Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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Anno XLIII
SAN PAOLO
Maggio 1968
Roma Casa Generalizia,

AVE MARIA, LIBER INCOMPREHENSUS, QUAE VERBUM ET FILIUM PATRIS MUNDO LEGENDUM EXHIBUISTI (S. EPIPHANIUS EP.)

A VENT'ANNI DALLA MORTE DI FR. ANDREA M. BORELLO

«La via dei giusti è come la luce dell'alba, che va crescendo fino a giorno perfetto».
L'espressione dei «Proverbi» mi fa retrocedere col pensiero al 4 settembre 1948. Quel mattino di sabato, quando Fr. Andrea M. Borello terminava il suo esilio terreno, fu davvero per lui «la luce dell'alba». Son trascorsi vent'anni e questa luce va crescendo e fa scoprire le bellezze dell'anima di questo Discepolo del Divin Maestro che in vita aveva cercato l'umiltà e l'ombra del silenzio operoso.
Chi lo ha conosciuto, ne ricorda la serena semplicità e ricorda pure la stima che lo circondava. Fu la vita di ogni giorno, vissuta esemplarmente, che lo distinse, gli guadagnò una generale spontanea simpatia e la fraterna fiducia di tutti.
Fu detto alla sua morte: «E' passato tra noi edificandoci, con la sua semplicità ed umiltà, con la sua silenziosità e laboriosità».

I

Il 31 maggio 1964, nella Chiesa di San Paolo a Casa Madre, si è aperto il Processo Ordinario informativo per la Causa di Beatificazione e Canonizzazione.
Il Primo Maestro esprimeva questi pensieri:
«Per giudizio unanime, Fr. Andrea M. Borello merita di essere glorificato e proposto come esempio a tutti coloro che si consacrano all'apostolato dei mezzi della comunicazione sociale, ma in modo particolare ai Discepoli del Divin Maestro che, nella Pia Società San Paolo, sono come la spina dorsale della Congregazione».
«Nella luce di San Giuseppe, Fr. Borello si fece premura d'informare tutta la sua vita di una intensa pietà riparatrice, di un abituale raccoglimento e silenziosità, di una serena docilità nella partecipazione generosa all'apostolato mediante la tecnica e la propaganda, di una costante tensione verso la perfezione paolina».
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Mons. Vescovo di Alba fece un lungo discorso. Tra l'altro, disse:
«Più volte, entro e fuori dell'Istituto, ho sentito parlare delle virtù e degli esempi di Fr. Andrea M. Borello. Ho potuto così rendermi personalmente conto di quanto sia vivo il suo ricordo, la sua memoria, la fama della sua santità, non solo nell'animo dei Paolini, ma anche dei fedeli della Diocesi, particolarmente ove egli trascorse gli anni della sua giovinezza, santificandoli con esempi di profonda vita cristiana».
«Il nuovo Servo di Dio rivela ancora una volta ai Paolini e a tutti i fedeli della Chiesa quanto il Signore abbia ricolmato di grazie e di benedizioni la Famiglia Paolina. I Santi sono il «signum magnum» delle predilezioni divine e, nel medesimo tempo, dell'ottima corrispondenza alle grazie in questi primi cinquant'anni dell'Istituto».
«Questa nuova Causa di Beatificazione bene s'inquadra nello spirito e nelle decisioni del Concilio Ecumenico Vaticano II. Dopo l'avvenuta proclamazione del Decreto sui mezzi di comunicazione sociale, sono quanto mai necessarie delle "guide" che precedano, degli «esempi» che trascinino; dei «maestri» che insegnino con la testimonianza della loro vita quanto si può operare con i mezzi moderni offerti dalla tecnica, per la gloria di Dio, per il trionfo della Chiesa e per la propria santificazione».
«Il Servo di Dio, che ha consumato tutta la sua vita nell'Apostolato delle Edizioni, collaborando intimamente con i Sacerdoti Paolini al Magistero della Chiesa, è modello e richiamo potente ai giovani dei tempi nuovi».

