Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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CAPO V
L'AMMINISTRAZIONE DEI BENI MATERIALI

§ 1. - CONCETTO GENERALE

È necessario dirne qualche parola: giacché, se tale amministrazione non entra direttamente nel ministero sacerdotale, il necessario sostentamento è condizione sine qua non...
Sarebbe assai desiderabile che il Sacerdote fosse libero da tutte le cure materiali e mondane: avrebbe così la possibilità di dedicare tutto il suo tempo e tutte le sue energie alle cose spirituali, riguardanti la salvezza degli uomini. Ma ciò non è possibile, in humanis, almeno nella presente costituzione della Chiesa: d'altronde sarebbe pure desiderabile non aver bisogno di cibo, né di riposo: ma è impossibile. In Francia dopo la separazione,1 sotto un certo aspetto il clero si trova meglio che non tra noi, giacché tutte le offerte dei fedeli per i sacerdoti vengono inviate al vescovo, il quale ne fa un'equa ripartizione, senza che alcuno abbia da prendersene pensiero.
Il Sacerdote anche nell'amministrazione dei beni non può dimenticarsi d'essere salvatore d'anime: alcune distinzioni non possono giovare in pratica. E come nella sua pietà e nel suo studio così in questo anzitutto e sopratutto [vale] il principio: Salus animarum suprema lex. Egli deve fare ciò che salva le anime,
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lasciare ciò che le danneggia. Secondo questo criterio sono formulate le leggi ecclesiastiche circa i beni materiali dei sacerdoti: secondo il medesimo criterio devonsi interpretare: secondo esso ancora il Sacerdote sarà ora alquanto generoso ed ora alquanto più economico.
Messo tale principio, discendiamo alla pratica.

§ 2. - MASSAIO, AFFITTAVOLO, FATTORE?

Si parla di quei Sacerdoti, Beneficiati e Parroci che hanno beni stabili. Come li faranno lavorare? Dovranno preferire il massaio, o l'affittavolo od il fattore?
a) Anzitutto per regola generale occorre escludere il far lavorare ordinariamente gli stabili per mezzo di manovali a giornata, come pure il tenere un semplice schiavendaio;2 sarebbe troppo assorbita l'attività del Sacerdote, vi impiegherebbe troppo tempo, si attirerebbe ben sovente critiche, dicerie, grattacapi. L'occupazione prima finirebbe per essere l'interesse materiale e non l'interesse delle anime.
b) Quanto all'affittare: allorché si tratta di beni ecclesiastici vi ha il pericolo che i medesimi vengano sfruttati e depauperati: pericolo più grave per le vigne, minore per i prati e campi: poiché non si possono affittare oltre il triennium frugiferum. Ad evitare tale inconveniente, almeno in parte, vi sono beneficiati che danno a massaio le vigne, affittano invece i prati e campi: altri affittano tutto, ma nel contratto pongono la clausola che il contratto s'intende rinnovato sempre di tre in tre anni, se le parti non ne faranno parola all'epoca della scadenza.
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Quando però si fosse trovato un buon affittavolo, che in qualche modo, per es. con una parola privata del beneficiato, fosse dal proprio interesse sollecitato ad accudire bene gli stabili: oppure un beneficio avesse soli prati e campi: sembra miglior sistema dar tutto in affitto. Sarà più libero il contadino, più libero il sacerdote: meno ragioni d'urto.
c) Trattandosi specialmente di vigne è conveniente il tenere il massaio: questi essendo cointeressato molto facilmente migliorerà il fondo. Ma qui vi sono eccessi da evitare ed un giusto mezzo da seguire. Sono eccessi: sia far patti troppo grassi pel massaio, sia il lasciarlo così in libertà da creare dei pericolosi precedenti al successore, che forse per le ristrettezze non potrà continuare su tale via e dovrà suscitare dicerie...; sia il mostrarsi troppo avaro verso il massaio, nel contratto, giacché lo si metterà in una quasi necessità di rubare (chi lavora deve pure mangiare); sia il mostrarsi troppo dispiacenti che abbiano molti bambini: può creare dicerie ed essere causa involontaria di peccati; sia il far vedere grettezza nella divisione anche dei più piccoli raccolti, come sono la frutta, le uova, i polli, ecc.; sia l'assisterli continuamente nei loro lavori ed avere ad ogni istante osservazioni a fare; sia il lasciare che questo facciano le persone di servizio o i proprii parenti.
Il giusto mezzo invece si è: di andar molto a rilento nell'accettare un massaio, accertandosi bene prima della sua moralità e religiosità: poi, accettatolo, esercitare su di esso una sorveglianza alta, non minuta, mostrandogli moderatamente la propria fiducia: infine non licenziarlo se non per cause veramente gravi. Conosco un beneficio tenuto da oltre cinquant'anni
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dallo stesso massaio, un altro da oltre novant'anni: massai e beneficiati, seguendosi questo giusto mezzo, sono contenti a vicenda.
Notisi però che il buon massaio ha pure gli invidiosi, alle cui calunnie il beneficiato non dovrà credere; e di più: con moderazione il beneficiato deve inculcare ai massai che siano cristiani veramente praticanti e modelli per gli altri.
d) Il fattore: può essere un aiuto specialmente se per qualche tempo si tenesse un semplice schiavendaio, o si facesse lavorare gli stabili con giornalieri: il Sacerdote sarebbe più libero da ogni preoccupazione. Ma è un sistema che non manca di inconvenienti: poiché può accadere di dover poi sorvegliare fattore e contadini; ciò che il fattore riceve di stipendio è tolto al beneficiato, che resta privato di mezzi al bene spirituale. In ogni caso il fattore deve essere uomo di provata condotta, deve essere sorvegliato, non deve prendersi se non quando il beneficio sia molto pingue.
E solo nel caso di un beneficio provvisto di molti stabili e di stabili dispersi sarà conveniente dare tutti gli stabili in affitto ad alcuno, perché subaffitti: poiché gli stabili d'ordinario saranno meno curati e si riverserà sopra il parroco una parte dell'odiosità che forse s'attirerà l'affittavolo generale.

