MEDITAZIONE III.
Mezzi per acquistare lo Spirito di Fede.
In ogni stato di vita, in ogni tempo, on ogni circostanza dobbiamo chiedere al Signore la grazia di pensare secondo la fede, di operare secondo la fede, di sentire secondo la fede. «Si consurrexistis cum Christo: quae sursum sunt quaerite, ubi Christus est in dexteram Dei sedens: quae sursum sunt sapite, non quae super terram» (Coloss. III, 1-2). Gustiamo le cose soprannaturali, pensiamo le cose soprannaturali, cerchiamo le cose soprannaturali.
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Veniamo ai mezzi per acquistare, accrescere, conservare questa mentalità, questa volontà, questo gusto delle cose soprannaturali per le cose della fede.
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La terra è preparazione al cielo dove la fede termina, dove avrà prodotto i suoi frutti. Noi dobbiamo preparare la mente alla visione di Dio con la fede; dobbiamo preparare il cuore a gustare le cose di Dio; dobbiamo preparare la volontà al possesso di Dio. Ed ecco quindi il più bel frutto della fede: la salvezza eterna e la santificazione dell'anima nostra.
Mezzi per avere lo spirito di fede. Alcuni sono mezzi negativi e altri sono mezzi positivi.
1. Mezzi negativi.
Sono tutti quelli che ci preservano dai pericoli contro la fede. La nostra fede corre molti rischi. Non ci accorgiamo noi che quando siamo alla meditazione, quando leggiamo vite dei Santi, quando meditiamo cose spirituali, ci sentiamo tutti accesi, tutti infervorati, pieni di volontà, e andiamo quasi dentro di noi sfidando i pericoli e le difficoltà! «Ego autem dixi in abundantia mea: non movebor in aeternum». (Ps. XXIX, 7). E poi? Prima che sia arrivata la sera, prima che sia arrivato il termine della settimana, prima che arrivi un altro giorno di ritiro, prima che venga un altro corso di
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esercizi Spirituali, noi stessi ci accorgiamo che la lampada sta smorzandosi, perde il suo splendore e par che muoia. Che cosa è? È il vento che sorge, sono le acque che vengono a mescolarsi con l'olio, la tempesta che si aggira attorno. Allora non si vede più; non si scorge più la stella polare, non si scorge più quasi il cammino della vita, non si sente più impressione per quello che ci attende alla fine.
Vi sono dunque dei pericoli in cui incorre la nostra fede. Perciò San Paolo scrive ai Corinti e li mette in guardia dalle compagnie pericolose: «Si is qui frater nominatur, et fornicator, aut avarus, aut idolis serviens, aut maledicus, aut ebriosus, aut rapax: cum eiusmodi nec cibum sumere» (I Cor. V, 11). S. Giovanni, l'apostolo della carità, dice ai fedeli che non salutino neppure costoro: «Nec ave ei dixeritis» (Jo. II, 10).
Sembrerebbe che negare il saluto sia una cosa contro la carità; eppure San Giovanni è proprio l'Apostolo della carità, ed esorta a questo! Tanto importa salvare il tesoro della fede.
Quali sono dunque questi pericoli? Generalmente sono: i discorsi umani, vani; l'ambiente freddo, le letture dissipanti; il fantasticare.
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a) Discorsi umani. - Le anime nostre sono continuamente alimentate da Dio con cibi eletti, quali il Cibo Eucaristico, la parola di Dio e lo studio delle cose sante. E poi come mai tutti i nostri pensieri non sono santi e soprannaturali? Spesso per un gran rispetto ed una debolezza non si ha il coraggio di manifestare lo spirito che c'è in noi. Anche fra persone che si dicono spirituali regna qualche rispetto umano! Le conversazioni sono di interessi umani, i discorsi leggeri, le massime sono ispirate a ragionamenti umani, come se fossimo senza speranza, come se si trattasse di persona che ignorano le verità della fede, le quali non sanno come ordinare i doveri e i sacrifici della vita presente e della vita futura. Esse si affannano per il tempo presente e non conoscono i beni eterni.
Perciò dobbiamo evitare i discorsi troppo umani, dissipanti, vani; dobbiamo evitare le conversazioni su divertimenti mondani, e persino ridurre alla maggior brevità le fermate nei parlatori, con i secolari, e nelle stesse famiglie. Lo stato di salute si conosce spesso dalla lingua: lo spirito di un uomo si conosce assai dalle conversazioni. La botte dà il vino che contiene. Ed intanto? Quella fede che con fatica si era accumulata nel cuore,
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svanisce, inaridisce. Dice l'Imitazione di Cristo: «Spesso si perde in un momento quello che appena si era riusciti ad accumulare con lunga fatica».
