Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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V.
LA TIEPIDEZZA

Abbiamo considerato ieri sera il vero, il sostanziale dovere, l'unico dovere anzi della vita religiosa, cioè l'obbligo di attendere alla perfezione. Infatti lo Stato Religioso si definisce appunto: «Un modo stabile di vita in cui, oltre all'osservanza dei Comandamenti, si attende alla perfezione». È come dire che il maestro si trova in uno Stato di vita in cui, oltre al sapere, bisogna che insegni, che attenda cioè all'insegnamento: altrimenti egli è un dotto, ma non è un maestro. Il religioso che vivesse al modo dei cristiani, e che soltanto praticasse i Comandamenti, egli sarebbe un cristiano, non un religioso: «Aut nomen, aut mores muta»: o cambia nome, o cambia costumi.
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E adesso una domanda subito molto intima: ho quasi bisogno del vostro permesso per farla, e forse, anzi, bisogna togliere il «quasi»: ho proprio bisogno del vostro permesso, perché si tratta di aprire il cuore e guardarci dentro. Date il permesso? «Neh, che vi esaminate sui Comandamenti, e poco sui doveri religiosi? e che vi è ancora più pericolo che vi confessiate solo sui Comandamenti e non sopra i doveri religiosi?» Vedete che la domanda volevo farla col vostro permesso! Questo sarebbe attendere ai doveri che noi avevamo prima, ma non più si può dire sufficiente per i doveri attuali. Adesso i nostri doveri si sono aumentati e moltiplicati e di conseguenza è necessario che noi veniamo anche ai secondi. Prima di fare i voti naturalmente bisogna già osservare i doveri della vita cristiana, i Santi Comandamenti. Ma: «Hoc feci a iuventute mea» (Mt 19,20), voi rispondete. Ebbene, io, al pari di Gesù, vi guardo con compiacenza e con soddisfazione e vi soggiungo: «Si vis perfectus esse» (Mt 19,21), se vuoi essere perfetto, tre altri doveri: l'esercizio della povertà: «Vendi quello che hai, dàllo ai poveri»; l'esercizio della castità: «Vieni»,
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che importa uscire dalla famiglia e venire alla scuola di Gesù; e l'esercizio dell'obbedienza: «Seguimi»; e Gesù invitava nella vita comune del Collegio Apostolico.
Ecco, siamo venuti sin qui, e dopo che abbiamo detto qual è l'unico dovere della vita religiosa, bisogna che diciamo qual è l'unico avversario: l'unico avversario della vita religiosa è la tiepidezza.
Che cos'è la tiepidezza. - I danni della tiepidezza nel religioso. - I mezzi per evitare la tiepidezza.
I. - Prima di tutto: che cosa sia la tiepidezza. La tiepidezza è uno stato particolare: non è un momento, ma è uno stato, cioè una condizione in cui si rimane per un certo tempo. Perché può anche essere che nella settimana o nel mese capiti anche al fervente una giornata più sciocca, più debole di forze, di amor di Dio; ma la tiepidezza è uno stato, non è una giornata. Che cosa bisogna dunque fare?
Ecco: l'Angelo scrive a quel Vescovo dicendo così: «Io conosco le tue opere: so che sei zelante per gli altri, zelante per predicare la divina parola, sei zelante contro gli eretici? sei zelante per la fede e
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sempre la virtù cristiana dei tuoi fedeli...». «Scio opera tua», (Ap 2,2). Aveva ancora lo zelo. «Ma pure, dice l'Angelo, ho una cosa da dire contro di te, «adversum te». E che cosa? «Che hai abbandonato il primitivo fervore per te». C'è ancora lo zelo, ma ci manca il primitivo fervore, il primitivo amor di Dio. «Quod charitatem tuam primam reliquisti» (Ap 2,4): «Sei caduto di là: svegliati! alzati! se non ti svegli, vengo io a te», dice il Signore; «Utinam frigidus esses»! fossi freddo, piuttosto che così; «ma perché non sei né caldo, né freddo, io ti rigetto», (Ap 3,15.16).
