Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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ESERCIZI SPIRITUALI - OTTOBRE 1946



Il presente corso si compone dell'introduzione e di dieci istruzioni tenute verso la metà di ottobre, come si può dedurre dai riferimenti interni (III). La cronaca informa: «A breve distanza da quelli delle Maestre, ebbe luogo un altro corso di Esercizi spirituali cui parteciparono numerose suore venute dalle Case[…]. Anche in questo corso il Rev.mo Sig. Primo Maestro vi tenne diverse istruzioni che, unite alle precedenti, formeranno un altro prezioso volume della nostra collana Haec Meditare»1. Gli undici interventi costituiscono infatti la seconda parte di Haec Meditare, serie seconda, volume 6.
Il tema è ancora quello della Passione, ma qui si sottolinea soprattutto: la dimensione eucaristica (VI, X); la nostra partecipazione alla redenzione attraverso l'apostolato, la sofferenza, la malattia (VII, VIII, IX).
La curatrice ha seguito il medesimo metodo. Si sono quindi omesse le aggiunte iniziali e finali secondo i criteri indicati nella presentazione al corso di Esercizi di settembre.
Le istruzioni però si presentano più elaborate. Le prime cinque sulla Passione e sull'Addolorata, l'VIII: "Perché soffrire", la IX: "Le malattie" non hanno il carattere di una esposizione orale, sono strutturate come un testo scritto documentato da varie citazioni. La meditazione V è trascritta quasi alla lettera dalla biografia di Gemma Galgani2; come molti altri passi.
Inoltre il discorso è generico, applicato a tutti. Non vi è alcun riferimento al gruppo delle FSP in Esercizi e alla loro vita. Si è propensi a concludere che o si tratta di testi ripresi da qualche libro non ancora identificato, o, più probabile, la curatrice ha elaborato molto il contenuto delle istruzioni, fino a non lasciare trasparire il tono del parlato.
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Presenta una particolare struttura l'istruzione X dal titolo: "La Santa Messa ascoltata meditando la Passione di Gesù Cristo", elaborazione personale del metodo suggerito dal manuale di preghiere: Un segreto di felicità3 e che verrà stampata successivamente in un opuscolo: La santa Messa. Due modi per ascoltarla con frutto4.
Linguaggio e contenuti propri del Fondatore sono ben evidenti nella istruzione VII: "Compire la Redenzione", tutta dedicata all'apostolato delle FSP. Sono conservati alcuni elementi chiaramente alberioniani nella meditazione VI: "La passione eucaristica di Gesù Cristo", anche se l'argomento è trattato largamente da sant'Alfonso in La Passione di nostro Signor Gesù Cristo, vol I, I, V.
La ricerca su chi ha riscritto queste pagine non è approdata a nessun risultato certo. Con probabilità, come ipotizza la proto di allora sr Irene Conti, si tratta di sr Raffaella Tozzi. La cosa è verosimile, perché si avverte uno stile curato che corrisponde alla serietà e all'impegno con cui ella lavorava, oltre alla buona preparazione culturale.
Essendo queste meditazioni pubblicate in un volume sul cui frontespizio è indicato espressamente: "Raccolte di prediche del Sig. Primo Maestro", si possono considerare sue, tuttavia per il presente corso è necessario tener conto della elaborazione avvenuta.
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[141]
CON CRISTO NEL MISTERO DELLA PASSIONE*
Introduzione

«Anna Caterina Emmerich (1774-1824), ebbe tre ricordi dalla pia sua madre, morta nel 1817. Era l'unica eredità da essa ricevuta; ma fu per la figlia preziosissima. Consisteva in tre massime: «Signore, si faccia la tua volontà, e non la mia. Signore,datemi pazienza; poi colpite pur forte. Se questo non è buono da mettere nella pentola, sarà almeno buono per metterlo sotto». E voleva dire: Se questo non serve a nutrire, si potrà almeno bruciare per cuocere il cibo. Questo dolore non può alimentare il | [142] mio cuore, ma sopportato pazientemente, può accrescere quel fuoco d'amore per il quale solo ha valore questa vita.
Ecco tre massime che Anna Caterina visse costantemente; e venne come una smania in lei di rassomigliare in tutto al Crocifisso. Voleva sentire in se stessa tutti i dolori delle piaghe ai piedi, alle mani, al capo; desiderava partecipare all'amarezza degli insulti, maledizioni, calunnie, angosce di spirito del Maestro divino».

Meditiamo volentieri la passione di Gesù Cristo. Passano i giorni della vita; occorre ancora progredire nei meriti, nell'amor di Dio, nelle virtù: grande mezzo per far questo è la meditazione dei dolori di Gesù crocifisso.
Quando S. Filippo Benizi1 si trovava sul letto di morte, oramai stremato di forze, con un filo di voce, diceva ai suoi religiosi: «Portatemi il mio libro». I frati si guardavano l'un l'altro; e chi gli portò il Breviario, chi il Messale, chi un libro di meditazioni. Ma egli faceva cenno di no col capo. Un religioso gli presentò un Crocifisso; ed egli se lo accostò con tenerezza alle labbra, lo baciò con trasporto: «Ecco il mio libro: il Crocifisso».
Libro, dice un autore2, stampato millenovecento anni fa in Gerusalemme; non sopra la carta, ma sulle carni vive dell'immacolato
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agnello Gesù. Libro stampato, non con caratteri metallici, ma coi chiodi, i flagelli, la lancia. L'inchiostro è il vivo sangue di Gesù. | [143] E che cosa si legge in questo libro? Si leggono tante parole molto utili per noi: "Vedi quanto ti ho amato!". Vi si legge la gran parola: Amore! Troppo poco, troppo poco l'amiamo!
Altra gran parola: Dolore! Chi ha ridotto Gesù tutto in una piaga? I carnefici furono gli esecutori, ma chi ha dato la sentenza, furono i peccati mortali e veniali.
Terza parola: Confidenza. Abbiamo pochi meriti: ma Gesù,nostro capo, ne ha fatti tanti. Se voi foste tanto povere, ma chi sta a capo fosse molto ricca, voi potreste dire ugualmente di possedere tesori. I denari del padre sono denari dei figli. Gesù è il capo: i meriti infiniti del Salvatore sono nostri. Basta avere la fiducia per prenderli. Vi è chi ha fiducia solo nei suoi sacrifici, nelle sue opere. Occorre aver fiducia di salvarci per i meriti di Cristo. È la fede unita alle opere che salva.

Effetti

La meditazione del Crocifisso produce specialmente tre effetti:
1) Porta al ravvedimento, al dolore, alla conversione dei peccatori. S. Filippo Neri non riusciva con le sue esortazioni a muovere un suo penitente; né voleva perdonare, né era pentito. Il santo si allontanò per qualche poco, dopo avergli messo davanti un Crocifisso. Al suo ritorno, quell'uomo, piangendo, baciava il Crocifisso. Se voi avete bisogno di sentire nell'anima maggior | [144] dolore, fissate il Crocifisso! Guardate quel volto pallido, coperto di sudore e di sangue; quegli occhi quasi spenti; quel costato aperto; sentite il rantolo dell'agonia, pensate alle angosce della sua anima, baciate i piedi e le mani. Ecco che cosa avete fatto col vostro peccato.
2) Alla meditazione di Cristo crocifisso, le anime tiepide si scuotono. La croce ha il vantaggio di muovere i cuori anche indifferenti. Possono resistere soltanto gli ostinati, già ciechi e sordi alla grazia.
Vi sono persone che non temono il Purgatorio; ma su loro ancora opera la passione di Gesù Cristo. Un'anima confidava al suo direttore: "Mi ero abbandonata ad una vita tiepida, indifferente,
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intessuta di imperfezioni volontarie. Avevo conservato, specialmente nei venerdì di Quaresima, l'abitudine della Via crucis. Un giorno, arrivata alla XII stazione tre voci mi sembrò di udire dalla croce: Guardami! e vedi quanto ho sofferto per te. Aiutami, coi tuoi sacrifici a salvare le anime! Amami, come io ti ho amato! Mi scossi; piansi amaramente il mio stato; incominciai una vita di fervore".
V'è chi ha bisogno di riprendere il fervore nella vita spirituale? Metta il suo dito nelle piaghe del Salvatore; metta la mano nel suo costato. Tommaso si arrese all'amoroso rimprovero di Gesù quando fu invitato a toccare le fessure delle sue mani e del suo costato3.
3) Il divoto del Crocifisso, progredisce assai. Vi sono tanti | [145] mezzi per progredire. Mezzo efficacissimo è la meditazione della passione. In essa impariamo come si praticano tutte le virtù e in modo perfetto; da essa discende nell'anima una grazia ammirabile; una speciale attrattiva subiscono i divoti del Crocifisso, sono come feriti d'amore, secondo la promessa di Gesù: «Quando sarò sollevato su la croce attirerò tutti a me»4.
In una chiesa di Torino vi è una cappella con scene molto vive della passione: Gesù nel Getsemani, Gesù che prende la croce su le spalle per portarla al Calvario, Gesù che cade sotto la croce ecc. Un giovane andava sovente là a contemplare per eccitarsi al pentimento, per rinvigorire la sua volontà, per effondersi in atti di amore a Gesù paziente. In breve tempo fece progressi ammirabili. La meditazione del Crocifisso aiuta tanto a farci santi!
«Una giovane madre, Aurelia Galgani, preso in mano un Crocifisso, e sopra le sue ginocchia la sua piccina, glielo additava dicendo: "Vedi, Gemma, questo caro Gesù è morto in croce per noi!". Poi con voce insinuante, con la soave eloquenza della fede e del cuore materno, le narrava la storia della passione. Le diceva come "il caro Gesù" che tanto amava gli uomini, fosse stato battuto, schernito, ridotto ad una piaga, poi crocifisso, e proprio dai suoi beneficati.
Gemma ascoltava... I suoi occhi luminosi si riempivano di lacrime, portandosi dal Crocifisso al volto materno, e da questo
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al Crocifisso. | [146] Posando poi con amore indicibile le labbra innocenti su quelle piaghe, vi stampava i primi baci di riparazione, promettendo di essere buona, di mai far soffrire Gesù, di non negargli mai nulla.
E quando la madre taceva: "Ancora, mamma, ancora; mi parli ancora di Gesù crocifisso", ripeteva la piccola Gemma. Frase spesso ripetuta in seguito, rivelazione di una gran sete di soprannaturale, espressione di un amore crescente per il Crocifisso. Essa la ripeté fino all'ultimo giorno con accento sempre più ardente: amare di più, soffrire di più. "Che la mia vita, o Gesù, sia un continuo sacrifizio, che tu accresca le mie umiliazioni... Voglio soffrire con te. No, Gesù, non voglio morire; voglio vivere sempre, per patir tanto e per amarti tanto"»5.
Abbiamo meditato più volte il nostro divino Maestro nei suoi insegnamenti tratti dal Vangelo: le Beatitudini, la carità, i sacramenti, la Chiesa, la preghiera, ecc. Ogni domenica leggiamo un tratto caratteristico della vita di Gesù Cristo, seguendo l'anno liturgico. Di più: spesso abbiamo contemplato i suoi santi esempi al presepio, a Nazaret, nella bottega del falegname; così le sue virtù apostoliche, durante il ministero pubblico, tanto necessarie per chi esercita l'apostolato.

