Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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CAPO I
DELL'AZIONE PASTORALE IN GENERE

Che sia. - È l'azione di Gesù Cristo e della sua Chiesa, esercitata dal sacerdozio per la salvezza delle anime.1 È quel ministero stesso che Gesù Cristo un giorno volle esercitare nella Palestina: Veni ut vitam habeant et abundantius habeant,2 ed ora vuole adempito da quelli cui disse: Sicut misit me Pater et ego mitto vos.3 Essa mira a far sì che il pensiero umano, la scienza, la filosofia, ecc., siano cristiani: essa mira a far cristiani i desideri, gli affetti, la volontà, le opere tutte dell'uomo; essa tutto vuol innalzare e santificare... E questo perché? Per giungere a quel luogo che Gesù Cristo ha preparato a ciascuno: Vado parare vobis locum.4 Di qui si vede che l'azione pastorale mira a far vivere negli uomini il cristianesimo: a far l'uomo cristiano nella mente, nel cuore, nelle opere. Il cristianesimo non è un complesso di cerimonie, di atti esterni, di inchini, ecc., è una vita nuova. Esso prende l'uomo, lo integra, lo consacra quasi. Epperciò un Sacerdote non può dirsi pago che in chiesa vi siano splendide funzioni, canti eseguiti appuntino, mille divozioni, ecc.: non può dirsi pago che si faccia la comunione annuale, il matrimonio in chiesa, la sepoltura ecclesiastica, ecc.: non può dirsi pago di certe parate come sono i pellegrinaggi e le processioni; che il popolo ammiri in una predica
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la sua eloquenza, ecc.; che alcune anime si dilunghino in concetti molto spirituali. Queste cose potranno essere mezzi, ma il fine è cambiare i pensieri da umani in cristiani, gli affetti da umani in affetti cristiani, le opere dell'uomo in opere del cristiano. È necessario che l'uomo sia cristiano, non solo pel battesimo, non solo in chiesa; ma in casa, ma in famiglia, ma nella società. Qui tende tale azione: e ciò deve tenersi bene presente in ogni cosa: per non scambiare i mezzi col fine e non renderci quasi ridicola una religione che è quanto di più alto poteva insegnarci un Dio, infinita Sapienza.