Essendo in corso, presso la Curia di Alba, il Processo informativo del Servo di Dio Maggiorino Vigolungo e quello del Can. Francesco Chiesa, si dovette ritardare l'ascolto dei testi per la Causa di Fr. Borello. Sopraggiungeva poi il Processo Apostolico di Don Timoteo Giaccardo, che a norma dei sacri canoni doveva essere espletato entro e non oltre due anni. Ai membri del Sacro Tribunale fu così possibile ascoltare solo qualche teste per la Causa di Fr. Borello, tra i quali: Don Roatta, venuto dal Brasile, Fr. Panaro, dall'Australia e Fr. Celestino Rizzo, di Casa Madre. Ora saranno riprese le udienze regolari.
Si raccomanda alla preghiera di tutti questa Causa tanto importante per la nostra Congregazione.
Saranno chiamati a deporre, per primi, i parenti del Servo di Dio e quanti lo conobbero nel mondo. Seguiranno poi le deposizioni dei Nostri.
Le Case e Librerie che desiderano diffondere immagini-ricordo, le richiedano alla Casa Generalizia, che le invierà gratuitamente: sono state stampate in italiano, inglese, francese e spagnolo.
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Il 4 novembre 1965 i resti mortali di Fr. Andrea M. Borello, dal cimitero di Alba furono trasportati nella Chiesa di San Paolo e qui tumulati.
Partito diciassette anni prima per andare a consumare il suo sacrificio, le sue ossa ora vi tornavano esultanti. Veniva spontaneo riflettere sulla bella espressione della Liturgia: «Esulteranno l'ossa che tu spezzasti».
Mons. Vescovo rivolse la parola ai presenti: «Ritorna da voi, qui, dove ogni giorno convenite tutti insieme ad attingere dal Tabernacolo luce, forza e grazia per vivere e proseguire nella vostra grande vocazione, un vostro Fratello, Servo di Dio. Confidiamo e preghiamo che questo suo ritorno sia l'annunzio di un trionfo anche più grande quando suonerà l'ora segnata da Dio». Dopo aver ricordato che il Signore «guardò con compiacenza a questo suo Discepolo, il quale, per tutta la vita, cercò l'umiltà e amò il silenzio e il nascondimento», disse: «La vostra Congregazione unisce insieme al Sacerdote, maestro con la penna, con la parola viva, i Discepoli del Divin Maestro: li unisce in una «unità» di vita, così che questi ultimi cooperano e partecipano al magistero sacerdotale. L'umile Discepolo Fr. Andrea M. Borello, riposerà fino a quando piacerà al Signore vicino alla salma di un grande sacerdote, paolino nello spirito (il Servo di Dio Can. Chiesa), quasi a esprimere e ricordare che i Discepoli del Divin Maestro traggono dalla loro unità di vita con i Sacerdoti la grandezza della loro vocazione». E concluse con l'augurio: «Le vostre Costituzioni, solennemente approvate dalla Chiesa, non solo possono fare dei santi, ma li hanno fatti! I vostri Servi di Dio sono le più fulgide glorie della vostra Congregazione. Sappiate custodire questa preziosa eredità e tramandarla a quelli che verranno dopo di voi, arricchita e impreziosita dalla vostra santa vita, modellata su questi vostri Fratelli che onorate con tanta gioia e con profonda gratitudine a Dio».

II

Penso sia utile qualche cenno biografico, specialmente per chi non ha ancora particolare conoscenza del Servo di Dio.