Gesù Vita nella Passione e nell'Eucaristia

Ma Gesù Cristo è anche Vita, specialmente nella sua passione di cui ci ha lasciato un memoriale nella SS. Eucarestia. Ora è giusto che impieghiamo un po' di tempo a meditare questo argomento. Essa è la gran preghiera perché è il gran | [147] sacrificio. E questo sacrificio non è un fatto storico soltanto, ma un fatto che continua e perdura nei secoli e nello spazio. La sua passione e il suo sangue versato, i suoi dolori e la sua morte, sono la gran preghiera. Egli ci ha ottenuto la grazia di amarlo e di seguirlo: «cum lacrimis et clamore valido»6.
Questo argomento dovrebbe essere desiderato, perché è facile e pieno di attrattive per le anime consacrate a lui. Di che cosa si interessa una sposa, se non delle sofferenze dello sposo? Di
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che cosa si deve interessare una sposa del Signore? Ogni notizia delle pene dello sposo Gesù, ogni dolore del suo corpo o del suo spirito, dovrebbe eccitare una passione di amore per lui.
In questo abbiamo gli esempi dei santi. S. Francesco d'Assisi ricevette da Dio la somiglianza, anche all'esterno, col Cristo crocifisso, per mezzo delle sacre stimmate. I suoi occhi si erano quasi spenti dal gran piangere sui dolori di Cristo e dei propri peccati.
Se la sposa non assomiglia allo Sposo anche nei suoi dolori, si può dire che abbia per lui, un vero amore? Maria si portò sulla via del Calvario per accompagnare Gesù in quelle estreme, dolorosissime ore. Lo assistette nell'agonia e nella morte; lo abbracciò deposto dalla croce: Maria, per la prima, baciò le sue piaghe. Baciatelo anche voi coi sentimenti di amore e di compassione che ebbe la Madre sua addolorata.

Come dobbiamo meditare la passione del Signore? | [148] Forse la sentiamo narrare o la leggiamo alla sfuggita, come cosa che non ci interessa? Ma sono i dolori dello Sposo, del Padre, dell'Amico! Fermatevi: «Attendite et videte si est dolor sicut dolor meus»7.
Tre pensieri devono dominarci: Chi è che soffre? Per chi soffre? Quanto soffre?8.
Chi è colui che patisce? Il Figlio di Dio, l'innocente, il santo; non un colpevole. Patisce per me; anche per gli altri, è vero, ma pure tutto per me: «Dilexit me et tradidit semetipsum pro me»9.
Quanto soffre! Le anime stentano a capire le ambasce e le angosce dello spirito di Gesù. Versò tutto il suo sangue per noi, nonostante vedesse come i peccatori si sarebbero ugualmente dannati: «Quae utilitas in sanguine meo?»10. Ma Gesù vedeva pure tante anime che lo avrebbero amato, si sarebbero salvate; morì per esse, per tutti, per ciascuno di noi. Egli allora ci aveva tutti presenti. Per ogni nostro peccato Gesù sofferse una speciale pena.
Cerchiamo di ricavare frutti salutari: sentimenti di amore, atti di carità espressi con baci caldi e affettuosi al Crocifisso, propositi
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fermi per una vita santa. Innanzi al Crocifisso dovremmo o piangere i peccati, o scuotere la tiepidezza, o risvegliare il fervore; o, meglio, i tre frutti assieme.
Non vi dico di fare come S. Giovanni della Croce: questo santo portava sul suo cuore una croce con centottantasei punte, perché il dolore | [149] gli ricordasse il Crocifisso. Almeno, però, stringete al petto il vostro crocifisso Gesù, baciatelo con amore; e cercate di capire come Gesù ci amò senza misura.
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[150]
I
PREPARAZIONE ALLA PASSIONE*

Chi va a Lucca, può vedere la casa ove è vissuta parecchi [150] anni e morta S. Gemma Galgani. Tra le altre cose che si mostrano, vi è la camera da pranzo della famiglia Giannini: famiglia numerosa che aveva accolto Gemma dopo che era rimasta orfana. In quella casa Gemma prestava i suoi servizi come un'umile serva. Doveva preparare anche il refettorio per i pasti quotidiani.
Nella sala stava esposto un grande Crocifisso, e la fanciulla preparando la tavola, cercava di non voltargli mai le spalle. Di tanto in tanto gli rivolgeva giaculatorie, sguardi ed espressioni d'amore. Un mattino, infiammata più del solito di amore al Crocifisso, desiderò stampare un bacio sul cuore del Redentore. Ma il Crocifisso era alto, la fanciulla piccola e non vi era mezzo per salire. Allora Gesù l'attirò a sé, ed ella, innalzata, potè stampare un caldo bacio sul costato del suo amato Salvatore1.
La devozione al Crocifisso è la divozione delle anime amanti. Forse non troviamo anima più ardente e più infiammata di S.Paolo per il divino Crocifisso. Le figlie che vogliono somigliare al Padre, devono imitarlo; almeno facciano l'ossequio del segno di croce, sempre ripetuto con amore al Crocifisso.
Consideriamo stamane la triplice preparazione alla passione:da parte di Dio, di Gesù Cristo, degli uomini.

I. L'eterno Padre preparò il Figlio al gran | [151] sacrificio: «Misit Deus Filium suum factum ex muliere»2.
Un giorno Abramo ricevette un ordine dal Signore: sacrificargli sul monte l'unico figlio Isacco. Era un ordine a primo aspetto incomprensibile, perché Dio stesso più volte gli aveva promesso di farlo padre di un gran popolo. Invece ora gli comandava di sacrificargli l'unico figlio. Eppure Abramo non dubitò. Passò una notte tremenda, lottando con se stesso: da una parte il suo cuore di padre straziato; dall'altra il comando esplicito di Dio.
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Ma la conclusione di tutti i suoi pensieri era questa: una speranza fermissima in Dio; al Signore non sarebbero mancati i mezzi per adempiere la sua promessa, se egli avesse obbedito. E Isacco si avviò verso il monte insieme col padre. Salendo col carico del legno per il sacrificio, Isacco guardava il coltello per l'immolazione e chiedeva: «Padre, abbiamo il fuoco e legna, ma la vittima dov'è?». Egli sapeva nulla; il padre non aveva avuto cuore di comunicargli l'ordine di Dio. Andava ad eseguirlo3.
Così il Padre celeste preparò, nel Figlio suo, la gran vittima.Notiamo però, che un angelo fermò Abramo mentre stava per compiere il sacrificio. Ma nel caso del Figlio di Dio incarnato venne realmente offerto e compiuto il sacrificio.
È molto bella l'immagine che rappresenta l'eterno Padre mentre presenta al mondo il suo Figlio crocifisso: «Sic Deus dilexit mundum ut Filium suum unigenitum daret: così il Padre amò il mondo da dargli il suo Figlio unigenito»4. | [153] Fu il Padre a volere il sacrificio, in espiazione del peccato di Adamo e di quelli di tutta l'umanità. Si richiedeva, infatti, o che Dio perdonasse, dimenticando il peccato; o che l'uomo si immolasse; oppure tutti sarebbero periti, avendo tutti contratto il peccato originale. Venne trovata una via nella quale giustizia e misericordia si conciliarono per la divina sapienza.
La giustizia divina sarà soddisfatta; il perdono verrà concesso all'uomo; vi sarà un sacrificio di valore infinito per soddisfare la malizia quasi infinita del peccato. E siccome l'uomo è finito, l'Uomo Dio espierà per tutti gli uomini.
Il Padre celeste nel Getsemani mandò al Figlio il calice della passione: non volle ascoltarne la preghiera: «Allontana da me questo calice»5. Quel calice conteneva gli insulti, le catene, i flagelli, le spine, la condanna e la morte in croce, dopo un'agonia tremenda. Non si commosse il Padre ai gemiti del Figlio. Anzi, nel momento in cui sembrava che il Figlio morente dovesse ricevere almeno un conforto, lo abbandonò: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?»6. Ci sembra un Padre divenuto improvvisamente crudele col Figlio, per usare unicamente misericordia
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verso il peccatore. Ora è sufficiente una lacrima del peccatore pentito perché il perdono sia concesso. Il Figlio invece non mosse a pietà il Padre con tutto il suo sudore di sangue.
V'era, presso gli ebrei una funzione nella quale il sommo sacerdote, alla presenza di tutto il popolo, imponeva le sue mani su un grosso | [154] capro, che poi mandava nel bosco per essere divorato dalle fiere. Su quel caprone erano simbolicamente caricati tutti i peccati del popolo7. Funzione simbolica.
Ma nell'orto del Getsemani fu il Padre celeste, invece del sommo sacerdote, a caricare realmente il Figlio dei peccati di tutta l'umanità. «Attritus est propter scelera nostra»: fu schiacciato come un verme sotto i nostri peccati. «Iniquitates nostras ipse portavit»; portò le nostre iniquità e pagò i nostri debiti: «Peccata nostra ipse tulit»8. Colui che non aveva conosciuto il peccato, fu trattato come il gran peccatore, il percosso da Dio, l'umiliato. Tutta la giustizia e l'ira di Dio si scatenarono contro Gesù Cristo.
Così il Padre preparò la vittima e ne volle la piena immolazione. Nella Scrittura è descritta l'ira del cielo contro l'uomo peccatore. Il Figlio si presenta al Padre e dice: «Se vuoi, manda me»9. Le vittime di capri e di agnelli non ti soddisfano: «corpus autem aptasti mihi»10. Il Padre dà un corpo al Figlio: «Virtus Altissimi obumbrabit tibi»11, perché possa patire e morire.
Il Figlio di Dio nacque per morire. Egli non fu formato per opera dell'uomo ma fu la virtù onnipotente dell'Altissimo che lo formò, nel seno della beata Vergine Maria. E allora: «Verbum caro factum est!»12. Da Adamo fino a Cristo, quante profezie si riferiscono a Gesù! Tutta la sua vita è profetizzata: la nascita, il tempo, il luogo, i Magi, l'odio di Erode, ecc. Ma le profezie più | [155] numerose si riferiscono soprattutto alla vita dolorosa; cioè all'ultima settimana della vita di Cristo, dalle Palme al venerdì santo. Si annunzia come sarà tradito, flagellato, insultato, condannato, crocifisso tra due ladroni. Tutto è predetto, in ogni circostanza. Il Padre preparò la vittima, l'ostia per il sacrificio.
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L'eterno Padre contemplò dal cielo la grande scena del Calvario: Gesù svestito dei suoi abiti, gettato a terra con un urto, inchiodato, elevato alla vista di tutti. Ma non venne a liberarlo; né mandò l'ariete come ad Abramo, in sostituzione del figlio13. Penetriamo questo grande mistero.
Ma la preparazione alla passione di Cristo, venne compiuta dai nostri peccati: «Iniquitates nostras ipse portavit»14. Essi sono «cagione della morte del vostro divin Figlio Gesù»15: ecco tutto. Chi di noi è innocente? Nessuno, tranne la beata Vergine, la quale però lo fu per una redenzione più abbondante: fu preservata dal peccato originale in vista della morte di Gesù Cristo.

