Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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MEDITAZIONE VII

La Santa Messa

SACRA SCRITTURA

La visione di Daniele. Mentre io tuttora parlavo, pregando, confessando i miei peccati e quelli del mio popolo d'lsraele, mentre umiliavo la mia preghiera al cospetto del mio Dio a favore del monte santo del mio Dio, mentre seguitavo a parlare pregando, ecco Gabriele. L'uomo che avevo visto da principio della visione, subito volando mi toccò nel tempo del sacrificio della sera. Mi istruì, mi parlò e disse: «Daniele, or son venuto ad istruirti, a farti comprendere... Or dunque stai attento alla parola e comprendi la visione.
Settanta settimane sono state fissate per il tuo popolo, per la tua città santa, affinché sia tolta la prevaricazione, abbia fine il peccato, sia cancellata l'iniquità, venga l'eterna giustizia, sia compiuta la visione e la profezia e sia unto
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il Santo dei Santi... Dopo settantadue settimane il Cristo sarà ucciso, e non sarà più suo il popolo che lo rinnegherà. La città e il santuario sarà distrutto da un popolo condottiero che verrà; la sua fine sarà la devastazione, e finita la guerra, verrà la desolazione decretata. Egli confermerà il testamento con molti in una settimana, e alla metà della settimana verran meno le ostie e i sacrifici, e sarà nel tempio l'abominazione della desolazione, e la desolazione durerà fino alla consumazione, sino alla fine»

(Dan. 9, 20-27).


