PRESENTAZIONE
Il motivo che giustifica la presente edizione degli Appunti di Teologia Pastorale (ATP) è da ricercarsi nell'intenzione di dare una sistemazione unitaria agli scritti di don Giacomo Alberione, e di cogliere così più facilmente le componenti essenziali del suo carisma.
Preceduta cronologicamente da un libretto intitolato La Beata Vergine delle Grazie,1 quest'opera segna l'inizio della produzione editoriale di don Alberione. Il libro, di cui possediamo tre edizioni (rispettivamente del 1912, 1915 e 1960),2 ci sembra uno dei frutti più significativi della prima fase della vita di don Alberione, caratterizzata dall'apostolato in parrocchia, a diretto contatto con i fedeli. È infatti dopo le sue prime esperienze pastorali in alcune zone dell'Albese e come formatore di chierici in seminario, che il giovane sacerdote decide di scrivere ATP.
Questo legame diretto con la pastorale, praticata in prima persona, non si ritroverà più così visibile nell'istituto della Società San Paolo, cui egli darà vita nel 1914 e il cui apostolato, centrato dapprima sulla Buona Stampa, verrà teorizzato e svolto successivamente tramite i diversi mezzi della comunicazione sociale. Precisare come don Alberione abbia maturato il passaggio da un ministero diretto e tradizionale a uno più indiretto e moderno, non è compito di questa introduzione.3 C'è tuttavia un'unità di fondo tra i due orientamenti, che merita di
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essere segnalata: la volontà di raggiungere nel modo migliore e più pieno le anime, abbracciandone il maggior numero possibile. Quest'unità può sintetizzarsi nell'espressione, classica per la intera Famiglia Paolina, di «carisma pastorale».
Lo spirito pastorale è dunque il criterio che ci consente di leggere e capire il pensiero, l'opera e le scelte di don Alberione, prima come sacerdote nella esperienza pastorale diretta, poi come educatore nella formazione dei seminaristi, infine come fondatore della Famiglia Paolina.
I. Formazione del testo di ATP
1. Prime esperienze pastorali. La diocesi di Alba ebbe tra i suoi pastori figure eminenti per santità e forte impegno pastorale. Cresciute alla scuola dei santi piemontesi di fine Ottocento (Giuseppe Benedetto Cottolengo, 1786-1842; Giuseppe Cafasso, 1811-1860; Giovanni Bosco, 1815-1888, e altri), suscitarono in mezzo al clero e ai fedeli un clima di particolare attenzione ai problemi della gente. Tra essi ricordiamo mons. E. Galletti, che in Alba si distinse per il suo lavoro nelle visite pastorali, per il sinodo (1873), per la devozione eucaristica, per la formazione del clero e il catechismo; mons. Lorenzo Pampirio, che introdusse nel seminario di Alba la neoscolastica nella sua forma più rigorosa, seguito in questo da mons. Francesco Re, a sua volta segnalatosi tra il clero piemontese per l'intransigente difesa dell'ortodossia e l'opposizione al modernismo, «ma non alla modernità»,4 probabilmente.
I vescovi di Alba sono ricordati per la promozione del Movimento Cattolico in diocesi, che nel 1911, dopo un periodo di decadenza, sfociò nell'intensissima propaganda per l'Unione Popolare.5
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In questo clima di forte impegno ecclesiale e sociale, il giovane don Alberione fece le prime esperienze pastorali. Esercitò il ministero in alcune parrocchie, tra cui San Bernardo a Narzole (Cuneo).6 Qui egli ebbe le sue prime responsabilità in funzione di vice-parroco, dando prova di intraprendenza e volontà di bene senza limiti.7 Qui infine chiarì ulteriormente la sua vocazione ad un ministero diverso dalla cura diretta,8 comprendendo la necessità di impegnarsi a qualche cosa di nuovo, perché gli usuali schemi di cura pastorale non rispondevano alle nuove esigenze.
2. Come nacque il libro ATP. Chiamato dal vescovo in seminario, in qualità di direttore spirituale e di docente di storia civile ed ecclesiastica, don Alberione ricevette l'incarico della formazione dei chierici e dei neo-sacerdoti. Per assicurare a costoro «una guida che con tutta semplicità indirizzi i loro primi passi della vita pubblica; ma che sia una guida pratica e sicura»,9 decise di scrivere ATP.
Più che una trasmissione arida di concetti, le sue lezioni sul ministero erano improntate al dialogo, alla condivisione e alla sperimentazione. Svolgendo gli appunti, intuiva il bisogno di una conoscenza più realistica della situazione della diocesi. Perciò, contemporaneamente all'insegnamento teorico, avviò una ricerca sulla prassi. Propose questionari relativi alla pastorale in atto nella diocesi e li inviò ad alcuni parroci. Tra questi spiccano don Bartolomeo Dallorto, don Luigi Sibona, don Augusto Vigolungo.10 Consultò inoltre
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trattati, opuscoli e riviste. Si fece aiutare da altri sacerdoti nel raccogliere note e riflessioni, sceglierle, ordinarle e correggerle.
Venne quindi la stesura dell'opera e la pubblicazione.11
Don Alberione scriverà più tardi, parlando di sé in terza persona: «Per due anni in conferenze settimanali, con dodici sacerdoti, studiava i mezzi di buona e aggiornata cura d'anime; su questo interrogò ed ebbe suggerimenti scritti (che trasmetteva ai Chierici e ai giovani sacerdoti) di una quindicina di Vicari Foranei».12
Oltre che dall'esperienza diretta di scelte pastorali verificate nella realtà, ATP è nato quindi da un graduale approfondimento teorico e dalla riflessione su esperienze fatte da altri. Già in partenza comunque don Alberione escludeva una trattazione teorico-scientifica della materia. «So benissimo - sosteneva - che così non incontrerò il gusto d'un numero notevole [di persone]: ma so anche che costoro potranno trovare quanto cercano in altri autori».13
L'obiettivo suo era aiutare i giovani sacerdoti ad affrontare con serenità i primi anni di ministero. Negli ATP essi avrebbero trovato un riferimento costante e sicuro, dal momento che tali appunti
- erano nati dall'esperienza e dal competente apporto di pastori dediti già da tempo alla cura d'anime;
- rispettavano le radici culturali della popolazione diocesana;
- erano arricchiti di una sostanziosa bibliografia, che rimandava ad altri apporti specifici.
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3. Accoglienza e diffusione di ATP. Come ci risulta da ricerche compiute in diverse biblioteche,14 l'opera fu presto conosciuta e ben accolta dal clero italiano.
Già nel 1912, il mensile del clero Difesa ed azione, dell'Archidiocesi di Torino, riportava una lusinghiera recensione del testo (apparso allora in edizione ciclostilata): «Pochi sono ancora i trattati che distinguono nettamente il punto di vista pastorale dagli altri affini e questi pochi quasi sempre non scendono ad una pratica veramente adatta alle circostanze particolari nelle quali noi viviamo. Quando ecco presentarsi a noi un bel volume... il quale con sorprendente perfezione viene a soddisfare il nostro desiderio... Il contenuto ricco e vasto, lo stile semplice e chiaro, l'unzione donde è penetrato, tutto coopera a meritargli ogni elogio».15 Non manca un ringraziamento all'Autore per il suo «prezioso servizio reso al clero».
Nel 1913, preparando la prefazione al volume da stampare, il card. A. Richelmy sottolineava come fosse proficuo «insistere specialmente sui modi pratici di esercitare con zelo e con frutto il ministero pastorale»; «siano adunque benedetti i cari Appunti di teologia pastorale del buon Teol. Alberione, nei quali risplendono assieme la soda dottrina ed il senno pratico, per cui torna facile e sicuro l'esercizio di un vero pastore d'anime».16
Da queste brevi recensioni si nota come la teologia pastorale (TP) fosse considerata una sintesi pratica di insegnamenti ad uso del curatore d'anime. Era un'idea tipica del tempo, condivisa anche da La Civiltà Cattolica, che recensendo ATP collocava don Alberione «tra gli egregi cultori di questa scienza», sottolineando come nell'opera ci fosse «un
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vero tesoro di norme pratiche e opportuni consigli, specialmente per il giovane clero».17
A distanza di alcuni anni dalla sua pubblicazione, l'opera era ancora citata da pastoralisti come G. Stocchiero, che nel 1921 pubblicava la sua Pratica Pastorale, e da E. Naddeo, che nello stesso anno pubblicò Il vero Pastore di anime.18
Sorge qui legittimo l'interrogativo del perché don Alberione, vista l'accoglienza favorevole del suo libro, non ne abbia curato o fatto curare altre edizioni, aspettando fino al 1960. La risposta va forse ricercata nella cronologia di quegli anni. Dopo il 1914, infatti, egli resta assorbito quasi totalmente dalle sue nascenti congregazioni: la Pia Società San Paolo (1914), le Figlie di San Paolo (1915), le Pie Discepole del Divin Maestro (1924), le Suore di Gesù Buon Pastore (1938), le Suore di Maria Regina degli Apostoli (1957) e infine gli istituti di consacrazione laicale (1958-1960). Il fondatore si sentiva costretto a finalizzare gli interessi, le energie e il tempo verso il loro sviluppo.
Non abbandonò tuttavia il discorso pastorale.
Infatti, tra il 1912 e il 1916, diretta personalmente da don Alberione, inizia le pubblicazioni Vita Pastorale,19 una rivista
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per la pratica del ministero sacerdotale. In linea con l'orientamento carismatico delle sue istituzioni, don Alberione ha creduto più efficace far giungere periodicamente ai pastori la sua riflessione scritta. Tra le prime annate della rivista, troviamo un numero datato gennaio 1921, in cui si pubblicava un brano degli ATP, riguardante la «Relazione tra Parroco e Parroci - Per favorire la concordia. Per evitare la discordia».20
Della necessità di un aggiornamento, o di una revisione di ATP, troviamo traccia in una predica di don Alberione alle giovani della nascente congregazione delle Suore di Gesù Buon Pastore, le Pastorelle, risalente al 1939: «Sarebbe bene [che] vi provvedeste di un trattato di teologia pastorale ed anche dei miei Appunti di Teologia Pastorale, tenendo presente che in alcuni punti sono arretrati e non più giusti. A queste lacune potrete supplire con lo Stocchiero».21
L'aggiornamento effettivo di ATP fu compiuto nella terza edizione, curata da mons. Giuseppe Pistoni nel 1960. Dalla documentazione epistolare22 intercorsa tra don Alberione e mons. Pistoni, apprendiamo che questo sacerdote, in procinto di assumere l'insegnamento di Teologia pastorale nel seminario di Modena, pensava di adottare proprio il volume degli ATP come testo per i suoi studenti. Poiché il libro era esaurito, don Alberione gli propose di assumersi la responsabilità di una nuova edizione. La risposta fu positiva.