II. Come si preparò Gesù alla passione? Egli venne dal cielo, prese un corpo e nacque per redimerci. Questa fu la sua missione. «Tota vita Christi crux fuit et martirium»16. Martirio d'ogni giorno e preparazione al sacrificio finale. «Propter nos homines et propter nostram salutem descendit de caelis; et incarnatus est de Spiritu Sancto ex Maria Virgine et homo factus est. Crucifixus, mortuus et sepultus est!»17. Quante volte la benedetta sua Madre baciando | [156] le manine al Bambinello, pensava che un giorno i carnefici le avrebbero trafitte coi chiodi!
Gesù si preparò alla passione profetizzandola più volte. «Ecco,andiamo a Gerusalemme, e il Figlio dell'uomo sarà dato in mano dei Gentili. Lo flagelleranno, lo insulteranno e lo faranno morire...»18. Egli vedeva e prevedeva ogni particolare della passione; ma la disposizione sua era sempre la medesima: «Non sono venuto per fare la mia, ma la tua volontà»19. Guai a chi avesse cercato di distoglierlo! A Pietro che non voleva sentir parlare di dolore e di morte gettò in faccia quella tremenda parola: «Vade post me, satana, scandalum es mihi: Vattene indietro, satana, tu mi sei tentatore»20.
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E più tardi, quando ancora Pietro che non aveva capito il cuore del Maestro, nell'orto voleva difenderlo con la spada, Gesù lo rimproverò di nuovo, dicendogli: «Calicem quem dedit mihi Pater non bibam illum: Non dovrò io bere il calice che mi ha assegnato il Padre?»21.
Quando Gesù si trasfigurò sul Tabor, Mosé ed Elia vennero a parlare con lui. Discorrevano di quanto si sarebbe compiuto presto in Gerusalemme, cioè della passione. Gesù si preparava al gran momento. «Baptismo habeo baptizari et quomodo coarctor donec adimpleatur!»22. Gesù soffre perché è ancora al quanto lontano questo momento. Egli ha un immenso ardore di patire per redimere l'umanità e fare la grande obbedienza al Padre.
Quando Gesù pensava alla sua passione, sembrava che perdesse [157] il suo modo ordinario di agire, come se non sapesse contenersi. Nell'andare a Gerusalemme per il sacrificio, egli non andò cogli Apostoli. Di solito si accompagnava con loro, li ammaestrava camminando. Ora, li precedeva, andava da solo, in fretta, nessuno gli poteva tener dietro: «et praecedebat illos Jesus»23tanto che gli Apostoli ne rimasero stupiti, non lo avevano mai veduto così affrettato: «Et stupebant»24.
Celebrata l'ultima cena, uscito Giuda dal cenacolo, egli si portò al Getsemani, dove sarebbero andati a catturarlo. Non va in un altro posto: sapeva che Giuda, cogli sgherri, sarebbe andato colà! Fatta la preparazione immediata nell'orto, dice generosamente ai suoi: «Surgite, eamus!: Alzatevi, andiamo». E va incontro al traditore e alla passione: «Ecce appropinquat qui me tradet»25.
Invece, noi talvolta fuggiamo con spavento dinanzi a una piccola sofferenza. Quanto è diverso il nostro cuore dal cuore di Gesù! S. Pietro scrive invece: «Christus passus est pro nobis, vobis relinquens exemplum, ut sequamini vestigia eius: Gesù Cristo ha sofferto per noi; lasciandovi l'esempio affinché seguiate i suoi passi»26. Dice S. Agostino: «Factum martires et caput
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martirum futurus: lui che doveva fare i martiri, volle diventare il primo e grande martire»27. Somigliamo agli Apostoli che lo abbandonarono. Avevano mangiato volentieri con lui l'ultima | [158] cena, ma quando si trattò di soffrire con lui, si ritirarono.
Alcune anime, pur amando la divozione al Crocifisso, non amano la sofferenza. Guai a mettere loro una qualche croce sulle spalle!
Si legge negli Atti del nostro padre S. Paolo: «Paolo da Mileto mandò a chiamare gli anziani della Chiesa di Efeso. I quali, venuti, si raccolsero intorno a lui, ed egli disse: Voi sapete come, dal primo giorno che venni in Asia, io mi sia sempre diportato con voi servendo il Signore con tutta umiltà, con lacrime in mezzo alle prove cadutemi addosso per le insidie dei giudei; sapete come non abbia trascurato d'annunziarvi nulla di ciò che è utile e d'istruirvi, in pubblico e per le case, raccomandando a giudei e greci la penitenza dinanzi a Dio e a credere nel Signor nostro Gesù Cristo. Ed ora ecco, io, costretto dallo Spirito, vado a Gerusalemme senz'altro conoscere di quel che mi sta per accadere, se non questo: che lo Spirito Santo per ogni città mi avverte che a Gerusalemme m'aspettano catene e tribolazioni. Ma io per nessuna di queste cose temo; né tengo più preziosa di me la mia vita; purché termini il mio corso e compia il ministero ricevuto dal Signore Gesù che è di rendere testimonianza al Vangelo della grazia di Dio»28.
E noi abbiamo il coraggio di fare penitenza? L'esame di coscienza è penitenza: lo facciamo bene? L'apostolato è penitenza: lo facciamo bene? È penitenza l'accettazione di ogni ufficio nella Congregazione: si accettano sempre bene?

[159] III. Gli uomini prepararono la passione al Signore. Prima i suoi nemici. È cosa che schianta il cuore pensare che il Figlio di Dio era venuto a salvare l'umanità; e gli uomini non lo volevano: «Tolle, tolle eum, crucifige eum!»29. Gridavano da forsennati: «Nolumus hunc regnare super nos30».
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Quando commettiamo il peccato, anche noi perdiamo la testa! Gesù operava miracoli; guadagnava tutti con la sua bontà. Le turbe lo seguivano; così affamate della sua parola da dimenticare anche il cibo. I suoi nemici, invidiosi, pieni di livore, cercavano di prenderlo in parola per accusarlo. Dopo la risurrezione di Lazzaro, si radunò il sinedrio: «Che faremo? Tutto il popolo lo segue; compie molti prodigi». E il pontefice, profetando,disse: «È necessario che uno muoia, onde non perisca tutto il popolo»31. È verità, ma in senso più alto: uno deve morire; e morirà Gesù, perché sia salvo l'uomo.
Lo condannarono. E Giuda si presentò, si offrì di darlo loro nelle mani. Fu conchiuso il sacrilego contratto: poche monete da una parte; la merce, trattata a prezzo così vile, era il Figlio diDio. Da allora cercava il momento opportuno di consegnarlo nelle loro mani. Sapeva dove avrebbe passato la sera del giovedì santo. Giuda disse loro: «Chi bacerò, è lui: prendetelo; menatelo in carcere con precauzione»32. La sentenza pronunciata nei tribunali ebrei, tumultuosamente, nella notte fu questa: «Reus est mortis!»33.

Ecco una parabola. Un re col suo figlio | [160] maggiore passeggiava sul suo cocchio dorato, nel giardino; quand'ecco, su la strada, un grosso schifoso verme si drizza superbamente e villanamente insultò il re. Questi adirato ordina al cocchiere di passargli sopra con la ruota e di schiacciarlo. Ma il figlio mosso a pietà del verme si oppone: No, piuttosto schiaccia me; non colpirlo con il tuo sdegno, che pur è giusto; mi farò schiacciare per lui. E discese dal cocchio e si pose al posto del verme. Il senso: Dio sdegnato contro l'uomo peccatore; ma il divin Figlio si ridusse allo stato di un verme schiacciato: «Ego sum vermis et non homo»34; per l'uomo peccatore.
Ricordiamo, almeno, la passione del Signore nostro Gesù Cristo; Gesù è morto per me: «Dilexit me et tradidit semetipsum pro me»35. Siamo sempre tanto spensierati da non sentire la riconoscenza?
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Dal secolo VI al secolo XVII la devozione predominante nella cristianità fu la passione del Signore. Ed è quella l'epoca delle grandi estatiche che hanno contemplato tutta la storia dei dolori di Gesù, nei particolari, eccitandosi all'amore ed al dolore.
Eccitiamoci a una somma riconoscenza per la redenzione. Pratichiamo la Via crucis; recitiamo bene i misteri dolorosi; guardiamo con amore il Cristo pendente dalla croce.
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II
STRUMENTI DELLA PASSIONE*
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In Alba si conserva il corpo della Beata Margherita di Savoia1 . L'avrete forse anche visto. Di questa santa è celebre un episodio. Verso il termine dei suoi anni, il Signore si presentò a lei portando la corona di spine e tre | [163] saette; indicavano tre generi di sofferenze: malattie, pene di spirito, calunnie. Il Signore le domandò quale di esse preferiva. Ella le accettò tutte; e furono quelle gli strumenti che la resero simile al divino Maestro. La colpirono varie malattie, il suo spirito fu oppresso da timori, angustie, desolazioni; malevolenze, insulti, calunnie degli uomini. Gesù crocifisso la rese simile a sé.
S. Maria Maddalena de' Pazzi2 diceva: «Patire e non morire!». Cioè: non ancora morire, ma vivere per soffrire di più per Dio.
S. Giovanni della Croce fu calunniato, messo in carcere, dov'era privato anche del necessario alla vita, non poteva riposare neppure sul pavimento, tanto era stretto l'ambiente. Il Signore gli si presentò chiedendo quale ricompensa desiderasse in premio delle sue sofferenze. Rispose eroicamente: «Pati et contemni pro te! Patire ed essere disprezzato per te». Il nostro padre S. Paolo parla della croce e del suo valore in ogni sua lettera. Studiamo la sua dottrina per essere veramente figlie di questo padre.
Consideriamo ora gli strumenti della passione; non tutti, ma i principali, di cui vi è la Messa almeno «pro aliquibus locis» 3 nel messale. Essi sono: la croce, le spine, la lancia, la sindone, i chiodi, il sangue, le piaghe.

