Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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VI

ANCORA AMMINISTRAZIONE PAOLINA -
DIAVOLO MERIDIANO


In generale sono buone econome le suore che amano e praticano bene il settimo comandamento e insieme il voto di povertà. Vi è però da notare che nella Chiesa di Dio sono due le cose da considerarsi: il lavoro, da cui deve venire il vostro ordinario sostentamento, e la beneficenza. La Chiesa è una società. Per entrare in una società ognuno deve pagare delle tasse; anche per associarsi nell’Azione Cattolica1 occorre versare la quota. E particolarmente nello stato, che è società civile, tutti devono contribuire con le imposte, le quali sono anche proporzionate, se sono ben distribuite, alle entrate. Altro è per l’operaio che stenta a ricavare il vitto per sé e per la famiglia, altro è per il benestante che ha entrate abbondanti e perciò deve contribuire alla comunità abbondantemente. E allora vi sono le imposte progressive, le quali si estendono anche alle successioni.
La Chiesa, in generale, invece ha un sistema diverso perché è una società spirituale e soprannaturale e vuole che tutto sia fatto in carità, tutto per amore a Dio e alle anime. In questa società l’apostolato deve dare il necessario sostentamento [dei membri] e per le opere straordinarie deve supplire la beneficenza.
Quindi la Famiglia Paolina deve ricavare il necessario dalla redazione che, essendo
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il primo lavoro, il più necessario e il più difficile, dev’essere meglio retribuito, ricavarlo dalla tecnica, cioè dalla stampa delle pellicole e dei libri, ricavarlo dalla propaganda delle pellicole e del libro: di qui deve venire il sostentamento ordinario dell’Istituto. La vita ha le sue esigenze e le esigenze devono essere soddisfatte con il nostro lavoro.
Nella Costituzione Apostolica «Sponsa Christi»2 Pio XII parla quattro volte del lavoro che devono fare le suore. È giusto, perché noi dobbiamo tutti contribuire alla società civile, alla Chiesa e al mantenimento della Congregazione. Nessuna quindi deve mettere da parte il lavoro, nessuna deve stare ad assistere che cosa fanno gli altri. Tutti, tutti devono spingere il carro, perché se tutti diamo una mano e una spinta, il carro potrà procedere, ma se si sottraggono le forze, può darsi che il carro non proceda, e non si progredisca. Non sentiamo questo dovere? Quando una figlia arriva a diciotto, venti, ventidue anni, prende una strada, si forma una famiglia e deve lavorare e produrre per quei bambinetti che il Signore le manda. Ora i doveri naturali, come questo, non cessano entrando in un istituto religioso, continuano.
D’altra parte in paradiso tutto è attività: si riposa dalle opere presenti, ma si entra in quelle opere che sono di attività altissima e cioè in quella attività altissima in cui è Dio stesso, che è atto puro. [Dio] non sta in potenza, ma sta sempre in atto, non che possa fare, ma fa sempre. Tuttavia noi uomini materiali capiamo poco, ma in paradiso si starà in attività somma, tutte le nostre potenze passeranno in attività.
Si arriva al paradiso facendo lavorare tutte le nostre
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potenze: volontà, cuore, corpo, occhi, lingua, tutto. Se vogliamo godere un grande paradiso, bisogna che stiamo in grande attività. Attività che non è solamente il già considerato lavoro fisico, come la propaganda, ma [anche] il lavoro della penna, l’apostolato della sofferenza, l’apostolato della preghiera; di questo deve vivere la Congregazione, del suo lavoro inteso nel senso più ampio.
Nella Chiesa di Dio, poi, è sempre stata considerata la beneficenza. Pensiamo come faceva Gesù Maestro e come faceva S. Paolo, il nostro padre: lavoravano e davano in elemosina. S. Paolo nelle sue lettere ha diverse pagine in cui non solo difende se stesso [dicendo] che non era stato a carico di nessuno, ma «ministraverunt me manus istae: ciò che ho mangiato me lo son guadagnato con queste mani»3, con questi calli. E li mostrava. D’altra parte S. Paolo era colui che fra gli Apostoli meglio ha raccomandato la beneficenza. Egli stesso si è fatto raccoglitore e si può dire che faceva continue collette4. Quando la Chiesa di Gerusalemme si trovava in povertà, egli andava raccogliendo nella Macedonia, nella Grecia, ecc., e voleva che ognuno mettesse da parte qualche piccola somma ogni giorno, per fare alla fine un’offerta più abbondante.
Su questo argomento è stato pubblicato, molto tempo fa, un articolo abbastanza lungo sul Cooperatore : «La beneficenza nei primi secoli della Chiesa»5.
A che cosa contribuisce la beneficenza? Per le opere nuove,per le necessità straordinarie. Si deve costruire una chiesa? È un’opera nuova e devono tutti contribuire, perché tutti la useranno. Se si va al teatro si paga. Ora si va in chiesa,
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bisogna considerare che ha avuto le sue spese. Ancor più per le necessità maggiori. Tra le necessità maggiori vi è certamente quella delle vocazioni le quali maggiormente richiedono delle entrate. Se gli studi sono ben organizzati, siccome l’Istituto ha maggior bisogno di suore istruite, deve lasciar loro il tempo di studio e impiegare le suore che sono necessarie per l’insegnamento. Questa è cosa straordinaria, perciò cercare la beneficenza è dovere. Considerate le opere della Chiesa, sono tutte opere di beneficenza. I vescovadi sono stati fatti per beneficenza, i seminari, gli istituti religiosi, le chiese, gli altari, tutto viene fatto per beneficenza.
Dobbiamo avere sempre presente questo dovere: chiedere la beneficenza.

