Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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Anno XLII
SAN PAOLO
Dicembre 1967
Roma Casa Generalizia,

AVE MARIA, LIBER INCOMPREHENSUS, QUAE VERBUM ET FILIUM PATRIS MUNDO LEGENDUM EXHIBUISTI (S. EPIPHANIUS EP.)

COMMEMORAZIONE DI DON GIOVANNI BOGLIACCINO

Don GIOVANNI LUIGI M. BOGLIACCINO
Nato a Saliceto (Cuneo) il 21 giugno 1918
Battezzato il 26 dello stesso mese
Cresimato il 14 settembre 1919
Entrato in Congregazione il 10 agosto 1956
Vestito l'abito religioso il 7 settembre 1957
Noviziato dal 7 settembre 1957 al 7 settembre 1958
Professione religiosa 1'8 settembre 1958
Ordinazione sacerdotale: Roma 1° luglio 1962
Deceduto: Roma 5 dicembre 1967

Sono trascorsi 6 anni dal giorno in cui il Signore ha visitato per l'ultima volta la nostra comunità di Roma per mezzo di "sorella morte"; all'alba di ieri, 5 dicembre - giorno dedicato ai defunti - il Signore si è nuovamente presentato compiacendosi di prendersi e condurre al riposo eterno il Rev.do Don Giovanni Luigi M. Bogliaccino. Egli è il primo sacerdote defunto proveniente dalle file delle vocazioni adulte; si è addormentato nel Signore dopo 5 anni e 5 mesi di sacerdozio e 9 anni e 3 mesi di vita religiosa paolina.
Don Bogliaccino ha conosciuto per tempo l'invito che Dio gli rivolgeva e lo ha accettato con fede; anzi alla fine ha dimostrato di trovare piacevole quanto alla natura maggiormente ripugna: "sono contento di morire" egli disse, pur esperimentando che la morte è amara quando sta giungendo.
A chi lo assisteva le sere scorse in una camera del Policlinico A. Gemelli in Roma, ove era stato nuovamente ricoverato, confidava di aver sognato che sarebbe andato a fare Natale in Paradiso e venne notato che, alla idea del gaudio eterno, si dimostrava anche fisicamente disteso. Oggi vogliamo fermamente sperare che, non solo il Natale ma l'intero Avvento possa fare in paradiso, dal momento che in preparazione della "venuta" del Signore ha trascorso un lungo suo periodo di avvento santificato con esercizi di dolore rassegnato, paziente e talvolta incompreso.
Don Bogliaccino avvertì, in modo nuovo, i sintomi del male nello scorso mese di aprile; ma perfettamente coerente con il suo stile, nascose in un primo tempo agli altri la sua sofferenza preferendo avviarsi lungo il sentiero del suo calvario silenziosamente, senza disturbare alcuno. Anche di lui si può giustamente parlare di calvario, di calvario salito a lenti passi, sotto il peso di una croce non di rado straziante e senza incontrare il conforto del cireneo da parte della medicina dimostratasi incapace, non dirò di soccorrerlo, ma di dare un nome sicuro alla sua croce.
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Il 18 agosto veniva ricoverato presso il Policlinico della Università del Sacro Cuore, passando successivamente per diverse altre cliniche nel tentativo di arrivare a una diagnosi che consentisse quelle terapie che realmente gli giovassero. Ha chiuso i suoi giorni al Policlinico A. Gemelli ove era stato nuovamente ricoverato il 18 novembre: confortato da ripetute visite del Rev.mo Primo Maestro, sollevato dalla continua presenza dei confratelli e delle Pie Discepole, dopo aver ricevuto piamente i santi Sacramenti, dopo una agonia lentamente trascorsa nel dolore, nella preghiera e nella interiore serenità, mantenendo quasi fino agli ultimi momenti la conoscenza. Aveva l'età di 54 anni.