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Centro della storia umana è Gesù Cristo. Dal Presepio al Calvario vi è continuità: la redenzione dell'uomo.
A Gesù sul Calvario, dove si consumò la redenzione, doveva guardare tutta l'umanità per salvarsi, perché di là viene la salute. Gli uomini, cacciati dal Paradiso terrestre nella persona di Adamo, si sentirono colpevoli, sentirono che Dio era loro contrario, offeso, irritato e cercarono di placarlo offrendo sacrifici. Dappertutto e sempre dopo il peccato si ebbero sacrifici... Non si trova nazione né barbara, né civile che non abbia avuto e non abbia i suoi sacrifici.
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Per ragione del fine il sacrificio può essere: di adorazione, di ringraziamento, di propiziazione, di impetrazione.
Il sacrificio in senso stretto è un'offerta di cosa esteriore e sensibile, fatta a Dio dal legittimo ministro con la distruzione reale od equivalente della cosa, per attestare il supremo dominio di Dio e la nostra soggezione.
L'essenza del sacrificio sta nella distruzione dell'offerta: così gli Ebrei offrivano a Dio i frutti della natura: vino, olio, grano... bruciandoli e spargendoli; offrivano animali: colombi, tori, capre, agnelli... uccidendoli e distruggendo completamente la vittima col fuoco.
L'uccisione, la combustione e lo spargimento del sangue costituivano la distruzione della vittima, quindi il vero sacrificio.
Tutti i sacrifici alludevano al sacrificio della Nuova Legge, anzi avevano valore solo in vista del sacrificio della Croce, dove Gesù si è offerto spontaneamente.
Sulla croce si ebbe un vero sacrificio, la vittima fu distrutta: Et inclinato capite, tradidit spiritum: «Ed inclinato il capo, rese lo spirito» (Giov. 19, 30).
L'anima ed il corpo di Gesù si separarono. Di più, quel sacrificio aveva un valore infinito, perché l'offerente e la vittima era Dio.
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Questo sacrificio divino della nuova Legge, fu preannunziato con figure e parole.
Figura del nuovo sacrificio fu il sacrificio dell'innocente Abele, il sacrificio di Noè liberato dal diluvio, il sacrificio di Abramo, il quale anche se realmente non immolò il figlio, nell'animo aveva compiuto intero il sacrificio, e solo Dio trattenne il suo braccio già alzato per sacrificare Isacco: Dixitque ei: non estendas manum tuam super puerum, neque facies illi quidquam: nunc cognovi quod times Deum, et non pepercisti unigenito filio tuo propter me: «Abramo, Abramo, non stendere la mano sopra il fanciullo e non gli fare male alcuno, perché ho già conosciuto che temi Dio, e che per me non hai risparmiato il tuo figliuolo unigenito» (Genesi 22, 12).
Così prefigurarono il sacrificio della Nuova Legge i sacrifici di Isacco e di Giacobbe.
Figura del sacrificio di Gesù era pure l'immolazione dell'Agnello Pasquale, sacrificio che si compì fino all'ultima Pasqua della vita di Gesù allorché unito ai discepoli disse: Desiderio desideravi hoc pascha manducare vobiscum, antequam patiar. Dico enim vobis, quia ex hoc non manducabo illud, donec impleatur in regno Dei: «Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi prima di patire, perché vi dico che non ne
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mangerò più fino a tanto che si adempia nel regno di Dio» (Luca 22, 15-16). Et accepto pane gratias egit, et fregit, et dedit eis dicens: Hoc est corpus meum. Similiter et calicem, postquam coenavit dicens: Hic est calix novum testamentum in sanguine meo, qui pro vobis fundetur: «E preso il pane rese le grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: Questo è il mio Corpo... similmente prese il calice e disse: Questo calice è il nuovo Testamento del sangue mio, che per voi si spargerà» (Luca 22, 19-20).
Con questo sacrificio veniva annunziata la prossima morte di Gesù e aveva termine la Pasqua figurativa.