Il buon terreno e la pianta
Mango è un piccolo comune rurale delle «Langhe». Nate dal sollevarsi e dal corrugarsi di millenari terreni depositati in fondo all'antico mare padano, Alba ne è il centro e la «Capitale». Quello delle «Langhe» è un paesaggio che invita alla riflessione. I figli di questa terra sono frugali e ospitali, piuttosto isolati, eminentemente liberi, il cui senso d'indipendenza è acuito dalla tipica topografia delle sue colline. Dalla virtù dominante, il coraggio, discende il modo di vivere, i rapporti, la maniera di ragionare e le relazioni con i forestieri, che sono schiette e semplici.
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Giuseppe Stanislao Borello e la sposa, Margherita Rivella, erano contadini e vivevano del loro duro lavoro, in decorosa povertà. Avevano una bambina, Maria. L'8 marzo 1916 un nuovo fiore sbocciò alla vita nella loro modesta cascina. Al fonte battesimale, il 16 dello stesso mese, gli venne imposto il nome di Riccardo. Il padre, dopo il battesimo, dovette partire per il fronte. Abbracciando il figlioletto, ripeté più volte che non l'avrebbe rivisto, quasi presago della morte vicina. Infatti non fece ritorno.
Margherita, rimasta sola con i piccoli, fu la «donna forte», buona e saggia che prese a cuore l'educazione dei figli, ora che non avrebbe più potuto condividerne la responsabilità con lo sposo. Una sua conoscente attesta: «Prima di tutto e soprattutto era preoccupata di istillare nei figlioletti l'amore alla pietà e li guidava nelle preghiere, specialmente nella devozione alla Madonna».
Riccardo visse a Mango fino all'età di nove anni. Frequentò le scuole elementari ed ebbe un'ottima maestra. Fece la prima comunione e, parlando del Parroco, a distanza di anni, ebbe a dire: «Era un santo e zelante Sacerdote; ci insegnava tanto bene il catechismo e invogliava a studiarlo volentieri».
Della madre conservò sempre un ricordo pieno di venerazione: «La mamma m'insegnò fin da piccolo a pregare, ed io ho sempre cercato d'imitarla. Abbiamo sempre recitate le preghiere con tanto raccoglimento e, quando il lavoro lo permetteva, si pregava di più».
Per recarsi alla Chiesa dovevano percorrere ogni volta a piedi circa tre chilometri, ma la loro assiduità era esemplare in paese.
Nel 1925 Margherita passò a seconde nozze. Fu allora che la famiglia si trasferì a Castagnole Lanze e vi trascorse otto anni.
Rimasto orfano nel 1933, Riccardo, a diciassette anni, andò come servitore in una buona famiglia di contadini. Si fece subito molto amare ed apprezzare per la sua serietà e laboriosità. Da parte sua, conservò sempre una specie di venerazione per i padroni, anche dopo l'entrata in «San Paolo» e ne parlò in varie occasioni con grato ricordo.
Il Signor Perrone (che era il padrone di Riccardo e aveva pochi anni più di lui), ricorda che entrambi si recavano settimanalmente alle adunanze dell'Azione Cattolica, cui appartenevano, erano assidui alla Messa, alle funzioni e all'istruzione religiosa. Riccardo prestava molta attenzione alle prediche e, ritornato a casa, spesso le ripeteva.
Nelle giornate piovose, quando era più libero dai lavori di campagna, si ritirava a pregare nella sua camera. Fu visto più volte, a sua insaputa, genuflesso in atteggiamento edificante.
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Il Parroco, Don Bernocco, vedendo Riccardo sempre assiduo alla Chiesa, attento e pio, gli disse una volta che aveva "la faccia da prete". Parole che colpirono il giovane, lo fecero riflettere e portare infine alla decisione di recarsi ad Alba presso la Pia Società San Paolo per provare qualche giorno la vita dell'Istituto. In questa circostanza fece un breve corso di Esercizi spirituali e se ne ritornò al paese col proposito di abbracciare presto la vita paolina.
Gli domandarono un giorno chi gli avesse fatto conoscere «San Paolo», ed egli rispose: «Ho letto la vita di Maggiorino Vigolungo, mi è piaciuta molto, vi ho pregato sopra e ne ho parlato con il Parroco».

«Lavorare per il Signore e farmi santo»
Il Sacerdote Paolino incaricato dell'accettazione dei giovani aspiranti nel 1936, ricorda quando Riccardo si presentò, umile e quasi vergognoso, esponendo il suo desiderio di essere accolto tra i Discepoli. Considerata l'età piuttosto matura, gli rivolse alcune domande per meglio accertarsi delle sue intenzioni. Rispose il giovane che aveva cercato di mantenersi sempre buono; ma ora, per lavorare per il Signore e farsi santo, desiderava entrare nella Pia Società San Paolo.
E mantenne fede, sin dai primi giorni, al suo proposito.
Ricorda un Discepolo: «Quando Borello entrò fra noi, parve un Angelo venuto a rallegrare il nostro gruppo. Nel suo sguardo brillava l'innocenza e in breve tempo ci conquistò tutti».
Fu detto: «Dovreste ringraziare il Signore per l'accettazione di Borello. E' quello che vi farà onore, e dopo morte darà dei buoni «fastidi» ai Superiori, perché tutti lo vorranno sugli altari... Ve ne fossero tanti così!».
Queste parole hanno avuto la più bella conferma.
Borello si mise subito d'impegno per uniformarsi alla vita del gruppo. Con sorpresa dei compagni, abbracciò con slancio ogni dovere. Lo vedevano entusiasta della propria vocazione e divenne ben presto l'amico sincero di tutti. Superò con tenacia le difficoltà, portate dall'età stessa, per ambientarsi con gli altri quasi tutti più giovani.
Molti ricordano ancora la cartiera di Casa Madre. Fin dal 1928 l'attività dei Discepoli era stata per la maggior parte assorbita da questo complesso di macchinari, per cui era stato eretto un apposito edificio, elevato in parte dai Discepoli stessi. Grazie alla cartiera, durante l'ultima guerra fu possibile continuare meglio l'apostolato. Borello unì le proprie energie a coloro che in questo reparto spendevano già la loro vita anche nelle non poche ore di lavoro straordinario.
Il 19 marzo 1937, con intima gioia vestì l'abito religioso. Quel mattino la comunità di Al ba meditò che «l'abito del Discepolo è simbolo di una vita di umiltà, di mortificazione, di laboriosità»; che «la festa di S. Giuseppe, unita quest'anno alla commemorazione dell'Addolorata, racchiude in due nomi l'umiltà fecondatrice, la fatica meritoria e la mortificazione corredentrice».
Borello vi riflettè sopra, se ne fece un programma di vita che, nello svolgersi degli anni, andò sviluppandosi e maturando i suoi frutti.
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A Roma
Borello fece parte del primo gruppo di Discepoli che si recarono a Roma per l'anno di noviziato. Fu il 6 aprile 1937.
Racconta un suo compagno che pregò per tutta la durata del viaggio.
Fu con gioia che scese sul suolo di Roma, centro della cristianità, consacrato dal sangue dei Martiri. E fu con impegno che si mise nelle mani dei nuovi Superiori per lasciarsi formare un vero Paolino.
I compagni talvolta gli confidavano i loro crucci e qualche difficoltà. Rispondeva con dolcezza, incoraggiando: «Anche qui siamo in Congregazione e abbiamo la possibilità di farci santi più che non altrove. Maria non visse solo a Nazaret, ma a Betlemme, da sua cugina Elisabetta, sul Calvario... Coraggio! Il tempo passa e il Paradiso si avvicina sempre più».
Dopo il lavoro faticoso della settimana, alla domenica i novizi si recavano in propaganda presso alcune chiese di Roma. Ci si doveva alzare più presto del solito. Borello era sempre il primo. Buono o cattivo tempo, egli partiva con le sue grosse valigie piene di libri, diretto alla chiesa che gli veniva assegnata. Vi rimaneva sino all'ultima Messa, che finiva verso l'una. Con grande serenità, senza alcuna timidezza e rispetto umano, si comportava dignitosamente. Diceva ai suoi compagni che bisognava comportarsi con molta attenzione davanti agli esterni e il buon esempio è di grande importanza per chi veste l'abito religioso.
Era tra quelli che diffondevano di più. Una domenica che un compagno gli fece le congratulazioni, Borello divenne rosso, si schernì e, con abilità, si dileguò.

