Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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MEDITAZIONE I

Che cosa significa santificare la giornata

Mettiamo il Ritiro Mensile di questo mese sotto la protezione del nostro Padre San Paolo. Noi in questo mese ricorriamo al nostro Padre come figliuoli buoni, che hanno bisogno di tutto: bisogno del pane dell'intelligenza, del pane dell'anima, e bisogno anche un poco del pane del corpo; ma specialmente noi miriamo a chiedere a San Paolo lo spirito religioso, e la pietà religiosa, pietà paolina. Questa grazia noi continueremo a chiederla tutto l'anno, cominciando dai prossimi Esercizi fino al corso successivo degli Esercizi Spirituali. Il tempo che va da un corso di Esercizi ad un altro , si chiama l'anno spirituale. L'anno civile comincia da gennaio e va fino a dicembre, ma l'anno spirituale non ha questo andamento. Ebbene: noi in quest'anno spirituale, in cui si svolge
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il programma di spirito, il programma che ci fissiamo, chiederemo costantemente questa grazia. E incominciamo pure da questo mese, perché in questo tempo noi abbiamo grazie particolari dal nostro Padre, e inoltre questo mese serve di preparazione agli Esercizi Spirituali, se piacerà a Nostro Signore che vi arriviamo. Quale sarà l'argomento del Ritiro Mensile di questo mese? L'argomento è questo: La giornata santificata. Appena ho detto che si faceva il Ritiro Mensile su questo argomento, subito sono venuti a dirmi: «Faccia un libretto su questo: un libretto intitolato: La giornata religiosa, o del religioso». - Il libretto lo farete voi. Prima di tutto questa sera ci fermeremo sopra il primo punto: Che cosa significa santificare la giornata. Poi domattina, se piacerà al Signore, vedremo: La necessità di santificare la nostra giornata, e termineremo considerando: Come si santifica la giornata.
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Che cosa significa santificare la giornata. Significa: primo: passare la giornata con retta intenzione nella mente; secondo: con diligenza affettuosa nelle
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cose comuni, nelle virtù e nella pratica dei doveri comuni; terzo: con amore fervoroso e sforzo di volontà e di cuore.

1. - Anzitutto significa avere retta intenzione.

Che cosa è la giornata. La giornata è meglio che giorno per noi, perché più concreto questo termine: la giornata. Giornata è quello spazio di ventiquattro ore che forma il giorno. È il tempo che va dal primo svegliarsi all'indomani mattina: ventiquattro ore.
- Ma il giorno non è da una mezzanotte all'altra?
- Senza dubbio: il giorno solare. Ma il giorno spirituale, il giorno di attività umana è qualche cosa di diverso. Direte che non tutto il giorno si opera. Non importa: il riposo è meritorio secondo che abbiamo chiuso alla sera il nostro conto, e secondo che abbiamo offerto e consacrato al Signore il nostro riposo della notte. Dunque, per giornata noi intendiamo il tempo che corre dal primo svegliarci al mattino fino al risvegliarci all'indomani per di nuovo riprendere le occupazioni ordinarie.
Giornata è parola concreta e in tanto
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ha valore in quanto è da noi sfruttata, e cioé secondo come passiamo noi le ventiquattro ore, come le curiamo, come le santifichiamo.
Che cosa dobbiamo dunque dire in primo luogo? Dobbiamo dire: avere retta intenzione nella mente. È radicale questo. Rettitudine di intenzione significa: che noi miriamo a Dio. Come la retta è la linea più breve che congiunge due punti, così la retta intenzione è una mira che parte dal nostro cuore e, senza fermarsi a delle stazioni o a degli oggetti secondari, va diretta al Signore, a Dio. È quella semplicità di mire che è nel cuore che dice: «Voglio far piacere al Signore; voglio guadagnarmi meriti; voglio provvedere per il Paradiso; voglio far piacere alla santa Madonnina; voglio soddisfare per i miei peccati: voglio che la mia giornata sia eucaristica e che la prima parte serva in ringraziamento della comunione fatta e la seconda in preparazione della Comunione fatta e la seconda in preparazione della Comunione che farò domani...». Ecco la rettitudine di intenzione! Invece l'intenzione non retta sarebbe lo sviare il motivo delle nostre buone azioni: farle perché son veduto , o perché temo di essere rimproverato, o perché desidero far bella figura nella scuola, o perché se io faccio
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bene potrò raggiungere quella certa cosa cui aspiro, ma che è cosa terrena, umana. Se miro soltanto a compiacere il corpo, a soddisfare gli occhi, a soddisfare le passioni, a soddisfare la vanità, a soddisfare lo spirito di comodità e di pigrizia; in sostanza, se noi, invece di mirare a Dio, miriamo a qualche cosa di temporale, e di terreno, a qualche cosa di umano, abbiamo l'intenzione non retta.
La retta intenzione si estende a tutte le nostre cose e cioè: a) alle cose di pietà, b) alle cose di studio, c) alle cose di apostolato, d) alle cose di povertà.