Vedete descritta la tiepidezza. Può essere in un cuore che pure è zelante nel fare le opere esterne: zelante magari per lo studio, ma zelante per altri motivi: zelante, vedete, anche nella predicazione, nello scrivere, nell'Apostolato; ma tiepido per sé, per la propria santificazione; zelante perché gli altri osservino l'orario, siano generosi, non offendano il Signore, non trasgrediscano neppure una riga della legge... Eh, i Farisei! erano tanto zelanti, e poi invece segretamente erano tutt'altro che ferventi! Può essere che uno all'esterno sia tutto composto, osservi
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tutto... ma «guai a quelli che si trincerano dietro alle quinte della legalità: essi si vantano di essere a posto legalmente, e non li puoi riprendere, ma il loro spirito è molto tiepido, forse».
Che cos'è dunque questa tiepidezza? Non confondiamo: la tiepidezza non vuol dire aridità di spirito, o insensibilità, come noi diciamo, no! l'aridità di spirito è una specie di freddezza, ma, mentre la tiepidezza porta a lasciare le opere di pietà, l'aridità di spirito non sente, è vero, il gusto della pietà, ma la fa lo stesso, fa le pratiche. L'aridità di spirito odia il peccato, anche il peccato veniale, e non offenderebbe Iddio a nessun costo! e alle volte il cuore sembra insensibile, ma quanto è forte! E allora l'aridità di spirito, quando è semplicemente così, è una prova che Iddio manda alle anime per vedere se sono buone a servirlo, senza soddisfazioni e dolcezze. L'aridità di spirito è però molto nemica del peccato: colui che è arido di spirito intanto vuole fuggire a tutti i costi il peccato, con tutte le forze.
E allora che cosa sarà la tiepidezza? È quello stato di un'anima la quale non è ancora generalmente in peccato mortale, ma è raffreddata nella carità: lascia le
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pratiche di pietà, si accosta al peccato veniale, compie il bene a stento, non ha ascensioni: ecco la tiepidezza.
La tiepidezza, ho detto, prima di tutto lascia le cose di pietà. E dapprima non si lasciano, ma si fanno a stento, e poi man mano che la tiepidezza si fa strada nel cuore, ecco, s'incominciano a lasciare le interne: la prima a lasciare è quella che e più faticosa: l'esame di coscienza, perché l'esame di coscienza richiede molta fatica. Il tiepido è una macchina fredda che stenta a trascinare se stessa, e non conduce affatto il treno. Quindi il tiepido non porta i pesi gravi, qual è l'esame di coscienza. Dirà ancora dei Rosari e il Rosario sarà forse l'ultima pratica a lasciare, e beato colui che risorgerà proprio per mezzo del Rosario! se conserverà la pratica del Rosario, qui avrà un gran mezzo di risurrezione. Fra le pratiche interne si eliminano pure l'abitudine delle giaculatorie, delle Comunioni spirituali, si eliminano tutti quei sentimenti che procedono dal raccoglimento, specialmente l'abituale raccoglimento, la silenziosità operosa, amorosa.
Poi, oltre a lasciare la pietà all'interno, si viene gradatamente ad abbreviarla
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anche nell'esterno: quando si può fare a meno, si evita e si trova qualche scusa. Se c'è poi un giorno di libertà, o un giorno in cui non vi sia, diciamo così, chi ci osservi, eh, allora! Si lascia la Meditazione, poi la Visita e poi...