La terza edizione, approntata in breve tempo, fu stampata nel 1960.
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Nel 1965, alla fine del Concilio Vaticano II, mons. Pistoni ripropose un'ulteriore riedizione del volume, per mano dello stesso Autore, per adeguarlo alle nuove prospettive conciliari. In data 21.12.1965 don Alberione rispose dichiarandosi riconoscente per il suggerimento di «rivedere e conformare al Concilio Vaticano II il libro degli Appunti di Teologia Pastorale», e spiegando: «Enorme è stato il progresso... Siamo entrati più perfettamente nella Pastorale di Gesù Buon Pastore... molte cose [vi sono] da togliere dal libro e molte da introdurre». Questa volta però, pur convinto della bontà della proposta, don Alberione, ormai avanzato negli anni, non la concretizzò. Il lettore di oggi, dall'Autore stesso può quindi imparare a storicizzare e contestualizzare quel che legge in quest'opera antica.
II. Le tre diverse edizioni di ATP
Come accennato, ATP conobbe diverse fasi di composizione.
1. La prima stesura risale al 1912 ed è la conclusione di una faticosa quanto arricchente esperienza di ricerca.23 L'opera, dattiloscritta a impressione fotostatica, esce con il titolo Appunti di Teologia Pastorale, Torino, lit. A. Viretto, 1912.
La dedica è «Ai miei cari amici, i M.M. R.R. [Molto Reverendi] Alunni delle conferenze morali del Seminario d'Alba».
Il testo è introdotto da una presentazione dell'Autore, che espone le motivazioni dell'opera. Porta la data del 1.8.1912. Un NB. invita i lettori: «Per ogni cosa rivolgersi al Teol. Alberione G[iacomo], Direttore spirituale del seminario d'Alba».
L'opera consta di tre parti:
- la prima, dal titolo Dei fondamenti dello zelo, si articola in tre capitoli: La pietà e lo studio; Lo studio; L'amministrazione dei beni materiali;
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- la seconda, Della cura pastorale e delle opere in generale da compirsi dal Sacerdote, è di sei capitoli: I. Dell'azione pastorale in genere; II. Dell'azione pastorale del Parroco; III. Alcune industrie per l'azione pastorale dei Vicari Foranei; IV. Norme ai Cappellani; V. Norme ai Sacerdoti maestri; VI. Relazione dei Sacerdoti;
- la terza, Di alcune opere particolari proprie dello zelo sacerdotale, è di dieci capitoli. La riflessione ora passa dall'ambito prettamente sacramentale: Confessione, Comunione, Funzione, a quello della Predicazione e della Catechesi. Infine sono presentate le Principali Devozioni, e tutte le opere riguardanti l'Azione cattolica. Gli ultimi tre capitoli trattano delle Vocazioni religiose, dell'Organizzazione di feste e della Costruzione di Chiese.
Questo il contenuto della prima edizione, dattiloscritta e fotostatica.
2. Edizione del 1915. «Con qualche trepidazione»24 e dietro richiesta di alcuni parroci, don Alberione pubblica a stampa la «II Edizione - riveduta - corretta - ampliata», Torino, cav. Pietro Marietti editore, 1915.
Sul frontespizio, al titolo Appunti di Teologia Pastorale, viene aggiunto un sottotitolo fra parentesi: (Pratica del ministero sacerdotale per il giovane clero), e un motto con due versetti della I lettera di Pietro: «Pascite, qui in vobis est, gregem Dei... et cum apparuerit princeps pastorum, percipietis immarcescibilem gloriae coronam (I Petr. V, 2-4)», invito ai suoi giovani lettori a pascere il gregge di Dio «non per forza, ma volentieri, non per vile interesse, ma di buon animo...» (I Pt. 5,3) per partecipare insieme al Signore alla gloria da lui promessa.25
Segue la dedica, modificata rispetto alla prima edizione nei seguenti termini: «Ai miei carissimi amici - i MM. RR.
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Sacerdoti giovani - ed i Venerandi Chierici - della Diocesi Albese».
La breve presentazione del cardinal Richelmy, arcivescovo di Torino, che benedice l'opera e incoraggia l'Autore, è datata 2 febbraio 1913. Riguardava quindi la prima edizione dell'opera, come è confermato dall'indice.26
Nella nuova edizione appaiono due prefazioni, entrambe di don Alberione: la prima scritta per l'edizione del 1912, l'altra, più concisa, per l'attuale, che ribadisce le motivazioni della precedente.
Rispetto all'edizione del 1912, in questa del 1915 alcune sezioni del testo sono meglio strutturate. L'opera è suddivisa ancora in tre parti. La prima tratta Dei fondamenti dello zelo, identificati in una profonda pietà, ritenuta prioritaria per un'azione efficace del sacerdote in mezzo al popolo. L'elenco delle pratiche è seguito dalla descrizione delle virtù, dall'invito allo studio continuo, o studiosità, perché il prete sia «l'uomo d'oggi, non del tempo passato».27 Alcune informazioni circa norme elementari per l'amministrazione dei beni materiali concludono questa parte.
Della cura pastorale e dei suoi mezzi generali è il titolo della seconda, in cui si tenta una definizione sia dell'azione pastorale (come viene chiamata in seguito), sia dei principi che devono regolarne l'attuazione. Con la sollecitudine di sempre, l'Autore annota: «Si diranno solo cose pratiche e tra esse si sceglierà quelle che oggi sembrano più adatte nei presenti bisogni».28
La terza parte, Di alcune opere particolari proprie dello zelo sacerdotale, presenta norme per un intervento più efficace in alcuni momenti specifici della vita pastorale: la liturgia, la catechesi, la presenza caritativo-assistenziale. Non viene tralasciata la descrizione del multiforme associazionismo,
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ecclesiale e non, che il giovane sacerdote-pastore può promuovere nella sua attività pastorale.
Alcuni paragrafi finali sono dedicati alla costruzione e ai costruttori delle chiese. Fra i suggerimenti e le affermazioni varie, don Alberione scrive: «Si dice: nelle grandi opere ciò che più manca è il denaro. Come regola questo è falso: mancano invece gli uomini che sappiano ideare le grandi cose, che abbiano il coraggio per principiarle, che siano provvisti di senno pratico, che lavorino con perseveranza e con grande spirito di sacrificio».29
Nella prefazione alla seconda edizione don Alberione scrive che non è sua intenzione «esigere un lavoro alquanto completo, quasi scientifico, ben ordinato almeno, con uno stile più elevato».30 Ciò avrebbe impedito, o quasi, secondo lui, il frutto desiderato.
In realtà dal confronto fra le due edizioni emerge subito un notevole salto di qualità, a livello sia linguistico che strutturale. Ad eccezione della seconda parte del libro, molto rimaneggiata, quasi tutto il materiale della prima edizione è presente nella seconda. Si rilevano brevi aggiunte, con ulteriori riflessioni e chiarificazioni, sia nella prima che nella terza parte. Tutta l'opera infine è notevolmente rinnovata nel linguaggio, che diviene più appropriato e scorrevole.
La seconda parte, come si è detto, subisce i maggiori cambiamenti, sia nella titolazione che nella struttura. Il titolo: Della cura pastorale e delle opere in generale da compirsi dal sacerdote, della prima edizione, cambia in Della cura pastorale e dei suoi mezzi generali. I capitoli, che prima erano sei, si riducono a quattro, distribuiti diversamente, con attenzione ad un'altra logica: da una riflessione generale, Dell'azione pastorale in genere (cap. I), e Norme al clero in generale... (cap. II), si passa al particolare, Relazioni del sacerdote (cap. III) e Dell'azione pastorale di alcuni sacerdoti (cap. IV).
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L'edizione 1915 si struttura quindi in maniera più armoniosa della precedente. Il materiale aggiunto è in funzione di una maggiore accuratezza.
All'inizio dell'opera è inserita una sezione nuova, Dei fondamenti dello zelo, che introduce tutta la prima parte. Inoltre i paragrafi 7-8-9, concisi nella prima edizione, trovano ora uno sviluppo più organico.
Brevi introduzioni sono inserite anche in altre parti del testo, spesso a mo' di cappello, per presentare il capitolo che segue;31 si aggiungono nuovi titoli per meglio ordinare la materia;32 si inseriscono nuove informazioni circa la pastorale.33 Brevi porzioni del testo del 1912 sono omesse o sintetizzate.34 In generale ogni cambio è a completamento del testo, più che una modifica del pensiero.
3. Terza edizione, 1960. Il titolo è Appunti di Teologia Pastorale, per la scuola e il ministero. L'opera è pubblicata nella Collana Pastorale-Regimen delle Edizioni Paoline. Il testo è stato completamente rifuso per mano del canonico mons. Giuseppe Pistoni, d'intesa con don Alberione.
Nel settembre del 1957, don Alberione scriveva al canonico di sentirsi «riconoscente e lieto che abbia accettato di rifare (o fare?) il libro di pastorale» e lo invitava a farne un «vero trattato, di indole sommamente pratica e aggiornata».
In nove punti, don Alberione sintetizzava ciò che nella revisione non si doveva trascurare, soprattutto la preoccupazione per la formazione del clero: «senta di vivere nel Corpo Mistico come minister - dispensator - forma gregis... e attinga alle fonti
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di vita: il Vangelo, l'Eucarestia, il Vicario di Cristo».35 L'attenzione maggiore è rivolta alla vita apostolica del sacerdote, che deve partire da un'unione «affettiva ed effettiva» con i confratelli; essere pronto ed attento ad ogni persona, di ogni classe sociale; essere aperto ai problemi socio-politici e culturali dell'ambiente. Don Alberione terminava le sue indicazioni esortando il curatore a integrare il testo con un buon aggiornamento, secondo i recenti documenti pontifici, gli ultimi congressi e le più recenti pubblicazioni pastorali.