§ 3. - CURA DEGLI STABILI

Se gli stabili sono della Chiesa il beneficiato ricorderà che egli ne ha il semplice usufrutto: perciò in lui il dovere di servirsene come un buon padre di famiglia. Anzi, meglio: come un buon padre delle anime dei suoi parrocchiani: le quali hanno diritto
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che il loro parroco abbia comodamente ciò che gli occorre e possa pensare a loro. Egli procurerà quindi:
a) Di non impoverire tali fondi neppure per il timore che un giorno vengano incamerati. È troppo doloroso che un povero parroco novello debba contrarre debiti anche gravi per migliorare il fondo, per far le necessarie riparazioni alla casa rustica, ovvero alla canonica. Il pericolo che l'Economato vi ponga un caricamento serva a rattenere il beneficiato da tanta incuria: ma lo rattenga specialmente l'obbligo di coscienza.
b) Sarà anzi cura del beneficiato di migliorare il beneficio sia coll'accrescerlo ove si presenti l'occasione, sia coll'aggiungervi qualcosa, per es. per testamento con legati che conosce necessari, sia con una buona amministrazione. E per questa ai giorni nostri è importante adottare i nuovi sistemi di coltivazione: anzi il parroco dovrebbe precedere la popolazione, in quelle modificazioni che, dietro prova, si riconoscono utili. Anche questo è un beneficio al paese: beneficio che farà amare e stimare il Pastore. Ciò è detto per es. dei metodi di coltura razionale ed intensiva, della lotta contro la Diaspis pentagona, alla Cocchilis dell'uva, ecc. Per questo gli gioverà qualche studio sull'agricoltura.
c) Avrà poi somma cura di non meritarsi l'accusa disonorante di occuparsi molto più dei campi, delle vigne, della casa, ecc. che non della Chiesa e delle anime. Come pure cercherà di non far lusso in canonica, con mobili o arredi troppo preziosi, o con pranzi frequenti e lauti, mentre la chiesa è cadente o poco decorosa...
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§ 4. - CURA DEI BENI MOBILI

