XXII INFERNO: PENA DEL DANNO
La giustizia di Dio che castiga il dannato, si conosce specialmente considerando la pena del danno e l'eternità dell'inferno. Il peccato ha una certa infinità nella sua malizia, poiché offende temerariamente una maestà infinita: l'anima ostinata sarà nell'inferno privata del Bene Infinito che è Dio.
1. La pena dell'intelligenza. - Ma un tale chiamato Anania, con Saffira sua moglie, vendette un podere e, lei connivente, ritenne parte del prezzo, portandone una porzione, la pose ai piedi degli Apostoli.
Or Pietro disse: Anania, come mai Satana tentò il tuo cuore da mentire allo Spirito Santo e ritenere parte del prezzo del podere? Se non lo vendevi non era forse tuo? e vendutolo, non rimaneva a tua disposizione? Per qual motivo ti sei messo in cuore tale cosa? Tu non hai mentito agli uomini, ma a Dio.
Anania, all'udir queste parole, cadde e spirò. E gran timore prese quelli che udirono. Allora, mossisi dei giovani, lo tolsero e lo portarono a seppellire.
Circa tre ore dopo, ecco entrare la moglie di lui, che nulla sapeva di quanto era accaduto e Pietro le disse: Dimmi, donna, avete venduto per tal prezzo il
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podere? Quella rispose: Precisamente. E Pietro a lei: Perché vi siete accordati a tentare lo Spirito del Signore? Ecco, i piedi di coloro che hanno seppellito il tuo consorte sono all'uscio e porteranno anche te. In quell'istante cadde ai piedi di Pietro e spirò. Ed entrati quei giovani la trovarono morta e la portarono a seppellire accanto a suo marito (Atti, 5,1-10).
La pena dell'intelligenza sta specialmente nel capire quale bene ha perduto il dannato. Dice S. Agostino che questa pena è tale che, ove venisse a cessare l'inferno si cambierebbe in Paradiso: «Nullam poenam sentiret et infernus ipse verteretur in paradisum». Infatti S. Tommaso dice che la pena del danno è infinita, perché è infinito Iddio che si è perduto: «Poena dannati est infinita, quia est amissio Boni infiniti». Separata l'anima dal corpo, il suo desiderio sarà uno solo ed irresistibile: Dio; ma poiché a Dio rinunciò per il peccato, sarà da Dio ricacciata. «Le vostre iniquità hanno messo divisione fra voi ed il vostro Dio». L'inferno sta in quelle parole: «Andate lontano da me». L'anima sentirà per il suo Dio un amore accesissimo, quello di un figlio per il Padre; ma questo amore diverrà il suo tormento. Vedrà come in distanza il Cielo, e nel Cielo il posto a lei destinato e capirà che in eterno non sarà più suo. Vedrà come in distanza il gaudio degli Angeli e dei Santi, la loro felicità incommensurabile ed eterna, e comprenderà che non vi arriverà mai più. Sentirà che era fatta per amare, e amare Dio, ma saprà sicuramente che oramai non le rimane che odiare; odiare tutti e tutto, odiare i Santi e gli Angeli, odiare compagni e dannati, odiare Maria SS.ma e lo stesso Crocifisso più ancora, odiare la SS. Trinità e se stessa per disperarsi eternamente. Il Cielo è amore, l'inferno è odio.
I dannati, secondo S. Giovanni Crisostomo,
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saranno più tormentati dal Paradiso che dall'inferno: «Plus Coelo quam gehenna». Poiché pel Cielo essi erano creati (e lo capiranno del tutto), ma Dio lasciò loro la libertà. «Innanzi all'uomo la vita e la morte; gli sarà dato quello che sceglierà»1. Dunque, potranno incolpare solo se stessi; mentre tanti loro compagni hanno raggiunto il Paradiso!
Il peccato è grande torto fatto a Dio. Infatti toglie a Lui la gloria; è nera ingratitudine verso di Lui; è in sé orribile ribellione ed incomprensibile temerarietà. «Delicta quis intelligit?»: chi spiegherà fino al fondo che cosa sia un peccato?
