Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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IX.
LA POVERTA'

Lo Stato Religioso è stato di perfezione, di mortificazione, di predilezione.
È stato di perfezione: cioè uno stato in cui si attende alla perfezione mediante la pratica dei consigli evangelici della povertà volontaria, della castità perfetta e dell'obbedienza perfetta. Parlando dello Stato Religioso bisogna parlare di questi tre voti e prima di queste tre virtù.
Questa sera incominciano dalla povertà e poi andremo gradatamente alle altre due, ricordando: «Bona est paupertas, melior castitas, optima oboedientia». Vedremo adunque che cosa sia la povertà. I suoi pregi. La sua pratica.
I. - Che cosa è la povertà. Il Vangelo
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dice: «Beati i poveri di spirito» (Mt 5,3); e significa che beato è colui il quale ha la povertà di spirito. È dunque la povertà la virtù che raccomanda il Santo Vangelo.
Ma notiamo bene: la povertà è una virtù che ha vari gradi. Vi è un grado che appartiene alla vita cristiana ed è necessaria per tutti i cristiani: quando uno lavorasse di festa per guadagnare, offende la povertà. La povertà è opposto di avarizia e significa quel distacco dalle cose del mondo che è necessario per attendere al servizio di Dio. Chi invece fosse così attaccato alle cose del mondo che dimenticasse il servizio di Dio, costui peccherebbe. Questa preoccupazione continua di guadagno, che dalla mattina alla sera è incessantemente nell'anima, tanto da fare dimenticare i doveri famigliari, i doveri cristiani e il cielo... quando fosse proprio così, è peccato. Non è questa la cura di un operaio, di un commerciante che ha da mantenere la famiglia, e che fa i suoi doveri di buon cristiano, tutti i giorni, e lavora e guadagna onestamente?... Sì: ma io intendo parlare del vizio che porta a una così continua preoccupazione che fa dimenticare i doveri del buon cristiano.
La virtù della povertà in secondo
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luogo, può dirsi che sia di effetto o di affetto. La povertà di effetto è quello stato del poverello, del contadino, dell'operaio il quale si accontenta del suo stato, e attende, rassegnato, ai suoi doveri. La povertà di affetto e non di effetto, l'ha colui il quale, pure avendo in abbondanza i beni della terra, non vi attacca il cuore, ma ne usa solo per sé, per la famiglia, per il servizio di Dio. San Francesco di Sales, già Vescovo, quando era libero sceglieva il più povero, anche le posate, e quando si portava in casa di altri ed erano messe in tavola posate d'oro o d'argento si serviva di esse con indifferenza: ecco la povertà, che è quella in sostanza di San Paolo: «Scio et egere et abundare et penuriam pati» (Fil 4, 12); io so adattarmi a tutto: aver fame e sete e trovarmi nell'abbondanza: aver fame e sete con rassegnazione e trovarmi nell'abbondanza e privarmi di ciò che non è necessario. Ecco: così dovrebbe essere un'anima che serve proprio Iddio: sembrar per sé sempre troppo e per il Signore sempre poco. E quindi per le vocazioni per la Chiesa, per i templi di Dio, per le case religiose non dice mai basta: sempre più e più, ma per gli altri. Non mira a sé: per sé gli basta il puro necessario:
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e nel vestire e nell'alloggio e nelle suppellettili personali.
Quando la povertà è arrivata a certi punti, allora si può sentire la vocazione; perché quando il cuore è già staccato, quando uno ha già la virtù, allora si può sentire la vocazione ai voti, cioè allo Stato Religioso. Ma quando il cuore è ancora attaccato, è pieno di vanità, sente tutto quello che è attorno a sé, anche in Chiesa... allora non si può sentire la vocazione, allora se uno dice di farsi religioso, tende solo ad essere comodo, non a cercare la povertà di Gesù Cristo, la mente di Gesù Cristo.