I. La croce. Che cos'è la croce? Fisicamente è strumento pei supplizi, risultante da due legni | [164] che si tagliano a vicenda, collocati in senso opposto: orizzontale uno e verticale l'altro.
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Moralmente la nostra croce è data da due volontà, che camminiamo in senso opposto. Gesù ad esempio manda la malattia, mentre noi vorremmo star sempre bene. Ogni volta che la volontà di Dio viene a tagliare la nostra, ecco la croce. Non bisogna aver molte volontà, dice S. Francesco di Sales, perché avremmo molte croci. Se la nostra volontà è sempre conforme alla divina non troviamo croce. Le croci, ce le facciamo noi.
Gesù venne presentato a Pilato, che lo giudicò innocente, e dichiarò al popolo che in lui non trovava ragione di condanna. Ma il popolo ne chiedeva la morte. Pilato volendolo liberare ricorse ad un ripiego; lo mise a confronto con Barabba. Riteneva che il popolo avrebbe chiesto la morte di Barabba, un uomo odioso, ladro, omicida. Invece la turba istigata dai farisei con alte grida domandò la vita di Barabba. Per la prima volta si udì il grido sacrilego contro Gesù: «Crucifige, crucifige eum!»4. Pilato lo condannò alla morte di croce. Era il supplizio più infame, riservato a stranieri e a schiavi colpevoli di grandissimi delitti. Così Pietro fu crocifisso perché ebreo, ma Paolo fu decapitato perché cittadino romano.
Per Gesù Cristo si chiede il supplizio più vergognoso; ed egli era il Santo! Vi sono persone che fanno tanto bene; e contro di esse gli invidiosi puntano con le loro accuse, malevolenze e | [165] calunnie. Più doni hanno e più invidie suscitano. Abele fu invidiato da suo fratello Caino. Caino arrivò ad ucciderlo, a tradimento5. L'innocente Davide fu perseguitato e cercato a morte da Saulle 6, perché Dio lo amava.
Pilato conosceva l'invidia dei farisei. «Sciebat enim quod per invidiam tradidissent eum»7. L'invidia di costoro e l'avarizia di Giuda prepararono il supplizio di Cristo.
C'era poi un modo per rendere più ignominioso il supplizio della croce: mettere in mezzo il più colpevole. Gesù Cristo fu messo in mezzo ai due ladri: «Inter sceleratos reputatus est»8; e furono crocifissi l'uno a destra e l'altro a sinistra.
Ancora: dicono alcuni, che al più colpevole tra i condannati si assegnava la croce più lunga. A Gesù venne data la croce più
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pesante. Gesù ne volle sentire tutto il peso, fino a cadervi sotto tre volte: una per i peccati di debolezza, l'altra per quelli di malizia, e la terza per quelli di ostinazione. Per rendere pubblica lasua colpa fu scritto su di un cartello affisso alla croce: «Jesus Nazarenus, Rex Judaeorum»9.
La croce di legno ricordava l'albero del paradiso terrestre di cui Adamo ed Eva mangiarono il frutto. Così Gesù, pendendo dalla croce, riparò il male pervenuto all'umanità da quell'albero del paradiso. Il frutto di questo uccise l'uomo spiritualmente; il frutto della croce ridonò la vita soprannaturale all'umanità.
Gesù agonizzò tra pene indicibili su la croce. | [166] Quale spettacolo di amore, di pietà, di dolore! Se fosse qui un condannato che sta per essere crocifisso, e già i soldati fossero pronti a eseguire la condanna fuggireste inorridite. Maria non fuggì, assisté il Figlio mentre veniva inchiodato su la croce. Immaginate lo spasimo prodotto dai chiodi durissimi che ne penetravano le carni, i nervi, le ossa. Il chirurgo addormenta l'infermo ed opera con riguardo; ma i carnefici piuttosto cercavano di rendere più penoso il supplizio; anche nella notte antecedente, senza ragione, lo avevano percosso con pugni e schiaffi. Per lui avevano inventato un supplizio nuovo: la corona di spine.
Inchiodarono una mano, poi l'altra; quindi i piedi. Dolore più grande per Gesù, fu il venire sollevato da terra: tutto il peso del corpo pendeva da pochi chiodi; le carni si squarciavano, le ferite si allargavano. Stette tre ore sulla croce: dal mezzodì alle tre; poi mandò un forte grido, chinò il capo e spirò.
La croce è ora onorata; elevata sui campanili e su le torri; nelle chiese, nei tribunali, nelle scuole. All'ultimo giorno, nel giudizio finale di tutti gli uomini, comparirà in cielo alla vista di tutti. Quelli che avranno creduto e sperato nella croce, saranno salvi: chi non avrà creduto né sperato, sarà condannato.
Siamo pronti noi a portare la croce? I santi dicevano perduto il giorno in cui non avevano da soffrire. Gesù ha sentenziato:«Chi vuol venire dietro di me rinneghi se stesso; prenda la sua croce e mi segua»10. I vittoriosi sono coloro che | [167] camminano con questo nostro capo. Egli ha vinto morendo.
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S. Paolo della Croce, andando per via, a piedi nudi, calcò una spina, che gli si conficcò nel piede. Chi l'accompagnava se ne accorse; fece per estrarla, ma il santo disse: No; Gesù ha sofferto le punture di tante spine conficcate nel suo capo.

II. La corona di spine. Non era un supplizio ordinario, secondo la legge. Lo si inventò per Gesù Cristo: il Salvatore voleva soddisfare per tante invenzioni maliziose dei peccatori che cercano le proprie soddisfazioni. Se Gesù non fosse stato sostenuto da una virtù soprannaturale ne sarebbe certamente morto. Si trattava di spine durissime; lunghe da quattro a sei centimetri; numerosissime, che si conficcarono profondamente in tutte le parti del capo.
Le spine portavano a Gesù tre generi di sofferenze: dolore indicibile; disprezzo della sua qualità regale; sfida della sua pazienza e mansuetudine. Nelle mani gli diedero una canna, per ricordare lo scettro; su le spalle per compiere la crudele parodia gli misero uno straccio di porpora. Venivano uno ad uno i carnefici, facevano una genuflessione, prendevano la canna dalle mani del Salvatore e gli percuotevano la corona perché le spine entrassero più profondamente. Pensate a quel santo volto, coperto dagli sputi più schifosi, imbrattato di sangue: eppure atteggiato a dolcezza; adorato da gli angeli. | [168] La superbia così venne scontata da Gesù con tali umiliazioni; tanti furono i colpi sul suo capo in pena del nostro orgoglio, la nostra testa dura, la nostra volontà ribelle. E il disprezzo degli altri, i capricci quanto costarono a Gesù!
Umiliamoci, pieghiamo la testa al divino volere, freniamo il nostro orgoglio.

III. La lancia. Al sabato non dovevano rimanere in croce i giustiziati. Ed era il grande sabato! I giudei chiesero perciò a Pilato che fossero ad essi rotte le gambe e venissero tolti via. Andarono perciò i soldati e ruppero le gambe al primo ed al secondo che erano crocifissi con Gesù. Ma, arrivati a Gesù, lo trovarono già morto; perciò non gli ruppero le gambe. Però uno dei soldati con una lancia gli aprì il costato; e subito ne uscì sangue ed acqua. Sommo disprezzo, contro la benedetta salma di Gesù si infierisce!
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Ricaviamo:
1) Dal costato aperto di Cristo uscì la Chiesa, come dal fianco di Adamo addormentato fu tolta la costola onde venne formata Eva. Nella Chiesa, infatti, si entra col Battesimo, figurato dall'acqua, e le anime vengono nutrite col sangue di Gesù contenuto nell'Eucaristia. La Sposa di Cristo è uscita dal costato del Salvatore addormentato sulla croce. La Chiesa è madre dei santi; è infallibile ed indefettibile; ci ha accolti bambini, purificandoci dalla colpa, si è preso cura di noi, facendoci istruire nella religione. Ha fatto la legislazione per lo stato religioso. | [169] Siamo tutti figli della Chiesa, che ci assisterà in morte, coi sacramenti, benedirà la nostra salma e suffragherà la nostra anima. La Chiesa è il corpo mistico del Salvatore: amiamola. Amiamo il Papa, i vescovi, i sacerdoti e tutti i cristiani. E questo amore sia fatto di preghiera e di sacrificio, di cooperazione coi ministri della Chiesa e di zelo per dilatare il regno di Cristo sulla faccia della terra.
2) Perché Gesù Cristo volle aperto il suo cuore? "Se io fossistato al posto della lancia non ne sarei uscito più". Gesù volle aprire la via ai peccatori per tornare a lui. Perché diffidiamo? L'assoluzione cancella il peccato; la Confessione è facile, segreta; non è per castigare, ma per assolvere, convertire, consigliare. È un balsamo per chi è sconfortato, oppresso e umiliato per il peccato.
3) Divozione al Cuore di Gesù. Specialmente amore all'apostolato della preghiera. Sia il nostro cuore simile al cuore di Gesù! Egli ebbe due soli sospiri: la gloria del Padre e la pace degli uomini. Tutte siano regolarmente iscritte all'Apostolato della preghiera11. Questo apostolato aiuta il Signore a compiere i suoi disegni per la salvezza delle anime. Diamo a lui le azioni, le preghiere e i patimenti, perché se ne serva secondo gli interessi del suo cuore.
In questi giorni i giornali portano la notizia del processo contro il Vescovo di Zagabria 12. Processo ingiusto perché lui aveva
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un'unica colpa: | [170] di essere stato caritatevole verso tutti. Il processo si è svolto come quello di Cristo; la conclusione: sedici anni di carcere e i lavori forzati. Il Santo Padre ha lanciato la scomunica contro coloro che lo hanno preso, legato, giudicato, incarcerato e che lo custodiscono privandolo della libertà personale. Questo ci dà un'immagine delle pene del Salvatore.
Le anime più accette a Dio sono anche le più provate. «Poiché eri accetto a Dio, era necessario che la tentazione ti colpisse»13. Le pene dei buoni non sono segno che Dio ci ha abbandonati, ma piuttosto sono le vie per una maggior rassomiglianza con Gesù, divino paziente.
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III
L'ABBANDONO DI GESÙ*
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Nell'Oremus di S. Edvige1 si dice: «Signore, che le hai insegnato a lasciare le pompe del mondo per darsi all'umile sequela della croce, così concedi anche a noi, per i suoi meriti ed i suoi esempi, di disprezzare le caduche soddisfazioni della terra e nell'amore della croce, superare tutti gli ostacoli». «Umile sequela della croce». La croce era scandalo per i Giudei e stoltezza per i Greci, ma per noi è salvezza2. Quante anime amarono la follia della croce, e furono assetate di rinuncia, di patimenti, di penitenza per imitare il Salvatore! Possedevano la scienza della croce, capivano i valori dell'apostolato della sofferenza, | [173] camminavano a grandi passi su la via della perfezione.

Consideriamo gli abbandoni di Gesù nella passione.
S. Paolo aveva fondato molte Chiese nel mondo; aveva radunato forti gruppi di fedeli a lui devoti; aveva beneficato innumerevoli persone ma venuto prigioniero la seconda volta a Roma, si sentì da tutti abbandonato. La tristezza del suo cuore ebbe bisogno di uno sfogo: Sono rimasto solo!3.
Vi sono anime forti, benedette, e da Dio chiamate ad una speciale somiglianza con Gesù: esse soffriranno degli abbandoni simili a quelli di Gesù in croce. Fino a che qualcuno ci ama e comprende, vi è nel cuore una piccola radice di umanità, invece quando tutti si sono allontanati, allora la mente ed il cuore si rivolgono unicamente a Dio: il creato è il nulla, Dio è il tutto.

