Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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4. FORTEZZA1



Questa mattina chiediamo allo Spirito Santo, per intercessione della Regina degli Apostoli, la virtù della fortezza. La fortezza è una virtù cardinale ed è un dono di Dio, uno dei sette doni dello Spirito Santo. Subito bisogna ricordare la donna forte: Maria, forte sia nel soffrire come nel sopportare, e nell’operare.
Infatti la fortezza si manifesta in due cose: Magna pati, et cum constantia2. Sopportare fatiche, sopportare pene, contraddizioni o interne o esterne e poi nello stesso tempo intraprendere cose grandi, compiere i nostri lavori, la nostra missione con costanza. Maria compì la sua missione fino al Calvario, fino a che il Signore la chiamò al riposo e al premio eterno. Comprendiamo subito bene che cosa s’intenda per fortezza.
La fortezza di cui parliamo non è la fortezza fisica: che uno resista molto a camminare, che uno possa portare grossi pacchi o gravi pesi; la fortezza di cui parliamo è la fortezza soprannaturale. La fortezza fisica alle volte può anche entrarci. Se una [persona] è debole di salute, non può fare cose che possono fare persone più robuste; ma anche quando uno è debole di salute deve ancora esercitare la virtù della fortezza. Quando [la fortezza] si esercita di meno a lavorare, si esercita di più nel sopportare.
La fortezza si manifesta prima nel lavoro spirituale, interiore. Lavoro spirituale che sia forte, cioè lavoro che viene da
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una vera concezione della vita spirituale: correggerci, vincerci, cioè correggere i nostri difetti, vincere le difficoltà, le tentazioni. Fortezza nell’acquisto delle virtù, della fede, dell’umiltà, della carità, dell’obbedienza. La vera pietà esige che noi siamo molto attivi, cioè che noi ci sforziamo negli esami di coscienza, ci sforziamo a raccoglierci nella preghiera, soprattutto che sappiamo entrare in comunicazione con Dio quando facciamo le nostre Visite al Santissimo. La fortezza spirituale esige generosità nella meditazione per tenere la mente a posto, generosità nel compiere tutti i nostri doveri di pietà senza tralasciarne alcuno. Qualche volta si sarebbe tentati di tramandare o abbreviare. Fortezza nel compiere le opere di pietà quotidiane, le opere di pietà settimanali, mensili o annuali.