Rinnovato fervore
Il 7 aprile 1938, nelle mani del Primo Maestro, Borello con altri dodici novizi, emise la professione religiosa, assumendo il nome di Andrea. I compagni ricordano l'intima gioia che gli lessero sul volto quel giorno.
Il gruppo fece poi ritorno ad Alba ove Fr. Andrea riprese il suo posto di apostolato.
Divenuto membro della Famiglia Paolina, si sentiva più responsabile, allargava il suo cuore e dava senza riserve la sua opera affinché, secondo l'espressione di S. Paolo, la parola di Dio si diffondesse e raggiungesse un gran numero di anime.
E continuò nell'apostolato di edificazione, che fu sempre suo impegno, allargandone i confini nella carità per cercare di giungere ad una totale armonia di anime e fusione di spiriti nell'ideale paolino.
Numerosi episodi rivelano quanto fosse servizievole. Ricorda un Fratello che, dovendo andare a stampare dopo cena la «Gazzetta d'Alba» e non sapendo a chi rivolgersi per aiuto, chiamava Fr. Andrea. Egli lasciava subito la ricreazione, chiedeva il permesso all'Assistente e, tutto lieto, correva ad aiutare. E quando la macchina o la stampa non andavano bene, incoraggiava: «Abbi pazienza, chiediamo l'aiuto di Maria e dell'Angelo Custode, e vedrai che tutto andrà bene». Ed era davvero così.
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La giornata di Fr. Andrea era spesa in pieno per il Signore, dal primo incontro del mattino col Maestro Eucaristico sino all'ultima visita fatta nel raccoglimento serale prima del riposo.
Lo spazio limitato di queste pagine non permette di ricordare cose che risulterebbero di molto interesse (che in parte sono state pubblicate nella biografia e in parte venute a conoscersi dopo la stampa), ma mi pare possa sintetizzarsi tutto in queste parole: Fr. Andrea santificava il momento presente, attento a cogliere ogni occasione per consacrare le sue energie nella vita paolina, con piena dedizione di se stesso.
Quando, poi il 20 marzo 1944, emise i voti perpetui, si sentì ancor più vincolato all'Istituto, che egli considerava come vera famiglia.
Custode fedele delle tradizioni della Famiglia Paolina, Fr. Andrea portava nel suo operare uno «spirito di famiglia» che gli era come elemento costituzionale del suo essere religioso, fondamentale nei rapporti con i Superiori e Fratelli e di stimolo nell'apostolato. Per la lunga pratica della mortificazione, aveva acquistato tale dominio delle proprie emozioni che, per questo motivo, rimanevano in massima parte interiorizzate e nascoste. Ma alcuni episodi della sua vita rivelano ch'egli aveva in sé coltivato un vero culto per ciò che era «vita comune». E la praticava, con l'intima convinzione di edificare la propria santità e col sincero desiderio di conservare e diffondere lo «spirito di famiglia» trascinando col suo silenzioso apostolato di edificazione.
Volle avere questo «spirito di famiglia» nella pietà; lo volle vivere nella costante serenità di spirito, sempre pronto all'accettazione di persone e di ordini, senza critiche né lamenti; lo volle esprimere con la semplicità di cuore che lo portava a guardare sempre e soltanto «dai tetti in su» in ogni circostanza.
Volle soprattutto animare il suo reparto di questo «spirito di famiglia" per trasfonderlo nei giovani aspiranti, con poche parole, col sorriso benevolo e, quando necessario, col richiamo.