Principî generali che debbono regolare l'azione pastorale.
a) Azione concorde. Chi ha pratica può subito conoscere il senso, l'ampiezza e la necessità di questo principio. Come lo stato si compone di comuni così la chiesa di parrocchie. La parrocchia è la prima e fondamentale organizzazione locale: attorno alla quale devono costituirsi le organizzazioni accidentali. Queste non sono che mezzi, che aiuti all'azione della prima. E come la prima è diretta e imperniata sul parroco, così i membri di queste devono far capo e lasciarsi dirigere tutti dal parroco, come membra dalla testa. È vero che quanti lavorano nella parrocchia, siano individui o associazioni, sacerdoti o laici, devono essere favoriti di una certa libertà d'azione: ma è pur vero che il parroco è il motore: è pur vero che il parroco deve avere il triplice uffizio di eccitare all'azione, averne l'alta sorveglianza, dirigere tutto allo scopo suo finale di far cristiani e salvare i parrocchiani. Che se non si verifica questa concordia, con prudenza
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procurata dal parroco, si avrà il brutto spettacolo d'un campo dove mille operai si affaticano, si incagliano, distruggono l'uno all'altro le opere compiute; le anime non saranno aiutate o aiutate male. Ad ottenerla molti sono i mezzi: ma nulla più giova che l'affiatamento: finché gli uomini non si parlano, non si comunicano le proprie idee, i propri sentimenti, potranno molto facilmente combattersi in quelle cose stesse in cui convengono. E questo affiatamento non è possibile che venga promosso dal basso clero, o da associazioni particolari, poiché non si avrebbe mai un vero accordo, mancando il centro ed il superiore che ha l'abilità e l'autorità di conciliare le dissensioni e di imporsi a chi esce di via. È necessario sia promosso dal parroco, cui spetta per diritto e dovere della vera cura delle anime. Né questi può attendere di venir chiamato dal clero o dal laicato; deve egli andare a loro, interessarli, comunicare quanto crede bene, richiederli di consiglio ed aiuto, eccitarli al bene. Che se volesse promuovere conferenze pastorali, per prendere di comune consenso l'indirizzo e la modalità d'azione, sarebbe ottima cosa. Alcuno dirà: ma io non sono assecondato. Si risponde: ciò può dipendere da veri difetti nei coadiutori, ma per lo più dipende da mancanza di tattica e di abilità: spesso si pretende ottenere l'ottimo, di non trovare negli inferiori alcun difetto, di non venir mai contraddetti, di imporre sempre ed ovunque le proprie vedute, di distribuire le occupazioni senza riguardo alla capacità degli individui, di correggerli male o nelle minime cose, di farli lavorare gratis, per finire col mostrarsi sempre insoddisfatti. Evitando il parroco per parte sua tali difetti in generale non gli sarà difficile procurare la concordia
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nell'azione pastorale. Qualche volta potrà però trovare tra i suoi cooperatori di certi riottosi che resistono ad ogni industria; per questo non sarà mai abbastanza raccomandato al clero inferiore e specialmente ai preti-maestri e ai cappellani di assecondare il parroco, pensando alla grave responsabilità che peserebbe su di loro, facendogli segretamente o apertamente guerra. Il parroco sappia cedere spesso, piuttosto che rompere: fino almeno dove la coscienza lo permette.
b) Contatto personale. - Cioè un'unione intima tra parroco e gregge: una conoscenza precisa delle miserie e dei bisogni, acquistata dal trattare direttamente col popolo. Qualche volta accade di trovare sacerdoti che sono totalmente separati dalla massa del popolo! in canonica il popolino trova mille soggezioni ad entrare: in chiesa sente prediche alte, totalmente fuori dalla mentalità sua: al confessionale non vanno che poche donne più privilegiate: fuori non si conosce il prete che per alcune volte che lo vedono di sfuggita passare, dispensando raramente saluti stentati e stereotipati, o aristocratiche cavate di cappello. Ma come è possibile far del bene a chi non si conosce? Come essere ricercati mentre non si è conosciuti? Faceva forse così Gesù Cristo? facevano così i santi pastori? è questo lo spirito della Chiesa? È questa la dottrina del Concilio di Trento là dove parla del parroco?5 Che frutti ha dato un tal metodo di cura pastorale nei luoghi e nei tempi in cui venne adottato? Si ricordi solamente che era in voga a Parigi prima che scoppiasse la terribile catastrofe del 1789! Sappiamo bene quale ignoranza in fatto di religione e quale profonda immoralità abbia causato. Ora questo contatto tra il pastore come si può ottenere? In molti
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modi. Con visite a domicilio alle singole famiglie, affine di conoscerle tutte e ciascuna in tutti i bisogni, difetti, virtù, ecc. Di queste si parla altrove.6 Poi con associazioni cattoliche, specialmente coi circoli giovanili e degli adulti. Di più col ricevere volentieri in canonica, coll'ascoltare tutti i bisogni, coll'interessarsi di tutte le necessità anche materiali, ecc., che possono nascere fra la popolazione.
c) In tutta l'azione pastorale avere di mira di portare gradatamente il popolo ai SS. Sacramenti. Il Sacerdote non può escludere dal suo programma nessun mezzo capace di condurre le anime a Dio. Qualche volta farà pure bene ad occuparsi di cose materiali, di elezioni, di agricoltura, musica, ginnastica, ecc. Egli dovrà agire differentemente sulle diverse classi sociali: esercito, dotti, artisti, operai, contadini, giovani, adulti, ecc. Ma in tutta questa varietà di opere ed azione egli dovrà avere un fine ultimo: salvare le anime; ed un fine prossimo: avvicinare il più possibile il popolo ai SS. Sacramenti. È qui che si effettua o almeno si incomincia l'unione dell'anima con Dio. E se non si ottiene questo, che cosa si è ottenuto? Avremo delle esteriorità, del sentimentalismo, delle parate, ma di religione vera quasi nulla.
È vero che questa non può essere l'opera d'un giorno, specialmente trattandosi di persone che sono incredule o quasi. Anzi in molti casi neppure ci si arriverà: in altri si giungerà appena ad amministrare gli ultimi sacramenti: in altri ancora, invece che ottenere la frequenza, sarà assai se si farà in modo di indurle alcune volte nel corso dell'anno. Ma questo deve essere lo scopo, questo il fine da proporsi ed a cui tendere con tutte le forze e le industrie spirituali.
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d) Avere di mira tutta la massa del popolo. In troppi luoghi, specialmente della Francia, si lamenta questo gravissimo inconveniente nella cura pastorale: il parroco non si occupa che d'un piccolo gruppo d'anime divote, dei ritiri, ospizi, ospedali. Queste poche anime lo trattengono lunghissime ore al confessionale, visitano per mille bagatelle o pettegolezzi ad ogni istante il parroco, lo invitano spesso in casa loro: e questo sarà forse anche accompagnato dall'invidia e da mormorazioni degli uni verso gli altri. Ed intanto vi è un gran numero d'anime, specialmente le più bisognose, che o non conoscono affatto il parroco, o non lo conoscono che di nome o di vista: sono la massa operaia, la massa lavoratrice, sono il ceto cosidetto colto, sono i signori, sono i poveri più disgraziati, sono forse quelli a cui Gesù Cristo si sarebbe accostato di più. Prevenzioni inveterate causano tanto male: o si crede che l'operaio, il lavoratore, l'istruito siano naturalmente portati ad odiare la religione; o ci si è abituati a prendere quelli che ci vengono tra i piedi e non a correre appresso alla pecorella smarrita; o si è fatto l'abito alla vita comoda di non voler incontrare difficoltà, lotte, dispiaceri per il trionfo della religione. Chi non si sente il coraggio di lavorare ad ogni costo sulla massa, ad affrontare con calma, ma fermezza, le difficoltà di questa impresa, a tener fermo innanzi a chi ne critica lo zelo prudente, ecc., si potrà dire che avesse le doti e quindi l'attitudine e la vocazione a parroco? Il parroco è pastore di tutti: deve pure lasciare le novantanove pecorelle sicure per rintracciare l'unica smarrita: quanto più quando le pecorelle sicure sono un pusillus grex7 e le smarrite sono le più numerose. Il parroco si terrà quindi
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sempre presenti tutte le varie classi di cui si compone la sua parrocchia: spesso pregherà, penserà, studierà per i più ritrosi e, come buon padre, provvederà maggiormente ai figli più bisognosi e, come buon medico, curerà meglio gli infermi più gravi: «Veni salvum facere quod perierat».8
Non sarà inutile un esempio: si nota in molte parrocchie, che mentre cresce il numero delle comunioni quotidiane, per parte delle anime pie, diminuisce quello delle comunioni pasquali, per parte della gran massa del popolo: il parroco fa la somma delle Particole distribuite e si rallegra che il livello spirituale dei suoi parrocchiani si rialza! Vero segno che non conosce e non mira a tutta la popolazione.
Ad evitare tale inconveniente uno zelante pastore d'anime consigliava le persone pie della parrocchia (un 150) a non confessarsi che ogni quindici giorni: onde poter dedicare il tempo, così risparmiato, a tutto il resto della popolazione. E lo dedicava davvero!

