Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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dinanzi a voi . Detestare tutto ciò che non piace al Signore, e allora chi si giudica non sarà giudicato, chi si condanna non sarà condannato dal Signore. Oh, quale grazia è fare bene l’esame di coscienza, arrivare all’abituale raccoglimento, a questo abituale controllo di noi stessi! Si deve arrivare, perché altrimenti come si diventerebbe santi?
Un giorno a Torino vi era un’adunanza di vescovi e vi erano presenti anche alcuni sacerdoti, ero anch’io presente, e si venne a parlare del vescovo di Alba defunto, mons. Re16. Mi ricordo che un santo sacerdote del Cottolengo17, di cui è introdotta la causa di beatificazione, morto a Torino poco dopo l’incontro avuto, che diceva: Io ho assistito tante volte ai convegni dei vescovi del Piemonte, ma non ho mai sentito da mons. Re una parola che non fosse misuratissima anche nelle discussioni un po’ forti che riguardavano la dottrina, come pure nel narrare qualche cosa a tavola. Egli continuamente rifletteva su se stesso. Ma questo abituale raccoglimento, abituale controllo su noi stessi è un eroismo.



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IL FRUTTO GENERALE DEL ROSARIO



Abbiamo passato dei giorni buoni, consolanti in questa nazione degli Stati Uniti d’America e tuttavia pensiamo se abbiamo portato la grazia, la serenità, i buoni esempi che dovevamo portare. Perciò abbiamo da dire sempre la preghiera: «In spiritu humilitatis et in animo contrito suscipiamur a Te, Domine…: Nello spirito di umiltà e con animo contrito noi ti preghiamo di accoglierci»1, e di riceverci, da una parte perdonandoci e dall’altra parte supplire, facendo tutto quello che noi poveri uomini non abbiamo saputo fare.
Avere sempre più spirito soprannaturale, e cioè sempre più fede, sempre più fiducia in Dio, sempre più umiltà da parte nostra, e dall’altra parte sempre più coraggio per poter essere strumenti docili della volontà di Dio,
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perché il Signore possa compiere quelle grandi cose che vuol compiere in questa nazione. Ora, per questo ben ci servono i rosari che ci danno l’opportunità di passare un mese più uniti a Maria: «Magnificat anima mea Mariam: l’anima mia lodi Maria»2. E inoltre di essere sempre più docili ai suoi consigli, sempre più fedeli nel seguire i suoi esempi, di avere sempre più fiducia nella sua misericordia, sempre più lo spirito di Maria, e sotto il suo sguardo compiere il nostro apostolato. Possiamo sempre elevarci maggiormente verso le cose sante, e avere quindi un altro modo di pensare da quello che hanno tanti uomini, pensare cose eterne e operare sempre in ordine a queste, cioè al paradiso.
Il rosario ci deve ottenere questa grazia: soprannaturalizzare la nostra vita, considerandola per quello che è, cioè una preparazione al cielo. E per prepararci al cielo, da una parte dobbiamo togliere quello che ce ne impedisce l’entrata, e dall’altra parte dobbiamo vestirci della veste nuziale che ci permette di sederci al convito eterno, là dove il Padre celeste aspetta i suoi figli.
Sì, sempre più soprannaturali! Questo è il pensiero generale del rosario che ci fa considerare i quindici misteri divisi in tre serie: i misteri gaudiosi che ci fanno meditare cose liete; [i dolorosi] che ci fanno considerare cose tristi, penose, e le fatiche che abbiamo da compiere quaggiù, i sacrifici che abbiamo da fare; [i gloriosi] poi che ci fanno contemplare la beatitudine eterna in cielo.
Sulla terra si passa fra cose che piacciono e cose che non piacciono, ma le persone che hanno lo spirito di Dio santificano e le cose che non piacciono e le cose che piacciono, e da tutto ricavano merito. Vi sono persone che sono liete, fervorose quando tutto va secondo le loro aspirazioni, i loro desideri, le loro vedute: se il cielo è sereno. Quando invece vi è la tempesta, quando vi sono delusioni, e le cose sono contrarie alle nostre vedute, noi che vediamo lontano una spanna nelle cose di Dio, forse pretendiamo di guidarci, e chissà dove andremmo a
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sbattere se non ci guidasse Iddio. Bisogna che ci lasciamo guidare da lui anche attraverso le cose che non piacciono al nostro gusto, che non sono secondo le nostre vedute. Ma noi abbiamo la testa dura, eh! capiamo sempre poco, eppure ci crediamo di aver una grande sapienza.