Ai piedi di Gesù preghiamo: Signore, quante volte ho io meritato l'inferno per la mia folle passione! Guai a me se fossi morto in quella notte, in quel giorno! Stolto mercante che, per un fumo, una goccia di piacere, mi sarei acquistato un eterno dolore. Gesù mio, perdono, Gesù mio, misericordia! per la Tua croce, per le Tue piaghe, per il Tuo cuore aperto dalla lancia!
Canto del Salmo 139 e preghiera a S. Paolo perché ci liberi dall'inferno.
SALMO 139
Eripe me, Domine, ab homine malo: a viro iniquo eripe me.
Qui cogitaverunt iniquitates in corde: tota die constituebant praelia.
Acuerunt linguas suas sicut serpentis: venenum aspidum sub labiis eorum.
Custodi me, Domine, de manu peccatoris: et ab hominibus iniquis eripe me.
Qui cogitaverunt supplantare gressus meos: absconderunt superbi laqueum mihi.
Et funes extenderunt in laqueum: juxta iter scandalum posuerunt mihi.
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Dixi Domino: Deus meus es tu: exaudi, Domine, vocem deprecationis meae.
Domine, Domine, virtus salutis meae: obumbrasti super caput meum in die belli.
Ne tradas me, Domine, a desiderio meo peccatori: cogitaverunt contra me, ne derelinquas me, ne forte exaltentur.
Caput circuitus eorum: labor labiorum ipsorum operiet eos.
Cadent super eos carbones, in ignem dejicies eos; in miseriis non subsistent.
Vir linguosus non dirigetur in terra: virum injustum mala capient in interitu.
Cognovi quia faciet Dominus judicium inopis, et vindictam pauperum.
Verumtamen justi confitebuntur nomini tuo: et habitabunt recti cum vultu tuo.
Gloria Patri, etc.
PREGHIERA
O Santo Apostolo, che con la vostra dottrina e con la vostra carità avete ammaestrato il mondo intero, volgete benigno lo sguardo sopra di noi, vostri figli e discepoli.
Tutto aspettiamo dalla vostra preghiera presso il Maestro Divino e presso Maria Regina degli Apostoli.
Fate, o Dottore delle genti, che viviamo di fede, che ci salviamo per la speranza, che sola regni in noi la carità.
Otteneteci, o vaso di elezione, docile corrispondenza alla grazia divina, affinché essa in noi non rimanga infruttuosa. Fate che possiamo sempre meglio conoscervi, amarvi, imitarvi che siamo le vive membra della Chiesa, corpo mistico di Gesù Cristo.
Suscitate molti e santi apostoli. Passi sul mondo il caldo soffio della vera carità. Fate che tutti conoscano e glorifichino Iddio e il Maestro Divino, Via, Verità e Vita.
E voi, o Signore Gesù che conoscete come non abbiamo fiducia alcuna nelle nostre forze, per la vostra misericordia, concedeteci di essere difesi contro ogni cosa avversa dalla potente intercessione di San Paolo, nostro maestro e padre.
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2. Pena della memoria e della volontà. - Ed avvenne che dopo molto tempo Caino fece al Signore un'offerta dei frutti della terra ed il Signore guardò benignamente Abele ed i suoi doni; ma non volse lo sguardo a Caino ed ai suoi doni. E Caino ne fu molto irritato ed il suo volto fu abbattuto. Il Signore gli disse: «Perché sei irritato? e perché hai il viso abbattuto? Non è egli vero che se farai il bene, avrai il bene; se farai il male, il peccato sarà subito alla tua porta? Ma sotto di te sarà il desiderio di esso e tu lo devi dominare».
Or Caino disse ad Abele suo fratello: «Andiamo fuori». E quando furono nei campi, Caino saltò addosso al suo fratello Abele e lo uccise. E il Signore disse a Caino: «Dov'è Abele tuo fratello?» Ed egli rispose: «lo non lo so; sono io forse il custode del mio fratello?» Ed il Signore gli disse: «Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dalla terra. Or dunque tu sarai maledetto sopra la terra che ha aperto la sua bocca a ricevere dalla tua mano il sangue di tuo fratello. Quando l'avrai lavorata essa non ti darà i suoi frutti e tu sarai ramingo e fuggiasco sopra la terra». E Caino disse al Signore: «La mia iniquità è troppo grande perché io possa meritar perdono! Ecco, tu oggi mi scacci da questa terra ed io starò nascosto lungi dalla tua faccia e sarò ramingo e fuggiasco sulla terra; ma chiunque mi troverà mi ucciderà». E il Signore gli disse: «Non sarà così, perché chi ucciderà Caino avrà castigo sette volte maggiore». Pose quindi il Signore un segno su Caino affinché nessuno di quelli che lo incontrassero lo uccidesse» (Gen. 4,3-15).
