Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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20. LA CARITÀ FRATERNA1



Questa mattina chiediamo al Maestro divino la grazia di praticare la carità fraterna, la carità vicendevole. Dice l’articolo 169 [delle Costituzioni]: «Soprattutto le suore vivano nella carità verso Dio e verso il prossimo, legge suprema della vita cristiana e della vita religiosa. Dalla carità nasce ogni buona e generosa disposizione dell’anima. La carità rende l’osservanza religiosa facile e grandemente meritoria»2. Poi si spiega come si pratica la carità. Particolarmente sono da osservarsi gli articoli 170-175 dove sono descritte le qualità, le condizioni, la pratica della carità. Anche S. Alfonso nel suo libro: La pratica di amar Gesù Cristo3 divide in dodici capitoli la parola di S. Paolo, e in ognuno spiega un carattere della carità4.

Dice l’articolo 175: «Le suore ricordino l’insegnamento di

S. Paolo: La carità è paziente»; senza la pazienza non è possibile praticare la carità, [perché] vi è sempre [qualcosa] da sopportare, come dice in altro luogo S. Paolo: «Ut discamus alter alterius onera portare»5. «La carità è benigna», cioè è sempre disposta a compatire, ad aiutare, a consolare, a incoraggiare, a interpretare in bene. «La carità non è invidiosa», perché l’invidia è un germe, un verme il quale rode il cuore. «Non è insolente», qualche volta certe risposte insolenti disturbano tanto la pace delle anime, dei cuori, delle sorelle. «La carità non si gonfia», cioè uno non si stima più buono dell’altro, non si compiace di qualche bella qualità che ha, o di qualche cosa che gli è riuscita bene e non esagera nel raccontarla a tutti. «Non è ambiziosa»: l’ambizione è voler sovrastare sugli
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altri, la carità cerca più di servire che di sovrastare. «Non cerca il proprio interesse»: ecco, l’amor proprio è contrario direttamente alla carità e finché c’è l’amor proprio non c’è l’amor di Dio, né l’amore al prossimo. Bisogna togliere l’amor proprio per mettere l’amor di Dio e l’amore alle anime. «Non si irrita», e può essere che sempre ci sia qualche ragione di irritarsi, anzi è naturale che succeda, ma non per questo si perde la pace. «La carità non pensa male»: la carità in primo luogo si ha da esercitare nei pensieri, non giudica quindi male, non pensa male, a meno che non vi sia il dovere di farlo per prevenire il male, ad esempio se le persone, andando in propaganda si dividono
o vanno ad alloggiare in certi posti e vi trovano pericoli, questo non è pensare in male senza ragione, ma si può pensare male del diavolo che gioca sempre per rovinare. «Non gode dell’ingiustizia», perché qualcuno è stato umiliato o ha ricevuto qualche torto. «Non gode dell’ingiustizia, ma si rallegra della verità»: che sempre si conosca la verità, finché è possibile su questa terra.

«Tutto scusa»: sa sempre compatire, scusare almeno l’intenzione. «Tutto crede»: non sospetta sempre che si voglia ingannare o che vi siano ipocrisie, finché non c’è la prova contraria. «Tutto spera»: spera sempre che un giorno [coloro che agiscono male] abbiano la grazia, si ravvedano, e tuttavia, quando si vede che il ravvedimento non viene, allora avere più carità verso la comunità che non verso gli individui. «Tutto sopporta»: chi è veramente caritatevole sopporta i torti, anche se è messo all’ultimo posto. Si ricordi pure l’insegnamento del Maestro Divino: «Imparate da me che sono mansueto ed umile di cuore»6. L’umiltà non è un atteggiamento esterno, oppure un complesso di parole che indicano quasi disprezzo di noi stessi, umiltà invece è la convinzione che siamo grandemente peccatori, che in confronto alle grazie ricevute non abbiamo fatto abbastanza progresso. E simili principi. Ci vuole proprio la convinzione! Quando i santi dicono: Sono il più grande peccatore, non lo dicono perché gli altri prendano l’occasione per lodarli, ma lo dicono per convinzione, confrontando le grazie
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ricevute e la corrispondenza data. Il Maestro divino dice ancora: «Mettiti a sedere all’ultimo posto»7. Per noi sempre tendere, preferire l’ultimo posto. Poi viene il comando di Dio che mette ciascuno al proprio posto, «in modo che chi comanda dimostri materna e dolce sollecitudine, e chi è soggetto filiale docilità, per unire le forze e tutto guidare al bene comune». Su questa regola, su questo articolo 175 merita proprio che si facciano alcune Visite, alcune meditazioni, sia per esaminarsi e sia per pregare, perché la nostra carità arrivi proprio ad essere qual è descritta da S. Paolo e dal Maestro divino.