La sera di Pasqua i due discepoli di Emmaus erano partiti da Gerusalemme per ritornare a casa, al loro villaggio che si chiamava Emmaus. Erano tristi, scoraggiati, avevano seguito Gesù e Gesù era stato crocifisso. Sembrava che tutto il loro entusiasmo fosse stato un entusiasmo illusorio. Perciò camminavano con pena e l’umiliazione nel cuore. Allora, ecco che Gesù li raggiunge sulla strada e, fingendosi un viandante comune, si unisce a loro quasi che volesse, a quell’ora tarda, accompagnarsi con essi. «Di che cosa parlate? Perché siete così tristi? Essi risposero: Tu solo sei così nuovo qui, da non sapere che cos’è avvenuto? Ed essi raccontarono come avevano seguito Gesù che doveva stabilire il suo regno, invece era morto sulla croce. Speravano nella sua risurrezione, ma non era avvenuta ancora. E Gesù: O stolti e tardi di cuore a credere…»3. Gesù non risparmiava le sgridate quando era tempo.

L’insegnamento per noi sta nelle parole seguenti: «Non doveva il Cristo patire ed entrare nella sua gloria attraverso le sofferenze?»4. Ecco l’insegnamento! Gesù poi dimostrò a quei due, citando i profeti, come questo era stato predetto, cioè che Gesù avrebbe predicato e redento il mondo con le sue sofferenze, e che finalmente sarebbe entrato nella gloria del cielo, e risuscitando avrebbe vinto la morte.
Noi dobbiamo pensare così: possiamo essere in un posto o in un altro, possiamo avere davanti a noi una strada o un’altra, ciascuno ha la propria vocazione, il suo ufficio, possiamo trovarci davanti a difficoltà, tentazioni, incomprensioni, delusioni, sofferenze anche fisiche. Possiamo passare giorni lieti, in mezzo a persone che ci comprendono, ci accompagnano con le loro preghiere, ci vogliono bene, e persone che ci guardano
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con occhio sinistro. Sono misteri gaudiosi e misteri dolorosi, ma sono sempre le vicende buone, gioiose, e le vicende difficili e penose che hanno un fine nelle mani di Dio: farti santa. Gesù infatti vuole che tu segua la sua via, vuole che tu segua la via di Maria [contemplando] i misteri gaudiosi, per esempio, l’incarnazione, i misteri dolorosi, per esempio, l’agonia di Gesù nell’orto, per giungere alla gloria del cielo, quindi il primo mistero glorioso, [la risurrezione] che seguito dagli altri, in sostanza, ci apre il paradiso! Tante volte non si possono meditare bene i misteri, uno per uno, [perché] si fa l’apostolato, vi sono altre cose su cui dobbiamo riflettere, ma almeno almeno avere [presente] questo frutto generale dei quindici misteri: siamo sulla terra per arrivare alla gloria del cielo. Il nostro riposo è lassù, il nostro premio è lassù: premio eterno. La vita è solamente un passaggio, tutta la vita è un viaggio, e se noi facciamo bene il nostro viaggio arriveremo alla gloria celeste che è eterna, [giungeremo] a quella grande città che è la Gerusalemme celeste, dove abita Iddio, dove ci attendono Gesù e Maria, dove ci attendono S. Paolo, gli angeli, i santi: «Me expectant justi: i santi mi aspettano»5 per la ricompensa eterna.
Il più grande amor di Dio è sempre muovere i passi nella direzione del paradiso. Ciò vuol dire: i nostri passi, ogni respiro, ogni programma, ogni parola, ogni desiderio, ogni movimento, ogni azione, tutto e solo per il paradiso. Paradiso: «Cupio dissolvi et esse cum Christo»6, desiderio di trovarmi con Cristo là dove i santi ci aspettano, [dove ci sono cose] che nessun uomo ha mai gustato e mai gusterà sulla terra, là dove si vedono cose che nessuno ha mai visto, e si sentono cose che gli uomini non hanno mai sentito sulla terra, mai.