Dice la Scrittura che il rimorso del dannato non cesserà. Mi sono perduto per nulla, dirà il dannato. Infatti era così meschina la soddisfazione per cui si
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condannò all'inferno! un po' di danaro, una vana gloria, un piacere di terra; mentre avrebbe potuto salvarsi con un po' di sacrificio.
Dopo che Esaù si fu cibato di quella scodella di lenticchie per cui aveva venduto la primogenitura dice la Scrittura che incominciò ad urlare con gran clamore per il dolore e il rimorso. Quali urla manderà il dannato che per una soddisfazione momentanea ed avvelenata, ha perduto un regno eterno di gaudio, e si è condannato a un eterno dolore!
Gionata, contro il divieto del padre, si era cibato di un po' di miele; e venne dal padre condannato a morte. Gridava perciò con infinita amarezza: «Ho appena gustato un po' di miele ed ecco che ora dovrò morire». E qual pena porterà al dannato il ricordo della vita malamente spesa!
S. Tommaso aggiunge che di questo specialmente soffriranno, «quod pro nihilo damnati sunt, et facillime vitam poterant sequi sempiternam». Pro nihilo! dirà il misero dannato: con un po' più di orazione, con maggior diligenza nel fuggire le occasioni, vincendo il rispetto umano, perdonando al nemico facendo quella buona confessione, ottenevo un eterno Paradiso.
Dirà: Ebbi tanti buoni consigli, ispirazioni, desideri santi; bastava che li eseguissi. Udii compagni, lessi libri, ascoltai prediche; potevo seguire ciò che veniva detto a nome di Dio. Mi voleva santo Dio che mi creò per il cielo, il Figliuolo che morì per salvarmi, lo Spirito Santo che aveva preso possesso dell'anima mia; ma io mi ostinai e son perduto. Perduto, nonostante i miei buoni genitori, i Santi Sacramenti, le cure della mia Madre Maria!
Sarà tormentata la volontà. Non avrà mai più alcuno dei beni che sospira; avrà tutti e sempre i mali
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che teme. L'inferno è puro soffrire. Si comprenderà, allora, che cosa voglia dire scandalo, cattivo esempio, essere causa di male ad altri, ed anche soltanto il non zelare il bene secondo le proprie forze! Il peccato, direttamente o indirettamente, procura qualche danno al prossimo. Perciò pregava il Salmista: «A peccato meo munda me, et ab alienis parce servo tuo»: purificami dal mio peccato e perdonami per quello degli altri!1.
Arrendiamoci ora alla Divina Grazia: Ti amo, mio Dio creatore, mio Gesù, voglio sempre amarTi. O Maria, paciera tra Dio ed i peccatori, ottienimi misericordia. Mi metto sotto il tuo manto: illuminami, difendimi, salvami.
Cantare il Salmo 140 e recitare due parti della coroncina al S. Cuore.
SALMO 140
Domine clamavi ad te, exaudi me: intende voci meae, cum clamavero ad te.
Dirigatur oratio mea sicut incensum in conspectu tuo: elevatio manuum mearum sacrifìcium vespertinum.
Pone, Domine, custodiam ori meo: et ostium circumstantiae labiis meis.
Non declines cor meum in verba malitiae: ad excusandas excusationes in peccatis.
Cum hominibus operantibus iniquitatem: et non communicabo cum electis eorum.
Corripiet me justus in misericordia, et increpabit me: oleum autem peccatoris non impinguet caput meum.
Quoniam adhuc et oratio mea in beneplacitis eorum: absorti sunt juncti petrae judices eorum.
Audient verba mea quoniam potuerunt: sicut crassitudo terrae erupta est super terram.