Dice l’articolo 174: «Pratichino sinceramente il precetto della correzione fraterna, osservando però con sollecitudine l’ordine che la carità esige e che particolarmente conviene a persone religiose». Correggere bene! Le correzioni sono difficili a farsi bene e sono anche molto difficili ad accettarsi bene. E allora sarà utile che prima si preghi, si rifletta e [coloro che ricevono la correzione] non siano subito propensi a scusarsi, a difendere i propri errori, i propri difetti. «Che se in qualche caso il bene della sorella o della comunità richiede di riferire alla superiora qualche mancanza, nel far questo le suore devono essere mosse unicamente dalla carità», sia per fare del bene a qualche sorella, sia per fare del bene alla comunità. «Però non devono essere troppo facili a riferire alle superiore i difetti delle sorelle». Prima guardare noi stessi, tanto più che alle volte i nostri difetti sono maggiori di quelli degli altri, e perché, per tendenza naturale, per amor proprio, siamo più facili a considerare i difetti degli altri piuttosto che i nostri. Magari può essere che uno abbia una trave nel suo occhio, come dice il Vangelo, e intanto osservi la pagliuzza che è nell’occhio altrui8. Certamente la tendenza a riferire i difetti delle sorelle deve essere eliminata, corretta. Sempre, quando vi è qualcuna che ha questa tendenza, richiamarla subito a pensare ai propri difetti. Anche se qualche volta vi è l’obbligo di riferire, l’abitudine a farlo è un difetto grave e porta tante serie conseguenze in una comunità, sia per il governo, sia per la vita sociale e la
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vita della comunità. «Guardarsi da qualunque passione o fine non buono che a questo potesse indurle».