È certo, dice un grande educatore dei nostri tempi, che la fatuità del discorrere, è come un'acqua che si getta sopra i cuori ed estingue quell'ardore della carità che le Comunioni e le meditazioni vi avevano acceso. Questo autore, che ha scritto per ordine della Congregazione degli studi, aveva molta esperienza degli Istituti Religiosi e della vita dei Seminari.
La fatuità nel discorrere sovente è una grave imprudenza ed insipienza; perché è un rifare continuamente la tela di Penelope. il frutto portato dalla meditazione e dalla S. Comunione viene distrutto da discorsi non cattivi, non parliamo di quelli, ma dai discorsi frivoli e vuoti.
b) Ambiente freddo. - La Chiesa ha provveduto che i Religiosi e che i Sacerdoti siano separati dal mondo; un grande pericolo è il mondo. Esso è contrario a Gesù Cristo. E per il mondo si intende non gli uomini, ma lo spirito del mondo, di cui diceva Gesù Cristo: «Non pro mundo rogo» (Jo. XVII, 9). Egli sì pregava per gli uomini e stava per andare
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a dare la vita per il mondo, ma qui per mondo intendeva le tendenze del mondo, come quando affermava: «Mundus totus in maligno positus est» (I Jo. V, 19), tutto il mondo è posto nella malizia. La Chiesa ha dovuto separarci con un abito speciale, perché non ci accomuniamo con i giovanotti, con i giovinastri, perché non ci accomuniamo con le persone del mondo. La Chiesa ci comanda anche, sulle parole della Sacra Scrittura, di uscire dalla famiglia: «Egredere de terra tua et de cognitione tua, et de domo patris tui, et veni in terram quam monstravero tibi; faciamque te in gentem magnam, et magnificabo nomen tuum, erisque benedictus» (Gentile. XII, 1-2).
E quindi, rivestendoci, ci ha separati, e mettendoci in un luogo speciale, ha inteso che anche i muri ci fossero di divisione dal mondo, dallo spirito del mondo.
Non andiamo a riprendere quello che abbiamo lasciato e le persone da cui ci siamo divisi. Spesso avviene che si riprendono quelle stesse passioni, quelle stesse tendenze, quelle stesse conservazioni che per mezzo dei voti si erano lasciate.
È necessario però dire che oltre che dal mondo, noi dobbiamo guardarci da
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un piccolo mondo, attorno a noi ci è un piccolo mondo. L'aria del mondo spira dappertutto e non risparmiò neppure al Salvatore le sue tentazioni. Quindi bisogna badare che l'ambiente in cui viviamo sia dei migliori.
Chi trova molta fatica a farsi santo, quando può si accompagni sempre coi santi. Le stesse conversazioni, gli stessi esempi ci animano al bene. Badate che il piccolo mondo, quello che vi è immediatamente attorno non vi seduca. Il mondo più pericoloso non è quello che propone, ad es., di bestemmiare, di commettere disonestà, di leggere giornalacci; ma è il mondo che ci si presenta sotto l'apparenza di amicizia e di eccessiva umana prudenza.
Ho constatato che i chierici quando partivano pel servizio militare, si premunivano e d'ordinario si conservavano buoni pur in mezzo a tanta corruzione. Da quell'ambiente tornavano, si può dire la totalità, migliori di prima. Ma il loro spirito di fede trovava poi ostacolo nell'ambiente di tiepidezza formato da chi avrebbe dovuto mostrarsi caldo, acceso nel servizio di Dio.
Guardiamoci dai mondani! Si badi a chi viene aperto il cuore; esaminate quali siano i vostri preferiti, quali le
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ordinarie compagnie. Coloro che non servono a Cristo, ma al loro egoismo «per dulces sermones et benedictiones seducunt corda innocentium» (Rom. XVI, 18); questi sono nemici terribili e dai quali è difficile liberarsi.
Qualcuno si intiepidisce nella fede lasciandosi andare alla sentimentalità ed a simpatie. Qualche altro si lascia guastare la mentalità spirituale con conversazioni non del tutto sante. È tuttavia vero che a tutti i pericoli non possiamo sottrarci, perché per ottenere questo sarebbe necessario essere in Paradiso. E allora come metteremo al sicuro il preziosissimo tesoro della nostra fede, del nostro spirito soprannaturale? Il P. Segneri nel suo Quaresimale porta un esempio, che nella sua semplicità, è molto espressivo: ci spiega come diportarci quando è necessario trovarci in questo mondo a contatto con persone tiepide.