Gesù abbandonato dagli apostoli

Gesù Cristo infatti sofferse il primo e più tremendo abbandono. Arrivato all'orto degli ulivi, divise i suoi Apostoli in due
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gruppi: otto li lasciò all'entrata, tre li condusse più avanti. Erano questi i tre più cari: anime che egli amava tanto non per simpatia naturale, ma perché erano sempre stati generosi con lui, e rappresentavano: Pietro la fede; Giacomo le opere; Giovanni la carità. Li aveva già avuti sul Tabor, a contemplare la trasfigurazione.A questi tre intimi disse: «Fermatevi qui, perché io vado più avanti a pregare»4. Gesù amava la solitudine, i deserti, i monti, per trattenersi | [174] in intimità con Dio. E pregò: aveva tante cose da dire, quella notte, al Padre! La sua anima, intravedendo la passione, era umiliata, triste, piena di angoscia: «Coepit pavere, taedere et moestus esse»5. Sentì allora bisogno di conforto, e andò a cercarlo presso gli Apostoli. Ma essi erano addormentati, indifferenti all'amarezza e all'agonia del loro Maestro. Gesù li rimprovera: «Non potuistis una hora vigilare mecum?»6. «Pregate, affinché non cadiate nella tentazione»7. Poi ritornò a pregare il Padre. Sudò sangue; tanta era l'ambascia del suo cuore, che il sangue fu spinto alle estremità, e uscì dai pori della pelle. Dal corpo rivoletti di sangue scendevano a bagnare le zolle del terreno.
Tornò agli Apostoli, ma di nuovo li trovò addormentati. Al nuovo rimprovero del Maestro si scossero, ma poi si riaddormentarono. Finché Gesù, avendo pregato per la terza volta, venne ad essi e li invitò. «Alzatevi, andiamo; chi mi tradisce è vicino!»8.
Era un desolante abbandono che Gesù soffriva da parte degli uomini: eppure quelli erano i suoi amici e confidenti: «Vos dixi amicos»9. Li aveva poco prima nutriti e cibati del suo corpo e del suo sangue preziosissimo. Aveva loro predetto questa loro ingratitudine. Essi avevano fatto tante proteste di amore: qui invece lo lasciarono solo.
Però l'abbandono più penoso per Gesù fu quello sofferto su la croce da parte del Padre. Fino a quell'estremo momento, sapeva che era | [175] l'ora del potere delle tenebre: egli dietro la feroce ostinazione dei nemici contemplava il volto sereno, amico e compiacente
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del Padre. Ma giunto a questo punto il cielo parve oscurarsi; il sopravvento dei suoi avversari sembrò totale; lo spettacolo che di là contemplava di tante anime, precipitanti nell'Inferno nonostante la sua passione, così desolante. Uscì dalla sua bocca un lamento: «Eli, Eli, lamma sabacthani? Cioè: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?»10.
Questo abbandono misterioso deve intendersi rettamente. Si riferiva soltanto alla privazione di difesa e protezione; l'averlo cioè Dio abbandonato alla cieca rabbia degli uomini e dell'Inferno. Venne allora privato di quella protezione di cui parlava quando disse: «Qui me misit, mecum est; et non reliquit me solum: Colui che mi mandò è con me, e non mi lascia solo»11. Nella sua agonia fu lasciato senza difesa per compiere il sacrificio a redenzione del mondo. Avrebbe potuto Dio in molte maniere difendere il Cristo ed impedire la sua passione; ma piacque al Padre, piacque al Figlio, piacque allo Spirito Santo che si eseguisse il decreto comune delle tre Persone, che la violenza cioè per qualche ora prevalesse.
Non lamenta Gesù Cristo di essere stato separato da Dio, dalla sua grazia ed amicizia. Ma constata che il Padre non ne impedisce la morte; né gli dava conforto per mitigare gli spasimi nel corpo e nello spirito. Fa rilevare a noi a quale prezzo ci redimeva, quanto penosa sia la morte | [176] sua, con quali angosce può provare le anime che vogliono seguirlo. Chi lo vuole seguire deve«ita ambulare sicut ille ambulavit»12.
Non sono parole che accusano Dio, o di lamento, o di sdegno; ma parole molto opportune per farci capire la grandezza delle sue sofferenze. Dice S. Leone: «Non sono parole di lamento, ma sono dottrina»13; ci dichiara che volle soffrire senza conforto. Penava così tanto come fosse non già Figlio di Dio, ma veramente un peccatore; doveva farci capire che scontava tutti i peccati, anche i più interni. Si dichiara abbandonato (percosso da Dio) affinché sappiamo che se i martiri ebbero nelle loro pene qualche consolazione e conforto, il Cristo ne fu privo, totalmente soggetto alle pene; quanto cioè era possibile. Lamento che ci
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muove a comprensione e compassione se proprio non abbiamo un cuore di pietra.
Gesù chiedeva al Padre: «Perché mi hai abbandonato», non perché ignorasse il motivo; egli tutto sapeva. Ma perché noi ignoriamo, vuole che si indaghino questi motivi. Dice S. Roberto Bellarmino14: «... affinché si conosca la malizia del peccato... il gran male che è il dannarci... quanto vale la grazia... il gran bene che è il Paradiso... il grande amore e la grande obbedienza del Figlio verso il Padre».
Molto istruttive e pie sono le parole di Cornelio A Lapide15: «Gesù fu abbandonato perché noi mai fossimo | [177] abbandonati; fu abbandonato perché fossimo liberati dal peccato e dall'Inferno; fu abbandonato per mostrarci il suo amore, la giustizia e la misericordia divina; per guadagnarsi il nostro cuore e lasciarci esempio di sofferenza e pazienza. Ci indica la via al cielo, una via che è difficile e ardua; e tuttavia, precedendoci, ci fa animo. Vuole che consideriamo fino a quale punto amarlo: così che con S. Paolo arriviamo ad esclamare: «Che cosa ci potrà separare dall'amore a Gesù Cristo? Tutto supereremo per lui che tanto ci amò»16.

Nella prova pregare

Gesù ci insegnò a pregare nelle pene, anziché abbandonare la preghiera. Gesù pregò nel Getsemani e pregò su la croce: poiché la preghiera «è forza nelle difficoltà, è sollievo degli infermi, è soccorso per i deboli, è distintivo e segno di eterna predestinazione».
Preghiamo, dunque, così: Signore Gesù Cristo che, confitto alla croce, con gran voce e con lacrime hai pregato il Padre, concedimi la grazia di sempre ricorrere a te in ogni tribolazione e tentazione. Non permettere che io venga mai abbandonato dalla tua misericordia. Ascolta dal cielo i miei gemiti; perché io nei dolori sappia acquistare meriti. So che tu solo puoi salvarmi; non ho fiducia in altri né in alcun mezzo umano; tu solo sei il
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Signore, l'Altissimo, la stessa Bontà. Il mio grido si eleva a te, mio Dio, che ascolti sempre chi, umiliandosi, chiede misericordia.
La desolazione spirituale è un oscuramento dello spirito, un [178] turbamento, un forte incitamento alle cose basse e terrene; così pure ogni inquietudine, agitazione del cuore, timore di non salvarsi, di non essere esauditi nella preghiera, un senso di disperazione riguardo a Dio, la privazione di ogni interno conforto. Allora si sente una specie di tristezza, di tiepidezza, di torpore e noia del servizio di Dio e di tutte le cose spirituali.
Qualche volta l'anima ne è colpevole: perché tiepida, pigra, negligente negli esercizi di pietà; perché commette venialità acconsentite, come vanità, amor proprio; perché manca di generosità nel corrispondere alla grazia. Altre volte sono prove con cui Dio sperimenta l'anima: come quella desolazione che soffrì S. Alfonso de' Liguori a circa novant'anni, S. Teresa per quindici anni, ed un po' tutti i santi in qualche periodo, più o meno lungo, della vita.
È regola dei santi che in tempo della desolazione nessun proposito è da abbandonarsi, nessuna pratica da omettersi; osservare invece con costanza i propositi fatti prima. Anzi è quello il tempo di intensificare l'orazione, la meditazione, l'esame, la mortificazione dei sensi. Se, per prova l'anima si sente sola, ravvivi la fede, Dio è vicino in realtà, più che negli altri tempi: la sua grazia è proporzionata alle necessità. Quando si deve navigare contro corrente meglio si prova la propria volontà e la propria forza. Vale più un | [179] «Deo gratias»17 nella tribolazione e aridità, che mille nel tempo della consolazione. Il Signore poi tornerà a farsi sentire; un bel sereno succederà alle tenebre; avremo aumento di grazia e conforto spirituale.
S. Giacomo apostolo interroga: «Tristatur aliquis vestrum?». Non risponde: si divaghi, giochi, passeggi, conversi, suoni, ecc. Ma dice: «Oret, preghi»18.
Ed il Vangelo dice di Gesù: «Factus in agonia prolixius orabat: pregava più a lungo. Allora fu confortato da l'angelo: confortans eum»19. Ecco la vera consolazione: specialmente rivolgersi alla croce: «Passio Christi conforta me; o bone Jesu exaudi me; intra
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vulnera tua absconde me; ne permittas me separari a te: Passione di Cristo confortami; o buon Gesù esaudiscimi; nascondimi nelle tue piaghe; non permettere che mi separi da te»20.
Vi sono anime sempre incostanti: se il Signore tace per un momento, abbandonano tutto, si smarriscono, si agitano, si disperano. L'uguaglianza di spirito invece in ogni momento è segno di vera virtù. Tutto nella vita è mutabile; ma sopra queste mutazioni l'anima che davvero ama il Signore sta serena, poiché il suo sguardo si fissa in alto, sopra le nubi e la tempesta: sempre contempla la faccia amabile di Dio. A lui vuol piacere, sempre e solo a lui che non manca mai.
Se Gesù ci fa in qualche tempo partecipi delle sue angosce, abbandoni, afflizioni abbiamo segni della sua predilezione. Sopportare e confidare, | [180] nonostante tutto «contra spem in spem credidit»21. Dice la Scrittura: «Usque in tempus sustinebit patiens; et postea [erit] redditio jucunditatis: il paziente avrà da soffrire per un po' di tempo; poi gli sarà resa la gioia»22.
Dice l'Imitazione di Cristo: «È cosa grande, molto grande,saper vivere bene, privi di ogni umana e divina consolazione; e per amor di Dio sopportare volentieri una specie di esilio da Dio; e non cercare in nulla noi stessi, ma solo il divino beneplacito»23.

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Sappiamo essere consolatori. «Quali sono i vostri discorsi che state facendo, e siete tristi?» domandò Gesù ai discepoli di Emmaus. Era una domanda che spiega un sentimento di delicata compassione e di conforto.
Ed egli, il divino Maestro della consolazione, si assunse il compito di confortarli, illuminandoli con la luce delle Scritture, dissipando ogni oscurità con lampi di luce: «Non è stato forse necessario che il Cristo patisse queste cose e così entrasse nella sua gloria?». Li consolò con la sua compagnia per istrada, ed infine dando loro il Pane Eucaristico24. Queste sono le vie di
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consolazione di Gesù. Sta anche un leggero rimprovero di Gesù in queste parole: «E siete tristi?».
Consolare gli afflitti, illuminare i dubbiosi, insegnare agli ignoranti, perdonare le offese, | [181] sopportare pazientemente le molestie sono opere spirituali di carità.
Il dolore continuerà ad essere frequente, intenso qualche volta tra i figli di Adamo; non è possibile sopprimerlo. Vi sono però anime che sanno asciugare tante lacrime, lenire tanti dolori, portare ovunque un raggio di gioia, infondere una speranza. «Ero afflitto e mi avete consolato»25. La rassegnazione al divino volere porta a tanti meriti; e vi è chi sa metterla nei cuori con tanta delicatezza: «Non siamo come chi non ha speranza»26. C'è tanto da consolare!
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[182]
IV
L'ADDOLORATA*

Consideriamo i dolori che per noi soffrì il Maestro divino,sentiamo viva riconoscenza per lui e i nostri cuori si riempiano di gratitudine. Ecco quanto siamo costati al nostro Dio! Pene indicibili del corpo, dell'anima, dello spirito, del cuore. Con tali pene, egli ci ha riaperto il cielo. Nessuno, infatti, sarebbe potuto entrare lassù dopo il peccato originale: né Adamo, né Eva, né alcuno dei loro figli. La croce è veramente la chiave d'oro che ci riapre il cielo: «In qua est salus, vita et resurrectio nostra»1.
Una persona ben educata dice sempre grazie | [183] per ciò che riceve. Ora, la buona educazione è il galateo che si usa con gli uomini. Non si deve usare anche con Dio? Diciamo grazie a Gesù che ci ha salvati e riaperto il cielo. E diciamo grazie anche a Maria, e consideriamo pure i dolori da lei sofferti per la nostra redenzione.
Nei libri di pietà più comuni, si trova spesso la coroncina all'Addolorata. È rappresentata con sette spade, ad indicare i sette dolori sofferti. Consideriamone alcuni.