La povertà religiosa ha poi due gradi: vi è la povertà religiosa che si osserva negli Ordini, cioè la povertà che si vota per mezzo del voto solenne e vi è la povertà religiosa che si osserva nelle Congregazioni e che si vota per mezzo del voto semplice.
La povertà religiosa, come è nel voto solenne, priva il religioso di ciò che ha e della capacità di avere, e, naturalmente, tanto più dell'uso di ciò che viene a lui come religioso, o che gli spetta per il suo lavoro di religioso.
La povertà invece che viene dal voto semplice è quella che priva soltanto dell'uso indipendente e della proprietà di
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quello che uno acquista come religioso, «intuitu Congregationis»: e questa sarebbe la povertà che vi è nelle Congregazioni religiose.
Ora noi dobbiamo fermarci sopra questo: voi l'avete già studiato nel Diritto Canonico, o almeno durante il Noviziato, studiando lo Stato Religioso: quindi, essenzialmente, sapete già che cos'è e non ho bisogno di fare maggiore spiegazione.
Ma io voglio dire una cosa assai importante, la quale non so neppure se si connetta a questo punto o al seguente: sta in mezzo.
La povertà religiosa è la prima delle virtù, non in ordine di importanza, che ottima è l'obbedienza, ma la prima in ordine di partenza.
Mi spiego: Gesù dice al giovanetto: «Vendi quello che hai e dàllo ai poveri»: questa è la povertà; poi: «Vieni e seguimi». Vieni: castità, che importa di uscire dalla famiglia; Seguimi: obbedienza. Si parte dunque dalla povertà. San Francesco d'Assisi non sapeva cosa farne di quel discepolo che veniva a lui e, stando così in dubbio, prese il Vangelo e l'aperse per tre volte e per tre volte venne fuori quel versetto che parla della povertà. Ecco:
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perché prima della castità e dell'obbedienza bisogna praticare la povertà.
Io non ho mai visto un ambizioso che sia diventato un religioso fervente, diligente, mai! mai! E mi spiace che alle volte da certuni si impedisce di lavorare agli altri. Poveretti! Come mi fanno pena! Se sapeste quante notti ho passate in pena per certuni! e sapeste anche quante preghiere, e sapeste anche quante volte ho chiesto la carità! Per qualcheduno questo è stato molto utile, per qualche altro niente.
Si comincia dalla povertà e poi si arriva gradatamente alle altre virtù. È molto importante dunque cominciare, altrimenti non si progredisce mai.
Gesù è andato a incominciare nella greppia: e certuni hanno nei bauli... hanno attorno a sé... si fanno portare, mandare... e se si tratta di andare a fare un viaggio, hanno tutto... Ma quanto alla contribuzione che devono dare, e il resto, non c'è altro che da esigere. Ah, figliuoli! Come sbagliate strada!
Gesù Cristo è andato nella greppia, sulla paglia. E di là si comincia. Di là ha incominciato Sant'Antonio con lo spogliarsi di tutto, ed era ricchissimo; San Basilio lasciando la famiglia e ritirandosi;
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San Benedetto, lasciando la casa e andando in una grotta e facendosi mantenere da un monaco che segretamente gli portava ogni giorno un pane; e San Francesco d'Assisi e San Domenico e Sant'Ignazio e tutti i Santi... E voi che dite di essere discepoli di Gesù, volete cominciare di dove? Vigilate per farvi santi, per farvi santi davvero!