Il can. Pistoni preparò la nuova edizione, suddividendo la materia in due parti. Nella prima raggruppa la riflessione sulla Teologia Pastorale e sulla figura del pastore, senza trascurare la conoscenza del gregge e le norme che regolano l'azione pastorale. Nella seconda, illustra i diversi mezzi d'azione dedotti dai compiti o poteri della Chiesa e ricondotti al triplice ufficio: magisteriale-sacerdotale-regale.
Il materiale delle precedenti edizioni è ora ridistribuito in un nuovo ordine, mentre dal curatore si introducono due nuovi capitoli. Il primo, La teologia pastorale, sviluppa una riflessione generale sulla TP illustrandone i compiti e i mezzi; il secondo, La conoscenza della parrocchia, evidenzia l'importanza di bene orientarsi, utilizzando anche le scienze psico-sociologiche quali mezzi d'intervento pastorale.
Le mutate condizioni socio-culturali e soprattutto i nuovi orientamenti della TP36 avrebbero potuto instradare in modo
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diverso la nuova pubblicazione, che invece sembra non staccarsi dai vecchi schemi di inizio Novecento.
Il confronto delle diverse edizioni di ATP, appena delineato, spiega perché nella presente pubblicazione adottiamo come testo-base quello della seconda edizione (1915), che a nostro giudizio è quella che meglio traduce il pensiero originale dell'Autore e la struttura del suo trattato; quella inoltre che meglio ci permette di cogliere il suo stile: sobrio, essenziale, talora disadorno, ma comunque chiaro.
4. L'autenticità: un autore o più autori? L'interrogativo, in apparenza gratuito, nasce da una lettura attenta delle prefazioni alle varie edizioni di ATP, tutte redatte personalmente da don Alberione. Un confronto tra esse evidenzia infatti alcune affermazioni problematiche. Nella prima prefazione l'Autore considera il testo opera sua, pur ammettendo di aver avuto suggerimenti da parte di «diciotto tra i più zelanti ed anziani parroci della diocesi» e di essersi avvalso di trattati, opuscoli e riviste varie.
La prefazione alla seconda edizione conferma tale assunto. Ma nella terza, come del resto in un passo di Abundantes divitiae gratiae suae,37 l'Autore afferma: «Ai Rev. Sacerdoti... farà piacere sapere che la prima edizione venne preparata da dodici parroci [il corsivo è nostro], tra i più esperti, tra cui si distribuì la materia, che poi venne coordinata e concordata in parecchie conferenze tra altri sacerdoti».38
Queste ultime affermazioni sembrano contraddire le precedenti. Per assicurarci sulla loro autenticità, abbiamo posto ad alcuni l'interrogativo: se la prefazione della terza edizione fosse veramente di don Alberione. Ha risposto affermativamente
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don A. Speciale, allora segretario personale del Fondatore, che nelle sue annotazioni giornaliere così scrisse: «Il 12 novembre 1958 don Alberione ha preparato la prefazione per la terza edizione di Appunti di Teologia Pastorale». Le risposte di altri, tra i quali don G. Roatta, e l'intervista a mons. Natale Bussi del 17 agosto 1982, non hanno permesso di pervenire a conclusioni diverse.
Dunque le più recenti affermazioni di don Alberione circa la redazione di ATP sono autentiche. Ma come conciliarle con le prime?
L'ipotesi più attendibile è che si debba tenere conto di una composizione progressiva del testo:
- la consultazione con i diciotto sacerdoti-parroci sembra essere la più antica, quella che fornì i primi suggerimenti, poi ampliati dallo stesso don Alberione con letture e sussidi vari;
- i dodici sacerdoti ricordati in AD e nella terza prefazione al testo, sembrano essere coloro che, nelle conferenze pastorali settimanali, collaborarono con don Alberione nella scelta ed elaborazione del materiale raccolto, con ricerche e questionari, per la preparazione della prima edizione.
Tale ipotesi sembra essere la più verosimile, anche se l'AD e la terza prefazione a ATP risalgono rispettivamente al 1954 e al 1958. La possibile imprecisione dei ricordi può forse renderle meno attendibili, ma non tali da mettere in discussione la paternità alberioniana del libro. Del resto, se i sacerdoti consultati si fossero ritenuti co-autori, avrebbero certamente rivendicato i loro diritti nei confronti dell'Autore dichiarato.
Si può quindi considerare don Alberione come Autore del volume, in quanto ispiratore dell'iniziativa e coordinatore del materiale raccolto.
È risaputo che era abitudine del Fondatore eliminare quanto non considerava più necessario, dopo la pubblicazione di un suo scritto. Probabilmente è toccata la medesima sorte a tutto il materiale preparatorio di ATP. Il fatto che non ci siano pervenuti né i manoscritti né gli eventuali dattiloscritti originali di entrambe le prime edizioni, non ci consente
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pertanto quel lavoro di analisi critica, che ci fornirebbe notizie sulla redazione, sulla scrittura (a mano verosimilmente) e sulla origine dei contributi utilizzati.39
III. ATP nella teologia pastorale del tempo
1. Il contesto generale.40 Per una comprensione ed una collocazione più adeguata di ATP, ci sembra opportuno delineare ulteriormente alcuni tratti della riflessione teologico-pastorale di fine Ottocento, che influiscono su don Alberione. Il periodo che va dalla metà dell'Ottocento alla metà circa del Novecento è caratterizzato da una abbondante produzione di manuali di TP.
In essi troviamo una comune visione ecclesiologica, ereditata dalla tradizione post-tridentina e dal Concilio Vaticano I, che intende «costruire la Chiesa intorno al Papa, principio dell'autorità e dell'unità ed ultima garanzia della sua autenticità».41 È chiaro che, in questo schema interpretativo, i fedeli
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risultano oggetto e non soggetto dell'azione pastorale della Chiesa.
Anche la dimensione pneumatologica rimane in ombra, mentre quella cristologica è presente in modo significativo. Cristo istituisce la Chiesa e le conferisce la sua autorità e il suo triplice potere: di Magistero, di Giurisdizione e di Ordine.
Questa concezione ecclesiologica, fortemente giuridica e gerarchica, impronta la formazione seminaristica di generazioni di sacerdoti e pastori, e caratterizza conseguentemente i manuali di TP. I lineamenti qualificanti di tale teologia si possono così sintetizzare:
- L'attività pastorale è essenzialmente la cura d'anime, cioè l'insieme dei ministeri ecclesiastici che portano le singole anime più che le persone concrete alla salvezza.42 A questa definizione soggiace una visione antropologica dualista e una concezione riduttiva della salvezza, che sembra ignorare l'elemento corporeo a vantaggio quasi esclusivo dell'anima.
- La cura pastorale si specifica in funzione delle anime individualmente considerate, mentre la comunità è concepita come una somma di individualità.43 Non si evidenzia il duplice precetto dell'amore a Dio e al prossimo, cioè al mondo.
- Il destinatario di questa cura è l'uomo decaduto, che ha necessità di conoscere Dio e se stesso, ha bisogno della grazia e deve poter accedere a tutti i beni salvifici.44 La risposta a queste tre esigenze viene specificamente dalla sola predicazione della parola e dall'amministrazione dei sacramenti, assicurate entrambe da norme ecclesiastiche.
- La figura dell'operatore pastorale, nella visione tipica fin qui presentata, si stabilisce e si determina esclusivamente in relazione al sacerdote, legata cioè alla sua consacrazione e missione presbiterale, nonché alla sua santità e preparazione personale. Questa figura di sacerdote-pastore45 è caratterizzata
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dalla triplice dimensione magisteriale-sacerdotale-regale, propria solo dei poteri ecclesiastici.
- La metodologia adottata dalla maggioranza dei manuali è piuttosto approssimativa, senza pretese scientifiche, considerando la materia come semplice introduzione alla prassi concreta, ad uso del pastore e del suo gregge.46 I pochi manuali che rivendicano una precisa intenzione scientifica, definiscono la pastorale come la scienza che applica i principi della dogmatica e della morale alla pratica del ministero.47
- Le fonti della TP sono costituite dalla Scrittura, spesso citata dogmaticamente, avulsa dal suo contesto storico-letterario, dagli atti conciliari e sinodali, dai libri canonici e, non raramente, dalle esperienze di Santi o grandi Pastori di anime. Solo nel momento applicativo si ricorre alle scienze positive circa la situazione concreta nei suoi vari aspetti: psicologia, pedagogia e talvolta anche medicina per quanto riguarda la situazione del soggetto; statistica e sociologia per la conoscenza dei fattori socio-economici e culturali.48
2. Il contesto italiano. Al tempo in cui don Alberione scriveva i suoi Appunti, in Italia non esisteva una forte teoria pastorale. Circolavano invece manualetti che riscuotevano più o meno successo e i cui contenuti erano conservatori. Una nota particolare richiede il contesto storico, caratterizzato dalla politica di uno stato che difende ad ogni costo la sua laicità e dalla reazione di una comunità ecclesiale non ancora libera da una logica di difesa del potere temporale. In questo contesto la riflessione pastorale si colloca fuori dall'ambito universitario, a differenza di quel che avviene contemporaneamente nei paesi di lingua tedesca dove le scienze religiose hanno cittadinanza nelle università civili. In Italia
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la pastorale si orienta lungo due direttrici: quella ascetico-spirituale e quella giuridica.
Testo emblematico ne è il Manuale pratico del parroco novello,49 scritto da Giuseppe Frassinetti, priore di S. Sabina in Genova e fondatore dei Figli di Maria Immacolata, nonché autore di diverse opere ascetiche. Il volume, pubblicato nel 1863, raggiunse nel 1964 la dodicesima edizione.50 Nato dall'esperienza di trent'anni di ministero pastorale, il volume è presentato ai «parrochi novelli colla libertà d'un fratello anziano che loro può dire: voi freschi di studi, mi avanzerete nelle cognizioni teoriche, ma nella pratica m'avantaggio sopra di voi».51
Nei primi decenni del secolo XX si distinguono E. Berardi, che nel 1902 pubblica Theologia Pastoralis, e A. Micheletti, con il suo De Pastore animarum, edito nel 1912.52 Redatti in
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latino, i due manuali si rivolgono al clero in cura d'anime e ne descrivono le caratteristiche e i doveri fondamentali.