a) Alle cose di spirito, cioè di pietà. È necessario che noi esaminiamo se abbiamo una pietà sentita, una pietà profonda; se davvero amiamo il Signore, o se la nostra pietà è una casa fondata sulla pietra, oppure è una casa basata sulla sabbia; è una pietà duratura che si sente costantemente, o è una cosa che pratichiamo soltanto perché ci troviamo in quell'ambiente, formato di pietà, dove la pietà è stimata e dove a chi non ha pietà viene fatto osservazione?
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Bisogna che vediamo se abbiamo retta intenzione nella pietà, cioé: profondo amore nella Comunione, profondo raccoglimento interiore nel recitare le orazioni ed il santo rosario. Nè sia per noi il rimprovero che Iddio faceva per bocca del Profeta Isaia al popolo Ebreo: «Populus hic labiis me honorat, cor autem eorum longe est a me. Questo popolo mi onora colle labbra, la il loro cuore è lungi da me (Matt. XV, 8)». Bisogna che noi esaminiamo se abbiamo in primo luogo l'abitudine dell'esame di coscienza; quando c'è l'abitudine dell'esame di coscienza, tutto va bene, in generale, perché l'abitudine dell'esame di coscienza importa un impegno costante a migliorare, a correggersi, ad acquistare nuove virtù. Se invece non si ha pietà si lascia l'esame particolare di coscienza e lo si abbandona.

b) Bisogna che vediamo se abbiamo retta intenzione nello studio. Per che cosa studio? Studio ugualmente se penso di essere interrogato o di non essere interrogato? Studio ugualmente se mi correggono il compito o se non me lo correggono; quando c'è il maestro in iscuola e quando lo aspetto; quando sono assistito e quando lo aspetto; quando sono assistito e quando non sono assistito? Vi sono delle
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cose esterne che scoprono la natura del cuore. Se uno appoggia la sua testa all'orlo di un pozzo e sente che di là dentro esce un tanfo od un odoraccio, dice là dentro c'è del marciume. Così noi da certi indizi conosciamo che cosa c'è in fondo al cuore. Dal modo con cui ci comportiamo non veduti, veniamo a scoprire i sentimenti del cuore che qualche volta si nascondono e non si lasciano a primo aspetto scoprire e controllare. E poi vediamo come ci comportiamo nella scuola poi nel leggere e nel meditare, e allora scopriremo se l'intenzione è retta o no.

