Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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14. INDICAZIONI PER L’APOSTOLATO1



La nostra Famiglia ha delle difficoltà speciali, perché deve accompagnare i tempi e sempre aggiornarsi. La difficoltà è doppia: una per le superiore, le quali devono studiare i nuovi problemi e poi provvedere secondo i nuovi bisogni con i mezzi nuovi; inoltre si richiede molta docilità da parte delle suddite, perché siano pronte a eseguire. Ci vuole ancora istruzione, e nelle superiore e nelle suddite. Così possiamo accompagnare gli uomini di tutti i tempi e secondo i loro bisogni. Sarebbe un errore questo: voler correre dietro a tutte le novità e non voler considerare le novità. Considerare sempre le novità con prudenza. La prudenza è l’occhio dello zelo. La prudenza non vuol dire far niente, vuol dire invece fare con oculatezza dopo molta preghiera. E da parte delle suddite occorre che sempre si uniformino ai desideri delle Maestre.
Oggi abbiamo da migliorare la propaganda: da individuale e familiare farla diventare propaganda collettiva. Qualche volta bisogna imparare dagli avversari, e abbiamo veduto in Italia come si organizzano i nostri avversari. Mi pare che anche in Canada adesso sarebbe il caso di stabilire i comitati o sezioni dei cooperatori: cooperatori intellettuali che scrivono, traducono; cooperatori nella parte tecnica, anche se qui, avete ancora da cominciarla; cooperatori anche nella propaganda, e questi possono essere i parroci, i direttori di istituti e anche i librai, e poi tutti quelli che presiedono a qualche associazione. L’anno scorso siamo entrate in molte società e fabbriche. Alla FIAT2 abbiamo dato un gran numero di libri perché venissero distribuiti agli operai, libri pagati dalla società stessa. Occorre entrare gradatamente e operare secondo le diverse circostanze, e anche secondo la fede e le disposizioni delle persone.
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Riguardo alla propaganda collettiva oggi c’è molto da dire. Bisogna che la propaganda non sia fatta soltanto con dei passi, ma sia fatta con intelligenza oltre che con amore. Conoscere ciò che si porta, e nello stesso tempo saper proporzionare ai bisogni delle anime quello che diamo.
La cooperazione tra la Società San Paolo e le Figlie di San Paolo in alcuni punti è ancora molto da studiare, tuttavia vi è già una linea di condotta che può portare grandi frutti, maggiori frutti, sia all’una che all’altra parte. Pregando troverete le vie. Il diavolo è il principe delle discordie, invece lo spirito di Gesù Cristo è questo: «Ut unum sint: Che siano una cosa sola»3. È questa l’ultima preghiera di Gesù Maestro, […]4sempre la discordia e la divisione sono il primo nemico. Perciò Gesù nell’ultima preghiera quattro volte domanda che siano uniti, che siano una cosa sola: «Ut unum sint, come io e te, o Padre, siamo una sola cosa»5.
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15. IL FINE DELLA VITA PRESENTE1


[I. Conoscere, amare, servire Dio]


Poniamo questo ritiro mensile sotto la protezione di Maria Regina del Rosario: Regina sacratissimi Rosarii! Il Papa Leone XIII ha voluto che si dicesse non Regina Rosarii, ma sacratissimi Rosarii, perché il rosario è una fonte di grazia grandissima, perché il rosario è graditissimo a Maria, perché il rosario porta alla cristianità e anche per noi innumerevoli frutti.
Allora, che argomento scegliere per questo ritiro? Siamo in una circostanza in cui gli argomenti sarebbero tanti, come Cristo Re, i Santi, i Defunti, ma penso che sia bene prendere un argomento generale: «Ad quid venisti?: Per che cosa sei venuta qui?»2. Queste parole S Bernardo le rivolgeva a se stesso e anche ai suoi religiosi. Adesso noi le capiamo in un senso più largo di come egli le intendeva: Perché sei venuta nel mondo, perché sei creata; secondo, perché sei stata fatta cristiana e membro della Chiesa; terzo, perché sei religiosa e religiosa paolina, perché sei in questa particolare casa. Vediamo di rispondere in qualche maniera a queste domande, e nello stesso tempo di ricavarne buoni propositi.
Perché sei creata? Perché siamo creati? È chiaro, lo dice il catechismo: Per conoscere, amare, servire il Signore e per andare a godere Iddio in eterno, in paradiso. Queste cose si dicono molto spesso e io molto spesso le ho già ripetute, perché qui sta la somma della sapienza. Del resto il libro dei Proverbi , il libro dell’ Ecclesiaste , il libro intitolato Sapienza è tutto qui, ed è tutto qui il Vangelo: è questa la summa vitae, la somma della vita, e cioè la sostanza della vita. Vi può essere uno che
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sappia queste cose e ne tragga profitto e, sebbene possa essere ignorante nelle scienze naturali e possa essere un povero uomo non considerato, tuttavia sia più sapiente di quelli che si siedono sulle cattedre dell’università. Può essere che uno sieda sulle cattedre dell’università e non abbia questa sapienza così elementare: Sono creato per il paradiso. Tutti, qui. La [vita sulla terra] è una semplice prova durante la quale devo conoscere, amare e servire Dio, e qui c’è tutto. Quando la vita si conchiude, vado nell’eternità, o sempre salvo o sempre perduto. Guardatevi attorno.