Altri autori, come Giuseppe Calandruccio, Giuseppe Bartolotti e Giuseppe Corazzini,53 offrono riflessioni di carattere più strettamente giuridico-canonico. Nel 1917 appare un'opera di mons. Fortunato De Santa, vescovo di Sessa Aurunca: Spunti di teologia pastorale, che nel 1926 esce già in IV edizione ampliata e corretta.54 Dopo la pubblicazione del Codice di Diritto Canonico (1917), altri pastoralisti aggiornano la riflessione sulla pratica pastorale alla nuova normativa. Ricordiamo E. Naddeo, che nel 1922 pubblica Il vero pastore di anime, in due volumi, e soprattutto G. Stocchiero, con Pratica Pastorale.55 Pubblicato nel 1921, questo libro venne accolto dal clero italiano con molto favore, come dimostrano le numerose edizioni e la loro adozione nei seminari fino al Vaticano II.
Grande influenza cominciano finalmente ad esercitare anche in Italia due pastoralisti tedeschi, C. Krieg e H. Swoboda,56 le cui opere erano già state tradotte nei primi due decenni del secolo XX. Il Krieg si raccomandava per il rigore
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scientifico con cui strutturava la materia e per l'argomentazione atta a fondare una vera scienza pastorale; lo Swoboda, per l'apertura ai problemi socio-pastorali della parrocchia, specialmente di città, ormai segnata dal fenomeno dell'industrializzazione e dai mezzi di comunicazione di massa.
A don Alberione, giovane sacerdote, il libro di Swoboda apparve uno «splendido trattato».57 Così ne presenta l'autore: «Professore all'università di Vienna, ebbe dal suo governo un sussidio considerevole per portarsi in tutte le città principali d'Europa, per studiare lo stato della cura d'anime».58 Con lui condivide la necessità di una conoscenza reale della situazione, prima di elaborare una qualsiasi progettazione. Con lo Swoboda don Alberione è d'accordo soprattutto sull'impiego delle nuove scienze umane per un intervento preciso, efficace e rispondente alla situazione attuale.59
Più ancora C. Krieg è additato ai lettori di ATP come un autore capace di soddisfare gli spiriti più esigenti, desiderosi di trattazioni scientifiche: «Non voglio aspettare più innanzi a ricordare l'opera migliore che possediamo attualmente di pastorale: Krieg, Scienza Pastorale...».60
Don Alberione non si ferma tuttavia ai due pastoralisti tedeschi. Ciascun operatore pastorale deve secondo lui trovare i propri maestri più convincenti nei santi-pastori del passato, come sant'Alfonso,61 san Carlo Borromeo, san Francesco di Sales, san Giovanni Bosco, il Cottolengo e il Curato d'Ars. Il pastore d'anime dovrebbe inoltre alimentarsi alle opere spirituali
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di san Giuliano Eymard, di sant'Ignazio di Loyola e del Faber. Ovviamente non sono ignorate le Sacre Scritture e i Padri della Chiesa, oltre ai grandi Pastori, pur enunciati senza alcuna preoccupazione di contestualizzazione storica o geografica.
3. Fermenti di rinnovamento e movimenti ecclesiali. Mentre la produzione letteraria italiana a livello di riflessione pastorale rimane per lo più vincolata agli schemi della neoscolastica e alla ecclesiologia del Vaticano I, nell'ambito della prassi pastorale nascono nelle varie chiese locali iniziative interessanti e una nuova riflessione che prepara il Vaticano II.
In genere, teoria e prassi sono legate all'intraprendenza e allo zelo pastorale di singole figure di vescovi o sacerdoti, attenti ai movimenti culturali d'oltralpe e ai fermenti innovativi delle rispettive comunità collocate in una situazione storica che si va rapidamente evolvendo.
Sono attività che si accompagnano e interagiscono con i movimenti ecclesiali che precedono e preparano indirettamente il Concilio Vaticano II: catechetico, liturgico, caritativo o sociale.
La rinascita del movimento catechistico italiano è legata ai nomi di mons. G. Bonomelli, G.B. Scalabrini, A. Capecelatro, L. Pavanelli, ecc., che insieme con i membri di diversi istituti religiosi promuovono congressi e convegni di studio, nonché la rivista Il Catechista Cattolico. Questo rinnovamento si conferma con l'azione e il magistero di Pio X attraverso la Acerbo Nimis e il nuovo Catechismo.62
Il movimento liturgico, già sorto in Belgio e poi passato in Germania, in Italia è legato principalmente alla nascita della Rivista Liturgica (1914), promossa dall'abate B. Bolognani, benedettino di Finalpia, e affidata alla direzione di dom E.
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Caronti. La collaborazione di vescovi come mons. Marini di Norcia e mons. Filippello di Ivrea, e il contributo di studiosi come l'abate Schuster, poi arcivescovo di Milano, fa sì che il popolo si sensibilizzi al valore pastorale e santificante della liturgia.63
Un capitolo particolare nella storia della pastorale italiana è costituito da quell'insieme di idee e di opere socio-ecclesiali, conosciuto come movimento sociale cattolico. Molto complesso nella sua genesi e nella sua articolazione, esso risponde «sostanzialmente all'associazionismo e a tutte quelle iniziative sviluppatesi dal 1848 in poi per far fronte ad un contesto politico dominato da forze avverse al cattolicesimo».64
Forte all'inizio di un notevole ed articolato patrimonio di opere assistenziali e di beneficenza, verso gli ultimi decenni dell'Ottocento, il movimento si arricchisce di nuove imprese, con la nascita delle prime Società di Mutuo Soccorso, la costituzione di Cooperative di Credito nella forma di Casse Rurali, e i Patronati in difesa degli emigranti.65
In questo periodo si diramano anche promettenti filoni di iniziative a favore dell'assistenza e promozione delle classi più indifese, della gioventù e della donna,66 principalmente nel campo dell'istruzione.
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Prime, in ordine di tempo, sono le opere di istruzione professionale per la gioventù: l'Opera degli Artigianelli, dei Fratelli delle Scuole Cristiane, dei Giuseppini del Murialdo e dei Salesiani di don Bosco. Tutte queste strutture servono per preparare i giovani all'impiego in vari settori della vita economico-sociale; soprattutto creano solidi legami associativi mediante una buona formazione spirituale.67
Un altro filone, meno istituzionalizzato, è costituito dall'opera paziente di «un clero appassionato tanto alle cure pastorali come alla vita rurale»68 che in molti modi trasferisce notizie e insegnamenti utili per l'ammodernamento di metodi e tecniche al contadino.
Non meno importante è infine l'apporto della stampa cattolica locale, legata specialmente al fenomeno dei periodici diocesani e dei bollettini parrocchiali, in cui accanto alla catechesi religiosa e alle notizie della vita diocesana, vengono date informazioni circa le offerte opportunità di istruzione tecnica e professionale. In proposito si può far notare che don Alberione colloca la buona stampa fra le elemosine che meritano l'attenzione particolare dei fedeli.69
Fin dal 1875 l'organizzazione maggiore, destinata ad ispirare i cattolici italiani per circa un trentennio, era stata l'Opera dei Congressi, le cui figure di spicco saranno mons. Radini-Tedeschi, G.B. Paganuzzi, N. Rezzara.70 Notevole impulso alla riflessione e alle proposte operative veniva anche dalle Settimane Sociali dei Cattolici italiani, celebrate annualmente dal 1907 ed animate da eminenti personalità, quali il card. Maffi, i professori G. Toniolo, A. Boggiano-Pico, A. Caldana e altri, ove si affrontarono temi di scottante attualità, come la famiglia, la scuola, la condizione operaia, il
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sindacato, l'emigrazione, in una parola, i moderni problemi pastorali.
4. Pio X e il modernismo. Don Alberione in ATP si ispira sostanzialmente alla visione di Chiesa del suo tempo e soprattutto al magistero di Pio X, del quale ha fatto proprio il motto programmatico Instaurare omnia in Christo.71
Il pontificato di Papa Sarto, preparato da significative esperienze di parroco e vescovo, si presenta fin dall'inizio con un programma spiccatamente pastorale, teso alla restaurazione di una vita ecclesiale nelle sue più tradizionali componenti: il deposito della fede, la disciplina morale e canonica, la vita sacramentale. Di qui la serie di suoi documenti per la promozione della catechesi, della formazione cristiana e sacerdotale, e della liturgia.72
Un fenomeno di portata storica che però segnò in modo ambiguo e doloroso quel pontificato fu la crisi modernista, che lacerò molte coscienze fra i cattolici e i loro pastori. Già sul finire del secolo XIX, l'umanità si era trovata di fronte a un'esplosione di scoperte scientifiche e culturali senza precedenti. Entro la Chiesa, nell'ambito del pensiero, veniva messa in crisi la metafisica e la filosofia tradizionale, spiazzate dalla più moderna dialettica di Hegel e dal soggettivismo kantiano. «L'idea più rivoluzionaria del XIX secolo - scriverà Fergus Kerr - è che il pensiero e la verità sono, in
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qualche misura almeno, relative alla società e alla prospettiva storica nella quale sono affermati o presunti».73
Il modernismo aveva quindi le sue ragioni, ma l'accento era posto sull'esperienza individualistica, anche religiosa, piuttosto che sul corpus oggettivo della dottrina.74 I pensatori religiosi cercavano Dio nell'aspirazione psicologica dell'animo umano piuttosto che nei dogmi della Chiesa. Dal modernismo le Scritture erano trattate non come un corpus dogmatico ma piuttosto come ogni altro corpus letterario antico, e venivano studiate con i sofisticati strumenti dell'analisi storica, la filologia, la retorica, l'archeologia... Ciò che oggi è da molti, forse dai più, anche nella Chiesa cattolica, accettato come un metodo scientifico d'indagine, era allora considerato in contrasto con la tradizionale lettura biblica ammessa nella Chiesa, in linea con la Controriforma e quindi in chiave antiprotestante. In tale visione, tradizionalista e conservatrice, il ruolo del magistero pontificio era accentuato come norma unica del controllo della fede.