Gioveranno prima alcune avvertenze generali, poi qualche norma pratica.
In generale: a) Il Sacerdote, chiunque sia, deve tenere in ordine ogni cosa, sempre. L'Unione Apostolica3 impone ai suoi membri di esaminarsi ogni sera se sono in regola i conti. Fu elogio d'un santo vescovo che non andava mai a riposo senza che anche le cose di poca entità si trovassero chiaramente registrate. Tale uso permette al Sacerdote una utile speditezza nei suoi affari, abitua all'ordine in ogni cosa, toglie ogni preoccupazione in morte agli eredi. Per ciò è molto utile avere un registro ove quotidianamente notare le uscite e l'entrate, i debiti ed i crediti. È imprudenza confidare molto nella memoria, che può tradirci, massime avanzandoci negli anni e moltiplicandosi le occupazioni.
Di minore importanza, ma pure utile, è il farsi in principio d'anno un certo bilancio preventivo; servirà a preservarci dal far prima le spese meno necessarie e dal giungere in fin d'anno con debiti.
b) Richiedesi una giusta parsimonia per ciò che riguarda il sacerdote personalmente: quindi escludere la spilorceria e la prodigalità. È impossibile discendere a tutte le particolarità: ma sarebbe spilorceria il vestire meno decorosamente al nostro stato, il non dar mai un centesimo di elemosina, il non concorrere moderatamente a certe sottoscrizioni utili, per es. per la cucina dei poveri, per i danneggiati del terremoto, per una statua in chiesa, ecc. Sarebbe spilorceria ed avarizia il non rispondere alle lettere, o il non dare
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quelle mancie che sono portate dalle consuetudini, anche agli inservienti in chiesa, il lesinare troppo nei piccoli acquisti, il far stentare la serva per lo stipendio ed il vitto, il privare il clero dipendente di quanto gli occorre convenientemente, o di quanto danno i preti modelli, il lasciare che la canonica sia sprovvista di quello che è decoroso per la propria posizione, il mostrarsi invece gretti nell'esigere i diritti di stola, ecc., non esercitare mai l'ospitalità, ecc.
All'incontro sarebbe prodigalità nelle sottoscrizioni offrire più che non comportino l'uso e le finanze; la ricercatezza nel vestire, nei mobili, negli arredi; la smania d'avere in tavola i vini più rari, i liquori più squisiti, la smania di acquistare tanti libri inutili o che non si potranno leggere; la smania di fare viaggi e gite, anche costose; la sollecitudine d'avere una sala di ricevimento splendida, ecc.
È invece una giusta parsimonia tenere una certa semplicità nel vestire, nelle proprie camere, alla propria tavola; tra i viaggi e pellegrinaggi scegliere solo quelli che ci sono di indiscutibile vantaggio; prima di fare una spesa osservare se sia necessaria e adatta a noi; usare un giusto criterio nel fare elemosina; esigere che nulla vada sprecato; che in ogni cosa ci sia solo e tutto quanto è necessario o decoroso.