Di più, la tiepidezza asseconda il peccato veniale. Parole e parole... in quelli che sono inclinati alla loquacità, tante parole che lasciano il cuore senza gusto spirituale e senza raccoglimento. Soddisfazioni di gola, pigrizia abituale forse, o almeno nelle cose di spirito. Poi successivamente si contentano tutti gli altri sensi: gli occhi, l'udito, il cuore, il tatto; poi la sensibilità, poi una libertà di fantasia senza freno... E che cosa facciamo? Non facciamo altro che accostarci con peccati sempre più vicini e più confinanti con quello che si chiama grave. E andando avanti, vi è poi un certo punto in cui la tiepidezza raggiunge il suo estremo limite e cioè quando si lasciano anche cose di pietà che sono credute necessarie per evitare il peccato mortale. I tiepidi si fanno una coscienza così: «Oh, tutto quello che è veniale io lo posso commettere, perché non mi proibisce la Comunione e non mi chiude il cielo». Poi uno smorzare, un diminuire,
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diciamo, le cose in Confessionale, fino a un certo punto in cui non si sa più spiegare, e specialmente il tacere sulle occasioni e sulle circostanze aggravanti; e finalmente l'essere portato a usare quelle formule: «Spero che non sia grave, ad ogni modo me ne accuso come sono davanti a Dio...». Ecco: adoperare queste formule certe volte, è bene, perché anche l'anima delicata, per quanto si esamini, certe volte non rileva, non riesce a rilevare tutto, perché la nostra coscienza è un libro ben difficile a leggersi. Ma tuttavia quando sono adoperate in certe maniere e con una certa continuità.... Eh! il peccato grave è un precipizio e generalmente chi vi cade si accorge: vorrebbero apparire come scrupolose e delicate queste anime.
II. - Danni della tiepidezza. I danni della tiepidezza sono molti, ma consideriamo prima di tutto questo, che ci pare inspiegabile. Il Signore dice: «Utinam frigidus esses». Dunque è meno male l'essere peccatori? Vedete: sembra che a queste parole faccia ecco il lamento del Salvatore: «Ecco quel Cuore che tanto ama gli uomini, ma che non riceve da essi che sconoscenze ed ingratitudini». E notiamo il
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seguito: «E quello che più mi spiace...», prima parlava di peccati gravi, adesso parla di qualche cosa che gli spiace ancor di più, «è che anime a me consacrate», parla dei Sacerdoti e dei Religiosi, «mi ripagano con freddezza e tiepidezza». Oh, sì! da noi, suoi amici, Gesù ha diritto di aspettarsi di essere ripagato con tanto affetto e delicatezza; ma che cosa facciamo noi se, anziché delicatezza, ci mostriamo freddi? «Se il mio nemico mi maledice, sustinuissem utique (Sal 54,13). Ma tu che mi eri amico e commensale, ah! da te non mi aspettavo questo»! sembra che dica il Salvatore Gesù. Ecco: e perché noi siamo obbligati ad amare di più, la nostra ingratitudine è una trafittura, è una spina nel Cuore di Gesù. Il peccato mortale è la lanciata; ma quando una spina si pianta nel cuore, che dolore! che spasimo! Tra i malati che si vedono a soffrire di più abbiamo quasi sempre i malati di cuore: che terribili dolori soffrono! La malattia di cuore è fra le più terribili, fra quelle che dànno più pena.
Secondo danno: il religioso si priva delle grazie abbondanti per il suo stato. La tiepidezza è proprio contro il suo stato. Vedete: è stato di perfezione, anche colla
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pratica dei consigli; il religioso tiepido abbandona i Consigli e vuole seguire i Comandamenti. Egli è un infedele alla sua vocazione, alla sua professione: è il contrario. Se fosse un buon cristiano almeno! «Utinam frigidus esses!» traduciamo così le parole del Signore, tanto per spiegarci. Ma per vivere così, volendo solo evitare il peccato mortale, contro i Comandamenti, potevi essere un cristiano qualunque! Ma dopo che ti sei fatto nuovi impegni, e hai fatto i più sacri voti dinnanzi a Dio, agli Altari, alla Corte celeste, alla Chiesa... Oh, è necessario che evitiamo la tiepidezza! È contraria davvero alla perfezione: Stato Religioso vuol dire Stato di fervore: tiepidezza vuol dire ridursi invece ai Comandamenti. E perché tu vuoi essere uno nella professione e un altro con la vita e con il cuore? Lo Stato Religioso è uno stato di consiglio, se vuoi, abbraccia il consiglio; se non vuoi, no! Attenti a fare i voti con prudenza; ma siate tanto ferventi nell'adempirli, quanto maturi e lenti, a piedi di piombo, vi inducete a mettervi su questa via.