L'enciclica Pascendi dominici gregis di Pio X (8 settembre 1907), preceduta da un sillabo75 di errori, segnò la condanna ufficiale appunto del modernismo, considerato semplicemente un'ideologia agnostica e relativista, e quindi un'eresia che frantumava la verità rivelata.
In Europa di fatto esisteva un certo numero di studiosi, che oggi si direbbero progressisti e allora, negativamente,
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arrendevoli allo spirito dei tempi, fra i quali il biblista francese Alfred Loisy (1857-1940) e il teologo irlandese George Tyrrell, un gesuita ex calvinista (1861-1909). Da diverse posizioni costoro accusavano la Chiesa di medievalismo e sottolineavano il carattere storico-relativo degli enunciati biblici ed ecclesiastici attorno alla verità rivelata.
In Italia, però, sacerdoti e laici più attenti a quanto avveniva nei centri di ricerca, sollecitavano cautamente la partecipazione dei cattolici laici alla vita culturale e politica. Il barnabita Giovanni Semeria sospirava un nuovo approccio apologetico, che tenesse conto della psicologia moderna; l'esegeta Giovanni Genocchi promuoveva incontri regolari fra i progressisti nella sua casa di Roma; Umberto Fracassini, che era stato un protetto di Leone XIII e rettore del Seminario di Perugia, fu segnalato come innovatore per le sue idee sulla storia della Chiesa e sull'esegesi; Salvatore Minocchi, che lamentava l'evidente incapacità ecclesiastica di stabilire contatti con la cultura laica contemporanea, abbandonò il sacerdozio, come faranno anche don Romolo Murri ed don Ernesto Buonaiuti.76
Nei suoi ricordi maturi don Alberione riassumerà la crisi modernista in questa breve sintesi: «Dal 1895 al 1915 vi erano state molte deviazioni in materia sociale, teologica, ascetica, così da scuotere le basi di ogni verità e della Chiesa; anzi tentarne la distruzione!» E come esempio impressionante citava il caso de Il Santo di Antonio Fogazzaro.77 Molte erano state secondo lui le conseguenze nefaste di quelle deviazioni: la divisione del clero in correnti contrapposte di fronte all'«avanzarsi del socialismo» e al «giogo della dominante massoneria»;
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il «grave turbamento e disorientamento» degli spiriti;78 la conflittualità sociale e politica; l'uso settario (cioè non dogmatico) dei nuovi mezzi di informazione e della scuola.79
Dopo tanto smarrimento, annotava ancora don Alberione, «la pastorale prese un orientamento conforme all'esempio ed all'opera di Pio X, seguendo vie costruttive», poiché (si noti l'originale apprezzamento) «Pio X appariva e si presentava in una luce affascinante: il nuovo Gesù Cristo visibile fra le moltitudini».80
Dalla crisi modernista don Alberione trasse comunque una lezione pratica per il suo futuro ministero. Al riparo da ogni contestazione polemica, egli tentò di individuare i fermenti positivi del discusso movimento, e di tradurre in prassi pastorale molte delle istante proposte dai novatori.81 Quale direttiva programmatica per l'attività editoriale delle proprie fondazioni, egli stabilì di «dare in primo luogo la dottrina che salva. Penetrare tutto il pensiero e sapere umano col Vangelo. Non parlare solo di religione, ma di tutto parlare cristianamente; in modo simile ad una università cattolica che, se è completa, ha la Teologia, Filosofia, le Lettere, la Medicina, l'Economia politica, le Scienze naturali, ecc., ma tutto dato cristianamente e tutto ordinato al cattolicesimo. Così la Sociologia, la Pedagogia, la Geologia, la Statistica, l'Arte, l'Igiene, la Geografia, la Storia, ogni progresso umano, ecc., secondo la ragione subordinata alla fede...».82
Non è forse questa la missione pastorale della Famiglia Paolina?
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IV. I temi più importanti di ATP
Il libro si inserisce nel contesto ecclesiale del suo tempo, riportandone le caratteristiche fondamentali, le sue ombre, e le sue luci soprattutto.
1. Prima fra tutte la fedeltà alla Chiesa, espressa da don Alberione nel suo continuo richiamo alla legislazione ecclesiastica, alla dottrina teologica ed ascetico-morale propria del tempo, soprattutto attraverso il continuo riferimento al magistero pontificio, in particolare di Pio X, che maggiormente influì sulla sua formazione e che troviamo menzionato costantemente nei punti nodali della sua trattazione. Come infatti si è visto, il Fondatore assume come proprio il programma pastorale del nuovo Papa, che si proponeva:
- un rinnovamento generale della vita cristiana;
- un ritorno al Vangelo e alla Chiesa, comunità di speranza e luogo di salvezza;
- la formazione dei sacerdoti alla santità e al ministero: duplice impegno che si unifica nella carità sacerdotale, cioè nella cura d'anime.
Gli ATP iniziano con una citazione dalla esortazione di Pio X al clero, Haerent animo, il cui tenore suona per don Alberione come una specie di manifesto: «Il sacerdote non può essere solo un uomo che vive per sé: non può avere come motto le parole Io-Dio. È assolutamente necessario che egli lavori per la salvezza degli altri, che scriva sulla propria bandiera Io-Dio-Popolo».83 Tale concetto viene ribadito in un'opera successiva, La donna associata allo zelo sacerdotale: il prete che «riducesse la sua vita sacerdotale alla messa ed al breviario, ovvero chi scrivesse sopra la propria bandiera e prendesse a suo motto queste sole parole: Io-Dio, costui non sarebbe un sacerdote: meglio a lui si addirebbe il chiostro... Si abbia adunque come motto: Io-Dio-Anime-Popolo».84
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Gli ATP sono costellati anche di altri riferimenti a documenti di Pio X: al decreto Sacra Tridentina Synodus e al motu proprio Inter plurimas pastoralis officii sollicitudines.85 Particolare attenzione è dedicata alle encicliche Acerbo nimis e Il Fermo Proposito. La prima offre citazioni per un ripensamento dell'attività catechistica diocesana, che vede don Alberione tra i protagonisti della commissione catechistica, voluta dal vescovo per l'elaborazione dei programmi e dei testi di catechesi.86 La seconda suggerisce l'orientamento per l'azione sociale dei cattolici in un momento decisivo e conflittuale. Il documento viene presentato come magistero di rinnovamento, di un Papa «che non distrugge ma che guida».87
2. Un'altra dimensione evidente di ATP è la fedeltà all'uomo, considerato nella sua situazione di uomo decaduto e quindi bisognoso di salvezza. Tale fedeltà è proposta attraverso la tipica descrizione della manualistica: descrizione della normativa giuridico-morale e dei suggerimenti di maestri di spirito, circa l'amministrazione dei sacramenti e l'annuncio della Parola attraverso la predicazione e la catechesi.
Pur rimanendo vincolato all'impostazione nata all'interno di una ecclesiologia clericalizzata, don Alberione si apre a prospettive nuove. Lo studio dello Swoboda e del Krieg, come si è visto, integra ed aggiorna i modelli classici desunti dai grandi pastori, sia dell'età patristica che della stagione post-tridentina.
3. Temi specifici. Quanto alle idee dominanti in ATP, dobbiamo riconoscere che le dipendenze, i legami, gli stessi limiti evidenziati in queste pagine, non possono oscurare il contributo che don Alberione ha cercato di dare alla riflessione pastorale nella Chiesa del suo tempo pre-Vaticano II.
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L'Autore apre ambiti di riflessione legati alla sua esperienza, fin dall'età giovanile (non esclusa una personale crisi vissuta da seminarista), e connessi inoltre alla sua sensibilità, nonché al suo coraggio di affrontare e cercare risposta alle sfide emergenti dal progresso. In ATP si coglie la capacità dell'Autore di adattarsi continuamente all'evoluzione in atto.
In questo senso, don Alberione fa propria la definizione di pastorale enunciata dallo Swoboda come «l'azione di Gesù Cristo e della Chiesa, esercitata dal sacerdozio per la salvezza delle anime»;88 ma aggiunge subito, quasi per esplicitare la concisa definizione: «È quel ministero stesso che Gesù Cristo volle esercitare nella Palestina: Veni ut vitam habeant et abundantius habeant, ed ora vuole adempito da quelli cui disse: Sicut misit me Pater et ego mitto vos».89 In questo modo egli pone il ministero pastorale della Chiesa in relazione di continuità con quello di Cristo, motivato da un'unica ansia, trasmettere la Vita, e fondato su un'unica missione proveniente dalla volontà salvifica del Padre.
La prospettiva di don Alberione non è quindi meramente giuridico-istituzionale, ma dichiaratamente evangelica, missionaria, mossa dall'ansia pastorale di un apostolo che si ispira a san Paolo.
Particolare attenzione merita l'obiettivo della pastorale, che è presentato come un iter di progressivo accostamento del fedele a Cristo, anzi del suo inserimento in lui: «far l'uomo
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cristiano nella mente, nel cuore, nelle opere»90 fino alla sua totale cristificazione personale e sociale.
Questa formulazione, che l'Autore svilupperà successivamente in altre opere,91 è qui appena accennata, ma già manifesta l'adozione del metodo via-verità-vita, destinato a sostenere spiritualità e formazione dei membri della Famiglia Paolina, nonché la loro attività pastorale.92
Altro elemento caratteristico di ATP è l'insistenza sul fatto che destinatari della pastorale sono tutti i membri del popolo di Dio, con una particolare attenzione alla componente maschile, gli uomini, spesso i più lontani dalla Chiesa. Il sacerdote-pastore «deve aver di mira tutta la massa del popolo. In troppi luoghi... il parroco non si occupa che di un piccolo gruppo di anime divote... Il parroco è pastore di tutti: deve pur lasciare le novantanove pecorelle sicure per rintracciare l'unica smarrita: tanto più quando le pecorelle sicure sono un pusillus grex e le smarrite sono più numerose».93
Il pastore, inviato a tutto il popolo, deve dunque operare una duplice conversione:
- rispetto ai destinatari: non più identificabili con piccoli gruppi che già frequentano abitualmente la chiesa, ma con tutti gli abitanti della parrocchia;
- rispetto al suo ruolo: non più solo di presiedere al culto a cui partecipano i devoti, ma di intraprendere una ricerca dei lontani e favorire le occasioni di incontro con loro.