Perciò la vera saggezza è qui: fissarsi bene il fine. Gesù pronuncerà la sentenza: «Avanti, servo buono e fedele, perché sei stato fedele in quel breve tempo della vita, supra multa te constituam»7. E poi l’ingresso in paradiso dove ci aspettano gli angeli, i santi, Maria, Gesù, la santissima Trinità, il gaudio, la festa. Siamo cittadini del cielo, finita la nostra
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vita ci attende l’eternità, che non è un succedersi di giorni, di anni, ma è un sempre presente che dura sempre.
Oh, allora abbiamo da fare considerazioni sui misteri gaudiosi e dolorosi: Sono tutte liete le cose che ci accadono? No. Sono tutte tristi le cose che ci accadono? No. È Gesù che ci conduce. Noi abbiamo poca fede, non comprendiamo e continuiamo a dire: Io voglio fare, io ho questo programma, io quest’anno farò questo, un altr’anno quello. Poveri noi! Passiamo per le vie della vita condotti dalla mano di Dio. Il programma è uno solo: amare Iddio; l’amore rimane in eterno, tutto il resto è un mezzo. Sono mezzi di salvezza eterna tutte le cose che abbiamo: il tabernacolo, la divozione eucaristica, la pietà mariana, la pietà paolina, la vocazione, la vita religiosa, l’apostolato, e il letto, e la tavola, e le sorelle, e gli amici, e i nemici. Perciò tutto santificare: santificare la malattia, la sanità, le tentazioni e le buone aspirazioni. Le tentazioni vinte e le aspirazioni assecondate ci guadagnano un gran merito. Siamo come i negozianti prudenti e saggi che dappertutto cercano di guadagnare. Oh, diceva un buon ebreo, a fare e a trafficare si pizzica sempre qualche cosa. Dappertutto si pizzica qualche cosa. Infatti lui aveva pizzicato ed era diventato un riccone.
In tutti i momenti della nostra vita possiamo sempre pizzicare qualche cosa, cioè possiamo sempre guadagnare meriti. E Gesù, che cosa ha fatto durante la sua vita? Dal presepio fino a che ha rimesso nelle mani del Padre il suo spirito, e spirò? La sua preghiera più fervente fu sempre: «Ti ringrazio, o Padre!»8. Sempre! Di tutto! E Maria, nostra madre, non ha fatto così? Furono tutti lieti gli avvenimenti [della sua vita]? Non tutti lieti. Ne ebbe tanti lieti: l’annunciazione dell’angelo, la nascita miracolosa del Bambino, la grazia di stare in compagnia di Gesù nella casa di Nazaret per tanti anni, il sentirlo predicare con tanta sapienza, il vederlo operare tanti prodigi. E poi i misteri dolorosi: vedere la condanna a morte, il viaggio al Calvario, la crocifissione,
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16 Mons. Giuseppe Francesco Re (1848-1933), vescovo di Alba, svolse un ruolo prezioso nella Famiglia Paolina. Don Alberione scrisse in occasione della sua morte: “Egli raccomandò, guidò, approvò la Pia Società San Paolo che amava comeun padre ama il proprio figlio” (Cf CVV 26).

17 Probabile riferimento al Ven. Francesco Paleari (1863-1939), per quarant’anni direttore spirituale nel seminario di Torino.

1 Dal Messale Romano del 1929 preghiera all’offertorio (prima dell’incensazione e del lavabo). Versione letterale: «Con spirito umile e cuore contrito siamo accolti da te, Signore, e così si compia oggi il nostro sacrificio alla tua presenza, inmodo che ti sia gradito, Signore Dio».

2 Titolo dell’inno composto da Don Alberione in latino modellato sull’inno lucano (cf Lc 1,46-55) pubblicato sul San Paolo del 1° maggio 1935 (cf CISP 39). Cf anche FSP33**, p. 120; Maria nostra speranza, ed. 1938, pp. 331-342.

3 Cf Lc 24,13-25.

4 Cf Lc 24,26.

5 Cf Sal 141,8 (Volgata).

6 Cf Fil 1,23: «Desidero di essere sciolto dal corpo per essere con Cristo».

7 Cf Mt 25,21: «Ti darò autorità su molto».

8 Cf Gv 11,41.