Una pietà che sia spiritualismo, fatto di lacrime e di sospiri, non è pietà paolina. La pietà paolina è modellata sullo spirito degli apostoli, sull’esempio di S. Paolo. Egli, dopo aver avuto la visione di Damasco, passò tre giorni in digiunoe preghiera. E Gesù disse ad Anania: «Ecce enim orat! È là che prega»3. Ecco la pietà soda, degna della Paolina! Ma certe conversazioni lunghe di spiritualità, certe confessioni lunghe, senza risoluzioni, non sono pietà forte: «Mulierem fortem, quis inveniet?»4. Ecco, come è la pietà della donna forte! La Paolina sente il consiglio o il richiamo, l’indirizzo o il consiglio, poi si alza risoluta e va a pregare. Da Gesù attinge la forza e si mette all’opera. La pietà forte si nota da quel continuo progresso che l’anima va facendo nella virtù.
La fortezza si pratica nello studio. Lo studio, dopo il lavoro spirituale, è il più faticoso. Se vogliamo proprio approfondire, se vogliamo proprio vivere raccolti, se vogliamo capire le cose fino in fondo, se vogliamo ritenerle a memoria, se vogliamo renderci capaci a esporle per iscritto o con le parole, se vogliamo poi esporle anche con grazia, ci occorre la fortezza. Ecco ciò che diceva l’Alfieri5: Volli, sempre volli, fortissimamente volli. E riuscì a diventare un grande letterato.
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La fortezza si applica poi nell’apostolato. È evidente, e qui si esercita la fortezza anzitutto nell’imparare. Ci sono persone che fanno un progresso così rapido da far stupire sia nell’imparare la tecnica, sia nella parte redazionale, che nella propaganda. Molte Figlie di San Paolo si sono distinte per la loro fortezza nella propaganda. E sono veramente persone che accumulano tesori di meriti e spargono la parola di Dio con abbondanza. La fortezza della propagandista esige che vi sia la brevità, ma nello stesso tempo la dedizione e il servizio generoso. La propagandista che non è generosa e forte, dopo venti anni farà la propaganda come la faceva quando era ancora novizia o prima del noviziato. La fortezza nella propaganda porterà alla propaganda collettiva, a fare nuove invenzioni e a usare nuove industrie.
Ma qualunque ufficio si abbia a compiere in casa o fuori, la fortezza ci porta ad impegnarci. Dalla cucina al bucato, alla redazione, alla scuola, all’apostolato tecnico, tutti [gli uffici] richiedono, per un vero progresso, la fortezza. Anzi, se una persona non ha acquistato la fortezza necessaria alla propria vocazione, non dovrebbe abbracciare uno stato in cui bisogna imitare la fortezza di S. Paolo e quella di Maria ai piedi della croce.
La seconda applicazione della fortezza è precisamente nel sopportare. Vedete Gesù. In questa Quaresima lo contempliamo nella sua passione. Egli ha accettato di bere il calice amarissimo della sua passione nel Getsemani. Come si è diportato dinanzi a tutti gli insulti, le accuse, le condanne dei diversi tribunali? Come ha sopportato la flagellazione, l’incoronazione di spine, il viaggio al Calvario? Infine, come ha sopportato la crocifissione e le tre ore di agonia sulla croce? Sempre nella serenità, sempre buono, anche con gli stessi crocifissori. Qui si richiede una grande abbondanza di grazia, quella grazia che Gesù domandò nell’orto del Getsemani, quando diceva: «Spiritus quidem promptus est, caro autem infirma»6.
Poi sopportare noi stessi. Il più difficile da sopportare è proprio il nostro io. Ci sforziamo alle volte per ricordare e non ricordiamo, ci sforziamo per praticare una virtù, e sempre di
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nuovo cadiamo e bisogna riprendersi. Sopportare le angustie di spirito, le correzioni che vengono fatte, sopportare il peso dell’obbedienza, gli oneri della vita comune, dell’osservanza degli orari. Sopportare! Non pensare ad una vita religiosa fatta di consolazioni, alla vita religiosa di chi sta seduto contemplando più o meno cose divine. La vita religiosa è una vita di attività, di lavoro. Poi abbiamo le infermità fisiche da sopportare, qualche dolore, qualche patimento, le forze fisiche che diminuiscono. Tutti abbiamo qualche dolore in vita, e se non ci sono in vita bisogna prevedere di averli in morte.

Sopportare le persone di diverso carattere e infine sopportare tutte quelle minime ma continue cose che richiede la vitacomune. È più facile che si facciano bene le cose grosse, è più facile trovare una suora osservante della povertà, della castità, dell’ubbidienza che non la suora osservante della vita comune, della carità richiesta nella vita religiosa che è grande sorgente di meriti, ma richiede quella che noi chiamiamo pazienza, ma che potrebbe dirsi fortezza di animo.
Distinguere allora molto bene fra la persona che ha veramente il dono della fortezza da quella che ne è priva. Ricordiamo anzitutto che la fortezza è una delle virtù cardinali. Da una parte abbiamo la temperanza che modera, per esempio l’ira, ma dall’altra parte abbiamo la fortezza che deve spingerci sia a fare lavori importanti per la gloria di Dio, sia per l’opera della santificazione, sia per intraprendere cose sempre maggiori. Sì, fortezza! È virtù cardinale, senza della quale non si può essere santi.
Si dice che la fortezza è propria più dell’uomo che della donna, ma la più forte di tutte le creature è stata una donna: Maria! Ella, appena conobbe come Gesù era stato condannato, quando gli apostoli si allontanarono da lui, lo raggiunse per la strada più breve sulla via del Calvario. Da vera donna forte lo accompagnò per il rimanente del viaggio e lo assistette nella sua crocifissione, nella sua agonia, nella sua morte. E dopo la sepoltura di Gesù, mentre gli apostoli erano smarriti e impauriti, ella si ritirò, forte nella speranza, nel cenacolo.

Durante la settimana santa, all’ufficio del Mattutino e delle Lodi, si spengono tutte le candele, meno una. Essa rimane accesa
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a simboleggiare la fede di Maria, che non venne mai meno7. Fortezza! Maria sapeva quello che Gesù aveva predetto: «Et tertia die resurgam!»8, e in quei giorni pregava. Pregava per sé e per gli apostoli, pregava per la Chiesa che doveva non solo nascere, ma espandersi in tutto il mondo. Maria è la donna forte.