c) Aver retta intenzione nell'Apostolato, e cioé nelle cose di zelo e nelle cose che riguardano la salvezza delle anime. Come studi, come componi e stampi e attendi agli altri lavori tecnici, tipografici? Come fai il lavoro di preparazione; i clichès, le composizioni, le fusioni a macchina, la preparazione della carta ecc., ecc.? Come vi attendi, con che spirito? Se adesso io ti interrogassi: ad quid venisti? perché ti sei fatto religioso? Tu mi risponderesti subito: per ascoltare il - si vis perfectus esse per farmi più santo. Ebbene questa finalità l'hai sempre presente? Guarda che l'amor proprio è qualche cosa di fine e di astuto. Alle volte noi abbiamo
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rinnegato l'io e il mondo, e poi, dopo averlo rinnegato nella professione, lo riprendiamo sotto un altro aspetto, e certe volte lo ritroviamo ancor più strettamente, e ci accompagna, anzi, ci è dentro il cuore e l'anima.
Poi vediamo se abbiamo lo spirito di retta intenzione nelle cose di povertà. Come vesti e con quale spirito attendi a te stesso? Come si abbellisce il Tabernacolo e come si monda la Chiesa, così tu attendi alla pulizia e al decoro del tuo corpo, oppure ti comporti diversamente? Ti nutri solamente per mantenerli nel servizio di Dio, oppure per il gusto o per spirito di voracità? Come curi le cose che riguardano la mortificazione esterna, come curi i tuoi vestiti, i tuoi oggetti? Con quale spirito? Con quale spirito tu attendi a formarti un carattere buono, che si presenti bene, un tratto che sia socievole, un certo galateo nel trattare, nello scrivere le lettere, nel rispondere, nell'interrogare? Come ti comporti nel camminare nel portar l'abito, nelle cerimonie, nel canto sacro e in tutto quello che forma l'esteriore, voglio dire, nel complesso delle relazioni che noi teniamo cogli altri, con noi stessi e con Dio? Vi è un galateo, che si chiama anche galateo con Dio, galateo divino. Bisogna vedere
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se noi siamo soprannaturali. Vi sono alcuni che in questo sono come ciechi e non capiscono niente. Se io dicessi loro: guardate: San Giovanni Berchmans prima di andare alla scuola guardava sempre di essere pulito e in ordine; si dava una spazzolata agli abiti attorno al collo, al colletto; si guardava in dosso se era tutto in ordine, poi andava alla scuola in silenzio, entrava compostamente, stava al suo posto, si alzava sempre bene, quando era interrogato rispondeva con garbo e soleva stare col capo inclinato persino a scuola, che ne direbbero?

2. - La giornata si santifica con la diligenza nell'adempimento delle cose comuni e la cura diligente dei doveri quotidiani.

a) Attenti ai doveri della giornata: tutte le cose bisogna farle compiutamente. Al mattino levarsi decorosamente: tutta quella mezz'ora o quei venti minuti che s'impiegano nella levata, siano decorosi e santi. Recitar bene le orazioni, assistere santamente alla Messa, usare compostezza in Chiesa, fare la Comunione fervorosa, la meditazione ben sentita, ben applicata e chiusa con propositi molto santi. Mettersi a studio raccolti, silenziosi, intenti solo al nostro
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libro e alle nostre materie, per il Signore, con compostezza e con umiltà, come se si facesse la Comunione; e non interrompere per un nulla e non abbreviare il tempo che è destinato per questo. Passar bene il tempo di ricreazione, con garbo, possibilmente giocando: le conversazioni tante volte guastano. Sono occasioni, non cattive in sè, ma sono occasioni pericolose! Nel gioco trattar bene: anche la ricreazione che sia da Chierico, e le conversazioni si portino sopra cose belle, elevate, non su mondanità o vacuità che lasciano lo spirito dissipato anziché ricreare. Vi son di quelli che vanno otto giorni a casa per sollievo e poi ne impiegano otto a rimettersi. Le vacanze non furono vacanze di sollievo, furono invece dissipazione e stanchezza. È passata la festa, hanno bisogno di risposarsi! Questo è proprio cambiare la natura del giorno del riposo. E così è alle volte della ricreazione; prima erano più disposti allo studio, più disposti alla preghiera che dopo. E allora non si è ricreati, ma si è stancato lo spirito e si è dissipati.

b) Inoltre far bene l'apostolato, con tranquillità di spirito e con attenzione: nella composizione, nella correzione, nella stampa. nello scrivere ecc. E su questo
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punto prego alcuni ad esaminarsi bene, perché l'apostolato, che è l'esercizio dello zelo, finisce sovente per essere pericolo di dissipazione e di fare lasciare l'«attende tibi».

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S. Giovanni Berchmans era diligentissimo in ogni impiego che gli era dato. Essendogli stata data la cura della stanza del Padre Spirituale, la teneva tanto pulita e così ben provvista d'ogni cosuccia necessaria, che il Padre restava stupito, nè trovò mai altri che l'uguagliasse. E quel che più, mai gli diede nessun disturbo, nè gli disse mai una parola superflua.
Avendo anche avuta la cura delle lucerne, non lasciava passar giorno senza che le rivedesse ed aggiustasse, e nei giorni di vacanza, dovendo andare alla vigna, o le aggiustava, prima d'andare o alla sera tornava a buon'ora per farlo per tempo. E temendo che questo impiego gli fosse levato, pregò il Padre Rettore a confermarglielo. (Dal «Diario Spirituale»).