Il sacrificio della croce fu ancora preannunciato con le parole: Et post hebdomades sexaginta duas occidetur Christus et non erit eius populus, qui eum negaturus est... Confirmabit autem pactum multis hebdomada una: et in dimidio hebdomadis deficiet hostia et sacrificium...: «Dopo settantadue settimane il Cristo sarà ucciso e non sarà più suo il popolo che lo rinnegherà... Egli confermerà il Testamento con molti in una settimana e alla metà della settimana verran meno le ostie e i sacrifici...» (Daniele 9, 26-27).
Ma il sacrificio della croce doveva
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perpetuarsi nella santa Messa ed anche questa fu preannunciata.
Non est mihi voluntas in vobis, dicit Dominus exercituum: et munus non suscipiam de manu vestra. Ab ortu enim solis usque ad occasum, magnum est nomen meum in gentibus, et in omni loco sacrificatur, et offertur nomini meo oblatio munda: «Non mi piacete più, dice il Signore degli eserciti, non accetterò più i doni dalla vostra mano, perché da Oriente ad Occidente il mio nome è grande fra le nazioni ed in ogni luogo si sacrifica e si offre al mio nome un'ostia pura» (Malachia 1, 10-11).
Figura della santa Messa fu il sacrificio di Melchisedech, re di Salem, che offrì «pane e vino» e benedisse Abramo. Egli offrì un sacrificio sconosciuto prima di lui, iniziò un nuovo sacerdozio di cui fa parte anche Gesù: Tu es Sacerdos in aeternum secundum ordinem Melchisedech: «Tu sei Sacerdote in eterno secondo l'ordine di Melchisedech» (Salmi 109, 4).
Se la Messa ebbe tanta preparazione nell'Antico Testamento consideriamo: 1) Che cosa sia; 2) i fini ed i frutti; 3) i nostri doveri.
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I. - Che cosa sia la S. Messa.
La Messa è il sacrificio della nuova Legge, è il sacrificio che piace a Dio.
La Messa è un sacrificio vero. Il Concilio di Trento dice: «Se qualcuno dirà che nella Messa non si offre a Dio un vero e proprio sacrificio..., sia scomunicato» (Sess. 22, Can. 1).
Nella Messa ha luogo la distruzione della vittima. La consacrazione è il punto centrale, è l'azione sacrificale in cui si pone, in forza delle parole della consacrazione stessa, il corpo separato dal sangue. Si riduce Gesù, come dicono i Teologi, in tale stato, che, secondo il vedere umano ed esterno, appare come morto, «tanquam mortuus».
La Messa è essenzialmente un sacrificio uguale a quello della croce:
a) perché si ha la medesima vittima. Sulla croce Gesù Cristo, il Figlio di Dio fatto uomo, si offrì vittima all'Eterno Padre per noi; sull'altare il medesimo Gesù Cristo s'immola per noi;
b) perché si ha il medesimo offerente principale: Sulla croce Gesù offriva se stesso; sull'altare Gesù offre se stesso per mezzo del sacerdote, che diventa lo strumento, l'offerente secondario.
Sulla croce Gesù Cristo fu sacrificatore e
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vittima, lo stesso avviene nella Messa, sebbene in modo incruento mentre sul Calvario vi fu spargimento di sangue. Nulla toglie che il sacrificio della Croce e la Messa abbiano il medesimo valore e la stessa efficacia. Talis enim decebat ut nobis esset pontifex, sanctus, innocens, impollutus, segregatus a peccatoribus, et excelsior caelis factus: qui non habet necessitatem quotidie, quemadmodum sacerdotes, prius pro suis delictis hostias offerre, deinde pro populi: hoc enim fecit semel seipsum offerendo: «Era conveniente che noi avessimo un tale pontefice, santo, innocente, immacolato, segregato dai peccatori e sublimato sopra i cieli, che non ha bisogno come i sacerdoti (dell'Antico Test.) di offrire ogni giorno sacrifici prima per i loro peccati e poi per quelli del popolo, perché ciò l'ha fatto una volta per sempre offrendo se stesso» (Eb. 7, 26).
c) perché uguali sono i fini.