Don Alberione intuisce l'urgenza di superare gli angusti spazi di certe parrocchie.94 Cerca di mantenere in equilibrio
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il rapporto massa-individuo e mentre è preoccupato di far giungere ad ogni persona la parola che salva, si pone l'interrogativo: «Come rendere fruttuosa la predicazione anche per chi non è a sentirla? È un grave inconveniente nella cura d'anime in molte città aver di mira nell'azione pastorale quel solo gruppo dei già convertiti e non gli altri che ne abbisognano molto di più. Ora per questi... specialmente si può far giungere un buon foglio».95 La stampa è dunque un valido strumento pastorale.
In verità già lo Swoboda affrontava questa problematica e invitava a mantenere in equilibrio i due termini del rapporto attraverso «un'azione speciale sulle diverse classi sociali».96 L'individuo è riconosciuto e raggiunto all'interno del suo ceto sociale. Don Alberione evidenzia a sua volta questa argomentazione e condivide la proposta di superare facili assolutizzazioni attraverso un'impostazione attenta alle varie classi sociali.97 Nello stesso tempo, però, coglie dal contesto una nuova istanza, la possibilità cioè di attendere alla massa con mezzi diversi da quelli tradizionali: «far giungere un buon foglio».
4. Metodi nuovi. Il nostro Autore rispetta di fatto le tradizionali forme di offerta della Parola, come la predicazione e la catechesi, ma propone possibilità diverse, con l'assunzione dichiarata della buona stampa98 e di ulteriori mezzi moderni, come strumenti di evangelizzazione, tutti quelli capaci
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di introdurre la parola di Dio e la voce della Chiesa anche in ambiti non strettamente ecclesiali.
Merita attenzione anche un altro breve passaggio di ATP: «Il parroco non dovrà procedere con metodo d'apriorismo: non potrà entrare in un paese con un programma ben definito in ogni sua parte... le opere e il modo li sceglierà sul luogo, dopo aver conosciuto la popolazione».99 E ancora, con un riferimento al Maestro divino: il sacerdote deve avere una «conoscenza precisa delle miserie e dei bisogni, [conoscenza] acquistata dal trattare direttamente con il popolo»; infatti, «come è possibile far del bene a chi non si conosce? Come essere ricercati mentre non si è conosciuti? Faceva forse così Gesù?».100
Si sottolinea dunque la necessità di conoscere la gente, le anime, per operare in maniera costruttiva.
5. Concretezza e globalità. Tutti questi elementi sono unificati, o come polarizzati da una grande ansia pastorale e da una forte sensibilità sociale. Grazie anche alla formazione ricevuta nella dinamica diocesi di Alba,101 don Alberione è deciso nel perseguire l'evangelizzazione e la cristificazione della società, e nell'escludere tutto ciò che non è finalizzato ad esse.
L'azione sociale del clero e l'azione cattolica si giustificano solo in questa prospettiva. «Sotto tale titolo [azione sociale... cattolica] alcuno può subito credere che si debba solo parlare di casse rurali, di cantine sociali, di banche. No: queste
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cose possono entrare, ed il clero vi deve prendere una parte moderata», ma non costituiscono la cura pastorale.102
Mentre scriveva queste pagine don Alberione era impegnato con il can. Francesco Chiesa a propagandare nelle varie parrocchie della diocesi albese l'Unione Popolare.103 Il suo orientamento è chiaro: la presenza del sacerdote-pastore non deve essere segnata dal compromesso; egli dice no al puro spiritualismo e no anche al sociologismo e all'integralismo. I parroci non devono essere solo uomini di presbiterio né solo di piazza. Devono saper stare con sapienza nel sociale per far sì che ogni realtà venga cristificata, anche l'agricoltura e l'industria nascente a livello parrocchiale.
A questo punto, muovendo dagli elementi fondamentali del testo, è possibile individuare nel termine totalità l'idea forza della concezione pastorale di don Alberione. Essa esprime la necessità di raggiungere tutta la realtà umana nella sua globalità, tutti gli uomini, di qualsiasi condizione sociale, con tutti i mezzi che il progresso umano mette man a mano a disposizione dell'operatore, per raggiungere il fine di cristificare tutto l'uomo e tutta la storia.104
Il suo apporto di novità consiste dunque non soltanto nell'assunzione delle nuove mediazioni strumentali, ma soprattutto nelle sue numerose fondazioni, che nel loro evolversi storico sono chiamate ad attualizzare la nuova pastorale sia nei contenuti che nei mezzi.
Conclusione
Don Alberione ha scritto un testo che non si può certo dire rivoluzionario. È piuttosto una testimonianza di come si possa coniugare insieme tradizione e novità. Senza creare inutili fratture, egli immette nella pastorale tradizionale dei germi
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nuovi, che una volta applicati garantiscono un cambiamento notevole sul piano della riflessione e della prassi.
Questa caratteristica contrassegnerà del resto don Alberione lungo tutta la sua vita di pastore-fondatore: una qualità senza dubbio da ereditare, per chi opera nella Chiesa di Dio a servizio del regno.
* * *Desideriamo ringraziare quanti hanno collaborato al presente lavoro, in particolare suor Lucia Varo SGBP e i paolini: don Andrea Damino e don Giancarlo Rocca, che ci hanno fornito preziosi contributi; don Antonio F. da Silva e don Eliseo Sgarbossa per i loro suggerimenti e collaborazione a questa introduzione; don Luigi Giovannini per la revisione dell'opera; fratel Maurizio Tirapelle per tutta la parte tecnica.
VIRGINIA ODORIZZI SGBP
ANGELO COLACRAI SSP
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VIIPRESENTAZIONE1Procurare santi Sacerdoti alle nostre popolazioni è opera veramente degna di un Superiore di Seminario (l'autore è Direttore Spirituale di Seminario); insistere specialmente sui modi pratici
di esercitare con zelo e con frutto il ministero pastorale è opera doppiamente commendevole e troppo necessaria ai giorni che corrono. Siano adunque benedetti i cari Appunti di teologia pastorale
del buon Teol. Alberione, nei quali risplendono assieme la soda dottrina
ed il senno pratico, per cui torna facile e sicuro l'esercizio di un vero pastore d'anime.
Leggano volentieri i giovani ed ancora gli anziani le pagine dettate da un vivo amore della virtù, congiunto allo studio delle norme più adatte ai tempi nostri per far rifiorire la vita cristiana.
E sovratutto faccia il Signore coll'effusione più abbondante delle sue grazie più elette che i suoi Ministri in terra, vincendo se stessi e soffocando ogni voce dell'indolenza e dell'amor proprio, abbiano a conformarsi a queste lezioni, loro proposte dalla stessa Divina Provvidenza.
Torino, 2 febbraio 1913. + A. Card. RICHELMY
Arcivescovo di Torino
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1 G. ALBERIONE, La Beata Vergine delle Grazie in Cherasco, Tip. Albese di N. Durando, Alba 1910.
2 A. DAMINO, Bibliografia di don Giacomo Alberione, Edizioni dell'Archivio Storico Generale della Famiglia Paolina, Roma 1994
3 , pp. 25-28.
3 Sul passaggio dall'apostolato diretto a quello indiretto, in attesa di studi più approfonditi, si possono consultare L. ROLFO, Don Alberione, appunti per una biografia, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1998
3 , p. 75; R. F. ESPOSITO, La teologia della pubblicistica, EP, Roma 1970, p. 71ss; E. SGARBOSSA, “La formazione presbiterale e il sacerdozio di Don Alberione”, in Palestra del Clero, marzo-aprile 1996, pp. 661-684.
4 L. ROLFO, Il buon soldato di Cristo, EP, Alba 1978, p. 106.
5 G. MAGGI, “Temi politici e sociali nell'azione dei cattolici albesi del primo novecento”, in Alba Pompeia, Nuova Serie IV (1983) I, pp. 5-18; P. REGGIO, "Alba: L'ambiente socioreligioso nella città e dintorni" in Conoscere Don Alberione, Ed. Centro di Spiritualità Paolina, Roma 1994, pp. 79ss.
6 Cf G. BARBERO, Il sacerdote Giacomo Alberione, Un uomo - un'idea, Società San Paolo, Roma 1991
2 , pp. 155-158; D. RANZATO-G. ROCCA, 50 Anni di una presenza pastorale, Roma 1988, p. 17ss.
7 L. ROLFO, Don Alberione..., op. cit., p. 71.
8 G. ALBERIONE, Abundantes divitiae gratiae suae. Storia carismatica della Famiglia Paolina (AD), Roma 1998, n. 82 e 86.
9 G. ALBERIONE, Appunti di Teologia Pastorale, II ed., Pietro Marietti editore, Torino 1915, p. XI. - Tutte le citazioni di ATP, quando non è detto diversamente, faranno riferimento a questa edizione.
10 Mons. Natale Bussi (1907-1988) professore presso il seminario di Alba, in un'intervista fatta il 17.08.1982, parlava di questa metodologia usata da don Alberione. I questionari ponevano domande su «come fare pastorale - quali erano i doveri del parroco». Identificava poi alcuni sacerdoti a cui certamente aveva inviato il questionario: mons. Bartolomeo Dallorto (1886-1953), parroco a Monforte; mons. Luigi Sibona (1874-1947), parroco a Canale-Castellinaldo; mons. Augusto Vigolungo (1869-1941), parroco di Vezza.
11 Cf ATP, p. IX.
12 AD, n. 83.
13 ATP, p. XI.
14 Il testo del 1915 è stato trovato nelle maggiori biblioteche italiane, p. es. Torino, Roma, Napoli, oltre che nella biblioteca benedettina di Cava de' Tirreni (Salerno).