Maria nella sua vita
Fr. Andrea M. Borello fu un vero «Discepolo del Divin Maestro» perché si formò alla scuola di Maria. Fu per lui, come dev'essere per ogni Paolino, vera Madre, Maestra e Regina.
Con la saggezza che possiedono le anime umili, capì che solo in un'atmosfera chiaramente mariana avrebbe ottenuto l'intimo contatto col Maestro Divino, scopo fondamentale della sua vita.
L'essenza della sua devozione a Maria mi pare possa comprendersi nelle parole del Vangelo: «la prese con sé». Ne condivise gl'interessi, ne interpretò i desideri, ne indovinò i gusti, ne attuò i disegni, non si risparmiò in nulla, pronto a difenderne i privilegi, zelarne il culto, valorizzarne le glorie. Tutto questo per attuare l'ideale di trasformarsi in Cristo, figlio di Maria, che occupava la sua mente con pensieri e propositi di virtù, mentre ne nutriva lo spirito col desiderio sempre più vivo del Paradiso.
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Con questi sentimenti, Fr. Andrea superava quel senso d'isolamento che viene a tentare spesso le anime religiose per tenerle in uno stato di mediocrità spirituale.
Contro l'insidia dello scoraggiamento, altra comune tentazione per ogni anima che tende al bene, Maria era per lui il sostegno, la sicura fiducia.
L'amava con la semplicità del suo cuore, innocente e umile. Cospargeva le giornate di «Ave Maria», meditandone ogni parola, rinnovando e accrescendo continuamente il suo amore fino alle più tenere espressioni di affetto. La devozione a Maria era per lui il fuoco che gli portava calore di carità e fervore di spirito, accrescendone la sensibilità apostolica.
Ma soprattutto centrò lo spirito della devozione paolina alla Regina degli Apostoli. Comprese che, per la vocazione all'apostolato, il Paolino ha una missione simile a quella di Maria: dare alle anime il Divin Maestro, Via e Verità e Vita. Perciò cercò prima di possederlo con una profonda vita interiore, poi non risparmiò forze e sacrifici per l'apostolato.
Quando aveva modo di parlare della Madonna, usciva dal suo abituale riserbo, quasi trasformato. I Fratelli ne ricordano l'umiltà coraggiosa che animava le sue parole. A tutto era disposto, pur di seguire Maria in una filiale imitazione, camminandole a fianco sino al Calvario.
Fu perseverante nelle sue quotidiane visite mariane nel raccoglimento della cappella dell'Addolorata nella chiesa di Alba.
La corona del Rosario era la catena d'amore che lo legava alla Madre. L'aveva tra le mani tutte le volte che gli era possibile. Lo recitava con gli aspiranti nel reparto calzoleria, e alcuni ricordano bene con quale fervore. All'esumazione dei suoi resti mortali, corona e cingolo furono trovati intatti.
Dalla fanciullezza fin sul letto di morte, la sua vita maturò in un caldo ambiente mariano, fatto di devozione affettuosa, intelligente e sostanziosa. Fu il segreto del suo rapido salire verso la santità.

Offerta e sacrificio
L'ultima stagione è sempre tempo di maturazione del frutto per la raccolta. Fr. Andrea ha affrettato, col desiderio più santo, l'ora del Calvario, per maturare i frutti di ogni virtù e preparare il suo raccolto nel sudore della sofferenza.
Entrato nella Famiglia Paolina ben disposto a rimanere all'ultimo posto per tutta la vita, si sentiva una semplice maglia di una fitta rete per la pesca di molte anime e aveva trascorso con questo spirito la sua vita di Discepolo del Divin Maestro. E come tale desiderava essere fedele al suo seguito sino al Calvario animandosi alla prova della sofferenza secondo il Vangelo, mentre il suo spirito si riposava passando dal Tabor al Getsemani e dal Cenacolo al Calvario.
Nella luce del Tabor di nuovo meditava come «è necessario patire per entrare nella gloria» e con l'intimo desiderio fatto preghiera, supplicava il Divino Maestro di sottoporre quanto prima anche lui «discepolo» al vaglio dell'ultima prova, al sacrificio della vita.
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Col consenso del suo direttore spirituale, fece la sua offerta per la Congregazione e le Vocazioni, particolarmente per i Discepoli. Aveva amato la sua vocazione e l'aveva vissuta; ora desiderava che la sua persona fosse strumento di patire assumendo il peso di offrirsi all'amore misericordioso di Dio quale ostia di riparazione e vittima d'olocausto.
Dopo pochi mesi, una violenta malattia lo rese consapevole che il Signore aveva gradito la sua offerta e forse stava per consumarsi il sacrificio. Il male fece rapidi progressi; fu trasferito nella Casa di cura della Pia Società S. Paolo a Sanfrè nella speranza di un giovamento, ma non vi fu nulla da fare: Fr. Andrea, sul letto di dolore, viveva il suo «ultimo incarico», quello di essere vittima volontaria, e continuava a sostenere la prova avvolto nel silenzio e forte nell'umiltà. La corona tra le mani, in continua preghiera, desiderava stare sul Calvario con accanto l'Addolorata Madre di Gesù. E Maria gli ottenne la forza per la prova suprema, e il sabato 4 settembre 1948 ne confortava gli ultimi istanti e presentava al "Maestro" suo figlio l'anima del «discepolo».
Così si era consumato come vivo era il suo desiderio. Alla vigilia della morte chiese: «Preghi il Signore che mi conceda la grazia dell'umiltà!»: la sua ultima, inattesa domanda era stata posta quasi a suggello di una vita silenziosa ed umile per cui «solo a Dio è dovuta la gloria».