§ 5. - ELEMOSINA E RISPARMIO

In generale.
- Vi sono due modi di spendere a pro delle anime ciò che ci è superfluo: distribuirlo alla spicciola, man mano che ci si presenta l'occasione, ai poveri, alla chiesa, alle opere pie, ecc.: ovvero capitalizzare questo superfluo per poi impiegarlo tutto
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in qualche opera che richieda somme importanti, per es. nel fondare o ampliare un ospedale. Quale scegliere? Non è possibile una regola precisa per tutti i casi. Ma si può dire: non siamo schiavi né d'un modo, né dell'altro. Sotto pretesto di capitalizzare non bisogna nascondere una fine avarizia ed esporsi al pericolo di farci tenere come avari in vita; lasciar cadere iniziative sante, lasciar perire opere utili e, nel dubbio continuo sul modo di impiegare il danaro, far niente di bene né in vita né in morte.
Così sotto pretesto di farci il bene in tempo potrebbe accadere di distribuire tutto senza matura riflessione, in modo meno utile, in opere di secondaria importanza.
Evitati tali inconvenienti, ciascuno potrà esaminarsi bene innanzi a Dio, od ogni settimana per confessarsi od almeno negli Esercizi spirituali, sopra l'uso da fare di quanto ha: gli gioveranno specialmente queste due domande: se dovessi morire mi troverei soddisfatto riguardo a questo? come sarò contento d'aver fatto in punto di morte? Del resto è prudenza cristiana in generale non rimandare tutto alla morte: allora non saremo noi che ci priveremo dei beni per il Signore, ma la morte: sarà questo così meritorio?
In particolare:
a) Osservare la giustizia.
- In questo si va qualche volta ed anche frequentemente troppo alla buona: spesso accadono fatti che non si sanno come scusare. A me pare che manchino le virtù naturali: forse perché nell'educazione si insiste piuttosto sulle virtù cristiane e sacerdotali? Ad es.: Perché non si pagano i debiti? si pensa forse che tutti ci debbano regalare quanto ci hanno imprestato? Perché non si restituiscono i libri e gli oggetti presi per qualche tempo? E
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qui notiamo in particolare: quando si sono lasciati debiti al seminario o per libri, o per pensione, o per esenzione dal servizio militare, occorre pensare a pagarli. Quando si è alienata una parte del beneficio, dietro licenza, ma con l'obbligo di reintegrarlo, occorre farlo, secondo le clausole poste dall'autorità legittima. Quando giustamente si teme di non poter soddisfare, occorre guardarsi dal contrarre i debiti, si trattasse pure di un'opera santissima. Prima la giustizia, poi la carità.
E qui si devono aggiungere altre cose. Vi ha pure pericolo di essere negligenti nel mettere in chiaro quanto riguarda legati fiduciari da eseguirsi dopo la morte nostra o altrui; di lasciarsi ammucchiare nelle mani Messe da celebrare, spendendo intanto l'elemosina; di usare dei denari della chiesa o dei sodalizi con speranza, più o meno probabile, di reintegrare, ecc. Oh! quali imbrogli alcune volte non si lasciano agli eredi! e quanti legati non vanno perduti per negligenza! Si tratta qui di obbligazioni gravi di coscienza! Occorre assolutamente tutelare tali legati, non spendere l'altrui, se non in casi eccezionalissimi, non spendere ciò che forse non si avrà...
Giova ancora: tenere separati i denari delle diverse opere pie, le elemosine, i proprii, ecc. Questo si può far in due modi: o procurando di tenere materialmente separati i denari di ciascuna cosa, per es. con tante cassettine, segnate da una scritta; oppure confondere il denaro bensì, ma notando tutto in modo chiaro anche per gli altri che leggeranno, su appositi registri. Ma in questo secondo caso sia ben certo di avere realmente quanto è notato sui registri, perché in morte non accadano inconvenienti.
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b) Elemosina. - Posto che si voglia distribuire quanto è superfluo del beneficio, secondo le leggi ecclesiastiche, ovvero quanto è superfluo del proprio, quali regole sarà bene seguire? Ben inteso che si devono in primo luogo osservare le leggi ecclesiastiche: qui solo si danno consigli in ciò che non è compreso da esse.
Se i parenti e specialmente i genitori si trovano in vera necessità, sarà doveroso preferirli agli altri: però il prete non è per essi e perciò non dovrà ritirarseli in casa, se prevede danni o troppo disturbo, specialmente se quelli non fossero di condotta esemplare. Dei disturbi ne causano quasi sempre, per non dire assolutamente sempre.
Vengono in seguito quanti si trovano in maggiore bisogno: Sacerdoti confratelli, poveri del paese, le opere cattoliche, la buona stampa, la chiesa, il seminario, l'ospedale, l'ospizio dei vecchi o dei ragazzi, le opere raccomandate dal Papa e dal Vescovo.
Ho detto sacerdoti confratelli: giacché qualche volta si dà il caso in cui ve ne siano di infermi o ridotti proprio ad una condizione molto infelice. Chi merita di più l'elemosina del Sacerdote?
Ho notato anche le opere cattoliche e la buona stampa, poiché oggi se ne sente un bisogno larghissimo: che vale, diceva Pio X, edificare tante chiese molto artistiche, erigere istituti, se non li muniamo della difesa della stampa? un tratto di penna di legislatori basterà a sopprimere ogni cosa. Anzi è questo da inculcarsi pure al popolo: che si istituiscano dei legati a questo scopo.4
Ho detto la chiesa, i poveri, l'ospedale, l'ospizio, ecc. e tutti comprendono il perché...
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Ho detto il seminario, poiché è di là che usciranno i benefattori: fare la carità ad esso è beneficare indirettamente molti altri.
Ho detto le opere raccomandate dal Papa o dal Vescovo: poiché a quando a quando sorgono bisogni nuovi: per es. l'obolo di S. Pietro,5 l'opera della Propagazione della fede6 e della S. Infanzia,7 l'opera dei Parroci vecchi,8 l'opera del Buon Pastore,9 ecc. Questi bisogni sono segnalati dall'Autorità: noi non abbiamo che a mostrarci docili; sarà doppio merito: ossequio ai Superiori e carità a chi ne ha vera necessità.
Avvertenze: 1° Accade talvolta di veder aggirarsi per i paesi certi cavalieri d'industria, certi scrocconi, ecc... è necessario che il Sacerdote non abbocchi all'amo; le loro lamentele, i loro viaggi da fare, ecc. per lo più sono tante frottole...