Per certuni è proprio l'apostolato l'occasione in cui si perdono! S'incontra Tizio, si parla con Caio, si dissipa con Sempronio... Eh! quest'apostolato!
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Vedete un po' di santificare l'apostolato col raccoglimento e la diligenza. Si può già sapere cosa farà uno nella vita, se sarà zelante o tiepido: Andate in Apostolato, non avete bisogno di essere profeti. Non avete bisogno di essere profeti, perché se mi dite che uno ha preso il treno che va a Alessandria. Non fa bisogno di esser profeti, non è vero? Ah! questo vorrei che lo meditaste, ma particolarmente alcuni... L'apostolato è proprio stato la perdita di parecchie vocazioni.
O figliuoli, pensate! Adesso mettete le premesse e la conclusione verrà da sè. La gioventù è la chiave della vita: come uno è in gioventù, così sarà nella vita. Mettetevi subito al punto della morte. Non sapete se la vita sarà lunga o breve. Ma io voglio supporre, voglio fare la più lusinghiera delle ipotesi: che abbiate a vivere a lungo. Ebbene: tra quaranta, cinquanta, sessanta anni o quel che vorrà essere, trovandovi finalmente in punto di morte potrete dire: «La mia vita fu diligente?» Rispondetemi! Avete già parecchi anni di giovinezza e qualcheduno è ormai sulla soglia della maggior età. Che cosa viene? La conclusione non è più in mano nostra tirarla:
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perché se io metto due più due, non è più in mia possibilità decidere quale sarà la somma. Potevo mettere quattro più due, come potevo mettere dieci più due, e venti più due. E allora la somma sarebbe stata diversa; ma adesso, messo due più due, deve fare così. Non ci resta che dedurre la conseguenza.
Dunque: l'Apostolato divenga l'esercizio della carità. L'apostolato che esercitate è tutta un'opera di misericordia: tutto quanto. Quando uno compie invece la distruzione, lo sgretolamento, la dissipazione del suo spirito, che cosa ne sarà? Avverrà come della candela che illumina, ma illuminando si consuma. bisogna essere una lucerna perpetuamente ardente, e che mentre illumina si accenda ognor più. San Giovanni Battista era lucerna, ha detto Gesù Cristo, «ardens et lucens». Ardeva prima per sè, nel suo spirito, e poi mandava la luce, risplendeva per gli altri. Guardate bene di essere nella realtà della vita.
Maggiorino Vigolungo, spesso in tipografia era lasciato a lavorare da solo, fuori dello sguardo degli assistenti, in lavori di fiducia. Ed egli li eseguiva con puntualità e precisione.
Lo si sapeva: Non avrebbe perduto u
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minuto di tempo. Questo proposito, che farebbero bene a fare molti anche attualmente, era uno dei suoi: «Propongo di far silenzio in Apostolato; di non parlare se non per vera necessità; ed anche di non perdere neanche un minuto di tempo».
Un giorno aveva terminato un lungo lavoro di apostolato, e si trattava di incominciarne un altro che richiedeva molto tempo. Mancavano pochi minuti al finis: «È inutile incominciare!», gli osservò un compagno. Ed egli: «Perché vi sono pochi minuti debbo prenderli?» Ed eccolo senz'altro all'opera.

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Oh quanto è felice e prudente colui che ora in vita si sforza di essere tale quale desidera essere trovato in morte! Perché al ben morire gli daranno grande confidenza il disprezzo del mondo, l'ardente desiderio di avanzarsi nella virtù, l'amore della regolare disciplina, la fatica della penitenza, la prontezza dell'ubbidienza, l'abnegazione di se stesso e la tolleranza di qualunque avversità per amor di Gesù Cristo.
Molto di bene tu potrai fare finché sei sano; ma ammalato non so di che sarei capace.
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Non voler porre la tua fiducia nei parenti e negli amici; nè voler procrastinare il negozio della tua salute: perché gli uomini si dimenticano di te più presto di quanto tu lo creda.
Ah! stolto! perché ti lusinghi di vivere molto tempo, mentre qui non hai neppure un giorno di sicuro?
Oh! quanti s'ingannarono, e furono stolti in vita senza saperlo!
Non pensare ad altro che alla tua salvezza; e bada di farti degli amici onorando i santi, imitandone le virtù. Conserva il cuore, libero e sollevato a Dio, perché tu non hai qui città permanente (Da «Imitazione di Cristo»).