Figliuoli che lavorano sei mesi e non si sa che cosa abbiano conchiuso nell'Apostolato, se abbiano dato più danno o più vantaggio. Ma andate un po'! Volete partire o non partire: non dite di sì, quando dite di no coi fatti. Fanno un libro e lo sbagliano, con danni di migliaia e migliaia di lire e non pensano neppure a riparare. Sono attorno ad una macchina e girano tutto il giorno... Ma che cosa volete fare nella vita? Così siete senza indirizzo! Poi se c'è qualche cosa per la propria ambizione ci si arriva sempre. E naturalmente, bisogna sempre tacere e bisogna che taccia, perché lungo l'anno non è sempre il tempo di dire e anche perché alle volte ci sono dei segreti da conservare. Eh, via! Bisogna che abbiamo un po' più di virtù! Hanno da andare alla visita militare e si fanno mandare il vestito da
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casa!... Poveretti! fatevi mandare della virtù! E tutti hanno rilevato quello! Capite lo scandalo che date! Oh, carissimi, carissimi, carissimi! Ora non volevo dirlo se non fosse stato che sono proprio stato incitato da altri a dirlo; proprio ancora oggi e due volte oggi, e con ragioni così chiare che, se non parlo, mi pare di mancare al mio dovere. San Paolo non era così, Gesù non era così e i Santi non erano così... erano ben diversi! Abbiamo almeno il coraggio di dire: Non mi sento per quello Stato lì. E allora vi mettete sulla strada per cui Dio vi vuole ed io vi do la mia benedizione. Ma siate o non siate: scegliete.
II - E questo serva di collegamento col secondo punto: i pregi della povertà. Ho detto che è il principio della vita religiosa, e per questo noi guardiamo a nostro Signore Gesù Cristo che è il nostro modello.
Gesù e il nostro modello: e ha cominciato in un presepio, con una greppia e un po' di paglia, ed ha finito su di una croce con un po' di chiodi. Ha cominciato col ricevere la carità: e in carità ha ricevuto l'abitazione solo degna di animali - e non sempre degli animali abitualmente, ma solo in casi eccezionali,
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quando si ricoverano improvvisamente, era un ricovero provvisorio, per quando il tempo era brutto - e sulla croce... Oh, la povertà di Gesù! Ma quando uno comincia a farsi una cameretta ornata con qualche cosa attorno e ha il cuore attaccato... come andrà egli in mezzo al mondo, come San Paolo! Non sarà mai capace di fare del bene così, perché ci vuole il distacco, bisogna rinunziare a tutto per avere tutto. E colui che non possiede nulla, ha tutto davanti a Dio: «Nihil habentes et omnia possidentes» (2Cor 6,10). Beati quindi quelli che seguono Gesù! «Chi non rinunzia a tutto non può essere mio discepolo» (Lc 14,33): e Gesù insisteva tanto qui sopra e ci ha dato l'esempio.
La povertà poi è piena di ricchezze, perché ottiene tante grazie: si è più puri, si è più obbedienti, si è più zelanti, si è più fervorosi, si è più intelligenti, si è più dati alle opere di zelo, quando si ha la povertà. Io non ho mai avuto niente: ma dormivo da piccolo nella stalla, e riposavo sul fienile; quando ero studente avevo la pensione pagata e non ho accettato perché volevano farmi studiare in un posto che non era il mio: piuttosto ho rinunziato per non andare dove avrei dovuto
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riceverla. E poi non ebbi mai nulla. Quando ho incominciato la Casa, avevo ancora settanta lire di debito per finire di pagare gli studi, perché la carità che ho ricevuto l'ho pagata tutta come si deve e come è onesto! Quante volte mi chiedono un soldo di elemosina per la strada; ma se non sono in viaggio per qualche luogo, non ho niente! Di conseguenza preghiamo affinché il Signore ci faccia santi.
Inoltre la povertà ci acquista grandi meriti. L'abbiamo già detto: «Franciscus pauper et humilis, dives in coelum ingreditur». Fatevi quei tesori che non vengono consumati dalla ruggine: siate quindi sapienti e santi. Quando vi è l'esercizio della povertà continua, è un merito continuo. Ha più merito il voto perché la virtù ha un merito, e il voto ne aggiunge un altro. Aver nulla, e vivere e morire senza nulla preferire, questo è vera ricchezza. La pratica della povertà vuol prima che noi abbiamo il cuore attaccato a niente, neppure a un filo. Quando noi ci aggiustiamo le cose, fossero anche solo cartoline, e abbiamo quella certa ambizione... e tutto in conclusione si guarda che serva all'egoismo... eh, allora! è poco lo spirito religioso!