15 Difesa ed azione, Mensile dell'Associazione del Clero dell'Archidiocesi di Torino, ll (1912) p. 135.
16 A. RICHELMY, Presentazione, in ATP, p. VII, 2 febbraio 1913.
17 A. TAVERNA, Rassegna di Teologia Pastorale, in La Civiltà Cattolica, 67 (1916) IV, p. 456. Nella stessa recensione però don Alberione riceve alcune critiche riguardanti la condotta del confessore nei confronti dei penitenti scrupolosi (cf n. 185-201). Con particolare fermezza, inoltre, viene richiamato per una affermazione circa la rivelazione ai giovani dei cosiddetti “misteri della vita”. Don Alberione sostiene infatti che questa rivelazione «si deve fare... per la migliore educazione» (cf n. 192). La Civiltà Cattolica ribatte che questo «metodo di educazione, lungi dall'ottenere lo scopo di preservare i giovani dal vizio, spalanca anzi le porte alla corruzione» (cf p. 459). Non conosciamo la reazione dell'Autore a questa recensione. Nell'edizione del 1960 viene comunque pubblicato ciò che era stato scritto senza apporvi alcun cambiamento, eccetto che per un punto in materia di morale (cf ATP, III ed. p. 254).
18 G. STOCCHIERO, Pratica pastorale a norma del Codice di Diritto Canonico e in rapporto alla legislazione ecclesiastica italiana, Marietti, Torino 1921. Il libro di don Alberione è citato alla p. VII. - E. NAD-DEO, Il vero pastore di anime, Norme Pratiche di Teologia Pastorale dei Parroci Italiani, voll. 2, Ferrari, Roma 1922. L'opera di don Alberione è citata alla p. IX.
19 Cf A. DAMINO, Bibliografia..., op. cit., p. 148-150.
20 Vita Pastorale. Rivista per la pratica del Ministero Sacerdotale, IV (1921), pp. 4-6. Cf ATP, n. 104ss.
21 G. ALBERIONE, Prediche alle Suore Pastorelle, vol. 1, EP, Albano Laziale (Roma) 1961, p. 35.
22 La documentazione, gentilmente fornita da don Antonio Speciale, è composta da una relazione di mons. Giuseppe Pistoni allo stesso don Speciale, e dagli allegati A, B, C, D, E, F. Nella relazione, datata 16.10.'89, mons. Pistoni espone sinteticamente i suoi rapporti epistolari con don Alberione. Gli allegati sono lettere di risposta alle richieste del curatore, eccetto l'allegato B, che è la prefazione alla III edizione del volume.
23 ATP, Prefazione alla 1ª edizione, p. IX; p. 55 della presente edizione.
24 ATP, Prefazione alla 2ª edizione, p. XI; p. 57 della presente edizione.
25 Per un approfondimento del tema cf E. BOSETTI, Il Pastore. Cristo e la Chiesa nella I lettera di Pietro, EDB, Bologna 1990.
26 Nell'indice della II edizione a p. 373 si legge: «Giudizio dell'Em.o Card. Richelmy sulla I edizione».
27 ATP, n. 52.
28 ATP, n. 79.
29 ATP, n. 363.
30 ATP, Prefazione alla 2ª edizione, p. XI; p. 57 della presente edizione.
31 Cf n. 36 della presente edizione. La prima edizione omette il cap. III e «I frutti della pietà, Virtù sacerdotali», proseguendo la trattazione senza alcuna soluzione di continuità.
32 Cf n. 70 della presente edizione.
33 Cf n. 37, dove si descrive la Lega Sacerdotale Pro Pontifice et Ecclesia, sorta nel 1913 e costituita in Piemonte nel 1915.
34 Cf n. 45: vengono omesse le notizie riguardanti i Missionari Gratuiti. Al n. 204 ricompare una brevissima frase che li riguarda: «servendosi anche dei predicatori della lega tra i missionari gratuiti».
35 Allegato A della documentazione relativa al carteggio tra don Alberione e il can. Pistoni. Cf nota 22 di questa presentazione.
36 Tra gli anni '20-'30 molti pastoralisti abbandonano la struttura manualistica, troppo ingombrante e inadeguata, per affrontare in modo rigoroso e tempestivo le problematiche emergenti dalle nuove istanze pastorali. Si profila anche in questo periodo una presenza nuova nell'attività pastorale, la presenza del laicato e specificamente della donna. Con F. X. Arnold, noto pastoralista di Tubinga, la teologia pastorale acquista una collocazione e una precisa definizione all'interno di un quadro teologico di riferimento. Dal secondo dopoguerra fino agli anni '60, si impone inoltre un complesso movimento conosciuto in campo cattolico come «Pastorale d'Insieme». Cf M. MIDALI, Teologia Pastorale o pratica, LAS, Roma 1985, pp. 61-83.
37 AD, n. 83: «Per due anni, in conferenze settimanali, con dodici sacerdoti, studiò i mezzi di una buona e aggiornata cura d'anime. Su questo interrogò ed ebbe suggerimenti scritti (che trasmetteva ai chierici e giovani sacerdoti) da una quindicina di Vicari Foranei. Ne risultò il libro (1913) Appunti di Teologia pastorale...».
38 ATP, III ed., p. 7.
39 In realtà, nel Quaderno 60 si conserva il manoscritto delle pagine 9-31 della prima edizione di ATP. Il caso merita una breve considerazione. Infatti, del Quaderno 60 si dispone attualmente delle pagine 7-128. Ma le pagine 7-41, corrispondenti alle suddette pagine di ATP, non sono autografe di don Alberione. Si tratta probabilmente dell'opera di un suo collaboratore, al quale aveva affidato un manoscritto, per ottenerne una copia in una scrittura più leggibile. Due sono i motivi che portano comunque a ritenere don Alberione autore di queste pagine: il fatto che le abbia numerate di proprio pugno, considerandole alla pari delle altre del Quaderno 60, ed anche la difficoltà incontrata dall'amanuense nell'interpretazione del testo che aveva davanti, dato che ha lasciato qualche spazio in bianco, da essere completato in un secondo tempo. Per esempio, alla pagina 39, dopo la parola “adorano” segue uno spazio in bianco e poi vengono i due punti esclamativi. Segno che non aveva saputo interpretare la parola “tremanti” del manoscritto originale.
40 Per questo punto cf F. ARNOLD, Storia moderna della Teologia Pastorale, Città Nuova, Roma 1970, pp. 172-182; C. FLORISTAN e M. USEROS, Teologia dell'azione pastorale, EP, Roma 1970, pp. 119-121; M. MIDALI, Teologia..., op. cit., pp. 18-83; S. LANZA, Introduzione alla Teologia pastorale, Queriniana, Brescia 1989, pp. 36-67.
41 S. DIANICH, L'ecclesiologia in Italia dal Vaticano I al Vaticano II, in Dizionario Storico del Movimento Cattolico, vol. II, Marietti, Torino 1981, p. 164.
42 Cf C. KRIEG, Cura d'anime speciale, Marietti, Torino 1913, pp. 5, 16-24.
43 Cf Idem, pp. 9-15.
44 Cf Idem, pp. 1-41.
45 Cf Idem, pp. 65-95.
46 Cf note 52-53 nelle pagine seguenti.
47 Cf C. KRIEG, Cura d'anime..., op. cit., pp. 61-63.
48 Idem, p. 61; H. SWOBODA, La cura d'anime nelle grandi città, Pustet, Roma 1912, pp. 9-15.
49 Cf G. FRASSINETTI, Manuale pratico del parroco novello, I ed., Tip. Miglio, Novara 1863. Il volume ha il carattere di una raccolta di consigli pratici, nati dall'esperienza quotidiana di ministero. Più che la preoccupazione per la parte giuridica della pastorale, è prevalente l'attenzione ai doveri pastorali del parroco in rapporto alle esigenze del tempo e all'ascetica sacerdotale, che lo deve informare. Il libro è diviso in tre parti, che trattano: Dei doveri del parroco; Dei sacramenti; Della pratica di alcune virtù più necessarie al parroco. Tradotto nelle principali lingue europee, ricevette elogi. L'episcopato italiano lo accolse favorevolmente e lo propose alla meditazione del clero. Mons. Gentile, vescovo di Novara, mandò una copia del volume a tutti i parroci della sua diocesi, con una lettera pastorale di accompagnamento (cf Introduzione alla XI ed., p. 7).
50 Sia la XI edizione (1928) che la XII (1964) sono state pubblicate dalle Edizioni Paoline per desiderio di don Alberione.
51 G. FRASSINETTI, Manuale..., op. cit., Introduzione, p. 9.
52 Cf E. BERARDI, Theologia Pastoralis, Typ. Novelli-Castellani, Faventiae [Favenza] 1912. Cf A. MICHELETTI, De Pastore Animarum, Pustet, Roma 1912. In questo volume la materia è divisa in due grandi parti. Nella prima, “De Boni Pastoris persona et obligationibus”, descrive la figura del sacerdote pastore, elencandone le virtù caratteristiche e i principali doveri. Nella seconda parte, “De Pastoris opera eiusque peculiaribus obligationibus”, affronta il tema delle relazioni del sacerdote con le varie persone della diocesi e della parrocchia. Seguono i capitoli riguardanti l'amministrazione dei sacramenti e le varie opere da promuovere nella parrocchia. Infine si tratta di tutte le norme che devono regolare l'amministrazione dei beni temporali. La pubblicazione non è comunque elencabile tra le opere di speculazione.
53 Cf G. CALANDRUCCIO, Vademecum del parroco italiano, ossia manuale teorico-pratico di leggi ecclesiastico-civili riguardanti i parroci, Tip. dell'Àncora, Napoli 1901. - G. BARTOLOTTI, Il parroco italiano ne' suoi rapporti con le leggi dello stato. Manuale teorico-pratico contenente dottrina, legislazione, giurisprudenza intorno alle leggi civili, penali, amministrative e finanziarie concernenti il regime parrocchiale, Pustet, Roma 1910
3 . - G. CORAZZINI, Il parroco. Cenni storici, diritto, legislazione, G. C. Sansoni, Firenze 1913.
54 Cf F. DE SANTA, Spunti di teologia pastorale, Marietti, Torino 1926
4 .
55 Cf E. NADDEO, Il vero Pastore di anime, norme pratiche di teologia pastorale per parroci italiani, 2 vol., Ferrari, Roma 1922. - G. STOCCHIERO, Pratica pastorale, a norma del CIC in rapporto alla legislazione ecclesiastica italiana, Marietti, Torino 1921.
