Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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XIII

LE MESSE GREGORIANE

S. GREGORIO MAGNO

L’origine di queste Messe, chiamate «trentenario Gregoriano», è narrata dallo stesso S. Gregorio.
«Ecco quanto accadde nel mio monastero:
Vi era un monaco per nome Giusto: era molto pratico di medicina; era lui che mi portava il soccorso dell’arte nelle mie infermità.
Cadde ammalato e fu ben presto agli estremi.
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Il suo fratello Copioso, venne per curarlo.
L’infermo non tardò a capire che per lui non c’era più speranza e disse al fratello di aver nascosto in un certo ripostiglio tre monete d’oro.
I fratelli del monastero ne furono informati e dopo minuziose ricerche scoprirono la somma.
Quando mi diedero la notizia, fui molto contristato che un fratello della nostra comunità si fosse reso colpevole di una sì grave trasgressione, poiché la regola in vigore nel nostro monastero ha sempre imposto che tutto fosse in comune, e che nessuno possedesse alcuna cosa come propria.
Pieno di dolore domandai a me stesso, che cosa potessi fare per aiutare il moribondo ed espiare la sua colpa e dare agli altri una lezione salutare.
Feci venire Prezioso, superiore del monastero e gli dissi: «Andate e dite che nessuno dei fratelli si rechi vicino al morente per dirgli parole di consolazione; il suo fratello di sangue, gli dica che esso
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è oggetto di orrore per tutti a causa del denaro che aveva nascosto. Almeno in morte pianga il suo peccato e ne ottenga il perdono. Quando sarà morto si scavi una fossa nel letamaio e si seppellisca il corpo con le tre monete d’oro, e che tutti dicano a una voce: il tuo denaro sia teco in perdizione (Atti degli apostoli 8,20); dopo ciò lo coprirete con terra. La mia intenzione è che tutto questo sia di giovamento al morente ed agli altri fratelli viventi. L’amarezza della morte potrà ottenere al primo la remissione del suo peccato; e la severità colla quale questo atto di trasgressione viene punito, impedirà agli altri di rendersi colpevoli dello stesso peccato».
E così appunto avvenne. Quando il monaco Giusto fu sul punto di morte, ed in mezzo alla sua agitazione volle raccomandarsi alle preghiere dei fratelli, nessuno andò a trovarlo né volle indirizzargli la parola. Il suo fratello di sangue allora gli spiegò la ragione per cui era abbandonato da tutti. L’infermo cominciò a rattristarsi del suo peccato; e con un
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vivissimo dolore, uscì da questo mondo.
Il suo corpo fu seppellito come avevo dato ordine. Grande fu il turbamento di tutti i fratelli e ciascuno si affretto a portarmi anche le cose più insignificanti, che la regola aveva sempre permesso di ritenere, temendo non si trovasse anche presso di loro qualche oggetto che li esponesse a tale castigo.
In capo a trenta giorni però io cominciai a provare nel mio cuore compassione pel fratello defunto, a pensare con gran dolore ai supplizi che doveva soffrire ed ai mezzi con cui potevo venirgli in aiuto.
Feci, dunque, chiamare di nuovo il superiore del monastero, e gli dissi tristemente: «È molto tempo che il nostro fratello morto soffre tra le fiamme; e la carità domanda che si faccia qualche cosa per lui e che noi l’aiutiamo per quanto è da noi, perché sia liberato. Andate, dunque, e cominciando da oggi pensate a far offrire la S. Messa per lui, durante trenta giorni di seguito, e non lasciate passare nessun giorno senza che sia offerto peri suoi bisogni il Sacrificio salutare». Andò
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ed eseguì puntualmente gli ordini avuti. Assorbiti dalle varie e numerose occupazioni non avevano pensato a contare i giorni, quando una notte il defunto si mostrò a Copioso suo fratello di sangue. Questi vedendolo gli disse: «Che cosa vuol dire questo fratello?... Come stai?...»
Il defunto rispose: «Fino ad ora stavo molto male, ma adesso sto bene».
Subito Copioso si recò ad informare i fratelli. Questi contarono allora accuratamente e trovarono che il S. Sacrificio era stato offerto trenta volte per il defunto.
Copioso non sapeva nulla di quanto i fratelli avevano fatto; e questi ignoravano la visione di cui Copioso era stato favorito. Così fu constatato che il giorno della visione, corrispondeva a quello del trentesimo sacrificio e si comprese che era stata la S. Messa che aveva liberato il defunto dalle sue pene».
Fino qui S. Gregorio.
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LA PRATICA

I fedeli venuti a conoscenza di questo favore ne dedussero come conseguenza che questa pia pratica doveva essere particolarmente accetta a Dio, e capace di ottenere, in altri casi, dalla Misericordia di Dio, lo stesso favore.
Così a poco a poco s’introdusse nella Chiesa l’uso di far celebrare per i fedeli defunti trenta Messe , le quali in memoria di S. Gregorio, furono dette Gregoriane, o trentenario gregoriano .
Questa pratica si estese rapidamente in tutti i paesi; i dottori la raccomandarono ed i fedeli vi trovarono un mezzo efficace per soddisfare la loro devozione verso i defunti del loro affetto, e della loro carità.
Ebbe pure l’approvazione della Sacra Congregazione che nel 1884 rispose ad una interpellanza, dicendo che i fedeli potevano avere piena fiducia in dette Messe.
Del resto, vi è nulla in contrario. Dio per effetto della sua bontà, e per onorare il suo servo fedele, che durante la sua
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vita ebbe una compassione grande per le anime del Purgatorio, può dare una efficacia particolare alle Messe celebrate in tal modo.
Per la celebrazione di dette Messe, non è necessaria la commemorazione di San Gregorio e neppure è necessario che vengano celebrate ad uno stesso altare, né da uno stesso sacerdote, ma bensì necessario che vengano dette durante trenta giorni consecutivi senza altra interruzione che quella che può risultare all’incontro dei tre ultimi giorni della settimana santa. Devono venire applicate all’anima di cui si impetra la liberazione dalla divina misericordia.
Le Messe Gregoriane non possono applicarsi per i vivi. Neppure possono venire applicate in un solo giorno.
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