Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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14. LA PENITENZA COME SACRAMENTO*

Consideriamo stamattina la Penitenza come sacramento.
La penitenza virtù è una disposizione dell'anima al dolore dei peccati. La Penitenza sacramento, invece, è quella che noi esercitiamo quando andiamo a confessarci; il sacramento è come un frutto, un atto che indica come nella nostra vita vi sia la penitenza virtù. Tutti errano, tutti sbagliano: è necessario correggersi, emendarsi, sostituire la virtù al difetto.
Ringraziamo prima di tutto il divin Salvatore che ha istituito questo sacramento prevedendo che molti uomini dopo il Battesimo avrebbero ancora avuto bisogno di misericordia e di perdono. E perciò Gesù offre agli uomini una seconda tavola di salvezza, per chi ha fatto naufragio dopo il Battesimo.
Il sacramento della Penitenza è grande perché solo Dio può rimettere i peccati e il ministro opera in nome di Dio, come opera in nome di Dio all'altare.
È grande questo sacramento perché per esso si scancella il peccato, si chiude l'Inferno e si riapre il Paradiso, si riacquistano le opere buone perdute col peccato e si ritorna a gustare la vera pace.
È grande questo sacramento perché in esso si riceve forza per emendare il passato ed aiuto per far meglio nell'avvenire; è grande perché in esso vi sono molti atti buoni: l'esame che fa conoscere noi stessi, il dolore che toglie il peccato, il proposito che migliora la vita, la soddisfazione con cui si sconta la pena temporanea meritata col peccato. Ma come ricevere questo sacramento? Quale disgrazia sarebbe se esso, che fu istituito per cancellare il peccato, ci fosse occasione di nuovi peccati. Eppure è così per quelli che commettono sacrilegio, eppure è così per quelli che lo ricevono senza le convenienti disposizioni, per
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quelli che fanno confessioni nulle, eppure è così per chi non ne ricava alcun frutto ma si accosta solo per abitudine.
È necessario riceverlo bene, ossia riceverlo ogni otto giorni, almeno; non far troppe distinzioni tra confessore e confessore, per non cercare la soddisfazione propria. Non cercherebbe di soddisfare la giustizia di Dio, ma cercherebbe la propria soddisfazione e perderebbe molto frutto chi scambiasse questo sacramento istituito dalla misericordia di Dio per il perdono delle colpe, con una conversazione col ministro di Dio, fosse pure intorno a cose spirituali.
Poi bisogna confessarsi con vero dolore e con un sincero proposito di emendarsi. Dal frutto si conosce la pianta: se dopo le nostre Confessioni abbiamo fatto un po' di progresso nella virtù, è questa una prova che furono ben fatte, ma se siamo andate indietro, è certo che le nostre Confessioni non sono state fatte bene, anzi possono essere state occasione di nuove mancanze e nuove responsabilità. Ci vuole l'esame che ci porti a penetrare a fondo dell'anima, non prepararsi come una serie di mancanze, sempre uguali, già imparate a memoria e recitarle poi con indifferenza e senza un sentimento di profondo dolore.
Il dolore dev'essere vero; cioè, dev'essere un disgusto vivo d'aver recato dispiacere al nostro buon Padre, Dio. Ci vuole poi un proposito sincero. Molti si confessano solo per cancellare il peccato e non pensano a proporre seriamente per l'avvenire e prevedere le occasioni e prendere i mezzi per non cadere più in peccato e far progresso. L'accusa ci deve portare sempre ad un'umiliazione profonda. Il sacramento della Penitenza è il sacramento dell'umiliazione: «Cor contritum et humiliatum, Deus, non despicies»1. E quanto ci umiliamo sotto il peso delle nostre colpe, altrettanto otteniamo di misericordia e di aiuto per non ricadere più in esse e per progredire nella virtù.
Curiamo davvero questa umiliazione; diciamo le nostre vere colpe, non quelle delle altre, non cerchiamo solo di liberarci dalla responsabilità, ma miriamo all'umiliazione, all'emendazione della vita. Poi la soddisfazione o penitenza venga fatta al
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più presto, con vero dolore, non solo per soddisfare alla giustizia di Dio, ma per cancellare possibilmente tutto il Purgatorio meritato.
Esaminiamo le nostre confessioni ai piedi di Gesù. Diciamo un bel Deo gratias per aver egli voluto istituire questo sacramento di misericordia e di perdono e domandiamo la grazia di riceverlo sempre bene. Se il Signore ci darà la grazia di confessarci bene anche in punto di morte, questo sarà per noi una grande consolazione. Se lo riceviamo sempre bene in vita, lo riceveremo pure bene in morte e, togliendo dall'anima nostra la colpa e la pena meritata, potremo sperare di evitare dopo morte anche il Purgatorio.
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* Dattiloscritto, fogli 1, bianca e volta (21x31). Sull'originale il titolo è: “G.D.P.H. Meditazione (P. Sig. Maestro)”, tenuta il 21 dicembre 1939. I curatori dei dattiloscritti successivi hanno aggiunto a mano il titolo: “La penitenza come sacramento”.

1 Sal 51,19: «Un cuore affranto e umiliato, Dio, tu non disprezzi».