Qui in Bogotà, nella Colombia, ci sono molti abitanti, nel mondo ci sono molti uomini. Ma poco tempo fa questi non c’erano, e cento anni fa, ad esempio, vi era tutt’altra gente; adesso dove sono? Quelli che abitavano queste case, che stavano in queste vie, quelli che facevano quei lavori, che occupavano quegli uffici, che andavano in quelle scuole; quelle suore, quei sacerdoti che c’erano, non ci sono più. Ci sono altri, adesso ci siamo noi, e di qui a un poco ci saranno altri. Qui ci mette il Signore per un po’ di tempo, per conoscerlo, amarlo e servirlo, e poi egli ci attende in paradiso. Egli però vuole che noi il paradiso lo desideriamo, lo vogliamo davvero; e per il paradiso lavoriamo con sincerità, con generosità.
E a persone come siete voi, che egli ama in modo speciale, ha dato una vocazione speciale perché arrivaste a conoscerlo meglio, ad amarlo di più e a servire perfettamente lui, quindi avere in eterno un posto più bello in cielo. Ecco, il Signore ci vuole salvi: «Deus vult omnes salvos fieri»3, è di fede. Egli ci vuole tutti salvi per sé. Però ci ha sottomessi a una prova, vuole che noi dimostriamo davvero di voler essere salvi, di voler il paradiso e di volerlo amare. Se dobbiamo andare ad abitare eternamente in cielo, bisogna che vogliamo andarci, che ci piaccia il paradiso e lo desideriamo, che facciamo tutto il possibile per arrivarci. Per entrare in questa Congregazione, voi l’avete conosciuta, l’avete amata, ci siete entrate per lavorare secondo il suo spirito. Così, qualche cosa di simile per il cielo. Il Signore mette delle condizioni, perché i cittadini del
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cielo sono tutti volontari, egli non prende uno per i capelli e lo pianta in paradiso, no! Il Signore ci invita, ma ci lascia liberi; nello stesso tempo minaccia con l’inferno chi non accetta l’invito. Mette delle condizioni, delle prove.

Quando Iddio creò Adamo ed Eva li dotò di grandi beni, perché desiderava che fossero felici e dopo la vita presente fossero felicemente assunti in cielo, alla gloria eterna, al gaudio eterno in Dio, con Dio. Però dovevano dar prova che amavano Dio, che volevano davvero quel paradiso che era loro promesso. E sapete quale fu la prova: il Signore proibì loro di nutrirsi di un certo frutto, minacciando la morte se essi avessero trasgredito il suo comando. Mentre stavano così bene e avevano [a disposizione] ogni sorta di frutti, uno più saporito dell’altro, Eva andò a prendere quell’unico frutto proibito suggestionata dal diavolo. Così essi non superarono la prova. Il Signore venne, inflisse il castigo e, come aveva minacciato, li privò della vita soprannaturale e di tanti beni che con essa avevano ricevuto. Poi annunciò i castighi: Mangerai il pane con il sudore della tua fronte…, alla donna che avrebbe avuto pene speciali, e al diavolo che aveva tentato, un castigo particolarissimo. Annunciò la prova, la caduta e anche la vittoria che la vergine avrebbe riportato su di lui4.
Così a noi il Signore offre il paradiso, ma prima vuole che subiamo una prova, e cioè [dimostriamo] che lo amiamo e gli vogliamo bene. La prova si divide in tre punti: primo, conoscere Dio, prova della fede; secondo, amare Dio, prova dell’amore; terzo, obbedienza, fedeltà, sottomissione, prova della volontà. Per andare in paradiso, [è necessario] conoscere Dio e credere alle verità che riguardano Dio; che abbiamo fede viva: «Senza la fede è impossibile piacere a Dio»5; che crediamo di dover servire Dio nella vita per avere il paradiso, e che dopo la vita c’è un giudizio particolare al quale ci presenteremo; che vi è un grande premio per i buoni, cioè il paradiso, e crediamo al paradiso, e un castigo per i cattivi, e crediamo all’esistenza dell’inferno. Crediamo che alla fine del mondo l’anima si riunirà al
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corpo, cioè ci sarà la risurrezione finale, e tutti ci raccoglieremo innanzi a Dio per sentire l’estrema sentenza: «Andate, o maledetti…; hi ibunt in ignem aeternum», e i cattivi andranno con i demoni nel fuoco eterno; i buoni con gli angeli: «Venite,

