Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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11. IL SACCO DEL DIAVOLO1


Vi sono tre categorie di novizie: novizie che si preparano alla prima professione, quelle che si preparano alla professione perpetua e poi le novizie per la professione eterna in cielo. In questi giorni le novizie della professione perpetua2, da Casa Madre mi hanno mandato le immagini da firmare. L’immagine rappresenta Gesù fanciullo che ha in mano un sacco aperto e dietro di lui un brutto demonio che ha anche lui un sacco aperto. Che cosa indica il sacco che ha Gesù? Indica che egli aspetta le gemme nostre per riempire il sacco. E le gemme sono tutte le nostre opere buone: le nostre Comunioni, tutti i nostri piccoli sacrifici, la nostra diligenza nella pietà, tutte le pratiche che si compiono nella giornata, anche le opere che servono solo per il corpo e la salute, specialmente il vostro lavoro, i vostri passi, i vostri progetti, le vostre forze, in una parola tutti i vostri sforzi per la propaganda.
Il diavolo che cosa aspetta per il suo sacco? Aspetta i nostri peccati. Vi sono tante anime che cercano di riempire il sacco al diavolo. Al giudizio Gesù aprirà il sacco pieno, o almeno pieno in parte, delle opere buone e darà il premio secondo la preziosità delle perle che vi avremo messo dentro. Il diavolo cercherà pure di aprire il suo sacco e presenterà i peccati; poi Gesù darà il suo giudizio.
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Tutta la prudenza e la santa astuzia delle anime sta nel fare il bene dal mattino alla sera, raccogliere gemme preziose, preziose non tanto perché si facciano delle grandi cose, ma perché si fanno delle cose continue e ben fatte, atti buoni in continuità con tutta la retta intenzione e la perfezione di cui si è capaci. E non crediamo che mettere queste gemme in quel sacco voglia dire perderle; voi non avete contato tutti i passi, tutti gli sforzi, le opere di pietà fatte, ma nel sacco sono entrate quelle gemme. Le vostre fatiche non sono andate a vuoto. Continuare nel nostro lavoro senza stancarci perché non ci stancheremo di godere in paradiso; nessuno in paradiso chiederà di uscire, e allora dobbiamo stancarci e annoiarci del bene?
Vi sono persone che non badano che in quel sacco hanno fatto un buco da cui scappano le gemme. Questo buco è la vana compiacenza, [sono] le soddisfazioni umane. Essere contente del bene, in un senso, va molto a proposito, in quanto ciò vuol dire approvare il bene, perché approvando il bene facciamo un altro bene. Ma chi approva il male, chi è contento di aver fatto delle mancanze, o si compiace di aver avuto delle soddisfazioni, ma non per amore di Dio o per il paradiso, allora commette una nuova mancanza. Non facciamo il bene per poi compiacercene, perché si è fatta la fatica e si perde il merito. Diceva una suora: Un giorno ero in famiglia e stavo bene, avevo dinanzi un avvenire lusinghiero, ho lasciato tutto, ho rinunziato a tutto e ora sarei ben stolta se dopo aver rinunciato a quello che mi piaceva quaggiù non guadagnassi il paradiso. E con questa considerazione quella suora, che si mostrava un po’ tiepida, aveva ripreso il fervore.
Essere santamente prudenti; appartenere al
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numero delle vergini prudenti che mettono tutte le loro gemme nel sacco e non vi fanno nessun buco. Attente ad essere suore, ad essere vergini prudenti!
Il sacco del diavolo contiene peccati, cattive azioni, i peccati di orgoglio, di ambizione, le vane compiacenze. Ci si compiace perché c’è ingegno, c’è buona salute, io so vivere, oppure perché si è avvenenti o perché si pensa: Forse io non capisco bene, ma sono già santa. La superbia più brutta è questa: compiacersi del bene, delle virtù, dei doni di Dio, compiacersi perché si ha più devozione, per le consolazioni di Dio, compiacersi perché si sa di più e si sa elevarsi, e questo è qualcosa di più grave perché toglie a Dio la gloria.

Nel sacco del diavolo vanno gli atti di ambizione, di orgoglio; tutte le teste dure vanno nel sacco del diavolo. In secondo luogo vanno in quel sacco tutti gli attaccamenti alle cose, alle vesti, al posto, all’ufficio, gli attaccamenti a qualche soddisfazione, all’amor proprio perché si sa parlare bene. Non c’è solo l’avarizia che porta all’attaccamento alle cose della terra, ma l’avarizia che porta a dare a Dio il minor bene. Vi sono persone a cui non dispiace andare in purgatorio. Un po’ di generosità!....

In quel sacco del diavolo ci sono gli atti di ira, i rancori, le antipatie, le maldicenze, le critiche, le mormorazioni. Dobbiamo controllarci in quello che facciamo e diciamo. In quel sacco del diavolo mettiamo tutti gli atti di pigrizia: di pigrizia nell’applicazione della mente in quello che si fa, gli atti di pigrizia che nella pietà si chiamano tiepidezza, indifferenza; dobbiamo mettere ancora la negligenza: tutte queste cose il diavolo le raccoglie
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nel suo sacco, poi corre sempre dietro alle suore, specialmente a quelle che pregano per far loro tralasciare qualche parola e va a cercare gli «m» o gli «s» che si sono dimenticati in fondo alle parole e ne fa dei libri. Il diavolo raccoglie nel suo sacco le simpatie, le libertà di occhi, di pensiero, di cuore, di lingua, di tatto, le relazioni un po’ troppo umane, il prolungarsi con persone che sono simpatiche, prolungare le conversazioni oltre il necessario per accontentare la nostra sensibilità: il trattenersi con una persona o con un’altra significa che ci lasciamo conquistare dalle simpatie. Il demonio su questo punto è astuto e si vale anche delle occasioni più sante. Sempre dobbiamo ricordare che acqua santa e terra fanno fango anche se l’acqua è santa... Il diavolo raccoglie anche le golosità, quando non si vuol mangiare e si dovrebbe, quando si dovrebbe prendere la medicina e non si vuole e quando si vuole soddisfare la gola a detrimento della salute.
Allora ognuna può vedere se ha già mandato difetti e peccati in quel sacco che il diavolo tiene aperto e con il quale corre dietro a noi per raccogliere i peccati. Cosa fare? Quel sacco si può vuotare con una buona confessione, con molto dolore, prenderlo di mano al demonio, così che non vi rimanga più niente né per l’inferno, né per il purgatorio.

Ma il vuotare il sacco non si fa tanto con la lingua, quanto con il cuore. L’accusa è una cosa necessaria specialmente se si tratta di peccati mortali, è necessaria quando i peccati sono proprio certi. Ma non è la parte principale. È il cuore che deve detestare, il sacco si svuota più con il dolore. Se una avesse il peccato mortale e non potesse confessarsi e alla sera va a letto così, ma ha il dolore perfetto, il peccato è
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perdonato. È il dolore che toglie il peccato. Vigiliamo tanto sul pentimento che è molto importante. Può essere che uno da giovane fosse così, ma adesso che si è dato a Dio è cambiato: quindi tranquillità, ma il dolore [ci vuole] sempre. Quando manca il dolore invece di uccidere il serpe, gli si dà da mangiare un peccato in più. E volevo anche accennare a questo: che la propaganda collettiva apre la strada a una quantità immensa di bene. Che belle notizie si ricevono a volte riguardo alla propaganda collettiva! Quei passi che si fanno, quelle industrie sono tutte opere che meritano [di essere messe] nel sacco di Gesù. Non stanchiamoci: «Beati i passi di chi porta il Vangelo!»3. Perché beati? Perché sono passi che fruttano per le anime e per noi nell’eternità. In quest’anno dedicato al divin Maestro fissarsi lì, sulla propaganda collettiva. Accanto al tabernacolo non si leggono bene le parole, perché il lavoro è ancora da terminare, ma c’è scritto: «Ego sum lux mundi»4. «Vos estis lux mundi»5. E luce come? Con la propaganda. E Gesù dal suo tabernacolo dice: «Di qui io voglio illuminare»6. Siate benedette sempre e doppia benedizione a chi lavora nella propaganda collettiva!
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1 Meditazione dettata a Roma nella cripta del santuario Regina Apostolorum il 15 marzo 1955.

2 Da alcune testimonianze personali risulta che il gruppo delle candidate allaprofessione perpetua, essendo molto numeroso, in quell’anno era stato suddiviso indue: uno ad Alba guidato da sr Cecilia Calabresi, l’altro a Roma con la guida di suor Assunta Bassi.

3 Cf Rm 10,15.

4 Cf Gv 8,12: «Io sono la luce del mondo».

5 Cf Mt 5,14: «Voi siete la luce del mondo».

6 Cf AD, nn. 152, 153, 157.