Terzo danno: che cosa farà questo religioso? Infelice, perché non gusta il mondo e non gusta Iddio! Dio consola il fervente;
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il tiepido invece non assapora il mondo con i suoi piaceri e non assapora il Signore, il Cuore di Gesù che è tutto affetto. Egli ignora, oppure invidia di lontano la dolcezza dello starsi nel mondo, in una famiglia, e ignora o invidia di lontano la dolcezza del non essere vero figlio di Dio, cioè le dolcezze della vita religiosa. Egli non si spiega i Sant'Alfonso, i San Bernardo... non si spiega le Santa Margarita Alacoque, le Santa Teresa di Gesù... non se li spiega. Non è mai entrato in quella cella dove si trova veramente Gesù e dove l'anima, in segreto, sacrificata e inchiodata sulla Croce gode di soffrire. «Cosa vuoi dunque per tanti patimenti?» domandava Gesù a quel Santo. «Pati et contemni pro te», di soffrire, di essere disprezzato per te. Egli ignora tutto questo. Infelice!
Cosa dire dunque? Si priva di grazie e si accosta al peccato mortale, e si condanna ad una morte ben pericolosa! o almeno a un Purgatorio terribile!
III. - Veniamo a considerare i mezzi per evitare la tiepidezza. Il primo mezzo per evitare la tiepidezza è di non mettere mai piede su questa strada: perché se uno vi si incammina, dopo è difficile fermarsi
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e tornare indietro. Perché è difficile? Perché il tiepido è insensibile alle esortazioni, si stupisce che lo correggano e lo richiamino, ha sempre mille ragioni: avvertito, si irrita; non avvertito, non si conosce... Cosa farà questo religioso?
E qual è allora il primo passo da evitare? Il primo passo è quello che abbiamo sopra ricordato: abbandonare l'esame di coscienza. La fedeltà all'esame di coscienza e il più gran segno di fervore: l'abbandono dell'esame di coscienza è il primo passo, ma anche passo dove uno non dubita più di essere in questo stato. L'abbandono dell'esame di coscienza è il primo passo, è il segno certo che uno è nella tiepidezza, o che vi si è incamminato. Abbracciare dunque di nuovo subito l'esame di coscienza, ecco, il fervore, che si conserva se vi era, che si riaccende se casomai incominciava a spegnersi.
Il secondo mezzo per evitare la tiepidezza è legato al primo: confessarsene. Accusare il diavolo che si insinua fra le erbe come un serpe maligno è già mezza salvezza. «Dillo a Padre Filippo», è il caso di ripetere, «diglielo!». Ha gran valore questo!
Altro mezzo è vedere se il fervore vi è
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in tutte le opere in proporzione. Il fervore vi è in tutte le opere in proporzione quando siamo ferventi nello studio; ed essere ferventi in una cosa, importa già molto, sapete! Ma nello stesso tempo siamo ferventi nell'Apostolato: importa già molto interessarci dell'Apostolato. Terzo: siamo ferventi nella povertà: quando uno è attaccato alla povertà, ha già fatto un bel passo! E ciò che decide più di tutto: il fervore nelle cose di spirito. Se ci fosse solo lo studio, vi sarebbe da dubitare; se vi fosse solo l'Apostolato, vi potrebbe ancora essere dubbio; se ci fosse la povertà, potrebbe anche essere che fosse per altri motivi. Ma se vi è ancora lo spirito, e vi è in tutte le quattro parti, allora vi è il vero fervore. Quindi quando si sente che si va scendendo un gradino da una parte, rialziamo subito il nostro spirito, erigiamolo a fortezza, a nuovo calore.
E sia benedetto il Signore!
La Santa Madonna viveva di amore di Dio e spirò per amore di Dio, di cui era accesa. Il Cuore di Gesù dice che è venuto a mettere il fuoco sulla terra e che desidera che sia acceso. Dunque ricorriamo a Maria, ricorriamo al Cuore di Gesù e ricordiamoci che essere Paolini e freddi non
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sta insieme, perché Paolo era un Apostolo che non aveva confini nel suo fervore, nel suo spirito, nella lotta contro se stesso, nella preghiera e nei suoi doveri.
Sia lodato Gesù Cristo!
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