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Vi sono tanti diavoli. Non vi è solo un diavolo del mattino, ma vi è anche quello del mezzogiorno, della sera e della notte. I diavoli si danno il turno per tentarci, il loro lavoro è continuo, notte e giorno.
Che cosa s’intende per diavolo meridiano? La vecchia traduzione dei salmi diceva: «A demonio meridiano…: Signore, liberaci dal diavolo del mezzogiorno»6. La traduzione nuova è più forte: «Pernicies quae vastat meridie: il complesso dei mali che guastano le anime nel mezzodì della vita»7.
Ogni epoca della nostra vita ha dei pericoli. La giovane è più inclinata alla golosità: viene dalla natura, deve crescere e quindi ha più fame. La giovane più adulta inclina più facilmente
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alla lussuria, perché si sviluppa in lei quella tendenza che è messa da Dio, ma che deve essere regolata: la tendenza dell’unione dell’uomo con la donna. Più tardi viene la superbia: dai venticinque, ai trenta, ai trentacinque, ai quarantacinque anni, e anche più avanti. Invecchiando si diventa avari. Perciò bisogna vedere quali sono i diavoli che tentano nelle varie età della vita. Ho accennato alle quattro passioni che accompagnano l’uomo: golosità, lussuria, orgoglio, avarizia.
Non appena si è emessa la professione, spesso incominciano le tentazioni contro la perseveranza. Per quali motivi? Ne abbiamo tre, e quel complesso di mali che disturbano a metà della vita dai venti ai quarant’anni va spiegato anzitutto con la presenza del diavolo: «quae vastat meridie».
Oh, il diavolo! Il merito della professione religiosa non sta nel cominciare. Il sacerdote, quando riceve la professione religiosa dice: «Se sarai fedele, se sarai perseverante, a nome di Dio ti prometto che riceverai il centuplo e possederai la vita eterna»8. Se sarai fedele ai tuoi voti, se sarai perseverante... Il diavolo che guasta tante vocazioni sul nascere tenta anche a mezzogiorno.
Gesù avvertiva gli Apostoli: «Ecco, satana si avvicina a voi per vagliarvi come si vaglia il grano per separarlo dalla scoria»9. Chi si mette al servizio di Dio prepari la sua anima alla battaglia. Allora il diavolo che entra in battaglia, che cosa fa? Tenta contro la perseveranza; non tenta subito di lasciare la via, ma di rallentare il passo, di diminuire il fervore.
Inoltre la causa principale per cui si risvegliano certe passioni, specialmente quella tendenza che è innata nella donna, ma che voi avete offerto al
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Signore, la tendenza alla maternità, è la mancanza di fervore. Il fuoco impuro allora si accende e divampa. Qual è la causa quindi di certe debolezze? La causa per cui viene una specie di pentimento, la causa per cui quasi si invidia quella mamma che è circondata dai suoi bambini, ecc.? La diminuzione del fervore. Occorre che il fuoco dell’amor di Dio invada tutto il cuore, in modo che non resti più niente di esca al fuoco impuro. Perché si è entrati? Perché c’era il fervore, perché c’era amore a Dio, [c’era] desiderio di essere tutti di Dio. Se questa motivazione per cui si entra non si mantiene sempre e non si alimenta, allora non si sentirà più né la bellezza della vocazione, né la gioia di essere di Dio, né la riconoscenza al Signore che ha chiamato, né quell’entusiasmo all’apostolato che sostiene, né quell’amore alla Congregazione. Ecco perciò la prima manifestazione: amare più la famiglia naturale che la Congregazione. Il diavolo sotto l’aspetto del quarto comandamento manda in aria tutto quel programma di vita che ti eri fatto nella professione.