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Dissipata sunt ossa nostra secus infernum: quia ad te, Domine, Domine, oculi mei: in te speravi, non auferas animam meam.
Custodi me a laqueo, quem statuerunt mihi: et a scandalis operantium iniquitatem.
Cadent in retiaculo ejus peccatores: singulariter sum ego donec transeam.
Gloria Patri, etc.
AL SACRO CUORE DI GESÙ
Deus in adiutorium, etc.
O Gesù, nostro Maestro, io indegno peccatore, prostrato innanzi a voi, adoro il vostro Cuore, che tanto ha amato gli uomini e nulla ha risparmiato per essi. Io credo al vostro amore infinito per noi. Vi ringrazio dei grandi doni fatti agli uomini, specialmente: il Vangelo, la Eucarestia, la Chiesa, il Sacerdozio, lo Stato Religioso, Maria come Madre, la vostra stessa vita.
1. O Gesù, Maestro Divino, ringrazio e benedico il vostro Cuore generosissimo per il grande dono del Vangelo. Voi avete detto: «Sono stato mandato ad evangelizzare i poveri». Le vostre parole portano la vita eterna. Nel Vangelo avete svelato i misteri divini, insegnato la via di Dio con veracità, offerto i mezzi di salvezza. Concedetemi la grazia di custodire il vostro Vangelo con venerazione, di ascoltarlo e leggerlo secondo lo spirito della Chiesa e diffonderlo con l'amore con cui lo avete predicato. Che esso sia conosciuto, onorato, accolto da tutti! Che il mondo conformi ad esso la vita le leggi, i costumi, le dottrine. Che il fuoco da voi portato sopra la terra tutti accenda, illumini, riscaldi.
Tre Gloria Patri. Dolce Cuor...
2. O Gesù, Maestro Divino, ringrazio e benedico il vostro Cuore amorosissimo per il gran dono dell'Eucarestia. Il vostro amore vi fa dimorare nel santo Tabernacolo, rinnovare la vostra passione e morte nella Messa, farvi cibo delle nostre anime nella Comunione. Che io vi conosca, o Dio nascosto! Che io attinga
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acque salutari alla fonte del vostro Cuore. Concedetemi di visitarvi ogni giorno in questo Sacramento; di comprendere ed ascoltare la Santa Messa; di comunicarmi spesso e con le dovute disposizioni. Che tutti gli uomini assecondino il vostro invito: «Venite a me tutti».
Tre Gloria Patri. Dolce Cuor...
3. La eternità dell'Inferno. - E il giorno seguente arrivammo a Sidone. E Giulio, che trattava Paolo con deferenza, gli permise di andare dagli amici a ristorarsi.
Partiti di là navigammo sotto Cipro, essendo contrari i venti. E traversando i mari della Cilicia e dellaPanfilia, arrivammo a Mira di Licia. Il centurione, avendo trovato una nave alessandrina che andava in Italia, ci trasferì in quella.
Navigando lentamente per molti giorni, ed essendo con difficoltà arrivati di fronte a Cnido, perché il vento impediva, passammo sotto Creta dalla parte di Salmone; e costeggiando con difficoltà arrivammo ad un certo luogo chiamato Buoniporti, vicino al quale era la città di Talassa. Or essendo passato molto tempo, e non essendo più sicuro di navigare perché il digiuno era passato, Paolo, li ammoniva dicendo: «Io vedo, o uomini, che il navigante comincia ad essere di danno e perdita grave, non solo del carico della nave, ma anche delle nostre vite» (At, 27,3-10).
Il male che dura poco è un piccolo male; ma se dura per sempre, anche un solo e piccolo dolore, è tormento indicibile. Ora pei dannati è detto: «Saran tormentati giorno e notte pei secoli dei secoli»1; eterno il fuoco, eterna la perdita di Dio, eterno ogni tormento, senza la minima speranza di cessazione.
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Questa eternità non è come il tempo che passa e porta in ogni ora soltanto il suo male; essa pesa tutta assieme e sempre, con tutti i suoi dolori, sul dannato come una palla d'avorio pesa tutta continuamente su un punto, quando sta sopra una tavola perfetta. La colpa nell'inferno può essere punita; non espiata! Nell'inferno il fuoco brucia, ma non consuma; lì regna la disperazione, non il pentimento; anzi il desiderio di peccare è insaziabile nel dannato. Dice Innocenzo III: «I reprobi non si umilieranno, anzi la malignità dell'odio andrà in essi crescendo».