c) far bene anche le cose più materiali, che servono direttamente alla salute del corpo come il mangiare, il dormire.... San Paolo dice: «Sia che mangiate, sia che beviate, sia che facciate d'altro, fate tutto a gloria di Dio; Sive ergo manducatis, sive bibitis, sive aliud quid facitis, omnia in gloriam dei facite» (I Cor. X, 31).
Anche quando si fanno queste cose, bisogna che vi ricordiate che siete religiosi. Siamo religiosi! Altro è il mangiare del ricco epulone che cercava la sua soddisfazione, e altro era il nutrirsi di Gesù, il
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quale aveva insieme un altro cibo di cui sfamava il suo spirito: «ho un altro cibo che voi non conoscete». Sia il riposo preso santamente, che ristori e prepari le forze fisiche, a riprendere il divino servizio al mattino, a tornare alle opere di santificazione, alle opere di povertà. la pulizia per alcuni diventa solo un atto di pigrizia, come la tavola è un atto di gola, un atto pericoloso anzi, perché non fa che deprimere lo spirito e prende il sopravvento. «Procul recedant somnia et noctium phantasmata, hostemque nostrum comprime, ne polluantur corpora».
Esaminate dunque come fate le cose della giornata.

3. - In terzo luogo santificare la giornata significa: non solo avere retta intenzione nella mente, fedeltà ai doveri nella volontà, ma ancora fervore, calore nel cuore.