o benedetti…; iusti autem in vitam aeternam»6.

E da qui segue poi un’eternità interminabile, dove non c’è successione di tempo, sempre il presente che non passa mai. E il dannato starà sempre fra quelle pene, e il beato sempre fra quei gaudi. Sempre così, mai una mutazione, un cambiamento. Non sarà come adesso che se facciamo un peccato si va a confessare per scancellarlo. Colui che è morto in peccato rimarrà in eterno in peccato e non potrà ricevere il perdono. E colui che è salvo in eterno non potrà mai più peccare, quindi sarà beato per sempre. Prova di fede: crediamo che Dio perdona per mezzo della Confessione, della Comunione; crediamo al sacrificio della Messa; crediamo al grande frutto della Comunione; crediamo che ogni piccola azione, ogni piccolo sacrificio, anche il minimo atto di virtù, il minimo atto di amor di Dio, la minima obbedienza riceverà il premio eterno. Fede viva! Ecco, vi è la fede dei santi e vi è la fede di coloro che in teoria credono qualche cosa, ma quella loro fede è morta: «Fides sine operi-bus mortua est»7.
Fede viva! Abbiamo fede viva, ma per conoscere Dio bisogna studiare il catechismo e fare atti di fede, bisogna ascoltare le prediche e fare atto di fede in quello che viene detto. Fede viva! E prendere tutti gli insegnamenti della Chiesa e credervi davvero; istruirsi nella religione, leggere il Vangelo, la Bibbia e fare atto di fede in quello che là è scritto o detto: fede viva! Conoscere Dio. Siamo qui per conoscere Dio. C’è chi conoscerà di più perché avrà più studio, chi conoscerà di meno perché avrà meno studio, ma quanto a fede viva, una donna che non sappia leggere né scrivere può averla più grande di un grande teologo che sa discutere degli argomenti più alti. Per conoscere Dio non basta lo studio, ma ci vuole la fede: credere! Vi sono delle persone che, per esempio, dicono con grande convinzione:
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Questa pena, quell’altra, tutto per il paradiso! E lì c’è tutto, pensano cioè che l’ha permessa Dio e che alla fine darà il premio. I due articoli principali della fede sono: «Credere quod Deus est et remunerator»8. Quante persone semplici che non hanno studiato o hanno studiato poco andranno in paradiso più in alto di quelle che hanno studiato, perché la fede in quei principi, in quelle verità fondamentali in loro è viva, sentita, operosa, pratica.