II. - Fini e frutti della S. Messa.
a) Fini. - Gesù si immola sugli altari per gli stessi fini che ebbe nel sacrificio della croce. Sulla croce Gesù offrì la sua vita per adorare il Padre, ringraziarlo, placarlo, ottenere grazia e porre anzi nella croce la fonte
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inesauribile di grazia: Fons aquae salientis in vitam aeternam: «Fontana d'acqua viva zampillante in vita eterna» (Giov. 4, 14).
Nella S. Messa Gesù si offre con gli stessi fini. Quindi in essa:
1) Si adora Dio. Dio è degno di una lode e gloria infinita e Gesù gliela presta. Il sacrificio suo ha un valore infinito, perché sulla croce l'uomo ha sofferto, ma Dio ha valorizzato, e in Gesù tutte le azioni furono di valore infinito: sono state azioni teandriche o divine.
Dio è degno di una gloria infinita e Gesù gliela rende nell'atto solenne della consacrazione che è la rinnovazione di quell'atto di Gesù col quale Egli «il giorno prima di patire prese il pane nelle sue sante e venerabili mani e sollevati gli occhi al cielo verso di Te, Dio Padre Onnipotente, ringraziandoti, lo benedisse, lo spezzò e lo diede ai suoi discepoli dicendo: «Prendete e mangiate tutti: Questo è il mio Corpo».
«Ed in simile modo dopo aver cenato, prendendo nelle sue sante e venerabili mani anche questo calice glorioso, di nuovo ringraziandoTi lo benedisse e lo diede ai suoi discepoli dicendo: «Prendete e bevetene tutti: Questo è il calice del mio sangue, del nuovo ed eterno
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testamento: mistero di fede, che sarà sparso per voi e per molti in remissione dei peccati» (Dalla liturgia della S. Messa).
Tutti gli uomini, dal giusto Abele fino all'ultimo che apparirà sulla faccia della terra; tutti gli Angeli insieme, tutti i Santi e la stessa Vergine SS.ma non daranno mai a Dio una gloria così alta e degna quale si dà nei brevi istanti della consacrazione ed elevazione della S. Messa. La S. Messa è il sole di tutte le pratiche di pietà e atti di culto perché da essa tutti ricevono valore.
2) Si ringrazia Dio. - Quid retribuam Domino pro omnibus quae retribuit mihi? Calicem salutaris accipiam, et nomen Domini invocabo: «Che renderò io al Signore per tutte le cose che egli ha dato a me? Prenderò il Calice di salute e invocherò il nome del Signore» (Liturgia della Messa).
Nel calice si offre il Sangue di Gesù, e il Padre è ringraziato degnamente di tutti i benefici.
La Messa è sacrificio di ringraziamento che rende a Dio tutto quello che gli è dovuto perché Dio stesso si offre a Dio.
3) Si soddisfa per i peccati di tutti gli uomini. Chi può dire il cumulo di peccati che
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ogni giorno si eleva dalla terra? E' un tanfo pestifero che ogni giorno tende ad innalzarsi fino a Dio; ma Gesù s'interpone e colle sue piaghe e preghiere placa il Padre e gli dà una riparazione che supera infinitamente la malizia umana.
La Messa è il grande sostegno della terra. E' la salvezza dell'umanità. E' un sacrificio pacifico, che placa la giustizia di Dio, dà la pace agli uomini. E' sacrificio di propiziazione che ci ottiene il perdono dei nostri peccati, perché ipse est propitiatio pro peccatis nostris: non pro nobis autem tantum, sed etiam pro totius mundi: «Gesù è fatto propiziazione per i nostri peccati e non solo per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo» (Giov. 2, 2); e la sua propiziazione fu così abbondante che ha superato e supera immensamente l'iniquità umana. Ubi autem abundavit delictum, superabundavit gratia: «Dove abbondò il delitto sovrabbondò la grazia» (Rom. 5, 20).
Gesù è nostra vittima e sacrificio: et tradidit semetipsum pro nobis oblationem, et hostiam Deo in odorem suavitatis: «Ha dato per noi se stesso a Dio in olocausto come ostia di soave odore» (Ef. 5, 2).
4) Si ottiene grazia. - Nella S. Messa tutto si ottiene perché non è l'uomo che prega,
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né solo la Chiesa, ma Gesù stesso, il quale offrendosi exauditus est pro sua reverentia: «Fu esaudito per la sua riverenza» (Eb. 5, 7).
Il Concilio di Trento con parole precise e forti riconosce alla S. Messa questo fine e dice: «Se alcuno dirà che la S. Messa sia solo un sacrificio di lode e ringraziamento, od una semplice commemorazione del sacrificio della croce, e non sia un sacrificio propiziatorio: o dirà che giovi solo al celebrante e che non si debba offrire né per i vivi, né per i morti, né per i peccati, le pene, le soddisfazioni e per altre necessità: sia scomunicato».
b) Frutti. I frutti della S. Messa sono molteplici. Se li consideriamo da parte della causa sono due che i teologi con termini già consacrati dall'uso chiamano: ex opere operato (dall'opera posta) e ex opere operantis (dall'opera dell'operante). Da parte dei partecipanti invece sono secondo alcuni tre e secondo altri quattro. S. Alfonso crede che siano quattro: generalissimo, generale, speciale, specialissimo.
a) Da parte della causa: 1) Ex opere operato. E' il frutto che a noi viene infallibilmente per i meriti di Gesù Cristo. E' il frutto principale, indipendente dalla probità del celebrante e viene dato sia che la Messa sia celebrata da un sacerdote in grazia, come da un
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sacerdote in peccato grave. In quest'ultimo caso, il sacerdote prega a nome di Gesù Cristo e della Chiesa che a Dio sono sempre grati. 2) Ex opere operantis. E' il frutto dei meriti e della divozione del celebrante. E' accidentale, maggiore o minore, secondo le disposizioni del celebrante. Perciò un sacerdote più è degno, più è esaudito per sé e per coloro per i quali prega.
b) Da parte dei partecipanti: 1) Generalissimo. E' il frutto per cui la S. Messa dà gloria al Cielo, suffragio al Purgatorio, intercessione a tutta l'umanità fedele ed infedele. «Quando il sacerdote celebra dà onore a Dio, allegrezza agli Angeli, edificazione alla Chiesa, soccorso ai vivi, refrigerio ai morti, e rende sé partecipe di tutti i beni» (Imit. 5, lib. 4).
2) Frutto generale. E' il frutto che si partecipa a quelli che hanno contribuito alla Messa: chi ha contribuito all'erezione dell'altare, chi ha procurato le ostie, il vino, ha provveduto i paramenti, i vasi sacri, aiutato il sacerdote negli studi, ecc. Questo frutto si partecipa anche a chi serve la S. Messa, a chi l'assiste.
3) Frutto speciale. E' il frutto proprio che si applica a chi ha fatto celebrare la S. Messa. I Cooperatori della Pia Società S. Paolo,
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che coll'offerta intendono partecipare al frutto delle 2000 SS. Messe, godono di questo frutto.
4) Frutto specialissimo. E' il frutto riservato al sacerdote celebrante. Il valore soddisfatorio della Messa può offrirsi in suffragio delle anime purganti, il valore impetratorio può offrirsi a Dio secondo molteplici intenzioni; il valore meritorio invece non è cedibile.
La S. Messa è dunque la preghiera divina: degna del Padre ed efficace per noi. Grande è la miseria nostra, ma la S. Messa tutto ottiene dalla misericordia di Dio: confidiamo.