Questi sono i principii generali cui deve informarsi l'azione pastorale: e secondo questi principii verranno trattati gli argomenti che seguiranno: anzi questi non saranno quasi altro che gli stessi principii svolti e applicati.
Se qualcuno li volesse vedere esposti ampiamente e magistralmente non avrebbe che a leggere la stupenda opera di Mons. Swoboda, tradotta dal Cattaneo col titolo La cura d'anime nelle grandi città.9
Si vende anche dal Cav. P. Marietti - Torino.
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1 Cf H. SWOBODA, La cura d'anime nelle grandi città, Pustet, Roma 1912, p. 11.

2 Gv 10,10: «Sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza».

3 Gv 20,21: «Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi».

4 Gv 14,2: «Io vado a prepararvi un posto».

5 SACROSANCTUM CONCILIUM TRIDENTINUM, sessio XXIII, Decretum de Reformatione, caput 1, in J. D. MANSI (a cura di), Sacrorum Conciliorum nova et amplissima collectio, vol. XXXIII, Akademische Druck, Graz 1961.

6 Relazioni tra parroco e famiglie: cf ATP, nn. 127-134.

7 Lc 12,32: Piccolo gregge.

8 Lc 19,10: «Venit enim Filius hominis quaerere et salvum facere quod perierat - Il Figlio dell'uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto».

9 Cf Indice degli autori.