Secondo: prova di amore: conoscere e amare il Signore. Amare il Signore significa volergli bene, voler bene a Gesù che sta nell’Eucaristia, quindi belle Comunioni, belle Messe, belle Visite, vuol dire amare il paradiso, desiderare il paradiso per restare eternamente con Dio, perché chi ama una persona, desidera di vederla, di conversare con essa. Amare il Signore vuol dire amare la sua volontà, fare quel che piace a lui, fuggire e lasciare ciò che gli dispiace. Amare il Signore! Voi lo preferite a tutti i beni della terra, infatti avete preferito Iddio a tutto quello che poteva offrirvi una vita in famiglia. Avete cercato Dio, sommo bene ed eterna felicità, e che il cuore fosse tutto pieno di Dio. Cuore umile, cuore generoso, cuore pio, cuore sempre puro: un bel cuore che ama Gesù, e in Gesù ama le sorelle e tutte le anime. Bisogna escludere però l’amore alle cose estranee a Dio, a ciò che non ci conduce a Dio. Ora, amare Gesù è anche amare la sua famiglia religiosa, la vostra famiglia religiosa; amare le vostre Costituzioni, amare la Chiesa, amare tutte le anime e desiderare di far loro del bene; amare le sorelle e le Maestre e le vocazioni; in sostanza amare le cose divine. Che il cuore si concentri lì, che non ci siano simpatie, antipatie, rancori, malevolenze, orgoglio, tutti sentimenti cattivi che possono nascere nel nostro cuore; ma sono male se vengono acconsentiti, e se non sono acconsentiti e si rigettano non sono male, anzi diventano meriti.
Il Signore poi ci ha sottoposti a una prova di fedeltà, cioè di obbedienza: osservare tutti i comandamenti. Fedeli, cioè obbedienti ai comandamenti di Dio, sia nella parte positiva, in quello che dispongono, sia nella parte negativa, in ciò che
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proibiscono. Quindi esaminarci sui comandamenti, se facciamo la volontà di Dio. Prova di fedeltà inoltre per chi ha i voti e deve osservarli, perché i voti si potevano non fare, ma una volta fatti, sono da osservarsi. «Vovete et reddite: fate i voti e adempiteli»9, così prega il salmo.

L’obbedienza si estende a tutto ciò che è disposto in casa, nell’Istituto, quando [i superiori] mandano in un posto, e quando mandano in un altro; quando danno un ufficio e quando ne danno un altro; quando dispongono un orario o ne dispongono un altro; quando assegnano un apostolato e quando ne assegnano un altro: l’obbedienza fatta minutamente, non con scrupolo, ma in tutte le cose, con delicatezza. [Obbedienti] anche nelle piccole cose che riguardano la persona, oppure nei piccoli lavori: sempre vigilanti, attente come le vergini prudenti. Ecco, la prova di fedeltà a Dio!
Il Signore vuole due cose: prima, che non facciamo niente contro la sua volontà, quindi schivare assolutamente il peccato, schivare il peccato grave, e ancor di più, per modo di esprimersi, la religiosa deve combattere il veniale per non arrivare al mortale; evitare perciò il peccato che è contro la volontà di Dio. L’altra cosa è: la religiosa non deve cercare il bene da fare, questo deve essere assegnato da chi guida la Congregazione o la casa. La differenza tra la vita della buona cristiana e la vita religiosa sta qui: una buona giovane sceglie il bene da fare: Vado a Messa alla tale ora, mi do a queste opere caritative, per esempio alla cura dei poveri, oppure all’Azione cattolica. La religiosa invece non deve scegliersi il bene, esso è già scelto con i voti, cioè: Accetto tutto quello che diranno, che disporranno i superiori, tranne in caso di impossibilità; allora potrà presentare la difficoltà con la disposizione di eseguire poi ugualmente l’ordine se viene confermato.
Questo scegliere il bene, questo desiderare una cosa piuttosto che un’altra è contrario alla vita religiosa. Il religioso non ha né il nolle né il velle, dicono gli asceti, la religiosa non ha né il voglio né il non voglio, ha solo il sì. Come la Madonna: «Ecce ancilla Domini, fiat mihi secundum verbum
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tuum»10; sono venuta per servire il Signore, dargli prova di fedeltà, quindi, ditemi che cosa devo fare. Accogliere perciò con animo grande e fare sulla terra la volontà del Signore così bene, come la fanno gli angeli in cielo: «Fiat voluntas tua sicut in coelo et in terra»11. «Non sicut ego volo, sed sicut tu, diceva Gesù al Padre celeste: Non come voglio io, ma come vuoi tu»12. E questa prova può esser di dieci, di venti, di cinquant’anni, e alcuni santi sono morti giovanissimi, alcune sante sono morte giovanissime, altre sono andate più avanti, altre in tarda età, ma la santità è sempre la stessa: fede viva, amore sincero a Dio, fedeltà o obbedienza a Dio, poi paradiso eterno. Guardare spesso il cielo. Nella vita passiamo tra tante vicende, però il paradiso è eterno, arriviamo finalmente13…[al paradiso]. «Beatus vir cum probatus fuerit accipiet coronam vitae: Beata la persona che avendo subito questa prova riceve la corona»14: il paradiso! Prova di fede: conoscere Dio, prova di amore: amare Dio, prova di fedeltà: servire Dio. Vedete, qui sta tutta la sapienza di un’anima.