Regoliamoci come gli uccelletti. Essi quando vedono un campo seminato di buoni granelli li appetiscono; sanno però che corrono rischio se discendono subito nel campo, poiché c'è il cacciatore, c'è il contadino che vigila. Ed allora come manovrano? Vanno di albero in albero, si avvicinano man mano al campo, discendono sui rami più bassi della pianta e
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poi guardano in su e in giù, a destra e a sinistra. Finalmente discendono e beccano in fretta il grano;stanno ansiosi, timidi e guardinghi; e appena beccato si innalzano con tutta celerità nel cielo: così dobbiamo fare noi: andare con le persone del mondo il più tardi possibile, rimanervi con tutta circospezione e allontanarci al più presto.
San Paolo dice che bisogna usare «hoc mundo tamquam qui non utuntur» (I Cor. VII, 31), e cioè dobbiamo vivere nel mondo, ma non permettere che il mondo viva in noi; non dobbiamo attaccarci, affezionarci, prestargli fede; in una parola dobbiamo trattare col mondo come chi sa di trattare con un traditore; cautamente e prudentemente.
Il nostro Divin Maestro ci avvisa: «Vigilate et orate, ut non intretis in tentationem» (Matth. XXVI,41). San Pietro, contante buone disposizioni dopo la Cena, con tanti giuramenti, egli che doveva dare l'esempio a tutti perché era il primo, cadde: perché si accomunò con i nemici di Gesù fino al punto di scaldarsi al medesimo fuoco: «Petrus autem a longe secutus est eum, usque intra in atrium Summi Sacerdotis: et sedebat cum ministris ad ignem, et calefaciebat se» (Marc. XIV, 54).
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c) Evitare le letture dissipanti. - Lasciamo da parte le letture vane. Purtroppo che più tardi dovrete trovarvi forse, qualche volta anche in questo pericolo, per esaminare e combatterle; ma ora non avete questo dovere.
Guardarsi dai fogli, dai giornali, dai libri che turbano le fantasie. Qualche volta forse bisognerà consultare, ma chi ha il cuore ben disposto, prima prega, vigila, fa presto, e non ritorna più su quelle materie, se non è del tutto necessario.
d) Astenersi dal fantasticare. - La disoccupazione della mente e del cuore costituisce un pericolo per la fede, perché se multam malitiam docuit otiositas, noi potremmo dire: multam bonitatem docuit laboriositas. Ah! essere occupati! Che grande aiuto è per lo spirito per conservare il fervore, il calore spirituale, per tenere accesa continuamente e rifornita la lampada della nostra fede.
Chi ha lume di fede vede semplicemente e scorge Dio in tutto: omnia in uno videt. «Lucerna corporis tui est oculus tuus; si oculus tuus fuerit simplex, totum corpus tuum lucidum erit. Si autem oculus tuus fuerit nequam, totum corpus tuum tenebrosum erit. Si ergo lumen quod in te est tenebrae sunt, ipsae
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tenebrae quantae erunt?» (Matth. VI, 22 - 23). L'occhio della fede rischiari il cammino. «Lucerna pedibus meis verbum tuum, et lumen semitis meis» (Prov. VI, 23); «Lucerna Domini spiraculum hominis» (prov. XX 27); «Vos estis lux mundi» (Matth. V, 14).
Camminate dunque nella luce perché le tenebre non vi oscurino la strada e non cadrete nei pericoli. Tenetevi ai libri santi, a quei libri che accendono l'amore per la Chiesa, alla fede, al Papa, ai Sacramenti, al Paradiso. Oh! Che grandi cose non si potrebbero mai pensare, studiare, esaminare, desiderare in questo mondo!
2. Mezzi positivi.
I mezzi positivi che aumentano la fede si possono ridurre a tre: alcuni si riferiscono alla mente, altri si riferiscono alla volontà e altri al cuore.
a) Mezzi che si riferiscono alla mente. - È necessario che noi meditiamo tanto profondamente che la luce della meditazione abbia a diradare le tenebre della nostra mente, accendere la lampada della nostra fede, illuminare ogni nostro
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passo, farci vedere bene tutto e tutto intendere rettamente. Occorrere che i principi mondani, le massime umane, le tenebre, le oscurità, non abbiano a coprire la lampada della nostra fede, non abbiano a fare velo agli occhi. Sia la lettura ben fatta, specialmente nella Visita al SS. Sacramento; lettura sulle vite di Santi, lettura sui libri spirituali, lettura e studio ben fatto sulle cose sacre e sulle materie della scuola.