La vita di questo confratello presenta aspetti biografici piuttosto inconsueti. Nacque a Saliceto, in provincia di Cuneo e diocesi di Mondovì, il 21 giugno del 1913. Nel 1925, all'età di 12 anni, entrò nella Pia Società S. Paolo ad Alba ove frequentò le classi del ginnasio fino al noviziato. Poi inattesamente e suo malgrado si ritrovò in famiglia poiché essendo morto l'unico suo fratello, i genitori lo vollero tra loro. A 17 anni deve iniziare una vita che è in contrasto con la sua inclinazione e negli anni successivi sarà in contrasto con la sua stessa indole. Tuttavia si adatta e probabilmente furono queste sofferte vicende che contribuirono a maturare in lui una certa tenacia di volontà con la quale era solito volere le cose e delle cose soltanto la sostanza, e uno stile caratteristico nel fare, cioè fare quel tanto, ma anche tutto quel tanto che si deve fare, e farlo senza esibizione.
Allo scoppiar della guerra del 40-45 si trovò arruolato tra gli alpini della divisione Cuneense; con questa fece la campagna di Russia e subì la disastrosa ritirata avvenuta nel cuore dell'inverno riportando un congelamento di secondo grado e ritrovandosi con un fisico profondamente scosso. La sua anima invece ne usciva rigenerata: «Durante la disastrosa ritirata - ha lasciato scritto - mi vedo più volte salvato dalla morte in modo prodigioso. Ripeto al Signore dal profondo del mio cuore: la mia vita è tua se la prendi ora ed è tua se ancora me la conservi».
La sua odissea doveva continuare con due anni di prigionia nella Germania nazista dove assaporò fatiche umilianti e spesso inutili nel lavoro forzato, la denutrizione e la malattia del denutrito che avrebbe avuto anche per lui l'inesorabile epilogo nella morte se non lo avesse da questa preservato - come affermava - un atto di particolare bontà di Dio.
Quando riacquistò la libertà assieme a pochi sopravvissuti era più ombra di uomo che uomo; ma ritornava in patria con il patrimonio di una esperienza capace di trasformare la sua predisposizione a non far del male in una disposizione a vivere per fare del bene, cosicché quei medesimi sentimenti di cristiana fraternità che lo avevano preservato non dirò dall'uccidere, ma dal ferire un uomo per tutto il tempo trascorso al fronte, potenziati da un desiderio nuovo - o meglio soltanto decisamente riaffiorato - lo determinano al servizio dei fratelli nell'apostolato paolino. «In risposta a una modesta offerta inviata alla Pia Società S. Paolo - ha egli lasciato annotato - il Primo Maestro mi scrive: Il Signore aspetta te». Dopo un periodo di tempo trascorso da impiegato apprezzato e benvoluto presso gli uffici amministrativi dello stabilimento ACNA della Montecatini a Cengio, si ripresentò alla Pia Società chiedendo di venire accolto tra i suoi membri.
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«Nel 1952 mia madre chiuse gli occhi a questa vita per riaprirli in paradiso e quattro anni dopo la seguiva anche mio padre. Fu allora che vidi cadere una ad una tutte le difficoltà e potei, sebbene indegno, rientrare in S. Paolo. Mi parve di rivivere».
Venne accettato nell'agosto 1956, e trascorse, ad Albano, presso la casa degli Scrittori circa un anno, prima della vestizione e il noviziato. Dal 56 al 62 si preparò assiduamente al sacerdozio, al quale giunse al termine del regolamentare corso di teologia che chiuse onorevolmente con il baccalaureato. La sua ordinazione sacerdotale, avvenuta il 1.o luglio 1962 all'età di 49 anni, costituì un lieto e inconsueto avvenimento, gradito e festeggiato specialmente dalla gente del suo comune e dagli operai dello stabilimento della Montecatini di Cengio, in quel di Savona, presso cui aveva lavorato per circa 20 anni complessivamente. Quando si presentò in mezzo a loro per celebrare la Messa, con la sua presenza di levita novello attempato e buono deve aver diffuso tra i suoi ex colleghi la sensazione che quel sacerdozio fosse nato in quell'ambiente di lavoro con l'opera di tutti; in quella circostanza gli si avvicinarono con simpatia anche i più "lontani", persuasi di vedere in quell'ex operaio la superiore sublimità del sacerdozio cattolico, del tutto disciolto da legami di politica o terreni interessi del mondo, operante nel mondo soltanto per affratellare gli uomini e promuoverli a famiglia di Dio.