Maria partecipa alle sofferenze di Gesù

Quando Maria mirò, nella grotta di Betlemme, il suo Dio bambino, giacente su un po' di paglia, ridotto in tanta povertà e abbandonato dagli uomini, ebbe una trafittura al cuore. Trafittura che sentì più acuta quando presentò Gesù al tempio. Ella vi era andata per compiere la purificazione legale e l'offerta per il primogenito. Sebbene non obbligata, volle sottostare alle leggi comuni, in spirito di obbedienza. Là avvenne che il santo vecchio Simeone, prendendo in braccio il bambino, dicesse alla madre: «Positus est hic in ruinam et resurrectionem multorum... signum cui contradicetur»2. Gesù è segno di contraddizione: immensamente
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amato da anime elette, immensamente odiato da cuori ingrati e anime perverse.
«Et tuam ipsius animam pertransibit gladius»3. Non solo Gesù, ma anche la madre, sarà trafitta dalla spada del dolore. In quelle parole Maria intravide le sofferenze che l'attendevano. Era la madre del Redentore; doveva preparare l'Ostia per il sacrificio. Gesù è la vittima e Maria la | [184] preparò: nutrendola e crescendola con infinito amore, per la croce. Maria sapeva, dalle profezie,che cosa sarebbe avvenuto del Redentore. Ella era la più intelligente a conoscere il senso delle antiche Scritture. Maria vede,con dolore, che Gesù Bambino è ricercato a morte; è obbligata a fuggire in Egitto. Il più santo Bambino è insidiato dalla perfidia di Erode. Spada acuta per Maria fu lo smarrimento di Gesù a dodici anni. Egli era rimasto al tempio; ma, nel triduo di ricerche che la madre fece quante ambasce e quanti dolori!
Quando, a trent'anni, Gesù salutò la madre per entrare nel ministero pubblico, la separazione fu penosa, nonostante che entrambi l'accettassero nella volontà di Dio. Separati col corpo,ma non collo spirito, Maria lo seguiva, lo ascoltava quanto poteva. Giungevano però alle sue orecchie, le voci dei nemici di Gesù, pieni di odio e di livore contro di lui. Lo volevano togliere di mezzo, e aspettavano il momento opportuno per non incorrere nello sdegno del popolo.
Ma, più acuta di tutte, fu la spada che trafisse la Vergine benedetta durante la passione del Figlio. Prima l'incontro di Gesù sulla via del Calvario. Una madre che incontra il figlio condannato a morte, sfigurato, sfinito, umiliato! «Percussum a Deo»4.
Durante la crocifissione, i colpi dei martelli si ripercuotevano nel suo cuore. Quando la croce fu elevata da terra, ella sentì l'urlo delle bestemmie | [185] di quella plebaglia inferocita contro Gesù. Accecata dalla propria ostinazione, indurita nel cuore non aveva accolto il Salvatore: voleva morto chi a prezzo di tanta pena le ridava la vita.
Maria assistette il Salvatore nelle tre ore di agonia. Che ore tremende dovettero essere! Non era un'agonia comune, quella. Qualunque madre soffre al letto del figlio; ma qui si tratta di una madre sensibilissima che amava il figlio non solo come uomo,
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ma anche come Dio, lo vedeva morire innocente ed in tanti dolori! Lei sapeva comprendere, più di qualunque santo, i dolori del corpo e dell'anima di Gesù. Quando vide Gesù piegare il capo, in segno di obbedienza al Padre e rendere lo spirito, Maria patì lo strazio supremo. In quel momento Gesù cessò di soffrire, ma non cessò di soffrire la madre. E, se Gesù non sentì allora il dolore fisico della lanciata al suo costato, Maria la sentì nella sua anima. Ecco Gesù deposto dalla croce e messo tra le braccia di Maria.
Ci sono due quadri che hanno sempre intenerito il nostro cuore: Maria al presepio; Maria nell'atteggiamento della pietà che stringe al petto la salma del Figlio. Il quadro della Regina degli Apostoli li riassume entrambi. Gesù viene presentato ai pastori ed ai Magi nel presepio dalla madre sua; Gesù viene ricevuto da Maria dopo la deposizione e l'umanità lo contempla vittima tra le sue braccia; pare che dica: Ecco il vostro Salvatore! Il sacerdote alla Comunione si volge al | [186] popolo e dice: «EcceAgnus Dei!»5. Maria, per prima, lo presentò ai pastori: «Ecco colui che toglie i peccati del mondo»6. E sotto la croce: Egli ha tolto i peccati dal mondo!7.
Altra trafittura dolorosa per Maria, fu l'accompagnare Gesù al sepolcro. Ogni madre soffre partendo dalla tomba del figlio; alcune non si reggono e svengono. Maria non soffre in un modo solo umano, ma ebbe la forza di stare sempre dignitosamente ritta.
Quando Gesù poi era salito al cielo, ella dovette attendere ancora lunghi anni prima di ricongiungersi con lui in cielo. Solo il Signore sapeva comprendere il cuore di Maria.

Tre applicazioni:

I. Maria paziente. Una creatura così santa, dopo Gesù, non la possiamo trovare. Immacolata nell'entrare ed uscire dal mondo, vita trascorsa in un continuo avanzamento, di virtù in virtù. Eppure le furono forse risparmiati i dolori? No. La differenza che si ebbe tra madre e figlio fu solo questa: Gesù soffrì una passione cruenta nel corpo, Maria patì dolori incruenti nello spirito; ma le
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pene di uno si riflettevano perfettamente nel cuore dell'altra. Avrebbe preferito morire lei, mille volte, anziché vedere il Figlio ridotto in quello stato. Però mai un lamento sulle sue labbra: né quando Simeone le fece intravvedere la serie dei dolori che l'attendevano, né durante la passione, né alla sepoltura di Gesù. Ella poteva esclamare: «O voi che passate | [187] per via, guardate se vi è un dolore simile al mio dolore!»8. Ma non emise un sentimento contrario al divino volere. Ecco il modello di pazienza!
Consideriamo: Maria soffre tutti i dolori che sono connessi con la sua missione. Gesù, come Redentore, soffrì quello che la sua missione richiedeva. Maria era la corredentrice e soffrì tutto quello che era inerente al suo ufficio.
Vi sono giorni in cui si desidera imitare qualche santo nelle sue penitenze talvolta straordinarie. Pensiamo: ogni anima e ogni santo ha la sua particolare missione. In primo luogo accetti bene le croci che sono legate alla sua missione. S. Antonio abate stava nel deserto, faceva digiuno e silenzio; vi sono invece uffici emissioni in cui molto occorre parlare: per esempio una maestra, una propagandista. Il silenzio del trappista e il parlare dell'educatore hanno lo stesso merito purché compiuti per amore a Dio.
Maria soffrì ciò che era connesso con la sua missione. Ogni istante del giorno, quasi celeste ambasciatore, porta all'anima un dovere ed una grazia per compierlo, con la promessa di un premio. Compiere il nostro piccolo dovere, senza ansietà e senza lentezza; ecco il primo e più importante segno di vera virtù; la principale dedizione; ed il segreto di una penitenza ordinaria ed accetta a Dio.
L'anima, dandosi con tranquilla ostinazione a questa vita di fedeltà incessante, ha il miglior | [188] modo di provare il suo amore a Dio. E come vive bene nell'oscurità e nell'annientamento! Chi mai supporrebbe che, sotto quel velo di puntualità costante, l'anima nasconda un immenso e puro amor di Dio?
Così è per voi. Soffrite con amore le pene della propaganda, parlate con sapienza e persuasione, dopo aver osservato il silenzio nelle ore in cui è prescritto. Invece di digiuni estenuanti, nutritevi, stando al vitto comune, per potervi mantenere nel lavoro della vostra missione. Dovrete sopportare la stanchezza in libreria, la stanchezza della propaganda, delle risposte sgarbate. E
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poi il lavoro porta anche disturbi di salute ; il corpo si logora; si morirà per le fatiche sostenute nell'adempimento dei nostri doveri.
In primo luogo dunque le penitenze di spirito e del corpo che vengono dall'esercizio della nostra missione. Sono le mortificazioni comuni. Non giova battere le spalle se la testa è dura. È inutile stringere i fianchi, se il cuore è pieno di umanità. Non conviene adoperare un cuscino di legno, se la testa è piena di pensieri capricciosi. La provvidenza sapiente ed amorosa di Dio ha disposto sul cammino della nostra vita una serie di mortificazioni che bastano a farci santi.

II. Maria ebbe di mira la redenzione degli uomini. Le stesse intenzioni di Gesù nella passione: riparare il peccato, riaprire il Paradiso, soddisfare per tutti gli uomini, Maria le ebbe fin dal primo momento in cui accettò di divenire la | [189] Madre di Dio. Maria fu corredentrice specialmente ai piedi della croce. Portò nel suo cuore le stesse intenzioni di Gesù.
Se si recita bene il Cuore divino, con le intenzioni per le quali Gesù si immola sugli altari, sono compresi i desideri con cui Gesù sofferse su la croce: la gloria del Padre, la pace degli uomini.
I cuori di Gesù e di Maria sono stati sempre uniti. Quando Dio annunziò il Messia nel paradiso terrestre, unì la Madre e il Figlio in una stessa missione. Il cuore di Maria ed il cuore di Gesù ebbero gli stessi palpiti. Gesù fu causa principale ed essenziale della nostra salvezza; Maria causa secondaria e vera, unita al Redentore. E in cielo sono ancora uniti. Gesù offre se stesso, vittima al Padre per i peccatori. Maria è il rifugio dei peccatori.Gesù è il nostro avvocato presso il Padre. Maria è la nostra avvocata presso Gesù.
Avere di mira la redenzione delle anime. Vi sono persone che fanno un lavoro non diretto, per sé, alle anime. Ma l'amore e le intenzioni lo renderanno ugualmente efficace per la salvezza eterna degli uomini.

III. [Maria regina dei martiri]. Gesù nelle profezie è detto: «Vir dolorum»9; Maria è chiamata «Virgo dolorosa» o l'Addolorata. Eccoli: Gesù è il capo dei martiri; Maria è la regina dei martiri.
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Gesù dalla croce dice a Giovanni: «Ecco | [190] tua madre!» e gli indica, con lo sguardo, Maria. Poi dice a Maria: «Donna, ecco il tuo figlio!» e le indica Giovanni10. Noi siamo diventati figli di Maria tra i dolori. In quel momento Maria è diventata nostra madre delicatissima e amorosissima. Da allora ella si è preso cura di noi, con il suo gran cuore, pieno di premure. Quanto siamo costati anche a Maria! La nostra riconoscenza sia anche per lei.
Dimostriamo di essere suoi figli. Tutto per lei, con lei, in lei. Maria non fece esagerati piagnistei e lamentele vuote: stette ritta; sosteneva Giovanni e le pie donne con la sua presenza. Trafitta, ma non avvilita; colpita, ma non vinta; dolente, ma confidente, ella imparò a conoscere meglio i dolori dei suoi figli. Da allora ebbe compassione per tutti i sofferenti: sofferenti nell'anima per i dubbi, gli scrupoli, i timori. Sofferenti nel corpo per i mille mali che affliggono l'umanità. Allora specialmente comprese l'ufficio suo di assistere tutti i suoi figli morenti. Quando un suo figlio è vicino alla morte, subito accorre, sollecita, come fu per Gesù sulla via del Calvario. Assiste, consola, eccita il cuore alla fiducia e al dolore durante l'agonia; anche visibilmente, dicono alcuni, nel momento supremo. Né abbandona i suoi figli dopo il transito. È la speranza anche per le anime purganti.
Ma noi siamo figli di Maria? Giovanni prese Maria in casa sua. Maria sia nella nostra mente, nel nostro cuore, su la nostra bocca: viviamo veramente come figli di Maria.

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Imitiamo la nostra madre nel contemplare spesso Gesù [191] crocifisso: «Stabat iuxta crucem Maria mater eius»11. Furono i beati momenti in cui la sua anima si arricchì dei più grandi meriti. Il suo amore a Dio ebbe la più grande prova, ma crebbe anche in una misura ammirabile. Con Maria addolorata ai piedi della croce, otterremo frutti e meriti simili.
Diceva S. Gabriele dell'Addolorata che per lui era come un paradiso la meditazione dei dolori di Gesù e di Maria.
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[192]
V
CONTEMPLARE IL CROCIFISSO*

Unica è la strada che porta alla vita ed alla pace interiore: la croce nella quotidiana mortificazione. Nella croce sta il tutto1, dice l'Imitazione; e tutta l'arte di santificarci dipende dal | [193] sapervi morire sopra, nello spirito con cui è morto Gesù Cristo. La pazienza fa i santi. «Se vi fosse stata via migliore il Maestro divino l'avrebbe scelta per sé e l'avrebbe insegnata a noi»: invece ha preso per sé ed ha indicata a noi la via della rinunzia, della mortificazione, della croce2. Per questa via ha voluto che passassero la sua santissima Madre ed i suoi santi. «Nella croce è salute, nella croce è vita, nella croce è difesa dei nemici, nella croce è infusione di celeste soavità, nella croce è vigore di mente, nella croce è gaudio di spirito, nella croce è la somma delle virtù,nella croce è perfezione di santità»3. La pietà che trascura il Crocifisso è fiacca e scarsa di frutti; anzi, neppure è pietà.