Ah, quanto contribuiscono al progresso spirituale! Sono come una preghiera continua che ottiene la grazia della fede. Non che lo studio ed il sapere costituiscano la fede, ma sono una preghiera che ottiene un aumento di fede. Che se poi si studia con lo spirito con cui si riceve la Comunione, allora si sente anche più il beneficio spirituale: prepara e dispone il cuore: «Non de solo pane vivit homo, sed de omni verbo quod procedit de ore Dei» (Matth. IV, 4).
Oh! figliuoli carissimi, nati per cibi eletti, destinati ad essere i ministri di Gesù Cristo, l'alter Christus, non nutritevi di ghiande; eleviamoci, nutriamoci del pane celeste della verità. Compatiamo gli uomini i quali devono tanto occuparsi della terra; alcuni se ne occupano così da attaccarvi il cuore; e non scorgono più il
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cielo: sembrano talpe che camminano sotterra, e hanno gli occhi chiusi e non scoprono più il cielo. Che la luce della fede brilli sempre davanti a noi!
Ma noi cooperiamo alla fede, meditando, studiando e leggendo cose spirituali.
La scienza principale ed a cui tutte le altre sono via e ancelle, è la scienza sacra. La letteratura è per sentire Dio e parlare agli uomini di Dio. le leggi umane sono guida per l'osservanza dei comandamenti. Siamo dei teologi!
Fortunati noi a cui Dio ha preparato un cibo celeste: «Panem de caelo praestisti illis..... omne delectamentum in se habentem, et omnis saporis suavitatis». (Sap. XVI, 20); «Panem coeli dedit eis. Panem coelorum manducavit homo» (Ps. LXXVII, 24-25).
Chi non ha il gusto buono, non assapora la Comunione; ma chi ha il gusto sano vorrebbe sempre mangiare di questo pane. - Sulla terra qualche volta lo studio e la meditazione e la lettura di vite di santi sono faticosi, ma la fatica è sempre compensata da una fede che prelude alla visione beatifica.
b) Mezzi per la volontà. - Si crede spesso che la fede sia un sentimento; no, essa è un dono di Dio, una luce celeste
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che rischiara l'anima. Ah sì tutti i beni si acquistano con fatica: e si vorrebbe che la fede, preziosissimo fra i beni, non ne richiedesse?
La fede è una virtù; la virtù esige vir, un uomo; esige una vis, cioè forza. La fede è la prima virtù, quindi esige una forza maggiore. Un esempio: quando S. Giuseppe Benedetto Cottolengo veniva insultato dal suo creditore perché tardava i pagamenti; quando l'orologio segnava le undici, e la Suora tornava e ritornava a dirgli: Non c'è più nessuno in Torino che ci dia pane nè pasta per la minestra; fra poco i nostri poveri verranno a tavola, ed i malati aspettano in infermeria, come facciamo? Egli allora doveva sentire tutto quello che costava la fede.
Cedeva forse? Esprimeva qualche pensiero di scoraggiamento? No! Le sue risposte erano: Tu metti l'acqua nella pentola, sul fuoco; recita un rosario; io mi chiudo nella stanza e dirò quattro parole alla Madonna; sta sicura, suona il campanello a tempo; vedrai che ai nostri poveri e ai nostri malati non mancherà nè pane, nè minestra, nè pietanza.
Ciò doveva costargli e sudori e mortificazioni, e quante!
Occorre fare così: operare come se quello che si spera fosse già succeduto,
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con tranquillità, con costanza: questa è fede. Non è una vana superstizione; non è stare oziosi, attendendo miracoli dalla Provvidenza.
È fede: «Fac quod in te est, et deus adhaeret bonae voluntati tuae». Ad es. la fede di quello che è principale nella vita, cioè: credere che il presente è preparazione all'eternità. Crediamo che lo studio che facciamo, che il lavoro che compiamo, che l'orario della vita comune avranno grande premio; operiamo come se già vedessimo che il «pondus diei et aestus» (Matth. XX, 12), avrà la sua ricompensa; e pensiamo che quel minimo di nostra fatica ci merita una grande gloria?
Studiare con fede; cioè con la persuasione fermissima come se vedessimo già che il Signore darà la scienza; e sia per mezzo delle risorse umane e sia per mezzo degli aiuti divini, il Signore ci illuminerà quanto avremo bisogno nella vita nostra, nella nostra vocazione.
S. Giuseppe B. Cottolengo continuava a studiare continuava ad aspirare al Sacerdozio, mentre proprio non riusciva ad imparare. Al compagno, cui sovente chiedeva spiegazione, diceva: - Tu capisci subito ed io non riesco a comprendere
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nulla, nè quando spiega il maestro, nè quando spieghi tu.