2° Prima di dare elemosine è bene, per quanto è possibile, assicurarsi della bontà di vita e della necessità di chi le chiede. Ciò non è possibile farlo ovunque: ma non sarà difficile compirlo nei piccoli centri. Vedremo in seguito qualcosa circa queste elemosine nelle città.
3° Non è buon uso quello adottato in certe parrocchie, benché poche, in verità: rinunziare a tutti od in parte ai diritti di stola, perché il beneficio, od il parroco, od entrambi sono ricchi. Costituisce un precedente pericoloso pel successore; e a quali dolorose conseguenze non si va spesso incontro! Sarebbe assai meglio esigere i diritti e servirsene per un'opera buona, che potrebbe anche essere a favore della parrocchia: per es. per un ricovero di vecchi, per un asilo, per un giornale, ecc.
c) Risparmio. - Posto che si voglia per giuste
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ragioni adunare del denaro (per previdenza, opera buona, ecc.) quali norme seguire?
Vi sono leggi canoniche: permettono la negoziazione economica per cui si vendono le cose superflue alla vita e si comprano le necessarie; permettono la negoziazione artificiale se solo propria-manu, seclusis scandalo et avaritia; proibiscono invece la negoziazione lucrativa, giacché questa assorbe troppo l'energia del sacerdote. Quanto alle azioni e obbligazioni non volendo toccare le leggi ecclesiastiche si può dire: il Sacerdote veda se gli sarebbe occasione di molta preoccupazione, come se trattandosi d'avere parte in una società per l'elettricità dovesse occuparvisi troppo...: in tal caso il bene delle anime glielo vieta. Il Sacerdote veda se il prendervi parte non lo preoccupa, anzi gli affeziona il paese, per es. costituendosi una società per filovie, molino, stradale consorziale, ecc...: in tal caso il bene delle anime lo vuole. Noti però che il suo denaro sia sicuro, le imprese non siano azzardate: meglio un modesto guadagno certo che non un guadagno grande incerto. Quando le proposte sono troppo lucrose v'è assai ragione di sospettare qualche inganno.
È almeno sconveniente che i preti frequentino le fiere ed i mercati, ancorché per proprio conto.
Non è qui il posto di spiegare come, secondo gli ultimi atti della Santa Sede, sia proibito ai Sacerdoti di entrare in società economiche in modo da condividerne la responsabilità, pur restando fermo il comando di favorirle e promuoverle, quando sono cattoliche.
Molto convenientemente il Sacerdote potrebbe deporre il proprio denaro presso una cassa rurale, una banca fidata.
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Il Sacerdote può imprestare? Il Sacerdote non dovrebbe mai, a giudizio di uomini gravi, avere debiti o crediti nella propria parrocchia. I creditori ed i debitori molto spesso diventano nemici od occasione di inimicizie. Egli può imprestare, purché vi sia una garanzia sufficiente: ma assai meglio farlo fuori della propria sfera d'azione.
Ogni prete che ha qualche esperienza sa quanto sia pericoloso costituirsi avallo, tutore, ecc. Del resto il sacerdote non è nato per queste cose: i suoi interessi, i suoi guadagni, la sua passione devono essere le anime: ogni altra cura solo quando, e quanto favorisce la salvezza delle anime.
d) Previdenza. - Vi hanno società di previdenza.12 Conviene al Sacerdote entrarvi? Vi sono molti che dicono: cerchiamo con ogni zelo che Gesù Cristo regni nelle anime e non preoccupiamoci dell'avvenire: il Signore non può mancare ai suoi Sacerdoti: quaerite primum regnum Dei et justitiam ejus et haec omnia adiicientur vobis.13 Non entriamo dunque in tali società. Altri rispondono: il Signore provvede, ma vuole pure che ci serviamo dei mezzi umani... Ciascun sacerdote può fare come crede: in generale. Nella diocesi d'Alba vi è però una utilissima Società di mutuo soccorso tra il clero,14 che è specialmente per soccorrere i Sacerdoti che si trovano in gravi condizioni di salute e di sostanze. La quota annuale è di L. 5: il bene che ha già fatto è molto. Quanto ad altre società di previdenza i Vescovi Piemontesi ne fecero alcuni anni or sono una calda raccomandazione. Una parola su alcune:
Società d'istruzione, d'educazione e di mutuo soccorso fra gli insegnanti.15 Raccoglie anzitutto gli
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insegnanti delle scuole pubbliche e private: ma sinora vennero pure accettati indistintamente i Sacerdoti. Ha lo scopo di migliorare le condizioni morali ed economiche dei Soci, specialmente procurando loro una pensione vitalizia. È abbastanza stimata.
Società di previdenza e mutuo soccorso tra gli ecclesiastici eretta in Torino16 (Sede dell'ufficio: Torino, Palazzo Arcivescovile). Ha pure per scopo una pensione vitalizia e riceve solamente i sacerdoti. Ciascuno può chiederne schiarimenti e regolamenti all'Ufficio.
Società d'assicurazione cattolica: Verona.17 Ha due scopi: una pensione vitalizia e l'assicurazione alla vita. Rivolgersi alla direzione.
Vi sono due casi in cui è molto conveniente che un Sacerdote entri in una di tali società:
1° Quando si sono contratti debiti che si dubita seriamente di poter pagare: tanto più perché nessuno può ripromettersi una vita lunga. È molto conveniente, se non doverosa, l'assicurazione alla vita per una somma sufficiente a soddisfare ogni creditore.
2° Quando un sacerdote riconosce che per troppo buon cuore! per circostanze speciali, o per altre ragioni non è atto a risparmiare quel tanto di cui abbisognerà in vecchiaia ed intanto non è provveduto altrimenti. Allora molti giudicano prudenza l'assicurarsi una pensione. In altri casi molti ritengono meglio collocare direttamente i denari proprii ad una cassa, ecc.: è vero però che in questo modo, mentre non si perderebbe il capitale in caso di morte, non si avrebbe dall'altra parte un interesse così alto se si vive.
Avvertenza: È conveniente pagare la serva secondo l'uso d'oggi e secondo il lavoro che fa; e tale stipendio
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sarà molto bene darlo ogni due o sei mesi, o almeno ogni anno. Il farci servire gratis, oppure lasciare che si moltiplichino gli stipendi insoddisfatti, è un serio pericolo morale e finanziario, od almeno, in pratica, sconveniente. Lo stesso si dica riguardo agli altri dipendenti, al sacrestano, al Vice-curato: come pure dei bottegai, ecc.18