Questa eternità ha principio, non successione, ne termine. E se il peccatore in vita teme la morte, nell'inferno la desidererebbe, ma non l'avrà mai. «Cercheranno la morte ma non la troveranno; brameranno di morire, ma la morte fuggirà da loro». Perciò San Girolamo dice: «O morte, quanto grata saresti a quegli stessi cui fosti così amara!».
«Sempre! Mai!...». Sono le due uniche parole che risuonano senza fine nell'inferno. Né vi è mutamento di dolori, poiché tutto continua, senza mutazioni, senza compatimenti.
E però vano temere le pene dell'inferno, se non temiamo il peccato che merita quelle pene. Il peccato, infatti, chiude il Paradiso, apre l'inferno, condanna ad una serie indescrivibile di rimorsi e castighi.
Che se poi sopraggiunge la morte prima che il peccatore sia riconciliato con Dio, egli sarà buttato in quel carcere eterno di fuoco e di tormenti, e allora chi subirà le conseguenze?
Perciò prega S. Alfonso: «Signore, se io fossi caduto nell'inferno, non farei che piangere e soffrire ma per vostra misericordia, vivo ancora e posso salvarmi. Voi mi amate, ed io pure vi amo. Io merito
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ogni castigo, ma per vostra bontà, datemelo mentre sono su questa terra; salvatemi però dall'eterno castigo; perdonatemi!»
Cantare il Salmo 141 e continuare la coroncina al S. Cuore.
SALMO 141
Voce mea ad Dominum clamavi: voce mea ad Dominum deprecatus sum.
Effundo in conspectu eius orationem meam, et tribulationem meam ante ipsum pronuntio.
In deficiendo ex me spiritum meum: et tu cognovisti semitas meas.
In via hac, qua ambulabam, absconderunt laqueum mihi.
Considerabam ad dexteram et videbam: et non erat qui cognosceret me.
Periit fuga a me, et non est qui requirat animam meam.
Clamavi ad te, Domine, dixi: Tu es spes mea, portio mea in terra viventium.
Intende ad deprecationem meam: quia humiliatus sum nimis.
Libera me a persequentibus me: quia confortati sunt super me.
Educ de custodia animam meam ad confitendum nomini tuo: me exspectant iusti, donec retribuas mihi.
Gloria Patri, etc.
CORONCINA AL SACRO CUORE
(Seguito)
3. O Gesù, Maestro Divino, benedico e ringrazio il vostro Cuore dolcissimo per il grande dono della Chiesa. Essa è la Madre che ci istruisce nella verità, ci guida nella via del cielo, ci comunica la vita soprannaturale. Essa continua la vostra medesima missione salvatrice sopra la terra, come vostro Corpo Mistico. È l'arca della salvezza; è infallibile, indefettibile, cattolica. Concedeteci la grazia di amarla, come voi l'avete amata e santificata nel vostro Sangue. Che il mondo la
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conosca, che ogni pecorella entri nel vostro ovile, che tutti cooperino umilmente al vostro regno.
Tre Gloria Patri. Dolce Cuor...
4. O Gesù Maestro Divino, ringrazio e benedico il vostro Cuore amantissimo per l'istituzione del Sacerdozio. I Sacerdoti sono mandati da voi come voi foste mandato dal Padre. Ad essi avete consegnato i tesori della vostra dottrina, della vostra legge, della vostra grazia le anime stesse. Concedetemi la grazia di amarli, di ascoltarli, di lasciarmi guidare da essi nelle vostre vie. Mandate buoni operai alla vostra messe, o Gesù. Siano i Sacerdoti sale che purifica e preserva; amo luce del mondo; siano la città posta sul monte siano tutti rato secondo il vostro Cuore; abbiano un giorno in cielo attorno a sé, come corona e gaudio, un largo stuolo di anime conquistate.
Tre Cloria Patri. Dolce Cuor...
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1 Eccl. 15,18.
1 Salmi 50, 4.
1 Ap. 20, 10.