Fecondità della contemplazione del Crocifisso

«La contemplazione dei dolori di Cristo, dice Dom Marmion,in Cristo nei suoi misteri, è al sommo feconda. All'infuori dei sacramenti e degli atti liturgici, non v'è pratica più utile alle anime nostre della Via crucis percorsa con divozione. Grandissima ne è la soprannaturale efficacia; contemplando Gesù nella sua passione, noi vediamo l'esemplare della nostra vita; il modello, ad un tempo mirabile ed accessibile, di quella virtù di compunzione, di carità, di dolcezza che dobbiamo praticare per diveniresimili al nostro divin Capo. Ad ogni stazione, il nostro divin Salvatore si presenta a noi con questo triplice carattere: di mediatore che ci salva mediante i suoi meriti, di perfetto modello di virtù
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sublimi, di causa efficace che , mediante la sua divina onnipotenza, può | [194] realizzare nelle anime nostre le virtù di cui ci dà l'esempio»4.
«La devozione a Gesù crocifisso fu per secoli e secoli la grande e quasi unica devozione delle anime cristiane. Dinanzi al Crocifisso, si prostravano i re ed i guerrieri, i grandi e gli umili, affratellandosi in colui che dette il sangue e la vita indistintamente per tutti.
Ogni cosa, nei tempi di fede, si intraprendeva e si compiva col Crocifisso alla mano: le grandi crociate, le meravigliose fondazioni, le conversioni delle masse e fin la scoperta di nuovi mondi.
L'immagine del Crocifisso si trovava in tutte le case, dalla reggia al povero tugurio; attorno ad essa si riuniva la famiglia, chiedendo ed ottenendo benedizione e grazia, forza e rassegnazione, pentimento e perdono.
Il bambino si abituava a quella vista fin dalla più tenera età. La storia della passione di Cristo era uno dei primi racconti da lui uditi, e sui quali piangeva. Imprimendosi profondamente nell'anima sua, gli faceva trarre dall'intelligenza dell'infinito dolore di un Dio-umanato, il sentimento del valore dell'anima, e rafforzando la fede, la speranza e l'amore lo spingeva spesso, inseguito, ai grandi eroismi.
Infatti, i nostri antichi santi, veri giganti di virtù, divennero tali contemplando a lungo il | [195] Crocifisso. Gesù, dalla sua croce, come da cattedra, si fece loro Maestro, ed essi l'ascoltarono; come da trono regnò su loro, ed essi lo seguirono; come da talamo nuziale si disposò dalla croce alle anime loro, assetate d'amore, avide di dolore e di sacrificio, ed esse s'immolarono per lui.
Ma pian piano, la fede si affievolì: il Crocifisso venne bandito dalla famiglia, dalla scuola, da tutto... Lo cercò invano l'inferno sul letto del suo dolore; invano nel suo tribunale l'innocente ingiustamente condannato; e nel carcere tetro e buio, il povero prigioniero che la dura prova portava alla luce ed al pentimento.
Bandito il Crocifisso dalla società, il gelo entrò nel mondo, e con esso la ribellione e l'ingiustizia. Le anime incominciarono a
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languire e si spensero gli eroismi degli antichi tempi. Tra le stesse anime pie, molte parvero trascurare il Crocifisso, ma tanto ritardarono il loro cammino.
Cristo è Re e vuol regnare; è amore e vuole il nostro ricambio; ha sofferto, ha versato tutto il suo sangue, e vuole che questo sangue da noi si raccolga, si veneri, si adori; che il suo dolore si comprenda da quelli per i quali lo ha sofferto. Il Crocifisso, col capo piegato, quasi a dare alle anime nostre il bacio del perdono e dell'amore, colle braccia aperte, per abbracciarci tutti, col costato ferito per additarci la via al suo cuore, non vuol più rimanere quasi un estraneo alle sue creature: "Quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me"5, disse egli, e vuole che questo suo desiderio si compia. | [196] Ci vuol tutti al suo amplesso.
Ed ecco, infatti, il Crocifisso tornare in onore. I nostri bambini italiani lo rivedono nelle scuole e nelle famiglie. Le anime riprendono la via del Calvario dietro gli apostoli della Via crucis. Le sante piaghe tornano in venerazione, e il compatimento ai dolori di Cristo ricomincia a farsi più intenso.
S. Teresa del Bambino Gesù divenne apostola contemplando una mano piagata del Crocifisso; e negli abissi di umiliazione e di dolore celati nel segreto del sacro volto e da essa compresi, attinse tesori d'umiltà e di dolore»6.
«Per timore di impressionare, si nascondeva totalmente agli infermi l'appressarsi della morte, privandoli così della grazia e del conforto degli ultimi sacramenti; e ai bambini non si parlava della passione di Gesù, mentre si lasciava poi loro udire ogni racconto emozionante e vedere al cinematografo scene raccapriccianti.
Tutte arti del nemico che vuole impedire all'amore di Gesù di regnare nei cuori.
La passione di Gesù produce nell'animo del fanciullo effetti salutari; è un'impressione dolce e soave: tutto il resto ha funeste conseguenze.
Una vera madre cristiana, la M.sa E. T., proprio in Lucca, dovendo praticare al suo figlioletto delle penosissime iniezioni che lo facevano piangere, ricorse a questo mezzo: prima di accingersi
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cingersi al doloroso compito, prendeva sulle ginocchia il suo piccolo Alessandro, e con amore parlava un poco della passione di Gesù. Il caro | [197] bambino sentendo il bisogno del ricambio, da se stesso chiedeva l'iniezione, sopportandola poi non solo tranquillamente, ma con gioia. Questi sono esempi da imitarsi!»7
Una missione speciale di ricondurre le anime al Crocifisso fu dal Signore affidata a S. Gemma Galgani.
«Lucca è, per eccellenza, la città del Crocifisso, detta per antonomasia città del Volto santo. Là Cristo faceva di Gemma Galgani "un frutto della sua passione, un germoglio delle suepiaghe".
"Se l'affetto che tante volte hai detto di serbarmi nel tuo cuore è vero, egli dice, io voglio che tu porti in te stessa scolpita la mia immagine. Guardami, mi vedrai trafitto, deriso da tutti, morto in croce; invito te pure a morire in croce per me". E le si fa vedere tutto coperto di piaghe, l'avvicina a sé, ed essa, a una a una amorosamente gliele bacia, invitando poi tutte le anime ad amare 'l'Amore non amato', a nascondersi in quelle piaghe ed in quel cuore.
Venite tutti, ma tutti, ella esclama, a compatire Gesù!... Tutti adoriamo la passione di Gesù, tutti!... Andiamo tutti a Gesù in croce!... Via... venite. Andiamo a raccogliere il sangue di lui,che tanto ne ha sparso!
Oh, se tutti i peccatori venissero al tuo cuore!... Venite, peccatori, non temete, ché la spada della giustizia qua dentro non arriva. Ma perché, Gesù, il tuo cuore così buono, così santo, | [198] ha da essere il più tormentato di tutti?... Oh, è pur bello il tuo cuore!... Io vorrei che la mia voce arrivasse ai confini del mondo... Chiamerei tutti i peccatori, direi che entrassero tutti nel tuo cuore...".
Il voto di Gemma si è realizzato. La sua voce, così debole un tempo, si fa udire per tutto il mondo e giunge ai più lontani confini. La sua vita, tradotta in molte lingue, si è diffusa con rapidità sorprendente: voce che scuote, che converte, che stimola, che stringe le anime al Crocifisso: ne fa amare le piaghe, ne fa raccogliere il sangue e ne dischiude il cuore»8.
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Mezzi per crescere nell'amore al Crocifisso

Il segno della croce. Devo usarlo spesso. Dice S. Efrem: «Non fare alcuna opera senza il segno di croce; sia che vada a letto, sia che ti levi; sia che ti metta al lavoro, a tavola, in viaggio... tutto incomincia e chiudi col segno di croce. Con esso benedici le tue membra, ti fortifichi nel lavoro, hai una difesa contro i pericoli»9.
Devo usarlo bene: compierlo con gravità e lentezza; con amore e fede, ricordando i misteri della redenzione, unità e trinità di Dio; pronunciando le parole distintamente e tutte; facendo una croce compita nelle sue parti; edificando chi assiste, specialmente i giovanetti.
Devo ammaestrare gli altri a far bene il segno di croce, sapendo che un semplice segno di croce ci applica i frutti della redenzione, caccia i demoni, benedice la nostra mente, la nostra volontà, il nostro cuore e le cose nostre.
S. Andrea condotto al martirio, appena giunse | [199] in vista della croce, non potendo sostenere la sua intima gioia, esclamò: «O buona croce che sei stata nobilitata e santificata dal contatto delle membra di Gesù Cristo; croce desiderata da tanto tempo, da me amata con intensità, cercata in ogni occasione, ricevimi, accettami, portami; da questo misero mondo fammi arrivare al mio Maestro; egli che mi redense con la croce, si degni accogliermi per mezzo di una croce»10.

La pazienza è tollerare con serenità i mali; non per insensibilità, non per stoicismo, non per orgoglio; ma per amore di Dio e di Gesù crocifisso, in penitenza dei peccati, per acquisto di meriti. «Nella pazienza salverete le vostre anime»11.
Materia di pazienza. Per quattro vie ci vengono i mali: da Dio, dal demonio, da noi, dagli uomini. Dagli uomini le contraddizioni, dal Signore i flagelli, da noi stessi i peccati e le conseguenze.
In che modo sopporto la diversità di carattere delle persone con cui convivo o con cui tratto? In che modo le ingiustizie, le
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calunnie, le mormorazioni, le opposizioni? Me ne lamento? Le interpreto in bene? Ne scuso le mancanze? Ho avuto per esse invidia, odio, rancore? Forse mi sono vendicata, le ho schivate, rimproverate con amarezza, o dato segni di disprezzo?
So adattarmi alla varietà delle stagioni, al freddo, al caldo,alla pioggia, al vento, alla siccità ed alle altre cause di molestia e di pena? E quanto ai dolori del corpo, agli incomodi di salute,alle cure penose, so adattarmi con facilità, o | [200] con cattivo animo e tristezza? Accetto rassegnata la morte con i dolori e le pene che il Signore vorrà l'accompagnino? Accetto pure la perdita, la separazione, l'abbandono delle persone care? So sopportare la perdita dei beni temporali?
Se le ansietà di spirito, le desolazioni, le aridità, la tristezza mi assalgono, come mi conforto? E gli scrupoli, le distrazioni, la violenza contro i miei gusti?
Se ho peccato ora accetto in penitenza la vergogna nel confessarmi, la lotta interiore per non ricadere, le conseguenze di disonore e di danni che mi sono venuti? Se devo mutare di posto, di ufficio, di compagnia sono pronta al divino volere?