«Maledictus homo qui facit opus Domini fraudolenter» (Ger. XLVIII, 10): maledetto l'uomo che fa le opere di Dio con frode. Le nostre sono opere di Dio; chè fatti i voti tutte le opere del religioso divengono religiose. Il frutto è della natura della pianta: la pianta è di Dio, i frutti sono di Dio; quindi le nostre opere sono
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sempre di Dio. Ora vi è chi le fa con grande slancio, e vi è chi le fa negligentemente.
Cosa significa farle con negligenza? Significa: farle con svogliatezza, con freddezza, con tiepidezza. Faceva scrivere lo Spirito Santo a quei Vescovi: «Mi sono note le tue opere e che non sei nè freddo nè caldo, Oh, tu fossi o freddo o caldo! Ma perché sei tiepido, nè freddo, nè caldo, comincierò a vomitarti dalla mia bocca» (Apoc. III, 15-16). «So le tue opere e le tue fatiche e la tua pazienza e che non puoi sopportare i cattivi, e che hai messo alla prova coloro che si spacciano per apostoli e nol sono, e li hai trovati bugiardi, che sei paziente ed hai sofferto pel mio nome e non hai creduto; ma ho contro di te che hai abbandonata la primiera tua carità. Ricordati dunque da quale altezza sei caduto e fai penitenza, e torna ad operar come prima, altrimenti, se non ti ravvedi, verrò da te e torrò dal tuo posto il tuo candelabro» (Apoc. II, 2-5).
La tiepidezza dà nausea a Dio, massime nel religioso, il quale dovrebbe essere il consolatore del Cuore di Gesù! Il religioso che è l'amico di Dio, ciononostante configge il Cuore di Gesù! Giudicate voi: che cosa bisogna concludere da quelle parole
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del Signore: «Ecco quel Cuore che tanto ha amato gli uomini, ma che non riceve da loro se non ingratitudini e peccati?!» E quello che più lo disgusta sta qui: «... e si mostrano con me fredde, indifferenti le anime a me consacrate!». Non parla dei peccati mortali, ma delle tiepidezze, delle freddezze, e tutto quello che è disgusto di Dio. Giudicate dunque che cosa vuol dire quel «utinam frigidus esses, sed quia tepidus, neque calidus, neque frigidus, incipiam te evomere ex ore meo»: Ti ributto come una cosa che mi sta sullo stomaco. Oh quanta freddezza nelle Comunioni! Mi pare che su questo punto ci sia molto da progredire. La freddezza nelle Comunioni sovente è tale che non si sente più.
È necessario ancora che ci esaminiamo se siamo freddi nei rosari, nelle Visite; se siamo freddi negli studi, nell'apostolato, nello spirito di povertà. Perché il fervore è uno slancio del cuore. Vedi là, come è generoso quel figliuolo: entra in Chiesa e non s'accorge che del Tabernacolo e del suo posto. vedete come fa bene il segno di croce, la genuflessione accompagnata da giaculatorie, va al suo posto, congiunge le mani, abbassa il capo, fissa il Tabernacolo... Ecco: per lui non v'è che il suo Gesù e la sua anima.
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Vedete un altro che va a studio, com'è entrato, come dice la preghiera, e poi prende il suo libro; ha già pensato che cosa studiare proprio stamattina, apre subito la pagina giusta, si mette subito lì con tranquillità e pare anzi che voglia farsi scudo, per non esser tentato e distrarsi, con le mani davanti agli occhi; si raccoglie e approfondisce, e ogni tanto prende la penna, sottolinea, annota, scrive d'accanto; gli altri potranno andare e venire: egli non si disturba. Sabato scorso sono andato a confessarmi: mi ero già inginocchiato d'accanto al confessore, e avevo già detto la preghiera e lui non si muoveva, continuava a fare l'adorazione come se io non fossi giunto: ho dovuto toccarlo. Ecco delle anime che pregano con fervore e che hanno slancio nelle cose! Ma slancio non è calore di cominciare le cose solo per un momento: per es.: «voglio fare... voglio leggere». Cosa vuoi fare? «Voglio leggere la Storia del Cantù». E fino a quanto dura il proposito? Fino alle sette e un quarto, dalle sei e mezzo. Poi il libro viene oscuro, poi narra le avventure degli Indiani e degli Egiziani, non se ne capisce più nulla in quelle dinastie... Ci vuole fervore; questa è esaltazione di superbia! I grandi propositi sono solo per coprire la superbia; ci
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vogliono propositi piccoli. Studiare i libri di scuola; fate i lavori di scuola: quello è fervore! Il fervoroso ha sempre la sua pagina pulita; magari non ha goduto il frutto, ha ancor fatto degli errori, ma non sono distrazioni: sono un non arrivarvi ancora, come i tentativi e le prove che fa uno quando canta; non canta subito giusto: deve provare e riprovare, così quando traduce. ma intanto vi è lo sforzo, l'impegno: ecco il fervore. È sempre costante; non è di quelli che un giorno vogliono studiar tutto insieme, perché c'è l'esame. Qualcheduno non saprebbe dire le ragioni dei voti; ma le ragioni di certi voti sono qui: certuni si vede che non possiedono la materia. hanno attaccato un po' alla memoria qualche cosa, per l'esame; ma la fatica quotidiana, costante non vi è stata. E questo frutto sapete quanto dura? Dura finché si esce dalla sala degli esami.
Ma, capite bene: il fervore è un'applicazione costante, quotidiana, sempre dignitosa, diligente, scrupolosa, semplice. Perché il fervore non mira a far bella figura, ma a sapere; non mira tanto al voto, ma a meritarlo. Ecco il fervore.