Senza fortezza non c’è virtù, perché tutti gli atti virtuosi costano fatica e tutto l’apostolato costa fatica. Allora se noi vogliamo corrispondere alla vocazione con l’esercizio del nostro apostolato, se vogliamo acquistare la pazienza, l’umiltà, si richiede forza. Tutto costa fatica, ma tutto rende merito. Ci sono gli scansafatiche: sono quelli che cercano di evitare più che possono le pene, che cercano di caricarsi quanto più possono di consolazioni, che fanno consistere la virtù in parole, sospiri, desideri vuoti e passano gli anni e non progrediscono mai. [Lasciarsi] andare giù, al male, specialmente dopo la professione, è come discendere per una china. Forse quella suora nella sua giovinezza, con il continuo lavoro spirituale era salita ad una certa altezza di virtù e allora ha fatto la professione perpetua. Se dopo non si continua a spingere se stessi verso l’alto, verso le vette, si discende. La via del cielo è una via che richiede fatica, perché può essere cosparsa di sassi e di spine. Il paradiso richiede violenza, è detto nel Vangelo: «Violenti rapiunt illud»9. E cosa significa? Che richiede forza. Il paradiso non è dei pigri, ma dei forti; la santità non è dei pigri, ma dei forti; l’apostolato non è dei pigri, ma dei forti.
Quelli che si fanno forza vi arrivano e riportano la corona di giustizia. Ma questa corona, che cos’è? È il premio di chi avrà ben combattuto. La vita presente è una milizia, un combattimento. Le cose belle, le cose alte, sono in alto. Bisogna
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sforzarsi per arrivarci. La scienza, la santità, la riuscita nell’apostolato, la perfezione della vita religiosa, l’unione intima con Gesù, l’abitudine a pensieri elevati, l’abitudine a dominare noi stessi, ad attendere a noi stessi, sono cose belle, sono cose sante, ma sono cose elevate: bisogna elevarsi. Se la barca è abbandonata a se stessa, seguirà la corrente, e l’acqua dove la porterà? Bisogna che coloro che sono sulla barca la spingano con tutte le forze, con tutti i remi. Chi vuole una vita senza fatica e tranquilla, bisogna che dica con sincerità: Io nonvoglio la santità, non voglio il successo nel mio apostolato. È necessaria sempre la fortezza; anche quando saremo malati è necessaria la fortezza a sopportare.

Come si ottiene la fortezza? Si ottiene prima di tutto con la preghiera. La fortezza è una virtù cardinale, quindi infusa da Dio, ed è un dono dello Spirito Santo, quindi viene da Dio: «Omne datum optimum, et omne donum perfectum desursum est»10. È un dono che ci viene da Dio. Allora domandare la grazia di essere donne forti.
Vi sono due tendenze, ma la più pericolosa è quella di voler evitare ogni sforzo, ogni fatica. Quanti vi sono che invece di combattere, stanno a guardare gli altri: «Nescitis quod ii qui in stadio currunt, omnes quidem currunt, sed unus accipit bravium? Sic currite, ut comprehendatis!»11. Bisogna lavorare, non stare a guardare gli altri, per giudicare. Nessuno deve fare l’assistente agli altri, fuori di chi è destinato a questo ufficio. Al lavoro! E chi è destinato all’ufficio di assistente, faccia bene quello. Non portiamo al Signore delle lacrime sterili, che valgono quanto l’acqua del rubinetto, portiamo delle opere: «Unusquisque… mercedem accipiet secundum suum laborem: In paradiso, ciascuno avrà il premio secondo le opere che porterà»12. Opere! Dice Gesù: «Non omnis, qui dicit…: Domi-ne, Domine, intrabit in regnum coelorum; sed qui fecerit voluntatem Patris mei: Non tutti quelli che gridano e sospirano: Signore, Signore, entreranno nel regno dei cieli, ma quelli che
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avranno fatto la volontà del Padre mio che è nei cieli»13. Gesù operò sempre, prima nella bottega di Nazaret, poi nel ministero pubblico: «Quae placita sunt ei facio semper»14.