§ 6. - TESTAMENTO

Che occorra farlo, tutti sono persuasi: spesso vi sono anche obblighi gravissimi di coscienza, come quando esistono debiti da denunziare agli eredi. Ma quel che importa in pratica è il farlo per tempo: poiché questa è una regola che si predica da tutti, ma che s'eseguisce da pochi. Eppure quanti mali si eviterebbero se si osservasse! La morte inganna; vecchi od infermi non si gode più di quella lucidità di mente e di quella libertà che sarebbero necessarie.
Regola: Farlo appena si è in grado di disporre di qualcosa: mutando le circostanze, si potrà mutare anche il testamento con ogni facilità.
In che modo? Al Sacerdote in generale è più conveniente farlo olografo. Si scriva con periodi brevi e chiari; si evitino le parole ambigue, massime trattandosi di legati.
Chi istituire eredi? Generalmente parlando, credo buona norma lasciare i beni provenienti dalla famiglia ai parenti, e quelli pervenuti al Sacerdote per ragione del proprio ministero ad opere pie o per uso pio. Ma quante eccezioni! Può avvenire che i parenti siano molto poveri e allora sarà decoroso favorirli alquanto più: può accadere che siano molto ricchi e
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allora basterà meno. In ogni caso, anche quando un Sacerdote non avesse beni di famiglia, è conveniente che non dimentichi totalmente i parenti, se prossimi.
Con che ordine e in che modo pensare alle opere pie? Vi possono essere ragioni particolari: il parroco è conveniente pensi prima alla parrocchia, il cappellano dell'ospedale prima all'ospedale, il presidente dell'asilo prima all'asilo, quando tali enti siano bisognosi.
Tolte o provveduto a queste necessità particolari, si potrà seguire l'ordine proposto di sopra, parlando della distribuzione delle elemosine durante la vita.
A questo punto vi sarebbero molte cose da notare circa il lasciare eredi o legatarie queste opere pie: poiché molte non sono riconosciute civilmente come enti morali: vi sono imposte enormi di successione: i parenti potrebbero fare opposizione ad alcuni legati: almeno potrebbero maledire cento volte la generosità del testatore... I pratici sanno perché scrivo queste cose. Mi limito a suggerire pochi avvisi:
1) Fatto il testamento, lo si faccia vedere a persona esperta, di coscienza, che possibilmente conosca il diritto civile, meglio all'Autorità diocesana.
2) Allorché si vuole istituire erede un'opera pia, riconosciuta o no come ente morale, sarà bene quasi sempre fingere una vendita, se si tratta di stabili, ovvero dare brevi manu i denari o i titoli, se si tratta di beni mobili. Ove si veda opportuno si può anche fare questo per interposta persona. Privatamente avverrà l'accordo che il donante potrà esigere gli interessi ed in generale il reddito sua vita durante.
3) Che se si vuol lasciare il proprio per testamento è prudenza scrivere separatamente ciò che si vuole diventi pubblico da ciò che si vuole resti
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sconosciuto, o almeno al coperto dalle imposte di successione: tanto più i legati fiduciarî: in modo però che quando vi fossero opposizioni vi siano i requisiti perché un'aggiunta possa prodursi innanzi alle autorità civili.
Ed a questo riguardo non è consigliabile fidarsi dei parenti, ancorché molto affezionati: il desiderio di maggiori utili li spinge talvolta ad eccessi del tutto insospettati.
4) Quando si scrive o si detta il proprio testamento è opportuno aggiungere ad un legato importante una dichiarazione concepita presso a poco in questi termini: «questo intendo non venga annullato da testamenti successivi, se non lo nominerò espressamente». È conveniente, poiché può avvenire di dover poi fare un testamento pubblico in cui non si vorrà parlarne.
Come conservare il testamento? Generalmente nessuno sarà miglior custode dell'interessato. Ma si potrà tenerne due copie: una presso questi, l'altra presso il testatore.
Ed alla custodia d'un testamento ci si badi molto: quante volte ne vengono fatti scomparire!
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1 Separazione della Chiesa dallo Stato, a seguito della legge 9 dicembre 1905, secondo la quale la Repubblica francese «non riconosce né finanzia alcun culto».

