Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

Effettua una ricerca

Ricerca Avanzata

In memoriam

D. LABEDZ GIUSEPPE LUIGI
Nato a Lekawica (Tarnów) Polonia il 13 gennaio 1924
Battezzato il 20 gennaio 1924
Cresimato nel luglio del 1932
Entrato in Congregazione a Czestochowa il 26 agosto 1937
Vestizione religiosa il 1 novembre 1942
Noviziato (dispensato dalla S. Sede)
Prima professione il 19 marzo 1949
Professione perpetua il 2 febbraio 1953
Ordinazione sacerdotale a Czestochowa il 28 giugno
Deceduto a Czestochowa il 2 gennaio 1967.

Il 3 gennaio 1967 un telegramma proveniente da Czestochowa ci dava il triste annunzio: «Don Luigi deceduto ieri ore 14», con firma di Madre Timotea delle Suore Pie Discepole. Non ci si voleva credere. Tanto più che in quello stesso giorno era giunta una lettera, per via ordinaria, nella quale le stesse suore ci parlavano di un miglioramento, dopo la prima e la seconda crisi; anzi scrivevano che D. Luigi era più allegro (frutto certamente della gioia natalizia) con i medici e le persone che l'assistevano.
Era stato ricoverato d'urgenza in ospedale dopo la festa dell'Immacolata del 1966, per un'emorragia cerebrale. Si sono usate tutte le cure per salvarlo.
La vita di D. Luigi fu breve: contava appena 43 anni; ma fu ricca di meriti, «perché - come dice il Fondatore - ognuno vive abbastanza, anche morendo giovane, se si è guadagnato il paradiso; e non vive a sufficienza, pur morendo in età avanzata, se nulla ha fatto per il Cielo». E Don Luigi lavorò abbastanza per guadagnarsi il Cielo. Lo dimostrano i fatti.
Da quel che ci dicono coloro che lo hanno conosciuto da vicino, egli fu un giovane coscienzioso, studioso, molto docile e pronto ai cenni dei suoi Superiori per cui divenne un sacerdote paolino esemplare. Aveva un comportamento e un fare semplice, umile, modesto; era generoso fino al sacrificio. Nei giorni di grande afflusso dei fedeli era capace di stare fino a sei ore chiuso in confessionale in un lavoro estenuante. Ma non si lamentava mai. Per la festività del «Millennio della Polonia cristiana», D. Luigi confessò tutta la notte. Alle 4 del mattino si presenta un signore da una lontana borgata in cerca di un sacerdote per portare i conforti religiosi a un malato grave. D. Luigi senza pensarci due volte si presta volentieri e lascia libero il Decano della Parrocchia e altri Sacerdoti chiamati ad altri ministeri. Era detto il «turabuchi» proprio perché veniva chiamato sovente per supplire qualche parroco o altro Sacerdote assente dalle parrocchie di Czestochowa e dintorni. Non diceva mai di no. Anzi si mostrava contento di poter fare un favore ad altri Sacerdoti come lui e poter fare un po' di bene alle anime.
~
Praticava la mortificazione perché sapeva morire a se stesso. Non si lamentava mai dei cibi, dei vestiti, del tempo. Scrivendo a un nostro con fratello di Roma qualche anno la (facciamo presente, che D. Luigi sapeva bene l'italiano benché mai fosse stato in Italia): «Qui mi contento di poco. L'offerta che ricevo come Cappellano mi basta per prendere i mezzi comuni di locomozione e le medicine che mi ordina il dottore per quest'asma bronchiale e raffreddore».
Dalle testimonianze giunte, riportiamo: «Don Luigi si confessava spesso. Era riservato e delicato. Aveva una semplicità d'animo ammirevole. Mai abbiamo sentito proferire dalla sua bocca una parola meno buona».
Ci racconta un Vicario Foraneo di una parrocchia dove D. Luigi era solito recarsi il Primo Venerdì e la Domenica, per aiutare nel ministero: «Don Luigi Labedz era un Sacerdote di profonda fede, che trasfondeva principalmente nelle confessioni dei fedeli, nella predicazione, nella Messa. La sua parola commoveva sempre perché faceva riflesso alla sua vita umile, pia e modesta».