In questo giorno arrivate a esaminarvi sulla fede, sull’amor di Dio e sopra la fedeltà o obbedienza, a esaminarvi profondamente. Non tutti sulla terra guadagnano un premio uguale, perché saremo giudicati secondo le opere; perciò, siccome non tutti fanno ugualmente l’obbedienza o amano ugualmente il Signore e hanno un’uguale fede, vi sarà diversità nel premio. Voi però aspirate in alto, tutte, con coraggio: Voglio farmi santa, voglio farmi presto santa, voglio farmi grande santa15. Ricordiamo sempre che la santità è quella del Vangelo, non quella che alle volte ci facciamo noi nella nostra testa; quella del Vangelo è l’osservanza esatta di quanto nostro Signore Gesù Cristo ci ha insegnato con l’esempio e con la parola.
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[II.] Lavoro spirituale


[…]16 [Una suora diceva durante] gli Esercizi: In questa meditazione, in questo esame di coscienza, mi sono accorta di essere andata indietro, di avere più difetti di una volta. E allora può dire: Sono stata pigra, perché ci sono realmente quegli stessi difetti di una volta. Se uno ne ha scoperti dei nuovi è segno che si esamina, che lavora interiormente, ma se ha sempre i difetti, i peccati di una volta, è segno che è stato pigro, che non ha progredito. Perciò da una parte mai farsi scrupoli, lo scrupolo è una malattia e, finché potete, le malattie mettetele fuori dall’uscio. Quindi niente scrupoli, ma la delicatezza di coscienza ci vuole. Delicatezza significa non ammettere nessun peccato volontario, neanche il minimo, volontario dico, [perché] dei difetti involontari ne avremo sempre.
E, secondo, delicatezza di coscienza vuol dire far conto delle piccole cose, delle piccole virtù, far le cose bene con perfezione, applicarsi con attenzione allo studio se uno studia, all’apostolato se uno fa l’apostolato, alla propaganda se una va in propaganda, e agli altri lavori, fosse pure la cucina o ciò che riguarda la propria persona, ecc. Questa delicatezza di coscienza è segno che si progredisce.
Ma se uno comincia a dire: Questo non è poi grave, questo non m’impedisce la Comunione, questo non mi merita l’inferno, ma solo il purgatorio, di là si esce ancora..., oh, che programma da pigri! Bisogna accusare allora: Io sono stata pigra. Chiamiamoci con il nome che meritiamo: Sono un pigrotto, sono una pigrotta, come diceva e suggeriva alle sue suore il Cottolengo, che sapeva bene, con tante suore che aveva, se poteva esserci o no progresso. Questo non lavorare interiormente credo sia il peccato più grave che noi religiosi possiamo fare, perché il nostro mestiere è proprio quello di perfezionar

ci. Quindi il non progredire è proprio cosa da accusare, almeno davanti a Dio, se non come un peccato positivo. Supponiamo quel che capita alle volte alle Figlie di San Paolo. Vanno in propaganda e dicono: Questa parrocchia come va male! Bambini
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al catechismo non ce ne sono, gente alla predica non va, ai sacramenti e alla Messa se ne vedono pochissimi, e il male serpeggia dappertutto: divertimenti pericolosi e peccaminosi... come va male! Quel parroco non fa il parroco. Quante volte i religiosi e le religiose non si comportano da religiosi! Non si vede tanto all’esterno, ma questa mancanza è interna. Poi si manifesta anche all’esterno, perché la gramigna sta nascosta fino a un certo punto, quindi rompe la crosta della terra e si fa vedere.