«E per il moltiplicarsi dell'iniquità si raffredda la carità di molti; ma chi avrà perseverato sino alla fine, questi sarà
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salvo: Et quoniam abundavit iniquitas, refrigescet charitas multorum. Qui autem perseveravit usque in finem, hic salvus erit» (Matt. XXIV, 12-13).
Ci vuole slancio nelle cose, ci vuole costanza, non è vero?
Dunque in terzo luogo, passar bene la giornata significa: passarla con slancio di animo. Ho detto come esempio dell'andare in Chiesa, del venire a studio. Voi applicatelo all'apostolato, applicatelo alla povertà, e distinguerete subito il tiepido dal fervoroso. Il fervoroso è un diligente d'animo e costante; il tiepido è un abitualmente negligente.
Cercate di esaminarvi: Passare bene la giornata significa dunque avere retta intenzione nella mente, diligenza nella nostra volontà, nel compiere i doveri comuni, quotidiani. La nostra vita si può anche chiamare una giornata.
Abbiamo, per grazia di Dio, parlato della giornata comune, del lavoro, dell'impiego, delle opere che noi facciamo nelle ventiquattro ore: da quando ci alziamo al mattino fino al risvegliarci domani mattina. Ogni giornata si chiude e l'Angelo scrive: «optime, bene, male». le nostre giornate dunque si possono mettere in tre serie: le giornate ottime, le giornate buone, le giornate cattive.
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Ottime quando sono buone sotto ogni rispetto: nell'intenzione, nella diligenza, nel fervore, nella compitezza, quanto tutta la giornata è passata in grazia di Dio quando in sostanza è stata buona con Dio, con gli uomini e con noi. Buona quando in sostanza va bene, ma fu già un po' scarsa, o per aver avuto abbastanza fervore, o perché qualche fine secondario qua e là si è infiltrato nella mente qualche azione si è infiltrato nella mente, qualche azione si è compiuta solo per evitare i peccato mortale, vi fu però un po' di tiepidezza, forse il peccato veniale qualche volta; tuttavia è ancor buona nella sostanza. Cattiva, è la giornata cattiva. Può essere cattiva perché vi è stato il peccato mortale. Può essere cattiva perché le cose furono fatte con intenzione cattiva. La intenzione cattiva può guastare tutto il frutto della Comunione, che è buona in sè, perché si adopera proprio la cosa più santa, ma al fine di amor proprio. Non è un venere Gesù Cristo per averne denaro, ma è un vendere Gesù Cristo per avere lode e onore. La giornata può ancora essere cattiva perché le cose furono fatte malamente. hai cominciato e non hai mai finito; poi peccati veniali, una serie di imperfezioni, che non sono come la debolezza di un fervoroso, come nell'altro caso, ma un'abitudine di tiepidezza,
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di negligenza. È quello che intende la Scrittura quando dice: «Maledictus qui facit opus Domini fraudolenter» (Ger XLVIII, 10). Sia maledetto! Per essere maledetto bisogna che diventi ben grave l'andamento: è già un fatto e una intenzione abituale che raggiunge il peccato mortale, oppure è un prepararsi al peccato mortale. Quindi maledetta la giornata cattiva.
Nell'anno passano giornate, noi però non abbiamo oggi da fermarci ad esaminare trecentosessantacinque giornate, ma trenta giornate. Alla sera, chiudendo la pagina della giornata, cosa segno: giornata ottima e piena di meriti: «dies pleni invenientur in eis? » (Sal. LXXII, 10). Oppure annoto: giornata buona, che in sostanza va ancora, perché se ci fu qualche negligenza, fu riparata, si è fatta un po' di penitenza, si è domandato perdono, si è fatto l'esame di coscienza? Oppure giornata triste, giornata che vorremmo scancellata per sempre dal libro della nostra vita, che vorremmo che quando Dio sfoglierà questo libro, «libri aperti sunt», avesse da saltare?
Passa l'una, passa l'altra e ogni anno noi tiriamo i conti: di 365, quante sono buone, quante cattive, quante ottime? Dipende da noi: l'Angelo le scrive colle parole, ma noi le scriviamo colla vita; noi
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siamo i testimoni, noi dirigiamo la sua penna.

Preghiamo che il Signore benedica questo Ritiro perché sia una buona giornata, una delle più belle giornate della nostra vita. preparatevi bene alla confessione, domandate molto di suore la grazia di una santa morte, di una buona fine e poi fate dei propositi molto serii. O figliuoli, prepariamoci una santa morte. Siamo noi che ci fabbrichiamo l'eternità con le nostre mani. Gesù Cristo giudice non farà che ratificare la nostra storia, la storia fatta da noi, giorno per giorno, della nostra vita quotidiana. Facciamo dunque bene e meritiamoci una bella corona, affinché possiamo poi dire con S. Paolo: «Ho combattuto una buona battaglia, son giunto al termine della mia corsa, ho conservato la fede, e non mi resta che ricevere la corona di giustizia che mi darà il Signore giusto giudice: Bonum certamen certavi, cursum consummavi, fidem servavi. In reliquo reposita est mihi corona iustitiae, quam reddet mihi Dominus in illa die justus iudex» (II Tim. IV, 7-8). Sia lodato Gesù Cristo.
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