Don Bogliaccino fu membro della Casa di Roma dal 1958. In questa data gli venne affidato l'ufficio della contabilità; qui fu, reale, costante e fedele collaboratore dell'economo e si distinse, oltre che per la competenza, per lo spiccato senso di responsabilità, di precisione e per l'assiduità al lavoro. Lo stretto vano del suo ufficio è testimone che tale assiduità non è stata interrotta neppure dalle meritate vacanze estive.
Quantunque la competenza e l'assiduità al lavoro siano una componente della personalità di Don Bogliaccino, le componenti di miglior valore sono quelle che vanno scoperte nella persona del sacerdote e del religioso. Chi queste componenti sapesse ben rilevare riuscirebbe al tempo stesso a convincerci che nel terreno della nostra comunità era nascosto un tesoro.
San Paolo scrivendo ai Filippesi ha queste parole: «Invoco da Dio che la vostra carità vada aumentando sempre più in penetrazione e in piena chiaroveggenza, affinché possiate discernere ciò che più giova, sì da essere puri e irreprensibili per il giorno di Cristo, ricolmi di frutti della giustizia che da Gesù Cristo ci viene a gloria e a lode di Dio».
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C'è ragione di pensare che la invocazione di san Paolo abbia raggiunto e messo fermenti di santità nella vita di Don Bogliaccino. Egli ha tentato la esperienza della carità quale è contenuta nell'ardua formula paolina della prima lettera ai Corinti: ognuno di noi potrebbe testimoniare che il suo tentativo ha avuto successo. Orientato dalla carità sapeva discernere quello che più giova per la propria santificazione e per l'altrui edificazione, cioè i fatti e di questi solo quelli più coerenti con una vita di fede, di rinuncia al mondo e di osservanza religiosa. Conoscendo di D. Bogliaccino queste cose non è col ricorso alla fantasia che riteniamo si sia presentato puro e irreprensibile, ricolmo di frutti della giustizia per il giorno di Cristo, il giorno cioè del giudizio; lo Spirito Santo ci accerta che le opere buone ci aspettano sulla soglia della eternità, «opera enim illorum sequuntur illos», cosicché chiunque le abbia compiute, su quella soglia le ritrova ineluttabilmente.
Non è difficile rilevare qualche tratto della sua vita esemplare nonostante fosse assiduo a tenerla velata di silenzio e nascosta nella penombra di una ritiratezza che non di rado assumeva aspetto semplicemente austero. Ci è nota la pietà, alimento e manifestazione della sua unione con Dio, l'atteggiamento raccolto e assorto allorché stava all'altare per la celebrazione della Messa; la propensione a ragionamenti utili e la ostilità per quelli futili; lo spirito di fede nei ragionamenti e, cosa ancor più rara, l'effettivo distacco dal mondo. Conosciamo la cordialità nelle relazioni col prossimo, la attenzione a non offendere, e se l'offesa gli fosse sfuggita, la premura di scusarsi e riconciliarsi. Altrettanto è conosciuta la disponibilità a servire responsabilmente i fratelli senza badare alla natura del servizio, lo stesso tatto e la stessa sollecitudine poneva sia nell'ascoltare le confessioni sia nella distribuzione della cancelleria. La sua rettitudine e la fedeltà alle disposizioni sono proverbiali.
Quantunque meritevole di elogio per la osservanza di ognuno dei tre voti professati, Don Bogliaccino merita una segnalazione per la osservanza della povertà religiosa. Un confratello, avendo raccolto nella dovuta sede le sue confidenze, testimonia che egli preferiva scegliere per sé ciò che era più modesto e ordinario anche nelle cose di minor conto.
Dovendosi ricoverare in clinica gli vennero comperate un paio di pianelle: egli garbatamente le accettò ma le ripose nel comodino per seguitare a servirsi dei modesti sandali che oltre tutto non facevano un comodo servizio. Ha quotidianamente provveduto a radersi con una primordiale Gillette portata dalla prigionia. A chi gli chiese, negli ultimi giorni, dove avesse riposto il suo vecchio cappello di alpino, rispose che questo e tante altre diverse cose le aveva distrutte perché gli sarebbero state soltanto di distrazione. Alla luce di questi esempi e specialmente soppesando le sue convinzioni, crediamo si possa dire semplicemente che egli abbia preso sul serio la vita religiosa e tutta la vita religiosa. Se è così il suo merito non è esiguo; non è esiguo dinanzi alla stessa nostra comunità che a sua volta si adorna, per piacere a Dio, della santità della vita dei suoi membri migliori.