III

«Se vuoi essere perfetto, va', vendi ciò che hai, dallo ai poveri, poi vieni, e seguimi». Fr. Andrea M. Borello abbracciò la povertà e seguì il Maestro per fare della propria vita un'ascensione continua verso la santità.
Conscio di essere, a somiglianza della Vergine Madre, «strumento» di Cristo Sacerdote, a lui consacrato, per mezzo dei voti, per la redenzione di molti, Fr. Andrea si mise docile alla scuola di Maria Maestra degli Apostoli, il cui compito è quello di far nascere e formare gradualmente Gesù in tutti coloro che devono «rendersi conformi all'immagine del Figlio suo». E Maria formò il «discepolo», lo arricchì di grazie e di virtù, lo preparò al sacrificio e al premio.
Alcuni episodi esprimeranno meglio di molte parole lo spirito con cui Fr. Andrea visse i suoi voti.
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Obbedienza
Fr. Andrea, entrato in «San Paolo» all'età di vent'anni, fu quella che oggi chiamiamo una «Vocazione adulta». Se da una parte la maturità già acquisita lo portò a considerare decisamente la vita cui andava incontro, d'altro lato più difficoltoso dovette essere l'ambientamento con i compagni, in genere più giovani. Tuttavia, fin dai primi giorni si mise con piena docilità nelle mani dei Superiori e, anche se non lo trovò facile, cercò di armonizzare la propria vita col gruppo. Fu sentito ripetere, già da aspirante: «Se sarò obbediente, mi farò santo».
Un Fratello disse di lui: «Posso testimoniare di non aver mai notato in Borello la minima mancanza all'obbedienza». A un compagno che gli aveva fatto osservare come per ogni piccola cosa andasse a chiedere il permesso, rispose con dolcezza: «L'età non è quella che dispensa dall'obbedienza. Costa tanto poco fare un bell'atto di umiltà e di obbedienza; poi si rimane più contenti!».
Così era di grande edificazione per tutti. Una volta, parlando a un compagno, lo ammonì fraternamente: «Scusami, sai, ma i Superiori bisogna ascoltarli e amarli perché sono i veri rappresentanti di Dio. E bisogna pregare per loro. Se si è con i Superiori, si è sicuri di fare la volontà di Dio». E queste non erano solo parole: lui era il primo a darne l'esempio.