Oltre avere il cuore distaccato, occorre
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avere il cuore mortificato. Io non capisco perché si debbano avere le più belle legature, i più bei libri, ma solo quelli che servono al proprio conto... non capisco il perché! (Dico sempre degli esempi che si possono dire per includere anche quelli che non si possono dire).
Inoltre bisogna tener d'acconto, bisogna mortificarsi nel vitto e nel vestito. Io ho un solo paio di scarpe che porto inverno ed estate, e van sempre bene. Cosa avete sempre con questi sandali e tante altre cose!... Ma siate mortificati! E avete alle volte il cuore attaccato a cosucce che vi guastano lo spirito: è il molto legame che costituisce la miseria del cuore, è lo spirito contrario alla povertà: non è mica avere molto ma avere il cuore molto desideroso, molto legato. Tanto fa averlo legato al poco che al molto: quando è legato a queste cose, non può aderire a Dio. Che Comunioni potete fare?
Ancora: fare bene nell'Apostolato: «Qui altari deserviunt, cum altari participant» (1 Cor 9,13). E quando si è giunti ad una certa età, in cui si deve essere maestri agli altri... cosa devo dire?
Per osservare bene la povertà è necessario possederne bene lo spirito, in maniera di inculcarlo anche agli altri. Vi sono
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alcuni che non si salvano per l'attaccamento: hanno nessun impegno sulla terra e vivono attaccati fino all'ultimo come gli avari! Ora, quando l'avarizia è così, è vizio, perché lega il cuore e si porta fino al letto di morte e si lascia solo perché si lasciano i beni della terra: il cuore non fu mai distaccato e si muore coll'attaccamento. Si salvano? E no, no! Se noi vogliamo inculcare questo distacco, bisogna che lo possediamo.
Poi ci sarebbe la povertà positiva. Gli Ordini religiosi che sono poveri, di cosa vivono? Quattro modi di vita: alcuni religiosi vivono di carità, ad es., gli Ordini mendicanti che sono i Serviti, i Domenicani, i Francescani, i Gesuiti, ecc.; altri invece vivono portando tutti i beni insieme e dandoli all'Istituto e poi vivendo tutti di esso; altri vivono del proprio lavoro, come sono in generale quelli che fanno scuola, e altri infine hanno adottato tutti questi mezzi insieme e cioè: offerte libere, il proprio lavoro e portando in comune.
È entrata fra di voi la persuasione che si guardi solo lo studio per andare avanti. Ma prima di tutto si guarda allo spirito: lo studio viene in secondo luogo: in primo luogo c'è lo spirito religioso, e quando
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c'è lo spirito di povertà, si incomincia ad acquistare lo spirito religioso. Chi incomincia arriverà finalmente, ma se non si incomincia, non si arriverà mai. Bisogna quindi che acquistiamo lo spirito di povertà.
Ed ora basta.
Il Signore vi dia grandi benedizioni. Tutte le volte che Gesù parla dello Stato Religioso, comincia sempre col dire: «Lasciate, lasciate, lasciate». Ed egli fu coi poveri, amò i poveri, praticò la povertà più estrema; non ebbe un sasso dove posare la sua testa nell'apostolato, ossia nella vita pubblica, visse di carità... E di carità manteneva il collegio apostolico: e Matteo portò qualche cosa del suo, perché tutti quegli che hanno, portano; e vissero anche di fatiche, e di lavoro: per avere beneficato tante volte, ricevevano; ma più di tutto vissero di carità.
Le opere maggiori nella Chiesa di Dio sono tutte fatte di offerte. Perché? Vedete: lo Stato per fare le opere pubbliche, per es. scuole, strade, ecc. impone le tasse; la Chiesa che vuole tutti offerenti volontari di amore, per amor di Dio, non impone le tasse, ma chiede offerte, sacrifici. Bisogna che noi abbiamo anche questo spirito.
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Riflettete tranquillamente. Iddio dia tanta luce alle anime vostre.
Sia lodato Gesù Cristo!
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