2 Più correttamente “schiavandaro”: lavoratore agricolo stipendiato, che coltivava un fondo alla diretta dipendenza del proprietario. Figura oggi scomparsa.

3 Cf ATP, n. 27, nota 24.

4 Cf PIO X, Ad Andream card. Ferrari, archiepiscopum mediolanensem, et episcopos provinciae ecclesiasticae mediolanensis, pro annuis episcopalibus conferentiis Rhaudi congregatos, 1 julii MCMXI, AAS, III (1911), pp. 475-476.

5 Nel Medioevo per “denaro di San Pietro” si intendeva il canone pagato alla Santa Sede dagli Stati e Signorie postesi sotto la sua protezione. Questo denaro era portato direttamente a Roma e depositato nelle mani dei legati pontifici. In Italia, dopo la spogliazione progressiva dei territori dell'ex Stato Pontificio, l'espressione “denaro di San Pietro” o come fu detto obolo di San Pietro servì a sostituire i mancati proventi o contributi dello Stato alla Chiesa. Col motu proprio del 06.12.1926 l'amministrazione dell'obolo di San Pietro entrò a far parte dell'Amministrazione generale dei beni della Santa Sede. Cf G. PALAZZINI, Obolo di San Pietro, EC, IX, 1952, pp. 35-36.

6 L'opera è stata fondata da Paolina Jaricot come mezzo di riparazione nazionale della Francia; in seguito, dal 1818, divenne un'associazione per l'aiuto delle missioni estere. Nel 1922 all'associazione venne dato un carattere di universalità; in essa confluirono tutte le varie associazioni che si occupavano di aiuti alle missioni. In Italia fu introdotta dal marchese C. D'Azeglio, che la fece conoscere per mezzo della sua rivista “L'amico d'Italia”. Con il motu proprio “Romanorum Pontificum” del 03.05.1922 la sua sede fu trasferita a Roma e furono redatti i nuovi statuti. Cf S. PAVENTI, Opere Pontificie Missionarie, EC, IX, 1952, pp. 162-164.

7 L'Opera pontificia della Santa Infanzia è stata fondata da mons. C. De Forbin-Janson (1785-1844), vescovo di Nancy. Il primo Consiglio Centrale dell'Opera fu costituito a Parigi il 19.05.1843. Dal 1846 i papi l'hanno arricchita di molti favori spirituali e Pio XI l'ha decorata del titolo di “pontificia”. Pio XII con lettera “Praeses consilii” del 04.12.1950 istituì la “Giornata della Santa Infanzia”. Cf S. PAVENTI, Opera Pontificia della Santa Infanzia, EC, IX, 1952, pp. 164-165.