Nutriva un grande amore alla Congregazione. Fra i tanti giovinetti, che avevamo in Polonia nell'anteguerra (1935-1940) egli solo ha perseverato. Quando si presentava l'occasione (e questa era frequente), Don Luigi non faceva che parlare del Primo Maestro, della Famiglia Paolina, della bellezza del nostro apostolato. Era contento quando poteva ricevere dall'Italia qualche nostra rivista. Specialmente desiderava leggere il «S. Paolo» e il «Cooperatore Paolino» per tenersi al corrente dello sviluppo della sua Famiglia Religiosa.
Il suo ministero lo svolgeva principalmente presso la comunità delle nostre Suore Pie Discepole con la celebrazione della Messa, meditazione, Benedizione eucaristica, scuola.
Una cosa che avrebbe voluto fare, se non glielo avessero vietato le autorità civili, era la propaganda aperta del nostro apostolato e la ricerca delle vocazioni; ma aveva le mani legate, anche per la sua timidezza e preferiva soffrire internamente e raddoppiare le forze in altro lavoro (ultimamente si era alzata di molto la pressione) piuttosto che dare un dispiacere alle autorità religiose.
Si addolorò maggiormente quando le autorità civili gli negarono il «visto» per un viaggio in Italia. Il Primo Maestro lo avrebbe desiderato a Roma per perfezionarsi negli studi e nell'apostolato. Si tentarono tutte le vie, ma invano.
Benché timido, non si turbava per le lodi e per le critiche. Era come un fanciullo che amava il suo dovere. Quando la morte lo colse, lo spirito del mondo non lo aveva ancora toccato, per cui si può testimoniare con molti, che portò l'innocenza battesimale intatta, fino alle porte del Cielo: «Beati i puri di cuore perché vedranno Dio».
~
Sul letto di morte, in quel 2 gennaio - festa del Nome di Gesù - vestito dei sacri paramenti sacerdotali, Don Luigi sembrava dormisse. Fresco e bello, com'era nella sua Prima Messa, che celebrò con fervore che sempre si accrebbe.
La sua salma composta nella Cappellina delle Suore Pie Discepole di Czestochowa, fu meta di continue visite, nei quattro giorni in cui fu esposta; e non furono pochi coloro che piansero così preziosa perdita.
I funerali furono veramente solenni. Vi parteciparono due Vescovi (l'Ordinario e il Coadiutore della città di Czestochowa), una sessantina di Sacerdoti, che cantarono il Mattutino prima dell'inizio della Messa da Requiem; un centinaio di Religiose di diverse congregazioni (comprese le nostre Suore, che sono una ventina) e più di 200 fedeli. La gente sentiva nel suo intimo che un nuovo protettore aveva raggiunto il Cielo e che di lassù avrebbe fatto da intercessore presso il trono di Dio.
La rappresentanza che doveva venire da Roma, non ha potuto giungere per mancanza del «visto», che le autorità polacche non hanno dato in tempo.
Nel discorso funebre, S. E. Mons. Stefano Barela, Vescovo di Czestochowa, ha detto fra l'altro: «Don Luigi era tutto dedito agli interessi della Chiesa e della propria Congregazione. Sapeva così bene armonizzare questi due amori, ch'era difficile dire dove finisse l'uno e incominciasse l'altro. Quando veniva da me non faceva altro che parlare della sua Congregazione e del bene che voleva alle anime, così che ogni incontro con Lui era per me una vera gioia. Quando veniva a mancare un Sacerdote era facile rivolgersi a D. Luigi, per avere la supplenza. Egli non si rifiutava mai; non chiedeva se vi era una ricompensa terrena i dietro quel servizio che prestava generosamente; ma badava solo alle anime. Faceva tutto in silenzio. Sceglieva - se vi era libertà di scelta in qualche caso - la parrocchia più povera e più abbandonata; Ma sempre pronto a fare come diceva il Vescovo; proprio nello spirito del Concilio Ecumenico Vaticano II: i Religiosi in aiuto della Chiesa».
Don Luigi ha offerto le sue sofferenze per queste tre intenzioni:
1. Per il Primo Maestro;
2. Per il buon andamento delle case di Polonia (Czestochowa e Varsavia);
3. Per le vocazioni della Famiglia Paolina.
Al caro confratello scomparso, vadano le nostre preghiere e i nostri suffragi per affrettargli, se fosse necessario, il raggiungimento del premio promesso al servo buono e fedele.
D. S.
~