56 Cf C. KRIEG, Scienza Pastorale, Teologia Pastorale, in 4 libri, versione autorizzata sulla edizione tedesca per l'arciprete A. Boni, Marietti, Torino. In realtà l'opera è rimasta incompiuta per la morte dell'autore. È stato pubblicato il I vol.: Cura d'anime speciale (ed. tedesca 1904), Marietti, Torino 1913; II vol.: Catechetica, ossia scienza del catecumenato ecclesiastico (ed. tedesca 1907), Marietti, Torino 1915; III vol.: Omiletica o scienza dell'evangelizzazione della parola di Dio, di cui l'autore ha lasciato il manoscritto, pubblicato postumo. In Italia apparve nel 1920. - H. SWOBODA, La cura d'anime nelle grandi città, op. cit.
57 ATP, n. 268.
58 ATP, n. 299. Nell'Archivio storico della Casa generalizia della SSP è conservato il libro di Swoboda usato da don Alberione. Lungo tutto il testo sono visibili le sue annotazioni e sottolineature, che evidenziano brani e argomentazioni utilizzati per ATP.
59 Don Alberione coglie nell'opera dello Swoboda soprattutto le riflessioni sulla natura dell'azione pastorale e sui principi. Cf ATP, nn. 81-87. Per le nuove proposte di organizzazione della pastorale, cf ATP, nn. 154, 156, 158, 299.
60 ATP, Prefazione alla 2ª edizione, p. XI.
61 Cf Indice degli Autori alla fine del volume. Nell'attività editoriale della Famiglia Paolina sono state pubblicate diverse opere di sant'Alfonso, dietro sollecitazione di don Alberione.
62 Cf L. NORDERA, Il catechismo di Pio X. Per una storia della catechesi, LAS, Roma 1988, pp. 221-290.
63 Cf S. MARSILI, Storia del movimento liturgico italiano, in O. ROUSSEAU, Storia del movimento liturgico, EP, Roma 1961, pp. 263-269.
64 M. BELARDINELLI, Per una storia della definizione del movimento cattolico, in Dizionario storico del Movimento Cattolico in Italia (DSMCI), vol. I, Marietti, Roma 1981, p. 2.
65 Cf S. ZANINELLI, La situazione economica e l'azione sociale dei cattolici, DSMCI, vol. I, pp. 323-327.
66 Don Alberione non è rimasto insensibile al tema della promozione della donna, tanto dibattuto dopo il 1900, e si è premurato di dimostrare quanto ella potesse fare nell'ambito pastorale, nel suo volume La donna associata allo zelo sacerdotale, Scuola Tip. “Piccolo Operaio”, Alba 1915. Il testo si rivolge direttamente al sacerdote “in cura d'anime” e lo esorta a contare sulla collaborazione femminile ai fini della pastorale, nell'ambito della famiglia, della parrocchia e della società. - Nuova edizione, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 2001.
67 S. ZANINELLI, La situazione..., op. cit., pp. 331-332.
68 Idem, p. 332.
69 Cf ATP, n. 71.
70 Cf S. TRAMONTIN, Un secolo di storia della Chiesa. Da Leone XIII al Concilio Vaticano II, Studium, Roma 1980, p. 5.
71 Cf PIO X, E supremi apostolatus cathedra, Litterae Encyclicae, 4.10.1903, CC, 1903, IV, pp. 129-149.
72 Promotore entusiasta dei congressi eucaristici internazionali, di cui celebrò il 25° a Roma nel 1905, Pio X incoraggiò «l'attiva partecipazione dei credenti ai misteri divini»; promosse il canto e la musica sacra. In tale impresa fu assecondato da Lorenzo Perosi (Tortona 1872-Roma 1956), sacerdote e ispirato compositore - molto conosciuto nella Famiglia Paolina -, che fu chiamato a Roma per dirigere la Cappella Sistina. Pio X fu attivo soprattutto nel campo catechistico, dedicando all'argomento già l'enciclica Acerbo Nimis (15 aprile 1905), che si occupava della regolare istruzione religiosa dei bambini; promosse l'opera della Confraternita della Dottrina cristiana. Per le diocesi della provincia ecclesiastica di Roma, nel 1912 promulgò un Catechismo che si distingue per il suo carattere didascalico.
73 F. KERR, O.P., “Rahner Retrospective II: The Historicity of Theology”, in New Blackfriars, 61 (1980), 339.
74 Pubblicazioni che risalivano al 1854 come l'Enchiridion symbolorum, definitionum et declarationum di H. Denzinger, erano l'avallo di pronunciamenti romani per studiosi che, ostili al sentire filosofico generale dei tempi, ignoravano i progressi nello studio della Scrittura e della storiografia.
75 Lamentabili Sane Exitu, del 4 luglio 1907. - Sillabo o Syllabus (collezione) è il nome dell'elenco delle 80 proposizioni condannate da Pio IX l'8 dicembre 1864. Il titolo completo era Syllabus complectens praecipuos nostrae aetatis errores, ed era stato pubblicato come appendice dell'enciclica Quanta cura. Il Sillabo in sostanza negava che la Chiesa dovesse o potesse venire a patti con le moderne ideologie.
76 Su tutto questo argomento si vedano i seguenti studi: P. SCOPPOLA, Crisi modernista e rinnovamento cattolico in Italia, Il Mulino, Bologna 1961; M. GUASCO, Modernismo: i fatti, le idee, i personaggi, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1995; L. BEDESCHI, Il Modernismo italiano: voci e volti, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI) 1995. - Cf anche Conoscere Don Alberione, Strumenti per una biografia, Centro di Spiritualità Paolina, Roma 1994, pp. 39-127.
77 Cf AD, n. 89. - Sul caso del Fogazzaro e del suo romanzo (pubblicato nel 1905) si veda L. CARONTI, Fogazzaro, Subiaco e “Il Santo”, EP, Alba 1989.
78 «Un grave turbamento e disorientamento era venuto per il precipitoso estendersi del modernismo: nella letteratura, nell'arte, nella disciplina ecclesiastica, nel giornalismo, teologia, filosofia, storia, Scrittura [sacra], ecc. Molti, specialmente del giovane clero, si sviarono» (AD 51).
79 «La scuola diveniva il campo su cui increduli e cattolici si disputavano le anime» (AD 54). - Su tutta questa tematica, cf AD 49-55.
80 AD, n. 50.
81 Cf Gesù, il Maestro, ieri, oggi e sempre, Atti del Seminario internazionale su “Gesù, il Maestro”, Società San Paolo, Roma 1997, pp. 45-63 (p. 56).
82 AD, nn. 87-88.
83 ATP, n. 1.
84 G. ALBERIONE, La donna associata..., op. cit., nn. 16-17.
85 ATP, nn. 198, 202 e 234.
86 Cf AD, n. 80. Cf G. PRIERO, “Il lavoro di un anno ad Alba”, in Il Catechista Cattolico (1915), p. 267.
87 ATP, n. 324.
88 ATP, n. 81; H. SWOBODA, La cura d'anime..., op. cit., p. 11.
89 Gv 10,10: «Io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza»; Gv 20,21: «Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi». Ciò che don Alberione qui accenna sarà in seguito sviluppato in tutta la sua ricchezza durante i trent'anni in cui guida la giovane congregazione delle Suore di Gesù Buon Pastore verso una maggiore consapevolezza della propria identità apostolica, che fonda su tre brani biblici tipicamente pastorali: Gv 10,1-18; 21,15ss. e 1Pt 5,1-5. Cf E. BOSETTI, Un commento di Giacomo Alberione sul Buon Pastore, in Un carisma pastorale, Atti del Seminario sul carisma, Roma 1985, pp. 141-199.
90 ATP, n. 81.
91 Cf G. ALBERIONE, Donec formetur Christus in vobis, Pia Società San Paolo, Alba-Roma 1932. Cf Introduzione nella nuova edizione, Roma 2001, nn. 49ss; AA.VV., L'eredità cristocentrica di Don Alberione, EP 1989, pp. 241ss.
92 Cf A. F. DA SILVA, Il cammino degli esercizi spirituali nel pensiero di don Giacomo Alberione, Centro Spiritualità Paolina, Ariccia 1981.
93 ATP, nn. 86, 132, 139, 140, 141.
94 Questo orientamento di don Alberione prenderà maggiore consistenza negli anni 1936-38 allorché egli matura l'idea di dar vita ad un “Istituto per la Pastorale” come amava definirlo, insieme ad altre iniziative quali: la rivista Pastor Bonus (1936-39), il Corso di Teologia Pastorale, la gestione di una parrocchia in Roma, che volle dedicata a Gesù Buon Pastore. Cf R. F. ESPOSITO, Lo specifico paolino delle suore di Gesù Buon Pastore, in AA.VV., Un Carisma Pastorale, op. cit., pp. 54,79; cf D. RANZATO-G. ROCCA, 50 anni di una presenza..., op. cit., pp. 43ss.
95 ATP, n. 277.
96 H. SWOBODA, La cura d'anime..., op. cit., p. 281.
97 Cf ATP, n. 87.
98 ATP, n. 277. Per una presentazione esaustiva delle iniziative a favore della stampa nei primi decenni del secolo cf G. ROCCA, “La formazione della Pia Società San Paolo (1914-1927)”, in Claretianum, XXI-XXII (1981-1982), 477-482.
99 ATP, n. 327.
100 ATP, n. 84; cf ATP, 145-146.
101 Sulla situazione socio-religiosa della diocesi di Alba, cf G. MAGGI, “Temi politici e sociali nell'azione dei cattolici albesi del primo novecento”, in Alba Pompeia, op. cit., pp. 5-18. L'autore fa esplicito riferimento all'opera svolta dal can. Francesco Chiesa e da don Alberione, inviati dal vescovo nelle parrocchie a far conoscere il documento pontificio “Il fermo proposito” e ad iniziare l'attività dell'Unione Popolare. Nel 1909, dopo un periodo di crisi e di polemiche, i due inviati iniziarono nella diocesi una intensa azione di propaganda insistendo nel presentare l'Unione Popolare come una necessità alternativa al socialismo. Ottennero risultati notevoli: alla fine del 1911 infatti l'Unione Popolare era presente in 91 parrocchie con 2352 iscritti, 800 in più dell'anno precedente.
102 ATP, n. 323.
103 AD, n. 61.
104 Cf ATP, nn. 81-82, 86-87.
1 Nell'indice originale questa presentazione è chiamata: Giudizio dell'Em.o Card. Richelmy sulla prima edizione.