8 L'“Opera pia dei Parrochi Vecchi od Inabili” ebbe origine con il Breve “Gravissimae calamitates” del 14.05.1828 di Leone XII per provvedere ai parroci bisognosi. Cf Statuto dell'Opera Pia dei Parrochi Vecchi od Inabili, Artigianelli, Torino 1877. In Alba la fondazione è sorta il 26 luglio 1877.

9 Era un'opera diocesana sorta in Alba a favore del seminario e delle vocazioni sacerdotali. Istituita da mons. E. Galletti, vescovo dal 1867 al 1879, l'opera si proponeva di cercare, indirizzare e coltivare vocazioni sacerdotali per il seminario. Cf Il Seminario, bollettino diocesano dedicato a “Opera del Buon Pastore” per le vocazioni sacerdotali, anno XXXVII (1986), numero speciale, p. 8.

12 In Alba le prime società di mutuo soccorso tra gli operai risalgono al 1850 circa e sono generalmente istituzioni laiche, libere e indipendenti. Cf L. MACCARIO, Le società operaie di Alba 1847-1955. La Società degli Artisti ed Operai, Famija Albeisa, Alba 1973. Gli statuti delle varie società presentavano molte analogie. Un modello di statuto di tali società lo troviamo riferito al comune di Roddi. Cf Statuto della Società di Mutuo Soccorso e Previdenza Economica fra i cittadini d'ambo i sessi del comune di Roddi, Tip. S. Racca, Bra 1891.

13 Lc 12,31: «Cercate piuttosto il regno di Dio e la sua giustizia, e queste cose vi saranno date in aggiunta».

14 La Società di Mutuo Soccorso tra il Clero fu costituita in Alba nel 1893, anno in cui il mondo cattolico celebrava con “straordinaria gioia” il giubileo episcopale di S. S. Leone XIII. Alla prima adunanza generale, presieduta dal vescovo mons. Francesco Giuseppe Re, erano presenti circa 80 sacerdoti e la società contava già 144 soci. Aveva lo scopo di offrire vicendevole aiuto al clero in difficoltà. Cf Verbale di costituzione della Società di Mutuo Soccorso fra gli Ecclesiastici della Diocesi di Alba e della 1ª adunanza generale, 2 settembre 1893, in Archivio Storico della Diocesi di Alba.

15 Sorse a Torino nel 1853 sotto la denominazione di “Società di Mutuo Soccorso per gli Insegnanti Primari”, ma accolse successivamente personale scolastico di ogni tipo. Promoveva varie attività tra cui la pubblicazione di libri a basso prezzo e la diffusione di giornali didattici come il “Saggiatore”, “L'Istruttore”, “L'Amico dei maestri”... Cf Statuto organico della Società di Istruzione, di Educazione e di Mutuo Soccorso tra gli Insegnanti, Tip. Scolastica di S. Franco e Figli e Compagni, Torino 1858 e La Società d'Istruzione e di Educazione e di Mutuo Soccorso fra gli Insegnanti, Tip. Camilla e Bertolero, Torino 1884.

16 La Società di Previdenza e Mutuo Soccorso tra gli ecclesiastici fu costituita in Torino con atto notarile 12.11.1880 e riconosciuta “Ente Morale” con R. Decreto 27.03.1881. Cf Statuto e Regolamento della Società di Previdenza e Mutuo Soccorso tra gli Ecclesiastici, 3ª edizione, Marietti, Torino 1911.

17 L'idea di fondare un'impresa di assicurazione era sorta tra i principali esponenti del mondo cattolico italiano attorno al 1893. Il progetto venne attuato il 28.02.1896 a Verona sotto il patrocinio dell'Opera dei Congressi e dei Comitati Cattolici in Italia. La Società Cattolica di Assicurazione inizialmente copriva solo il ramo grandine e incendi; in un secondo tempo si estese a tutte le forme di assicurazione sulla vita. Cf Società Cattolica di Assicurazione. 60 anni di vita 1896-1956, cenni storici e dati statistici, Scuola Tip. Nigrizia, Verona 1956.

18 Quanto siano datati questi suggerimenti, come altri del genere, lo si comprende facilmente dal confronto con le nuove leggi sindacali e, soprattutto, con la nuova sensibilità alle esigenze della giustizia sociale.