Siamo davanti a Gesù, facciamo una confessione spirituale, se non è possibile la confessione sacramentale. Siamo stati pigri o attivi? Abbiamo o non abbiamo lavorato spiritualmente? Siamo andati avanti o indietro? Abbiamo o non abbiamo progredito? Qual è finora il maggior difetto dellanostra vita? È forse quello della pigrizia nel lavoro spirituale? Il nostro maggior merito è il fervore nel lavoro dello spirito? Quante religiose hanno questo fervore nel lavoro interiore, che non è sentire dolcezza o avere qualche lacrima, ma è proprio quel detestare ciò che è male, è quel volere proprio ciò che è bene.
Sempre più fede, sempre più speranza, sempre più carità, sempre più prudenza e giustizia: tutte le virtù cardinali e le virtù religiose e [soprattutto] voler fare la volontà di Dio, voler bene alle sorelle, vivere meglio le Costituzioni. Questo fervore è la vittoria sul difetto predominante che si chiama pigrizia, perché alle volte è proprio capitale nei religiosi, nelle religiose. Eppure nessuno oserebbe dire che quella è pigra, perché lavora tanto esteriormente, ma bisogna lavorare dinanzi a Dio. Vi siete offese?

La pigrizia è poi mancanza di fede e ciò è molto comune e dà molto danno. Fede ci vuole, e attività spirituale. Fervore di lavoro interiore! A volte può essere che una persona appaia esternamente calma, che la sua anima sia un cielo sempre sereno, non mai solcato da nubi, e intanto interiormente lavora davvero. Fa un lavoro vero. Interiormente ha le sue nubi, che sono le tentazioni, i dubbi, perché il Signore che è molto buono e ci vuole santi non manca di mandarci momento per momento piccole prove quotidiane, affinché facciamo bene momento per
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momento. Questo lavoro interiore che assicura il progresso ci consolerà tanto… 17.

[Anche] l’ammalata può sempre unirsi di più a Dio, accettare la sua sofferenza e proprio quando sembra che non possa più far nulla, può ancora dare la sua vita a Gesù, offrirgliela, nello spirito con cui Gesù ha accettato la sua passione e morte nel Getsemani, offrirla come Gesù ha accettato la sua morte sulla croce: «In manus tuas, Domine, commendo spiritum meum»18. È allora che acquista i maggiori meriti, fa il maggior progresso. Quindi non è la salute, né l’intelligenza, né altre cose che contano, è proprio il fervore del lavoro interiore. Preghiamo a vicenda perché possiamo lavorare bene interiormente.
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1 Meditazione tenuta a Montreal (Canada) il 28.9.1955. Inedita. Trascrizione da registrazione su nastro magnetico: A6/an 15a ac 26b.

2 Fabbrica Italiana Automobili Torino fondata l’11 luglio 1899.

3 Cf Gv 17,21.

4 Originale: Nella Chiesa attualmente il maggior nemico del nazionalismo; ma che cosa produce? che abbiamo 400 milioni, un po’ meno, di cattolici, ma quasi 400 milioni di discordanti .

5 Cf Gv 17,22.

1 Ritiro di due meditazioni in preparazione alla vestizione delle Figlie di San Paolo, Bogotà (Colombia), [30].10.1955. Trascrizione da registrazione su nastro magnetico. I meditazione: A6/an 17a ac 29b; II meditazione: A6/an 17a ac 30a.

2 Cf Mt 26,50 (Volgata). Queste parole, rivolte da Gesù a Giuda, sono usate da S. Bernardo per invitare i religiosi a una revisione delle proprie intenzioni. Cf S. Bernardo, Serm. 76,10 sul Cantico dei cantici .

3 Cf 1Tm 2,4: «Dio vuole che tutti gli uomini siano salvi».

4 Cf Gen 3,15.

5 Cf Eb 11,6.

6 Cf Mt 25,34-46.

7 Cf Gc 2,26: «La fede senza le opere è morta».

8 Cf Eb 11,6: «…credere che Dio esiste e che ricompenserà chi lo cerca».

9 Cf Sal 76,12.

10 Cf Lc 1,38: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto».

11 Cf Mt 6,10: «Sia fatta la tua volontà, così in cielo come in terra».

12 Cf Mt 26,39.

13 Registrazione interrotta.

14 Cf Gc 1,12.

15 Frase attribuita a S. Bartolomea Capitanio (1807-1833), fondatrice con S. Vincenza Gerosa (1784-1847) delle Suore della Carità, dette Suore di Maria Bambina.

16 Per un vuoto di registrazione manca l’inizio della meditazione.

17 Vuoto di registrazione.

18 Cf Lc 23,46: «Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito».