Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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AMMINISTRAZIONE PAOLINA



Chiediamo al Maestro divino per intercessione della Regina degli Apostoli e di S. Paolo una saggia amministrazione, cioè una amministrazione paolina.
L’amministrazione paolina su che cosa si fonda? Su quali principi si regge? I principi stessi che ha dato nostro Signore, il Maestro divino, e i principi che ha dato S. Paolo. Alcuni sono naturali e altri soprannaturali.
1. Come si è comportato il Maestro divino? Il Maestro divino si è fatto uomo in tutto eccetto che nel peccato, quindi si è assoggettato ai bisogni naturali dell’uomo. Ha preso il latte dalla mamma, dalla mamma fu nutrito fanciulletto, egli poi si è guadagnato il pane lavorando in un duro lavoro, quando è stato poi nella vita pubblica viveva di elemosine, di offerte. Da una parte è vissuto poverissimo ed è morto poverissimo, dall’altra ha saputo dare, beneficare il prossimo, provvedendo, quanto in certi casi era necessario, fino ad operare prodigi, moltiplicando il pane e i pesci: sempre elevando l’uomo dalla considerazione di questi beni naturali ai beni soprannaturali.

È molto istruttivo il discorso che Gesù tenne dopo la moltiplicazione dei pani. Il discorso è registrato in S. Giovanni al capitolo sesto. [La gente] aveva mangiato i pani e si era saziata. [Gesù] allora parla di un
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altro pane, il pane eucaristico. Egli dice che darà un pane che discende dal cielo, di cui il primo è figura. E istituirà l’Eucaristia stessa, servendosi del pane e del vino e, usando mezzi naturali per produrre effetti soprannaturali, infonderà in tali mezzi la grazia, che poi attraverso essi verrà comunicata alle anime. Il Signore ci voleva dire: Come dovete vivere sulla terra e provvedere ai bisogni naturali, così elevatevi a considerare e a procurarvi la vita eterna nella quale sarete saziati. Il pane che vi darò vi comunicherà la vita eterna. In paradiso saremo saziati: tutta la nostra mente sarà saziata, tutto il nostro cuore sarà saziato, tutta la nostra volontà sarà saziata e il corpo stesso, per riflesso dell’anima, sarà saziato, cioè sarà messo a parte dei beni, dei tesori, della felicità dell’anima. Di là avremo altri gusti: i nostri occhi vedranno altre cose, il nostro cuore amerà con tutte le forze. Tutto sarà divinizzato, perché la vita presente è preparazione alla vita eterna.

La vita presente come ci prepara alla vita eterna? Mediante la verità e mediante la grazia, la virtù e la mortificazione dei sensi. Allora che cosa si deve fare? Adoperare i beni naturali in ordine alla vita eterna: il vestito, il cibo, l’alloggio, le librerie, le cose, le macchine, le automobili...: «Sic transeamus per bona temporalia ut non amittamus aeterna»1, in modo da non perdere i beni eterni, anzi per mezzo dei beni naturali guadagneremo i soprannaturali. Che cosa dobbiamo fare di tutto questo? Se adoperiamo la macchina, se adoperiamo l’automobile, l’aereo, il vestito, il pane e le cose, tutto adoperarlo in ordine alla vita eterna.
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Tutto, solo e sempre in ordine al paradiso. Non mettiamo mai il nostro gusto, la nostra soddisfazione in niente, ma tutto in uso: ecco la povertà religiosa! Tutto in uso, niente nostro. In uso, per che cosa? Per soddisfazione? Il letto per poltrire? La tavola per soddisfare il nostro gusto? Le case che siano comode per condurre una vita più tranquilla? No, no, tutto solo e sempre in ordine alla vita eterna. Niente ambizione! Come accettiamo volentieri le cose, così le lasciamo volentieri. E come dobbiamo curare la nostra salute, così dobbiamo ricordare che c’è un’altra salute, la salute eterna. Sempre dalle cose naturali elevarsi alle cose soprannaturali. Pensare che quello che si mangia è dono di Dio preparato dall’eternità, e quello che adoperiamo tutti i giorni è dono di Dio, cioè Iddio mentre pensava a crearci, pensava a darci i beni per la vita; come quando il Signore chiama un’anima alla vita religiosa, prepara le grazie necessarie, perché questa vita religiosa possa essere ben vissuta.
Dalle stelle eleviamoci a considerare il paradiso: là vi è il firmamento, un firmamento più bello che è il paradiso, e le stelle che vediamo rappresentano i santi. «Stella a stella differt in claritate»2. Mirare le stelle ed aspirare a quelle più belle; guardare il sole e considerare che vi è un sole, una luce che è Dio, vi è un calore che esce dal cuore di Gesù; e [guardare] la luna che è il riflesso in quanto ci comunica la luce che viene dal sole ed è il simbolo di Maria.
I fiori non ci devono ricordare quanto il Signore ci ha amato? Diceva quel santo camminando e battendo i fiori: Tacete! Perché mi rimproverate
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che io non amo abbastanza il mio Dio, che vi ha fatto per me, per deliziare un poco questa valle di esilio che è la terra?.
E quando si considera il mare, non viene in mente l’immensità di Dio? E quando si considerano i molti prodotti che ci vengono dalla terra, i frutti, gli ortaggi, la lana che ci danno le pecore e tutto quello che riguarda la nostra condizione di vita, [non si pensa a Dio]?
Quando vediamo la casa dove ci rifugiamo, non pensiamo mai al presepio che era molto meno comodo della nostra casa? Quante esigenze abbiamo in confronto di quello che voleva per sé Gesù, di quello di cui si contentava Maria, di quello che procurava S. Giuseppe per sé e la sacra famiglia! Non ricordiamo quello che faceva S. Paolo, che lavorava di notte, onde essere libero per predicare di giorno, e non essere così di peso a nessuno? Perché a tavola non ci ricordiamo mai dell’Eucaristia? Perché quando andiamo a letto non ci ricordiamo mai delle anime purganti? Io dormo e riposo in un letto caldo e comodo e quelle anime non riposano questa notte. Pio X, a mezza notte, recitava sempre il De profundis3 augurando loro la buona notte e che andassero in paradiso, all’eterno riposo. E mentre prendiamo il riposo, non ricordiamo mai il riposo eterno? Anche per noi?
«Per sensibilia ad invisibilia»4 è il principio di S. Tommaso [d’Aquino]: conoscendo le cose temporali ci eleviamo alle soprannaturali ed eterne. Considerando il mondo, per esempio, veniamo a conoscere il suo autore. Il mondo non si è fatto da sé, dunque vi è un essere che lo ha creato, e noi lo
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chiamiamo Dio. Alle volte noi siamo ciechi e insensibili e non capiamo le voci di Dio che ci assordano quasi da ogni parte. E forse alle cose della terra ci attacchiamo per goderle e non per usarle in ordine alla vita eterna. Quanti torti facciamo a Dio! Noi dobbiamo abituarci a considerare tutto in ordine alla vita eterna e sempre, prima alzare l’occhio a Dio che, come padre, ha provveduto. Oh, come è buono il Padre celeste, il quale provvede alle cose grandi e domina la storia umana, e provvede alle cose piccole e domina la nostra piccola storia, la nostra vita quotidiana! Il Padre celeste che non dimentica il passerotto, che non dimentica il giglio, il filo d’erba del prato che hanno una vita così breve e sono così deboli, tanto più provvederà a noi.
2. Amministrazione [secondo i principi di] Gesù e di S. Paolo. Dobbiamo tener conto di tutto ciò che Iddio ha già provveduto, e poi provvedere a noi stessi e far carità agli altri.
Quando pensiamo che il Signore ha creato il mondo e ha dato alla natura tante cose, dobbiamo essere riconoscenti. Riconoscenti del telefono, della radio; riconoscenti del grano che è cresciuto; riconoscenti dell’aereo, dell’energia atomica. Tutto questo diciamo che è invenzione umana, cioè gli uomini studiando l’opera di Dio hanno trovato alcune forze che Iddio ha messo nella natura. Ogni invenzione è un capitolo di lode a Dio, è una scoperta di ciò che Dio ha messo nella
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natura. E quante cose ha messo in noi, che noi non utilizziamo abbastanza!
Non utilizziamo abbastanza la fantasia, il cuore, la mente, le relazioni con il prossimo. Non utilizziamo specialmente tutti i mezzi che la Provvidenza ci ha dato per il nostro apostolato. Il Signore ha messo davanti a noi dei tesori, e più ancora ce ne sono dentro di noi, tesori che noi non sappiamo nemmeno sempre scoprire. La collana psicologica5 che sta uscendo e di cui parecchi volumi sono già ristampati, scopre un poco i tesori che sono in noi, e come noi utilizzando i tesori, le forze, possiamo elevarci a conoscere e servire Dio. Ecco la prima provvidenza: la creazione!
Seconda provvidenza: il Signore ha dato a noi l’obbligo del lavoro, quindi dobbiamo lavorare. Gesù ha lavorato. E perché ha lavorato per trent’anni e ha predicato solo tre anni? Perché imparassimo che abbiamo l’obbligo di santificare nel lavoro il nostro corpo, la nostra mente, il nostro cuore. Tutti dobbiamo lavorare. [Dio] ci ha dato il comandamento: «Guadagnerai il pane con il sudore della fronte»6. E «…chi non lavora non mangi»7, perché ruba alla società, non producendo. Questo tanto più in una famiglia religiosa. S. Paolo ci insegna le stesse cose e dice: «Chi serve all’altare deve vivere dell’altare, e chi predica la parola di vita deve vivere della parola divina»8.
Quindi avete per questo il terzo articolo delle Costituzioni dove si dice che l’offerta del libro e del lavoro si prende per provvedere alle nostre necessità naturali, alle necessità della Congregazione e alla sua sicurezza. Dinanzi a certi disagi, a
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malattie, alla vecchiaia, [infatti] la Congregazione deve conservare la sua sicurezza.
Vi è una cosa da notare: quando si entra in una famiglia religiosa si fa come un contratto, si fa una società, cioè: io darò tutto ciò che ho di forze alla Congregazione e la Congregazione si obbliga di dare a me quello di cui ho bisogno nella vita presente, e perfino la sepoltura. Quindi, vi è un contratto. Dare le forze significa dare le forze intellettuali, morali, spirituali, fisiche, le forze che abbiamo, pregando. Significa anche dare quello che la nostra salute può dare e, se non si può dare dieci perché non si ha, si darà cinque, tre. Ognuno serve la Congregazione secondo le forze che ha, ma [occorre] darle tutte alla Congregazione.
Vi è una tendenza che può essere dannosa: fatta la professione pensare alle sorelle, ai nipoti, ai cugini, ai genitori... in maniera disordinata. Questa è una malattia che frequentemente si è manifestata nella Chiesa come una influenza cattiva, una specie di nepotismo, come viene definito dalla storia. Che cosa significa? Significa pensare ai nipoti. Per grazia di Dio, questa malattia che c’è stata fino al secolo XVII è scomparsa nelle supreme autorità: l’ultimo Papa nepotista9 ha chiuso la serie di quegli inganni.
Adesso però si introduce un po’ nei conventi. Dobbiamo pensare a Dio. Abbiamo un’altra famiglia a cui siamo tenuti e legati. Se invece noi pensiamo alla famiglia naturale e ci preoccupiamo troppo di quella, siamo gente che ruba all’Istituto, cioè sottrae le forze alla Congregazione. Questo è più che rompere una macchina. Dare tutte le forze morali, le forze del cuore, amare la
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Congregazione: questo è il nostro dovere! È obbligo di natura e obbligo di professione, quindi dovere naturale e dovere imposto da Dio, cioè secondo lo spirito della vita religiosa: «Lascia tutto»10. Ma se ci portiamo tutto nel cuore? L’amministrazione deve essere fatta poi in modo soprannaturale. Non amministriamo cose nostre. Quindi l’amministrazione deve essere fatta sempre [dall’economa] con la superiora, perché questa deve entrare nelle quattro parti e dirigerle tutte e quattro: spirito, studio, apostolato, amministrazione (povertà). Non è nostro ciò che amministriamo. Non possiamo ragionare come ragiona il padre, la madre o l’industriale. Tutto è di Dio, perciò [tutto] si deve rispettare come si rispetta la pisside, come si rispetta la chiesa. Tutto è sacro nella Congregazione per il fine per cui sono destinate le cose della Congregazione. D’altra parte non si può amministrare senza il consiglio [di comunità]. Dovete leggere, a questo proposito, [nelle Costituzioni] il capitolo delle «Case», del Governo e dell’Economa generale11. Niente da sola; abbia anche l’economa il merito dell’obbedienza nel suo ufficio. D’altra parte è saggio non far da noi, perché si incorre facilmente in errore.
La nostra amministrazione deve avere cinque caratteri.
1) Deve essere sempre compiuta nello spirito di povertà. Spirito di povertà che priva: sappiamo privarci di certe cose. Non siamo troppo esigenti. Alle volte si incontra gente che sempre esige e non pensa a dare, che non sa privarsi.
2) Povertà che produce, produce in ogni senso.
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Se possiamo occupare meglio il tempo, occupiamolo meglio. Che cosa fanno quelle che circolano giudicando le altre? Perdono i meriti, disturbano in Congregazione, danneggiano e non si confessano che violano il settimo comandamento sottraendo le forze alla Congregazione.
3) Povertà che provvede, provvede ai bisogni come provvede un padre e una madre di famiglia. Non ci sia mai una sordida avarizia, ma d’altra parte si sia moderati, sempre conformemente allo spirito di povertà.
4) Povertà che dona. Saper fare anche elemosina. Maria, prendendo da S. Giuseppe quello che aveva guadagnato, spendeva per la casa e sapeva donare. Voi specialmente sappiate donare alle vocazioni che sono sempre costose. Naturalmente sono le case cariche di aspiranti che hanno maggiori spese, [a queste] perciò donare.
5) Povertà che sa risparmiare, che sa risparmiare perché si possano compiere opere sempre più grandi. L’Istituto cresce, e di tanto in tanto ci sono necessità nuove, come adesso la Casa degli Esercizi12. È una necessità, affinché gli Esercizi siano fatti con maggior raccoglimento, maggior frutto, maggior consolazione. In tutto avere il fine retto: «Gloria a Dio, pace agli uomini»13. Tutte le stampe, tutto il lavoro che si compie [sia] in ordine al fine ultimo: «Gloria a Dio e pace agli uomini», cioè a guadagnare meriti per noi. Non un passo se non per questo.
La macchina non si ha per andare a passeggio, ma si adopera in ordine all’apostolato; se si vuole andare a passeggio si fanno dei passi. Se si procura qualche cosa nella casa
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è solo in ordine all’apostolato, e cioè perché le suore abbiano salute sufficiente e perché l’apostolato sia compiuto più largamente. In questo vi è da notare una cosa che si rende sempre più necessaria perché la Congregazione si è molto sviluppata. Adesso bisogna dire così: Le suore nelle case non portino in macchina i sacerdoti se non per un caso grave, perché questo si è reso necessario con lo svilupparsi dell’apostolato. Del resto, questo appartiene alla legge della clausura e a un complesso di altre cose che non vanno precisamente sotto il nome di clausura, ma appartengono allo spirito della clausura. L’Istituto in principio richiedeva una maggior vicinanza tra le suore e la Società San Paolo. Quindi, si può dire, che in qualche maniera si faceva una vita molto vicina, sebbene distinta, sebbene separata. Man mano che vanno avanti le cose, e adesso siamo ad un certo sviluppo, [occorre] ancor più separazione: più unione nei capi, ma più separazione nei membri. Vuol dire che, se ci sono delle intese da farsi, si fanno tra i superiori e le superiore, poi le superiore danno disposizioni alle loro figliuole e i superiori della Società San Paolo ai loro figliuoli, ai membri dell’Istituto. Più unione [perciò] nei capi, più separazione dei membri. Inoltre quella tendenza a scrivere biglietti, escluderla, [perché] quella preferenza si svolge poi in simpatia, per cui ci sono tanti piccoli segni che non si fanno con altri, ma si fanno con quello o con quella. Leggiamo bene la Filotea14 di S. Francesco di Sales e troveremo che ci sono avvertimenti che fanno proprio bene al caso nostro.
Occorre che noi diventiamo più sapienti.
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I regali privati, le Messe date all’uno o all’altro, i biglietti che vengono mandati, il dare ospitalità più all’uno che all’altro, il tenere a lungo conversazioni non del tutto giustificate, e aver bisogno di appartarsi, far affluire la beneficenza non per la via retta, sono tutte cose da escludere. Offendono lo spirito della clausura se non la lettera. Evitare che vadano insieme in macchina sacerdoti e suore, chierici e suore. Ho dato degli avvisi su questo punto, da una parte, e riguardo alla ospitalità anche quali sono le regole dell’ospitalità, quali sono i disagi e le mancanze che vengono dall’ospitalità [stessa]. La Scrittura dice: «Hospitales invicem sine murmuratione»15, accenno soltanto a un difetto, quando vanno a trovarsi, facilmente mormorano. Chi è ospitato non disturbi la casa che lo ha ospitato e chi ospita abbia bontà, ma non debolezza. La bontà non si confonde mai con la debolezza.
Voi potete istruire le suore che sono nelle vostre case su questo punto.
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1 Cf Orazione della Messa della 3

a domenica dopo Pentecoste: «…affinché passiamo tra i beni temporali in modo da non perdere gli eterni».

2 Cf 1Cor 15,41: «Ogni stella differisce da un’altra nello splendore».

3 Cf Sal 130: «Dal profondo…».

4 «Dalle cose sensibili alle invisibili»: Cf Summa theologiae , I,2,3.

5 La «Collana Psychologica», edita dalle Edizioni Paoline (1955), è una collana universale di psicologia e pedagogia, frutto dell’esperienza di specialisti in materia.

6 Cf Gen 3,19.

7 Cf 2Ts 3,10.

8 Cf 1Cor 9,13.

9 Innocenzo XII, Antonio Pignatelli (1615-1700) con la costituzione Romanum decet Pontificem (1692) e con la bolla Ecclesiae Catholicae (1695) pose fine alla piaga del nepotismo.

10 Cf Lc 18,22.

11 Cf Costituzioni delle Figlie di San Paolo , ed. 1953, capp. VI, X.

12 La Casa del Divino Maestro di Ariccia (Roma) fu voluta da Don Alberione come Casa di Esercizi spirituali per i membri delle Congregazioni ed Istituti della Famiglia Paolina. Fu ultimata e inaugurata alla fine del 1958.

13 Cf Lc 2,14. Il canto degli angeli è stato assunto dal beato G. Alberione per tutta la Famiglia Paolina come programma di vita, apostolato e redenzione operata da Gesù Cristo. Cf AD 183.

14 Cf Filotea o Introduzione alla vita devota , IV, 8.

15 Cf 1Pt 4,9: «Praticare l’ospitalità gli uni verso gli altri, senza mormorare».