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A chi lo assisteva in una di queste ultime sere, quando ancora era legittimo sperare dalla medicina un responso di guarigione, Don Bogliaccino confidò il desiderio di celebrare a suo tempo tre Messe: nella chiesa del Cottolengo e della Ausiliatrice a Torino e una terza presso il santuario mariano di Mondovì; per la omissione di questa terza Messa temeva che la Madonna lo dovesse castigare: Mondovì era la sua diocesi e quel santuario era la sede della sua celeste Patrona. La Madonna, aiutandolo a chiudere santamente i suoi giorni durante la novena della solennità della Immacolata, ha dimostrato di gradire quella Messa celebrata in cielo e non più sulla terra. Quanto a noi è bene sapere che salendo sull'eterno altare del cielo egli ha presenti tutti quanti, poiché ha formalmente promesso di starci molto vicino. Noi ricambieremo la sua promessa che non sarà sterile con l'inviare fraterni suffragi - è provvidenziale opera di carità suffragare tutti, compresi i più buoni - e accettando il messaggio che ci viene dalla sua vita esemplare: dum tempus habemus operiemur bonum, espressione paolina che Don Bogliaccino con una felice frase interpretativa traduce dicendo: «Signore, la mia vita è tua se la prendi ora, ed è tua se ancora me la conservi».

SAC. VINCENZO DE CARLI


Il Vicario Generale, Don Zanoni, scrive da Tokyo, ove si trovava all'annuncio della morte di Don Bogliaccino:

«Il Signore lo ha chiamato, e ha chiamato, a mio parere, il Sacerdote migliore della casa di Roma; un Sacerdote pio e buono, modello di vita religiosa, di profonda vita interiore, amante della Congregazione e dei suoi ideali apostolici, come pochi altri hanno saputo nutrire durante tutto il corso della loro vita.
Eravamo compagni di scuola, nel lontano 1925, e passavamo le ore di studio nello stesso banco, uno vicino all'altro. Lo ricordo come un compagno buono, servizievole, delicatissimo. Quando la irrequietezza di quegli anni, gli procurava da parte mia qualche noia, egli rispondeva con un sorriso di richiamo. Era la sua unica reazione. Quel candido sorriso, l'ho sempre portato con me, impresso nei miei ricordi, anche nella lunga parentesi, che lo riportò in seno alla sua famiglia.
Lo rividi quasi 30 anni dopo, quando venne in Alba per chiedere di rientrare nella Congregazione. Era passata la fanciullezza e la giovinezza, ed egli aveva partecipato alla guerra vivendo le fasi più tragiche del suo svolgimento. Ma il suo sorriso era ancora quello della serena adolescenza, che gli aveva conservato la limpidezza dello sguardo e la schiettezza dello spirito.
Ricordo perfettamente che quasi non osava parlare, perché nella sua umiltà gli pareva di chiedere una cosa troppo grande: ma si sentiva che egli aveva nutrito il desiderio di essere paolino senza alcuna interruzione; anzi nell'animo era sempre stato un paolino e nonostante il suo buon impiego che gli assicurava una sistemazione agiata, non vedeva altra soluzione per il suo avvenire, che il consacrarsi a Dio nella Congregazione.
Ho avuto il privilegio di assisterlo durante la consacrazione sacerdotale. Mi espresse dopo la sua riconoscenza, e mi disse che tanto era il suo gaudio interiore, che gli pareva di vivere più nel cielo che sulla terra. I suoi pochi anni di vita sacerdotale, hanno dimostrato
ad abundantiam che l'amore di Dio era la sua unica ricchezza e che la sua grande gioia era vivere gli ideali della vita paolina.
Quando lo andai a trovare l'ultima volta, mi disse: «Venga ancora presto». Non lo rivedrò più su questa terra, ma sono certo che pregherà per me perché gli sia ancora compagno in cielo.