Castità
Dalla sua persona modesta e delicata traspariva l'innocenza dell'anima. La sua intensa vita eucaristica e mariana ne fu il segreto. Il suo contegno in Chiesa era edificante: le mani giunte, mai appoggiato al banco, per lungo tempo in ginocchio, non si lasciava distrarre da nulla. Fedelissimo all'ora di adorazione, anche quando gli costava molto sacrificio per la stanchezza, soleva ripetere: «Tanti minuti che si rubano a Gesù, tante benedizioni in meno che si avranno».
Lo animava un sincero spirito riparatore: «Dobbiamo riparare con le preghiere e la vita i mali che nel mondo ogni giorno si commettono. Gesù ci ha chiamati a una vita di riparazione. Vedi quanto ha sofferto la Madonna, eppure era la Madre di Gesù! Maria Addolorata col Figlio tra le braccia ci è di tanta luce e conforto».
Se gli avveniva di ascoltare qualche discorso meno corretto, cercava in belle maniere di far deviare la conversazione. Non offendeva, perché sapeva agire con un garbo che attirava ammirazione. Lo chiamavano i compagni: «il nostro parafulmine».
Un Fratello, trovandosi ammalato, chiese di essere da lui assistito, per la sua grande delicatezza nel prestare ogni servizio.
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Povertà
Fr. Andrea era costantemente preoccupato di arricchire la sua anima. Contento di tutto ciò che riceveva, preferiva le cose più umili. La sua povertà era disinteressata, mai noncurante. Ordinato nella persona e nelle sue cose, mai trattenne per sé ciò che in qualche modo avrebbe avuto parvenza di superfluo. Seppe, all'occorrenza, interporre la sua parola per venire incontro a qualche Fratello che non osava esporre le proprie necessità.
Occupava bene il suo tempo. Diceva: «Se non siamo solleciti ad impiegare bene il tempo, viene il demonio, se lo ruba lui e, tra l'altro, si manca pure di povertà».
In ozio nessuno è mai riuscito a vederlo. Appena aveva un po' di tempo, correva in Chiesa, sgranava la corona o cercava di compiere qualche lavoro utile. Spesso raccoglieva da terra nei cortili cartaccia o altro che dava senso di disordine.
Non diceva: questa o quella cosa è mia, ma «in mio uso». Un giorno gli chiesero se gli avrebbe fatto piacere un bell'orologio, e glielo fecero vedere. Rispose: «A me ne basta uno molto più ordinario, tanto da sapermi regolare con l'orario». Quando dovette abbandonare il reparto calzoleria, vinto dal male, raccomandò a un aspirante che ne assunse la responsabilità: «Il cuoio usalo solo quando ve n'è assoluto bisogno, poiché scarseggia. Abbi cura di tutto e nota le spese per gli aspiranti. Usa il giusto. Non essere esagerato nei prezzi».
Non risparmiò fatiche nell'apostolato. Voleva che rendesse al massimo. Parlando del lavoro della cartiera, una volta ebbe a dire: «Sì, il lavoro che stiamo facendo è un po' pesante, ma ogni badilata di pasta che solleviamo è un foglio di carta su cui verrà stampata la Parola di Dio e portata alle anime. Coraggio, pensiamo al Paradiso!».

«Si glorii l'umile Fratello, perché viene esaltato».
Le parole della Scrittura si applicano a meraviglia a Fr. Andrea M. Borello. Il Signore sta esaltando «l'umile fratello». La fama della sua santità va allargandosi, si ricorre con fiducia alla sua intercessione e le relazioni di grazie e favori ottenuti ne sono la valida testimonianza.
Ne riassumiamo alcune:
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Don Pietro Huerta, chierico messicano di quarta teologia, era gravemente ammalato di cuore. Soffriva di un vizio mitralico e aortico con aritmia extra sistolica.
Giudicato inguaribile dagli specialisti cardiologi, i suoi Superiori erano in dubbio se promuoverlo agli Ordini Sacri. Con alcuni Fratelli decise allora di rivolgersi con fiducia a Fr. Borello per ottenere la guarigione.
Con semplicità scrisse anche al Primo Maestro per impegnarlo nella preghiera: «Lei è il Padre di tutti i Paolini; ha autorità su tutti noi, vivi e defunti; adesso comandi a Fr. Borello che aggiusti il mio cuore; quando era sulla terra egli sapeva aggiustare le scarpe, adesso che è in cielo saprà anche aggiustare i cuori, risanarli e fare che amino di più Gesù».
Alla prima novena, seguì una seconda e si continuò finché, con meraviglia del medico curante fu accertata una ripresa prodigiosa. Don Huerta fu ordinato Sacerdote ritornò in Messico per attendere ai suoi doveri di ministero, di scuola e di apostolato.
A ringraziamento della guarigione ottenuta, prima di lasciare l'Italia, offriva per la Causa di Fr. Borello quanto aveva di più caro, una medaglia d'oro della Madonna di Guadalupe, che gli aveva donato sua madre.

Dott. Pier Francesco Bussetti - Roma


La figlia di una mia collega, una bimba di sette anni aveva dovuto essere operata d'urgenza di mastoidite. L'intervento rivelò tosto una situazione assai preoccupante. Secondo le parole del Chirurgo (Prof. Brunetti di Torino) il pus filtrato, forse attraverso una lieve frattura, aveva invaso la scatola cranica, coperto le meningi fino alla zona frontale interessando anche il nervo ottico, tanto che la bimba dichiarava di vedere le cose doppie. I medici esitavano a pronunciarsi sia sulle origini del male che sulle possibili soluzioni. Indescrivibile l'angoscia dei genitori.
Proprio in quei giorni io ebbi in libreria l'immagine del Servo di Dio, Fr. Andrea M. Borello, e a lui mi rivolsi con fervore, promettendo di far pubblicare la grazia. Si era nella settimana di Passione; impossibile descrivere le sofferenze di quella bimba, anche per le medicazioni, ma per il giorno di Pasqua essa poteva trascorrere la festa in famiglia e nei giorni seguenti lasciava definitivamente l'ospedale.
La convalescenza fu rapida tanto da consentire ancora alla bimba di riprendere la scuola e di riacquistare salute e vivacità veramente prodigiosa.