Il diavolo meridiano: il fuoco impuro, prima causa; l’orgoglio, seconda causa. Non mi hanno messa superiora. Ognuna si crede di avere già un certo numero di doti. Ma questo è orgoglio! Alle volte si mette una superiora e poi si vede che non ha le grazie e si toglie. Allora malinconie e scoraggiamenti; e non sa più dire al Signore: Ecco, è una grazia che debba solo occuparmi di me, e cominciare ad entrare più in intimità con te. L’orgoglio per cui si crede di essere trascurate, di essere messe da parte, porta a un certo scoraggiamento con l’apatia, con la
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freddezza. Il diavolo non aspetta altro che di vederci indeboliti. Quando tu sarai indebolita nello spirito, farà l’ultimo sforzo: uno spintone e ti butta a terra. Anche se tu fossi entrata senza vocazione: «Fatti chiamare»10, dice S. Agostino. Dì al Signore: Sono entrata, ci sono, e dammi le grazie. E si avranno, purché si preghi.
Terza ragione: non sempre le superiore sanno trattare convenientemente le giovani appena professe. Devono farsi mamme. Aiutarle perché sono nei primi passi, perché sentono delle difficoltà che prima non sentivano, perché non hanno tutti i buoni esempi in casa, perché magari in quella casa particolare non regna la carità. In noviziato trovavano facile andare dalla Maestra e subito venivano sciolte le loro difficoltà. Adesso non trovano più quella comprensione, quel compatimento: si vorrebbe che quella che ha venticinque anni fosse come quella che ne ha sessanta. La vivacità delle giovani si deve comprimere? No, si deve darle uno sfogo in un apostolato più fervente. Dare l’occasione di uno sfogo.
Poi queste giovani non trovano neppure al loro ritorno dalla propaganda, dalla libreria, dalla sala di noleggio, quell’accoglienza, quello spirito materno che voi avete offerto al Signore, nel senso naturale, ma che ci deve essere soprannaturalmente, nato dall’amore alla Congregazione, specialmente per chi è più debole, per chi è più giovane. Affetto, aiuto! Che la casa sia composta in una santa gioia, in maniera che quando si ritorna da fuori si trovi accoglimento materno e paterno. Bisogna farsi anche forti per sostenerle. Governare è amare, ma in certi casi bisogna mostrarsi: babbo e mamma, [così] si supereranno tante cose. Babbo, che
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è la forza, mamma, che è bontà. E con merito: sia di chi guida, che è la superiora, sia di chi è guidato, che è la suora.
Il diavolo tenta contro la perseveranza, perché il paradiso è promesso a chi comincia, ma è dato a chi persevera: «Qui perseveraverit usque in finem, hic salvus erit»11.
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1 Cf Pr6, med. 30, nota 5.

2 Cf Med. varie, n. 10, nota 23.

3 Cf At 20,34.

4 Cf Rm 15,26; 1Cor 16,1-2.

5 Non è stato rintracciato il Cooperatore che ha pubblicato questo articolo, tuttavia nel libro Date e vi sarà dato , Autori vari, Pia Società San Paolo, Alba 30 .09. 1934, pp.225-232, che raccoglie articoli sulla beneficenza, vi è un capitolo dal titolo“La beneficenza della Chiesa nei primi tempi apostolici”.

6 Cf Sal 90,6 (Volgata).

7 Cf Sal 91,6.

8 Dal Rituale della Pia Società Figlie di San Paolo, 1945, “Rito per la professione religiosa”, p. 43.

9 Cf Lc 22,31.

10 Cf S. Agostino, Contra Petilianum, 2: «Tu ergo attende quo voceris, et unde revoceris: Tu, dunque, considera per che cosa sei chiamato e da dove sei richiamato».

11 Cf Mt 10,22: «Ma chi persevererà fino alla fine sarà salvato».