Egli ormai, gode della compagnia dei migliori paolini: il Maestro Giaccardo, D. Federico, Fratel Borello, D. Michelino, ecc.».
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Don Carlo Dragone, Superiore della Casa degli Scrittori di Albano scrive:
Volentieri rispondo all'invito di rievocare alcuni ricordi personali dell'indimenticabile Don Bogliaccino. Prima che ci trovassimo insieme nel noviziato del lontano 1930, lo conoscevo poco più che di vista. Dopo che egli fu ritornato in famiglia per assistere i genitori, lo rividi ogni volta che mi recavo a Cengio Ligure presso il Parroco, Mons. Giovanni Roattino. Ogni mattina il giovane Bogliaccino, appena giunto da Saliceto e prima di recarsi allo stabilimento ACNA, partecipava alla santa Messa e si comunicava. Il Parroco aveva un ottimo concetto di lui. Quando c'incontravamo, immancabilmente s'informava della Società San Paolo ed esprimeva il desiderio di ritornarvi, appena fosse stato libero da impegni familiari. Seppi anche che nello stabilimento dove lavorava, oltre che essere un impiegato esemplare, era ottimo zelatore della vita cristiana e buon propagandista delle nostre edizioni, specialmente della «Famiglia cristiana».
Appena gli morì il padre e rimase solo e padrone di disporre di sé, si licenziò dalla fabbrica dove lavorava, ritirò la liquidazione, sistemò gli interessi di famiglia e ritornò a San Paolo, visse e lavorò per oltre un anno presso gli Scrittori paolini di Albano. Non finirei tanto presto se dovessi esporre le virtù non comuni, che ammirammo in lui. Osservantissimo della vita religiosa, amante fin quasi all'esagerazione della povertà, castità e obbedienza, compì un lavoro preziosissimo di redazione, facendoci stupire per le sue capacità in questo campo. Fu di validissimo aiuto specialmente al Rev.mo don Robaldo nel preparare edizioni del Vangelo, tanto che si sarebbe desiderato che dopo l'ordinazione sacerdotale fosse tornato fra noi a continuare il lavoro che tanto bene aveva compiuto prima del noviziato.
Un particolare mi rivelò inaspettatamente: quanto fosse grande la sua pazienza, perspicace il suo ingegno, buona la sua indole, generosa la sua dedizione. Avevo preparato la brutta copia del commento alla Divina Commedia, con calligrafia illeggibile perfino al suo autore, con innumerevoli correzioni, aggiunte, soppressioni, segni e rimandi a non finire... Il buon Bogliaccino volle a tutti i costi essermi utile e mi chiese ripetutamente di affidargli il manoscritto per ribatterlo a macchina e presentarlo alle stampe. A stento glielo diedi, persuaso che non vi avrebbe capito nulla. Invece con mia grande sorpresa egli, con pazienza da certosino, decifrò il manoscritto, perfino in quei luoghi dove io stesso non ci capivo più nulla. Raramente e timidamente veniva a chiedere aiuto per decifrare qualche parola o frase, immancabilmente scusandosi per la sua ignoranza e dicendo che la cosa era... chiara ma che egli non riusciva a capire, contento e riconoscente quando in due si riusciva a dare un senso a segni che avevano avuto un significato solo nella mente dell'autore quando li aveva tracciati e che poi aveva dimenticato.
Dopo l'anno trascorso con gli Scrittori paolini, che gli volevano tutti un gran bene, e che egli riamava ad usura, trascorse esemplarmente un altro anno nel noviziato di Albano, per poi trasferirsi a Roma nel Collegio Teologico. Ogni volta che da Chierico o da Sacerdote mi rivedeva era sempre una grande festa, non finiva di ringraziare e di offrirsi per essere in qualche modo utile.
Quando si dovettero fare le relazioni per la sua ammissione alla prima professione, alla professione perpetua e agli ordini sacri, non si faceva altro che elencare le sue virtù e avrebbe mentito chi gli avesse addossato qualche difetto. Di lui si deve dire: «Così vive e così muore in terra, e così trionfa il giusto in cielo».
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