Maria L. Grossi - Torino


Per l'intercessione di Fr. Andrea M. Borello, si sono ottenute due grazie:
«L'ottimo esito di una operazione difficile, subita dalla mamma di mia cognata, superata felicemente»; «La seconda: il pagamento di un vaglia che sembrava dovesse fallire; piccola cosa, ma per me importante».

Gallo Elisabetta - PRALORMO (Torino)

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Un mio caro nipote, Rino Trinchero del fu Luigi, di Mango d'Alba ha avuto un grave incidente automobilistico, per cui si è trovato in fin di vita.
Trasportato d'urgenza all'ospedale S. Lazzaro di Alba, i sanitari ne avvertirono tanto la gravità, da farlo immediatamente trasportare all'ospedale delle Molinette di Torino. Io saputa la cosa, con fiducia mi rivolsi a Fr. Borello invocando la grazia della guarigione. Fr. Borello ha accolto la mia supplica e la grazia mi è stata concessa.
L'incidente è avvenuto nella notte del 20 novembre 1965, e nella stessa notte è avvenuto il ricovero nei due ospedali sopraddetti.

Cane Luigia - MANGO (Cuneo)


Un padre di famiglia, disoccupato da cinque mesi, invoca con fede il Servo di Dio per trovare un posto di lavoro onde provvedere alle gravi necessità della sua famiglia. Tra la meraviglia sua e di tutti, nonostante le molte richieste di assunzione allo stesso posto di lavoro, egli è prescelto e viene destinato a un lavoro sicuro e ben retribuito. La lettera termina con queste parole: «Io sono sicuro che mio zio ha trovato lavoro per particolare grazia di Fr. Andrea M. Borello, come tutti in famiglia ne sono convinti. Non cesseremo più di invocare il Servo di Dio affinché continui su di noi la sua protezione e il suo aiuto».

Trapiletti Luciano - ABANO TERME (Padova)


Durante il passeggio, il giorno 20 settembre 1964, un giovane aspirante di Casa Madre della Pia Società San Paolo, evade la sorveglianza e si arrampica su di un albero, dal quale precipita. Trasferito urgentemente all'infermeria, il suo stato appare preoccupante: si teme una emorragia interna. L'assistente e i compagni costernati invocano allora l'intercessione di Fr. Borello. Tra la meraviglia di tutti, il mattino seguente il giovane si trova completamente ristabilito.

L'Assistente - ALBA


Piaccia al Signore di voler portare a compimento questa Causa che tutti ha allietato.
Il messaggio che ci lascia questo Fratello s'inserisce bene in questo «anno della fede». La fede gli fece vedere la sua vocazione in una luce soprannaturale, fece brillare nella sua anima tutta la bellezza dell'apostolato paolino, nel posto di lavoro che l'obbedienza gli assegnava. Anch'egli incontrò difficoltà e ostacoli lungo il suo cammino, poiché per tutti la vita è lotta, ma la fede sempre gli indicò dove attingere la forza, e come poter tutto superare con merito.
Considerando la vita di Fr. Andrea M. Borello, il pensiero corre alla figura del grande e silenzioso S. Giuseppe, primo «Discepolo» del Divin Maestro, uomo dalla fede profonda, che in tutto si lasciò guidare dalla Provvidenza.
Nell'organismo generale Fr. Borello ebbe una responsabilità di piccolo rilievo, ma reale e grandemente benefica per tutti. Uno dei grandi valori della sua vita fu quello d'inserirsi lietamente e decisamente nell'organizzazione della Casa Paolina, dando risposta precisa, perfetta e costante a ciò che gli veniva chiesto e che era conforme alle sue capacità e al suo zelo. Perciò è legittimo pensare che anche in lui si compia la parola del Vangelo: «Poiché fosti fedele nel poco, io ti costituirò sul molto»; la sua ascesa, infatti, e il suo ricordo è così limpido che Dio lo costituisce esempio di fedeltà.
Fu detto di lui: «La regolarità fu il lungo fatto eccezionale di quella vita». Fin dai primi giorni di vita religiosa, Fr. Andrea aveva concepito il proposito: «Voglio farmi santo». Al termine della vita poteva confidare a un Fratello: «Non credevo fosse così facile farsi santi!».
«Qui si muore sorridendo», ebbe ad esclamare il medico che lo assisteva. E questo sorriso ci accompagna ancora e c'incoraggia a calcare le orme di questo umile, grande Fratello.

Silvano M. De Blasio

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