Oh, vorrei...!, ma di vorrei è lastricato l’inferno, dice

S. Teresa [d’Avila]. Ci vuole la volontà, non i vorrei, quella volontà che nel Vangelo è chiamata buona15 cioè efficace.

Ecco la conclusione: primo, una pietà forte; secondo, uno studio forte, ossia accettare la fatica che richiede; terzo, un apostolato forte; quarto, una formazione ed educazione umana forte. [Essere] persone di carattere, persone perseveranti, persone pazienti: ecco, le donne forti! Esaminiamoci su questi punti. C’è il pericolo che man mano che cresce la Congregazione ci si dimentichi un po’ e venga meno quella generosità che è più facile praticarsi allorché il numero è minore. Chiediamo questa fortezza e sappiamo confessarci se siamo deboli con noi stesse, con il male, se ci fermiamo in lunghe chiacchiere. Vi sono persone che non fanno altro, oggi, che lamentare il male della società. Ma, lavorate a toglierlo? C’è tanta ignoranza religiosa. Muovetevi a istruire, a esercitare l’apostolato! Che cosa sono certe lacrime sterili? Sono accuse al tribunale di Dio: conoscevate il male che bisognava togliere, conoscevate il bene che bisognava portare, che cosa avete fatto? Ma le Figlie di San Paolo in generale sono forti e, quando vedono il male, vorrebbero buttarsi con tutte le energie a toglierlo e, quando vedono il bene da fare, sono generose. Bisogna arrivare alle massime altezze nello spirito, nelle aspirazioni, nei sentimenti. Non perdetevi nelle piccole cose della giornata. I piccoli inconvenienti ci saranno sempre, in mezzo a questi facciamoci sante e adoperiamoli per santificarci e non per lamentarci. Non lasciamo la fatica agli altri e non lamentiamoci di ogni piccola difficoltà, di ogni piccolo disturbo o malessere: ciò sarebbe debolezza. Siamo forti e saremo cari a Dio!
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1 Meditazione, in dattiloscritto, carta pesante, manifesti della Sampaolofilm, fogli 6 (17x27). Si tratta con probabilità di una trascrizione di cui non si è conservato il nastro della registrazione. Dalla cronaca di don Speciale non risulta che il 25 marzo 1955, il Fondatore abbia tenuto alle Figlie di San Paolo una meditazione, perché scrive: “… Al mattino andò dalle Pie Discepole per la professione e verso le 10,30 partì per Parigi”. Le informazioni che le curatrici ricavano dal dattiloscritto sono: la meditazione è tenuta dal Primo Maestro, il 25 marzo 1955, e fa parte di un corso di Esercizi. Probabilmente fu tenuta a Roma.

2 “Soffrire grandi cose e con costanza”. Già dicevano i Romani che per ottenere grandi risultati erano necessarie grande attività e grande pazienza.

3 Cf At 9,11.

4 Cf Pr 31,10: «Una donna perfetta, chi potrà trovarla?».

5 Alfieri Vittorio (1749-1803), scrittore, poeta, drammaturgo italiano. Nella sua autobiografia scrisse queste parole rimaste famose.

6 Cf Mt 26,41: «Lo spirito è pronto, ma la carne è debole».

7 Prima della riforma liturgica del Vaticano II, durante la celebrazione del Mattutino e delle Lodi del triduo pasquale, si accendevano le 15 candele del candelabro triangolare posto davanti all’altare. Alla fine della recita di ogni salmo veniva spenta una candela. Rimaneva accesa solo quella posta sulla cima del candelabro, che si spegneva poi alla fine del Benedetto . Cf Breviarium Romanum, feria V in Coena Domini ..

8 Ct Mt 27,63: «E il terzo giorno risorgerò».

9 Cf Mt 11,12: «[Il regno dei cieli soffre violenza] e i violenti se ne impadroniscono».

10 Cf Gc 1,17: «Ogni buon regalo e ogni dono perfetto viene dall’alto».

11 Cf 1Cor 9,24: «Non sapete che nelle corse allo stadio tutti corrono, ma uno solo conquista il premio? Correte anche voi in modo da conquistarlo».

12 Cf 1Cor 3,8.

13 Cf Mt 7,21.

14 Cf Gv 8,29: «Io faccio sempre le cose che gli sono gradite».

15 Cf Lc 2,14: «[Gloria a Dio nell’alto dei cieli, e pace in terra agli uomini] di buona volontà» (Volgata).