III. - I nostri doveri.
Noi dobbiamo ascoltare la S. Messa usando un metodo e diffonderne la divozione tra il popolo.
1) Ascoltare la S. Messa. E' bene ascoltarne quante più è possibile, specie nei tempi in cui è più facile farlo. Nelle feste di precetto, nei ritiri mensili, negli esercizi spirituali, nei tempi liturgici che si permettono più Messe, come il giorno della commemorazione dei Defunti e nel giorno del S. Natale, vi sono anime che non si lasciano sfuggire l'occasione di ascoltare Messe. Esse si assicurano una moneta
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che sarà molto ricercata e preziosa al giudizio di Dio. Conosciamo il valore della Messa.
2) Usare un metodo. Vi è chi si limita alla semplice presenza senza curare di unirsi neppure con l'intenzione al sacerdote e agli altri fedeli. Soddisfano al precetto, ma sono ben lontani dal riportare quei tanti e salutari frutti che assistendo alla Messa si possono ottenere. Altri invece seguono un metodo. Molti sono i metodi che i fedeli sogliono usare per ascoltare con frutto la santa Messa. Ricordiamone alcuni: a) Metodo di orazione. Consiste nell'aggiungere alla presenza materiale, preghiere, ad esempio il S. Rosario, le orazioni della Comunione o anche pratiche particolari di pietà. b) Metodo dei quattro fini. E' molto comune. Con questo metodo la S. Messa viene divisa in quattro parti come le ore di adorazione. Nella prima parte, cioè dall'inizio al Vangelo, si adora la divina Maestà per la sua grandezza, bontà e misericordia verso la povera umanità peccatrice e sofferente; nella seconda parte, dal Vangelo alla Consacrazione, si ringrazia Dio per tutte le grazie, per tutti i benefici e per tutte le misericordie ricevute; nella terza parte, dalla Consacrazione alla Comunione, si propizia la Divinità per le tante iniquità che si commettono
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nel mondo e che commettiamo noi; nella quarta ed ultima parte, dalla Comunione alla fine, si domandano tutte le grazie necessarie e utili per conseguire la salute eterna. c) Metodo liturgico. Da qualche tempo ha preso grande sviluppo la bella e salutare pratica di seguire il sacerdote per quanto è possibile e permesso dalla liturgia usando il Messalino.
Tra gli altri metodi ricordiamo ancora quello che onora Gesù Maestro in quanto è Via, Verità e Vita. Con questo metodo, la Messa si divide in tre parti:
Prima parte: dall'inizio fino all'Offertorio. Si onora Gesù Cristo come Verità. Questa parte della Messa è specialmente didattica, per le verità contenute nell'Introito, nell'Epistola, nel Vangelo.
Seconda parte: dall'Offertorio al Pater. Si onora Gesù Cristo Via. Gesù si mostrò via al Padre, affinché degnamente il Padre fosse adorato, ringraziato, soddisfatto e richiesto delle sue misericordie. Via della nostra santità, per tutti gli esempi che egli nella sua vita ci diede fino alla sua morte di croce. Exemplum dedi vobis ut quemadmodum ego feci vobis, ita et vos faciatis: «Vi ho dato l'esempio, affinché come ho fatto con voi, così facciate anche voi» (Giov. 13, 15). La via tracciata dal Divin Maestro è la via della
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mortificazione, del sacrificio e dell'apostolato.
Terza parte: dalla Comunione fino alla fine. Si onora Gesù Cristo Vita, che nella sua carne e nel suo sangue ci ha dato un cibo celeste con cui noi possiamo sostenere, corroborare e perfezionare la vita dell'anima nostra.
3) Diffondere la divozione alla S. Messa. - Parlare, quando se ne offre l'occasione, dell'importanza e della bellezza della S. Messa, esortare ad assistere, esortare a far celebrare SS. Messe. Raccomandare questo nelle scuole di Catechismo, zelare l'opera delle 2000 SS. Messe per i Cooperatori della Pia Società S. Paolo, diffondere e distribuire volentieri fogli e libri che parlino della S. Messa, affinché da tutti se ne comprenda il grande valore. Si correggano certe forme di pietà errate come il dare più importanza a pratiche esteriori che alla S. Messa: pellegrinaggi, accensioni di candele, ecc
E' pure ottima cosa cooperare ed indurre altri a cooperare per la formazione dei sacerdoti, per le chiese, l'arredamento, i paramenti sacri... onde il sacrificio sia offerto con maggior dignità e decoro.
PREGHIAMO. - (Preghiera a Maria SS.ma per sentire bene la S. Messa) O Madre della
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bontà e della misericordia, beatissima Vergine Maria, io, misero e indegno peccatore, ricorro a te con tutto il cuore e l'affetto; e supplico la tua pietà che, come assistesti il tuo dolcissimo Figliuolo pendente dalla Croce, così ti degni benignamente assistere anche me misero peccatore, e tutti i Sacerdoti che oggi celebrano qui e in tutta la Chiesa, affinché soccorsi dalla tua grazia, possiamo offrire un'ostia degna e accetta al cospetto della suprema ed indivisibile Trinità. Così sia.

