Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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Gesù Maestro, Via dell'incontro con Dio

Il pio ebreo quando viveva lontano dal Tempio bramava con nostalgia la liturgia del Santuario ed, in spirito, si metteva in cammino come un pellegrino solitario, che desidera arrivare alla meta dove si manifesta Yahweh nella gloria del suo Tempio. Questo tema si trova ad esempio nei salmi 42-43, che sembrano avere per autore un levita in esilio forzato, e che abita in Transgiordania presso all'Érmon e sentendo nostalgia della liturgia del Tempio di Gerusalemme, vorrebbe mettersi in cammino con le carovane di pellegrini, che secondo la legge (Es. 23, 17; Deut. 16,16) dovevano tre volte l'anno recarsi al Tempio per le tre grandi solennità annuali, cantando per la strada i «canti delle ascensioni» verso Gerusalemme:
«Anela spasimando l'anima mia agli atrii del Signore... verso il Dio vivente... Beati quelli che stan nella tua casa... Meglio è un giorno dentro gli atri tuoi, che mille senza Te» (Sal. 84).
Così nel polisalmo 42-43, il pio ebreo anela a Yahweh come una cerva anela alle fonti dell'acqua. Vorrebbe prendere la via e mettersi in cammino: «Quando andrò e rivedrò la presenza di Dio?». Quella via conduceva a Yahweh vivo, alla sua presenza e alla sua vita, sperimentata in qualche modo nelle solennità liturgiche. Yahweh che è «salvezza al viver mio», egli è Dio vivo, in contrapposizione agli idoli che non hanno vita.
Lontano dal centro liturgico di Gerusalemme, il salmista cammina triste per un'altra via, «tristis incedo», e si trasporta idealmente sulle cime dell'Ermon e rivolge lo sguardo nostalgico verso la via che porta a Gerusalemme, meta delle aspirazioni religiose, perché lì, nel Tempio, nella liturgia, si manifesta la gloria di Yahweh.
La via verso il Tempio «per vedere la faccia di Yahweh», acquista qui realismo per l'anima lirica israelita: quella via lo portava a un incontro con Dio nel Tempio, quasi faccia a faccia. Molti israeliti pellegrini vorrebbero salire a Gerusalemme per non ridiscendere mai più.
Yahweh era stato presente in mezzo al suo popolo in molte maniere: nella nube, nella colonna di fuoco, nella tenda (shekinah) nell'arca, nel Tempio. Dopo la distruzione del Tempio e dopo l'esilio babilonese la presenza di Yahweh acquistò per il «resto d'Israele» un significato più spirituale, non soggetta a uno spazio o a un luogo: Dio è dappertutto.
Nella pienezza dei tempi messianici, la Parola di Dio si fece uomo e piantò la sua tenda in mezzo a noi (Giov 1,14). Gesù Maestro diventò così la via per l'incontro con Dio: «Filippo, chi ha visto Me, ha visto il Padre» (Giov 14,9). Lui stesso è la Via e il Tempio; anzi, la realtà che contiene il Tempio e santifica l'altare : la presenza di Dio, Dio stesso: «Io sono nel Padre e il Padre è in Me» (Giov 14,11). Così Gesù Maestro è la Via e il sacramento dell'incontro con Dio: contiene Dio, lo manifesta (Giov 1,18), e allo stesso tempo, lo occulta nella sua santa umanità.
Il Tempio di Gerusalemme andava perdendo il suo senso: «Credimi, donna, - dice Gesù alla Samaritana, - è venuto il tempo in cui né su questo monte, né in Gerusalemme, adorerete il Padre... Ma viene il tempo, anzi è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità» (Giov 4,21-23).
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Gesù Maestro, attraverso l'Apostolo ci mostra una via eccellente (meliorem viam), quella della carità (1Cor 12,31), che in definitiva è Cristo Via, perché in Lui dobbiamo camminare (vivere) seguendo la via dell'amore (cfr. Col 2,6; Ef 5,2). Per Gesù Via, nuova e vivente, abbiamo infatti la porta aperta per entrare nel Santuario della Gerusalemme celeste (cfr. Ebr 10,19s.). Anzi, di più, Gesù è stato la causa meritoria per cui noi stessi possiamo diventare via per gli altri e santuari e templi di Dio per mezzo dell'inabitazione trinitaria, portando già in noi il «pignus futurae gloriae» nella fede, nella speranza e nella carità; pregustando già nello stato di pellegrinaggio, (status viae), gli splendori abbaglianti della visione di Dio uno e trino nel Tempio della Gerusalemme celeste, cosa che il salmista non immaginava. Allora ci inseriremo nel dialogo trinitario in un inseparabile «noi», perché ormai Gesù Via ci avrà condotto alla meta definitiva, oltre la quale non ce n'è nessun'altra, al di fuori del tempo e della storia umana, oltre le vie di questo mondo, al di là del cosmo, dove le vie terrene non hanno prolungamento. Allora faremo veramente lo «stop» definitivo al nostro pellegrinaggio, perché per Gesù Via saremo arrivati all'incontro facciale con Dio, e allora «ne gioirà il vostro cuore e nessuno vi potrà togliere la vostra gioia» (Giov 16,22).

CONCLUSIONE PASTORALE

Per molti uomini il problema non è credere in Dio. Oggi l'uomo s'accorge che la sua potenza va diventando sempre più precaria quanto più progredisce nelle sue scoperte. Le ultime conquiste spaziali incominciano ad aprire gli occhi a quelli che ancora conservano una scintilla di apertura verso il divino, e ad ammettere l'esistenza di un Essere trascendente.
Antares, una preziosa stella di colore arancione, è 115 milioni di volte più grande del Sole. La stella Arturo, va alla velocità di 400 km. al secondo. Sul Monte Palomar, in California, gli astronomi hanno osservato galassie che si muovono alla velocità di 60.000 km. al secondo. Non è uno sbaglio! La Terra dista dalla Luna 384.000 km. E' vicinissima se pensiamo che il Sole dista da noi 150 milioni di km., e che Plutone è lontano dal Sole 6 miliardi di km. Uscendo dal nostro sistema solare troviamo la nebulosa Coma; per arrivarci ci si dovrebbe impiegare 200 milioni di anni, andando alla velocità della luce, cioè a 300.000 km. al secondo. Sbalorditivo! L'uomo non vi arriverà mai...
Scendendo alla nostra terra dobbiamo fare questa riflessione: molti credenti stanno correndo il rischio di vedere in Dio un essere lontano, anonimo, che non s'interessa della vita e dei problemi degli uomini del secolo ventesimo. Un Dio così lontano "che è nei cieli" (ma, dov'è il cielo?), non presenta nessun enigma e nessun problema. Ma quando Dio s'incontra personalmente con loro nelle sue vie misteriose e li chiama per nome, attraverso un'ispirazione, attraverso la Chiesa, segno visibile della presenza di Dio nel mondo, quando li chiama attraverso «la stoltezza» dei segni, della predicazione, magari attraverso un programma televisivo, allora questo Dio che diventa così immanente, che vuole entrare nella loro vita intima e personale, allora perde il suo interesse.
Dato che i segni dell'intervento di Dio nelle vie della storia, attraverso le quali Egli si rivela e nello stesso tempo si nasconde, impediscono molte volte la visione chiara del volto di Dio (1Cor 13,12), quelli che hanno ricevuto da Dio la missione di essere via per gli altri, oggi più che mai, devono rendere visibile con la loro testimonianza la presenza di Dio, affinché l'uomo del nostro secolo possa veramente incontrarsi con Dio in Cristo-Via.

LINO SPECCHIO

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