principio di massime e di avvisi. Il Cottolengo ha scritto pochissimo di regole, ma predicava sempre lui alle sue suore. S. Francesco d'Assisi ha scelto dodici versetti del santo Vangelo.
Non bisogna solo praticare quanto vien detto nelle Regole; quanto esse dicono sono cose generali, poco più di quanto dice il Diritto canonico per tutte le religiose, e lo Stato Religioso che può servire di istruzione, ma non come norma di vita, perché è
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dottrina generale, non propria della nostra Congregazione. L'amore, la divozione al santo Vangelo, il fare la meditazione nel tal modo anziché nel tal altro, la divozione a Gesù Maestro, l'abitudine all'adorazione eucaristica: questo è il patrimonio nostro. Il complesso che distingue la nostra Famiglia dalle altre sono quegli avvisi, quelle disposizioni, quelle norme che vi vengono comunicate dalle Maestre. Se perdete questi principi perdete il più. Se osserverete soltanto le regole scritte, di qui a un po' di tempo non sarete più Figlie di San Paolo.
Non appellatevi mai al Diritto canonico, attenetevi invece allo spirito vostro: questo è quello che dà la vita. Prendete il più [possibile quello] che vi do; fino a quando avrete bisogno di ricevere avvisi, il Signore mi lascerà perché ve li possa dare; poi, quando non ne avrete più bisogno, mi prenderà. Comunicate l'una all'altra quelle cose che sentite, prendete lo stesso modo di camminare, di parlare, di insistere, di pregare di chi vi guida. Qui sta la volontà di Dio per voi. Fate in modo che vista una Figlia di San Paolo siano viste tutte: una sarà più alta o più piccola, ma non è questo che conta, quello che conta è il tesoro dei princìpi. Perciò brevi nelle confessioni, fatevi guidare dalle Maestre: prendete l'indirizzo in casa, specialmente nell'anno di noviziato. Quando una dice: Io sono del tale...; ma non siete di Gesù Cristo? Si è lasciato crocifiggere per voi il tale? Dunque il vostro corredo di princìpi sta in poche pagine. Bisogna amare di più e praticare di più senza cercare altro. Non appellatevi al Diritto canonico, ma state allo spirito del Diritto canonico e delle Regole e della vostra Congregazione. Soprattutto parlare poco, ma operare assai; amore e silenzio operoso.
II. La vita comune comprende l'amore all'apostolato. Chi non amasse l'apostolato non è Figlia di San Paolo.
III. La vita comune comprende fare le pratiche di pietà tutte e costantemente, attenersi alle divozioni stabilite; tenetevi alle stesse divozioni. Vi è molta pratica e insistenza nella vostra Famiglia all'esame di coscienza? Siatevi fedeli e tramandatelo di figlia in figlia.
IV. Vita comune vuol dire osservanza di orario e cioè stare all'orario, non solo materialmente ma internamente. La vita
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comune è fatta di affetto e di carità. Quando vi è un modo diverso di pensare e di imbeccarsi, non vi è vita comune. Bisogna compatirsi, tutte devono prendersi gli stessi gusti e le stesse tendenze, e così si avrà la vita comune di cuore e di sentimento. Quando vi è distacco tra le più anziane e le più giovani, la vita comune se n'è già andata. Cosa vale se in un banco sono in tre, e sono di sentimenti diversi? Sembrano a quella famiglia i cui membri erano tre e sul fuoco c'erano tre pentolini. Capita poi questo: se una comincia a manifestare una tendenza, si fissa in questa, e poi la fa diventare un bisogno. Le meridionali devono far fatica ad abituarsi, ma pure devono riuscire. Abituatevi tutte: a poco a poco. Per questo bisogna che entriate5 giovani, perché vi uniformiate facilmente. La pianta quando è giovane la si può raddrizzare o piegare come si vuole. Sforziamoci un po'! Quando una cosa si fa volentieri non costa, ma quando non la si fa volentieri, allora sì [che] costa! I santi avevano amore alla vita comune e provavano dispiacere a staccarsi. Nella vita comune si hanno più meriti. Vita comune di abito. Cambiando luogo state ferme: non cambiate né modo di camminare, né di far le pratiche di pietà, né di pensare. Le altre famiglie religiose faranno altro, ma noi siamo responsabili delle nostre cose, e Dio ci domanderà conto se le avremo fatte o no.
Molto importa che preghiamo il Signore che ci conceda di amare la vita comune. La Congregazione diventa forte quando i membri fanno un cuor solo, una mente sola, una volontà sola; diventa debole invece quando vi sono eccezioni e particolarità. Se aveste anche una matassa di mille fili, e ogni filo si prende separatamente, il filo è debole; mentre: «Funiculus triplex, difficile rumpitur»6.
Ricordate bene che quelle che introducono eccezioni, rompono la vita comune, sono gravemente responsabili dei disordini che avvengono nella comunità, e ciò nasce da carattere indomato, da superbia, da amor proprio, dalla poca soggezione al comando. Quelle che fanno ciò ci pensino, perché guastano
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l'opera di Dio. Iddio si è formato una famiglia di anime che si vogliono bene; se sono congregate, Dio è in mezzo a loro, ma se sono scongregate7, figuratevi che pasticci! Ci vuole l'unità, e per questo bisogna fare sacrifici. Sicuro che troviamo dei difetti, tutte han portato i loro, ma bisogna correggerli, sopportarsi, non rendersi tanto pesanti! Raddolcire il carattere, levare le tendenze, le angolosità, il vedere tutto brutto, la voglia di giudicare. Togliete queste cose che guastano la carità. Il Signore vi dia tanta grazia nella vita comune. La vita comune pesa, ma vi arricchisce di meriti. Penitentia mea maxima, vita communis8, diceva S. Giovanni Berchmans, e qual santo si fece!
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* Meditazione tenuta dal Primo Maestro il 13 novembre 1934 nel corso di Esercizi spirituali (cf nota alla predica n. 21).

1 Le Costituzioni del 1932 dicono esattamente: «... i voti di castità, obbedienza, povertà, e fedeltà al Romano Pontefice riguardo all'Apostolato-Stampa» (art. 60).

2 Angela Merici (1474-1540), nata a Desenzano (Brescia), fondatrice delle Suore Orsoline. Può considerarsi la più originale interprete delle istanze religiose e sociali del mondo femminile nel secolo XVI.

3 Originale: un certo numero di pensieri.

4 La conferenza fin dall'inizio della Congregazione era settimanale. I consigli e le direttive dati nella conferenza, secondo il Primo Maestro, servivano a formare convinzioni profonde, vivo senso di responsabilità e a infondere i princìpi della vita religiosa paolina.

5 Originale: siate.

6 Cf Qo 4,12: «Una corda a tre capi non si rompe tanto presto».

7 Corrisponde a: divise.

8 «La vita comune è la mia più grande penitenza».