Unì fede, preghiera, studio: e non rimase deluso, mai: poiché riuscì Sacerdote distintissimo.
c) Mezzi per il cuore. - Il fratellino di S. Giuseppe B. Cottolengo lo serviva all'altare nei primi anni del suo sacerdozio. Si accorse più volte che il Santo Sacerdote all'altare, dopo la consacrazione, piangeva a dirotto. Ingenuamente gli dice: - Che cosa ti senti? E vedendo che non gli dava retta, correva dalla mamma e tutto affannato le diceva: Mamma, Giuseppe piange, forse non si sentirà bene? Piange tanto e pare inconsolabile. E la madre: - Va, va! all'altare si piange bene; ringrazia il Signore, perché nella nostra casa abbiamo un santo.
E che cosa vedeva S. Giuseppe B. Cottolengo nel calice, nella pisside, nell'Ostia santa dopo la consacrazione? Ah, la sua fede gli squarciava un po' i veli eucaristici e gli faceva vedere qualche cosa che occhio umano non vide mai!
Vivere di fede. Portate l'abito con fede, veneratelo, rispettatelo, non macchiatelo mai moralmente.
Considerate il vostro stato come uno stato di predilezione. Io devo rispettare il
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mio corpo perché è tempio dello Spirito Santo: «Templum Dei estis» (I Cor. III, 16). Quando si scrivono lettere, quando si parla, quando si opera, sia lo spirito di fede che guida; anche quando trattiamo le cose più materiali, trattiamole con spirito soprannaturale.
È necessario ancora pregare per avere lo spirito di fede. È promessa divina: «Dabit bona petentibus se» (Matth. VII, 11). Il Signore darà lo spirito buono a quelli che glielo chiedono. Perché, diceva il Maestro Gesù, se voi, che siete cattivi sapete dare cose buone ai vostri figli, quando questi ve le chiedono, quanto più questo non lo farà il Padre celeste, che è santo? Se quando il figlio vi chiede un pane non date un sasso, e quando vi chiede un pesce non gli porgete uno scorpione, pensate a quanto saprà fare il mio Padre Celeste con voi: «Aut quis ex vobis homo, quem si netierit filius suus panem, numquid lapidem porriget ei? Aut si piscem petierit, numquid serpentem porriget ei? Si ergo vos, cum sitis mali, nostis bona data dare filiis vestris: quanto magis Pater vester, qui in coelis est, dabit bona petentibus se?» (Matth. VII, 9-11). Aggiunge S. Giacomo: «Si quis indiget sapientia postulet a Deo, qui dat omnibus affluenter et non improperat et
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dabitur ei» (Jac. I, 5). Se qualcuno ha bisogno della sapienza, la domandi a Dio il quale dà a tutti con abbondanza e non rimprovera. E qual è la sapienza? La sapienza prima che dobbiamo chiedere è quella dei Santi e l'amore alle cose soprannaturali.
Nei rosari, nelle tre Ave Maria al mattino e alla sera, nelle visite al SS.mo Sacramento, e nella sacra liturgia, chiediamo lo Spirito di fede: ma chiediamolo continuamente, perché si tratta del fondamento, della radice: «Sine fide impossibile est placere Deo» (Ebr. XI, 6). Chi vuole accostarsi a Dio, è necessario che creda: «Credere oportet accedentem ad Deum» (Ebr. v.s.) Chi vuole accostarsi a Dio, è necessario che creda. Si potrebbe dire qui in senso spirituale ciò che Gesù Cristo diceva a quella donna guarita: «Fides tua te salvam fecit» (Marc. V, 34); è la fede che ci salva.
Siamo uomini di fede, per predicarla anche al prossimo; ricordiamo: quanto sarà accesa la nostra lampada, altrettanto manderà di luce: «Vos estis lux mundi» (Matth. V, 14). Non si accende la lampada e poi la si mette sotto il moggio, ma sopra il candelabro «ut luceat omnibus» (Matth. III, 15), perché splenda a tutti. Di S. Giovanni Batt. è detto:
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«Ille erat lucerna ardens et lucens» (Joan. III, 25): ardente di amor di Dio e risplendente di luce soprannaturale.
Non si adopera un pezzo di ghiaccio per accendere il fuoco, ma si adopera qualche cosa di acceso. In tanto accenderemo in quanto saremo accesi. Una lampada accesa sulla faccia della terra, quanti illuminerà? Pensate alle turbe che aspettano il vangelo; a quelli a cui siamo debitori, perché noi viviamo in società, nella società della Chiesa, con uno scopo speciale dice S. Paolo: «Graecis ac barbaris, sapientibus et insipientibus debitor sum» (Rom. I, 14).
Sia lodato Gesù Cristo.
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