(Dal Messale: orazioni varie)


ESEMPIO

La Prima Messa di S. Antonio M. Zaccaria

Forse più che ai dì nostri, era allora quasi costume, anzi legge, di celebrare la prima Messa solennemente: pompa di musica, pompa d'apparato in Chiesa, invito sfarzoso di parenti ed amici; e poi sontuoso convito in casa del sacerdote novello. Nulla di tutto questo volle per sé Antonio Maria... Avrebbe preferito anzi restar solo all'altare senz'altro testimone; solo alla madre non avrebbe mai negato la consolazione santa e aspettata sì lungo tempo, di comunicarsi per le mani del figlio suo. Come ei dunque volle, saliva all'altare la prima volta senz'alcuna solennità. Però il popolo v'accorse numerosissimo: era nota a tutti la vita singolare dello Zaccaria, e forse la stessa novità della cosa vi avrà attirato più gente.
In quella semplicità nuova di funzioni, i più ammirarono un esempio di modestia, più bello perché
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dato da un giovane di nascita illustre. Taluno vi avrà creduto scorgere quasi grettezza d'animo negli Zaccaria. Non pochi, perché conoscevano, almeno per fama, le rare doti del giovane, ne avranno provato un senso di disgusto. Avvezzi com'erano diversamente, sentivano pena di lui, che inaugurasse il suo sacerdozio in forma così dimessa: niun canto, niun suono, poca luce di ceri che illuminava la figura santa del celebrante. E il popolo guardava, chi più chi meno, tutti compresi di rispetto; in molti già si mutava in commozione profonda la semplicità curiosa che li aveva attirati. E la commozione nasceva alla vista d'un volto angelico che sempre più si ravvivava, splendeva, e quasi si trasformava. Antonio Maria prendeva sembiante di un serafino: gli occhi gli scintillavano d'una gioia dignitosa che non riusciva a nascondere e nuotavano nel pianto: il novello sacerdote si abbandonava non potendo resistere, a tutta l'effusione dell'amore. A mano a mano che procedeva, le lacrime venivano più copiose; pareva, se non fu davvero, tutto rapito in un'estasi celestiale. Quand'ecco al punto solenne, in cui offriva alla vista del popolo l'Ostia Sacrosanta, appare ad un tratto una luce meravigliosa; la luce s'apre d'attorno, si allarga e chiude in sé l'altare e il celebrante. Antonio Maria appare come in una aureola di gloria. Guardavano gli astanti in un profondo silenzio e forse non credevano agli occhi proprii. Ed ecco prodigio nuovo: in quel campo di luce, una moltitudine di angeli. Non era più a temersi illusione di sensi: gli angeli in forme visibili facevano corona al sacerdote, adorando in dolce atto d'amore il loro Dio umanato. Solo il rispetto dovuto al tempio, e un senso di terrore sacro, che accompagna sempre un fenomeno soprannaturale, contenne il popolo perché non irrompesse come un sol uomo ad acclamare santo il Sacerdote così favorito da Dio.

(Moteldo, Vita di S. A. M. Zaccaria. Pag. 102).

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