L’articolo 173 dice: «Particolare esercizio di carità per le religiose è la convivenza serena, familiare, cordiale, nella vita di comunità, con tutte indistintamente». Convivenza serena, quindi non è mai buono far pesare la vita o con taciturnità o con il far sempre eccezioni, o con il mostrarsi stanche di alcune persone o della stessa vita comune. Tuttavia vi sono persone che alle volte sono difficili da trattare e quindi è utile correggerle. E se una ha queste tendenze che non sono buone, poco per volta, pregando, potrà rimediare, cambiare. Certamente non tutti hanno lo stesso carattere. S. Paolo dice: «Ut discatis alter alterius onera portare: imparate a sopportarvi l’uno con l’altro». Vivere bene «in modo che la vita comune sia di conforto nelle pene e di incoraggiamento nelle difficoltà, e di sincera partecipazione nelle gioie» […]9. Questa convivenza deve portare a vivere l’ammonimento di S. Paolo: «Portate gli uni i pesi degli altri e così adempirete la legge di Gesù Cristo». Vi è però [nell’articolo 172] un punto su cui particolarmente dobbiamo fermarci: «Fra le suore vi sia mutua carità e comprensione, buon esempio vicendevole», ma è questa ultima parola da notare: buon esempio vicendevole nel fare le cose bene, nel pregare bene, «nella fedele osservanza, nel comune sentire e nel parlare». Vigilare su questi punti. Buon esempio vicendevole, perché l’esempio è una predica continua, e se gli esempi sono buoni è una predica buona, ma se gli esempi non sono buoni, e cioè non c’è l’osservanza religiosa, non c’è la puntualità, non c’è l’amore all’apostolato, non c’è lo spirito di raccoglimento, questi esempi si diffondono e si può arrivare fino al peccato grave. Dice l’articolo 507, 4. d): «La religiosa che trasgredisce queste prescrizioni (intende dire anche disciplinari) per motivo o fine non retto, oppure è di cattivo esempio o porta alla rilassatezza della disciplina e osservanza religiosa, pecca contro le relative virtù». E se porta veramente alla rilassatezza della disciplina religiosa in una casa, si può arrivare veramente al peccato grave.
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Le leggi della clausura sono ben descritte nelle Costituzioni, così il modo di comportarsi, le relazioni da tenere, il modo di trattare con i singoli, e si parla anche delle librerie10, infatti gli abusi, specialmente su certi punti, [possono verificarsi] nelle librerie. Quindi si ha da usare sempre la brevità. Ora, sopra questi punti ci sia la correzione fraterna.
Qui non è ancora il caso di fare un richiamo, tuttavia può essere che venga utile in seguito. Negli uffici di distribuzione delle pellicole bisognerà usare ancora più attenzione che nelle librerie. Ora, non avete ancora questo ufficio, questo apostolato diffuso e ben impiantato, ma bisognerà arrivarci. Nelle librerie, specialmente quando si arriverà alla distribuzione delle pellicole, allora ci sarà maggior bisogno di vigilanza: usare più attenzioni per la cura dell’apostolato del cinema, più vigilanza e anche maggior delicatezza nel trattare, nel parlare, nella stessa distribuzione o scelta della pellicola [secondo] se si tratta di una parrocchia o di un collegio, ecc. Noi camminiamo su una via che è sempre un po’ pericolosa.
Allora bisognerà al mattino pregare meglio, fare bene la Comunione, far bene la Visita, e quando uno si accorge di un pericolo anche minimo, sarà bene che ne parli con chi guida, e quindi: trattenersi, moderarsi, richiamarsi, correggersi, confessarsi, secondo le necessità.
Perciò, buon esempio vicendevole nella pietà! «Vi siano anche i comuni segni esteriori di cortesia religiosa, di educazione e cordialità che a tutti, ma in modo particolare, convengono alle persone consacrate a Dio»11. E poi concludiamo con il pensiero che è sempre da ripetersi: «Le Figlie di San Paolo, però, nel comportamento fra di loro e con le superiore, come anche nel trattare con gli esterni, devono sempre essere semplici, svelte, fattive, evitando i modi artificiosi e cerimoniosi»12. Queste parole sono molto importanti: «semplici, svelte, fattive, evitando i modi artificiosi e cerimoniosi», e non badare troppo

a: Ma qui si fa così, ma qui la gente è in questo modo. Le
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Figlie di San Paolo sono Figlie di San Paolo, e devono essere così: quindi, semplici, attive, svelte. In generale, perché si arrivi a questo è anche molto importante che nell’educazione si badi alla sostanza delle cose, non alle proteste, alle cerimoniosità e a tutto quello che è soltanto esteriorità. Vera carità, vera virtù, vero zelo, vero amore alle anime, vero amore alla vita religiosa: la sostanza delle cose! E il Signore vi benedirà sempre di più. Potrete progredire di giorno in giorno, e non solamente le singole, ma anche tutta la comunità, così fare sempre maggior bene a questa nazione, maggior bene a queste anime a cui siete mandate.
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1 Meditazione tenuta durante gli Esercizi spirituali a San Paolo (Brasile), il 24.11.1955. Trascrizione da registrazione su nastro magnetico: A6/an 18b ac 32b.

2 Cf C ostituzioni della Pia Società Figlie di San Paolo, ed. 1953.

3 Questa opera di S. Alfonso M. de’ Liguori fu pubblicata nel 1768, ed è presente nel catalogo paolino fin dal 1922. Dal Primo Maestro fu consigliata alle Figlie di San Paolo e frequentemente citata nella sua predicazione.

4 Cf 1Cor 13,1-13.

5 Cf Gal 6,2: «Portate gli uni i pesi degli altri».

6 Cf Mt 11,29.

7 Cf Lc 14,10.

8 Cf Mt 7,4-5.

9 Originale: che possono trovare le sorelle .

10 Cf Costituzioni della Pia Società Figlie di San Paolo , ed. 1953, artt. 278-279.

11 Cf ibid. , art. 172.

12 Cf ibid.