Vi sono tre specie di pazienza. Cioè: sopportare con rassegnazione. Questo è necessario per salvarsi. Inoltre, sopportare volentieri, e questo è virtù delle anime grandi. Terzo: sopportare con gioia, e questo fu praticato dagli Apostoli e da certi martiri. Ed io ho una pazienza senza turbamenti? Continuo con fedeltà i miei doveri, senza trascurarli od abbandonarli?
Oppure: arrivo a sopportarli volentieri, convinto della loro utilità, ringraziando il Signore che li manda? Tratto chi fu causa di dispiacere come un benefattore, lo scuso, lo lodo, prego per lui? Oppure: godo sinceramente delle sofferenze? Le preferisco alla vita di soddisfazione? Vado in cerca e mi procuro penitenze? Bacio la mano di | [201] Dio che mi percuote per mia salvezza e santificazione? Arrivo qualche volta a dire: «Ancora, o Signore, ancora!». «Non voglio altra gioia ed altra gloria che la croce»12. «O patire, o morire»13. «Non morire, ma patire»14. «Soffrire ed essere disprezzato per voi, o Signore».
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O benedetto ed amabilissimo Gesù, terrò sempre presente quanto diceva S. Antonino: «La pazienza rende invincibile l'uomo nella lotta; vince i nemici, anche più ostinati; li umilia e li converte; merita una grande corona di gloria»15.

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«Un giorno Gesù crocifisso si mostrò a Gemma; indicando le sue piaghe le disse: "Guarda come si ama. Vedi queste piaghe, queste spine, queste lividure? Vedi questi chiodi, questi squarci,questa croce? Sono tutto opera di amore infinito. Vedi a qual segno ti ho amata? E tu mi vuoi amare? E amare davvero? Impara a soffrire; il soffrire insegna ad amare"». Ed a Gemma fu preparata una serie di prove dolorose, di tristezze, incomprensioni, calunnie, persecuzioni, abbandoni; ed anche odio, schiaffi, disprezzi, povertà estrema, tenebre densissime dell'anima. Ma ella aveva il divino Modello sempre presente; la sua risposta era sempre la medesima: Si faccia, o Padre, non la mia, ma la vostra volontà»16.
«Un giorno Gemma, oppressa più del solito, dice con templicità a Gesù: "Non ne posso più". | [202] Ma Gesù risponde: "Figlia,anch'io non ne posso più dei cattivi trattamenti che ricevo dagliempi. Ma tu, con la sofferenza, trattieni i castighi che il Padre ha preparato per tanti peccatori. Guarda in che modo mi trattanooggi le persone del mondo. Io sono assai sdegnato contro chi mioffende"»17.
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[203]
VI
LA PASSIONE EUCARISTICA DI GESÙ CRISTO*

Certamente vi sono anime più portate a considerare la passione eucaristica che Gesù continua sugli altari, che non meditare i dolori sofferti da Gesù sul Calvario. Ma, in un caso e nell'altro, dobbiamo sempre pensare che Gesù è vivo, vero, reale, vicino a noi. Egli continua la sua passione nell'Eucaristia. Tutto quello che | [204] capita di doloroso e di umiliante a Gesù nell'Eucaristia, egli l'ha realmente sofferto nella sua passione millenovecento anni or sono. Gesù è Dio e per Dio tutto è presente, non c'è il passato né il futuro.

I. La presenza reale di Gesù nell'Eucaristia. Nell'Eucaristia vi è il Bambino nato da Maria, che vagiva nel presepio, che visse con lei a Nazaret; vi è il giovanotto che lavorava da falegname con S. Giuseppe; vi è il Maestro divino della vita pubblica che predicava e accoglieva la Maddalena; vi è il Crocifisso che Maria assisté sulla croce, vi è Gesù glorioso che ora è in Paradiso; vi è Gesù che sarà il giudice nostro, il nostro premio. Gesù è nell'Eucaristia vivo e vero, Dio e uomo, in corpo, sangue, anima e divinità; col Figlio incarnato vi è anche il Padre e lo Spirito Santo; attorno a questa augusta Trinità, vi stanno gli angeli adoranti.
Infatti: Gesù ha voluto restare con noi. Quando gli uomini lo volevano togliere dal mondo, Gesù si stabilì per sempre nel mondo: «Prendete e mangiate; questo è il mio corpo»1.
S. Tommaso osserva che nell'Eucaristia, Gesù si è umiliato di più che nella passione, perché là era nascosta solo la divinità, mentre qui è nascosta anche l'umanità. Qui si vede solo un po' di pane. Gesù, facendosi uomo, ha profondamente umiliato se stesso; ma nell'Eucaristia | [205] si è abbassato ancora di più, è scomparso rispetto ai nostri sensi.
In Paradiso canteremo la grande misericordia e la grande umiltà di Gesù. Ma perché egli si è messo in tale stato? Per cibare
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le nostre anime. Egli si mostra a noi come pane: noi non avremmo potuto mangiare carne umana; e allora Gesù fece questa ineffabile invenzione d'amore. Il pane per sé non ha vita né movimento. Se Gesù vuole entrare nei cuori, bisogna che il sacerdote lo porti.
Nel Getsemani Gesù rimase solo durante la sua agonia di sangue. Nell'Eucaristia egli passa notti intere solo, abbandonato, senza che un cuore palpiti per lui. Vi sono chiese che o non si aprono affatto, o si aprono solo per brevissimo tempo. Gli uomini riempiono le vie e le piazze; pensano ai loro grandi affari; per Gesù non hanno un pensiero.
Non solo. Gesù è esposto a tutte le vicende cui va soggetto il pane. È avvenuto che le ostie consacrate siano state consumate dalle formiche o da altri animali. Gesù ha preveduto e patito tutto questo quando istituì l'Eucaristia. Le sacre specie furono talvolta rubate, calpestate, bruciate negli incendi; spesso riceve irriverenze cominciando dalle donnette che fanno preghiere e riverenze ai santi in chiesa, senza un saluto al Signore, fino ai sacrileghi; è tutta una serie di torti o gravissime offese che si consumano contro il divino abitatore del tabernacolo. Anni fa si pronunciava una bestemmia speciale contro | [206] l'Eucaristia; il popolino diceva che chi vi si abituava maliziosamente non si sarebbe salvato, perché non avrebbe avuto la grazia di ricevere i sacramenti in morte. Con questo, però, non si toglie la speranza del perdono.
La presenza reale rinnova la passione di Gesù. Quante chiese sconsacrate dai cattivi, ridotte a luoghi indecenti, profanate usandole per servizi profani. Ma voi siate le lampade viventi e ardenti per Gesù! Ogni suora, all'ora della Visita, dovrebbe sentire le parole che Gesù rivolse a S. Margherita M. Alacoque: "Almeno tu amami!". Come si consola il cuore di Gesù nel vedere la premura che nutrite per le vostre chiesine! Saranno povere, ma anche il fiore campestre e più comune, presentato con amore, ha gran valore. Gesù non guarda tanto le sete, i marmi, i fiori, l'arte, quanto il cuore. Se aveste anche solo due monetine, come la vedova del Vangelo2, il vostro obolo sarà molto gradito a lui che lo presenterà al Padre col vostro nome e col vostro amore.
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II. Comunione. Gesù stava seduto a tavola con i suoi discepoli più cari. Li aveva tutti attorno a sé. Forse nelle stanze adiacentivi era la Vergine con le pie donne. Non è certo, però non è improbabile. Erano i suoi amici, i confidenti, gli Apostoli. Gesù stava per lasciarli e doveva dar loro l'addio come un padre morente ai suoi figli. Ma egli vedeva già che gli Apostoli, nella notte, lo avrebbero abbandonato; Pietro lo | [207] avrebbe tradito e Giuda sarebbe giunto al punto di darlo in mano ai suoi nemici; tuttavia, a questi ingrati egli preparava il segno più grande dell'amor suo. Lavò loro i piedi, li baciò; li lavò e li baciò anche a Giuda3. E poi spezzò il pane dicendo: «Questo è il mio corpo, mangiatene tutti». Poi diede il calice dicendo: «Questo è il calice del sangue mio che sarà sparso per voi: bevetene tutti» 4. E gli Apostoli presero il pane e lo mangiarono, presero il calice e bevvero.
Gesù è diventato cibo: quale umiliazione! Il cibo si digerisce e si consuma: e così l'Eucaristia, quando segue le evoluzioni della digestione, si consuma e allora scompare la presenza reale.
Saranno tutti degni quelli che ricevono la Comunione? Oh,quante anime fredde e quanti cuori indifferenti rinnovano la passione del Signore nell'Eucaristia! E quanti sacrilegi anche e specialmente nelle comunità religiose! Il diavolo tiene lontani i mondani dalla Comunione, ma inganna le anime pie o coll'amor proprio o colla pretesa di farsi vedere buoni.
Ed a quella prima Comunione della cristianità vi era un discepolo che amava ed era amato; ma vi era un discepolo sacrilego che attendeva il momento opportuno per tradire il Maestro e consegnarlo ai nemici.
Dopo la Comunione sacrilega, satana entrò nell'anima di Giuda. Non Cristo, ma il diavolo. E quale insulto mettere il Signore, innocentissimo, in compagnia del diavolo! È il bacio di Giuda a Gesù. La Comunione è un bacio, ma il | [208] sacrilegio lo rende segno di tradimento. Piuttosto cento Comunioni di meno,che una sola senza essere tranquilli di coscienza! Non bisogna però, con questo, cadere negli scrupoli, credendosi tenuti a lasciare la Comunione per futili motivi. Se il confessore ha dato una regola, lo si obbedisca.
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III. L'Eucaristia è il sacrificio della nuova legge. La Messa è Gesù crocifisso portato sugli altari nostri. È il Calvario in chiesa. Quello che avvenne là, a Gerusalemme, viene rinnovato qui, permano del sacerdote, per applicare i frutti della passione. Il Signore compì il suo sacrificio, ma non volle che fosse compìto una volta sola; lo volle continuato per la salvezza delle anime. Difatti la Messa ha la medesima Ostia, lo stesso offerente principale ed i medesimi frutti della croce. «Recolitur memoria passionis eius»5.

I frutti della Messa sono principalmente quattro:
Generalissimo: Per tutti gli uomini, per i viventi, per il Purgatorio, per i Beati che si rallegrano in cielo. Dà gloria a Dio e bene alle creature.
Generale: Per chi assiste alla Messa o la serve o canta; per chi aiuta i sacerdoti con borse di studio, per chi prepara il vino, la cera, le chiese, ecc.
[209] Speciale: Per chi la fa celebrare. E qui è da ricordarsi l'applicazione delle SS. Messe per i nostri cooperatori e benefattori.
Specialissimo: Inalienabile del sacerdote: l'aumento particolare di grazia e gloria che ottiene come ministro di Cristo e dispensatore dei misteri di Dio.
Sono anche quattro i fini per cui si offre la Messa: gli stessi che ebbe Gesù sulla croce: adorazione, ringraziamento, supplica ed espiazione.
La passione non è lontana nel tempo; è nelle nostre chiese, l'avete con voi. Il Crocifisso non fu solo a Gerusalemme, ma è ancora dappertutto: vivo e vero. Abituatevi a pensare che la passione eucaristica è molto vicina a voi nel tempo e nello spazio: sia come presenza reale, sia come Comunione e sia come sacrificio.

Indifferenza, disprezzo all'Eucaristia

«L'amore non è amato». Prima categoria di quanti disprezzano Gesù-Ostia: coloro che non vi credono. Son tantissimi. Da quando gli uomini si inorgoglirono della loro scienza, più non
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vollero sottomettere l'intelletto a Dio ed alla Chiesa, sono infelici. Beati invece quanti credono a questo mistero d'amore: dove l'occhio, il tatto, il gusto si ingannano6. «Beati qui non videruntet crediderunt»7.
La seconda categoria comprende coloro che credono, ma [210] vivono come se non credessero all'Eucaristia. Non visitano Gesù, non lo ricevono, non assistono alla Messa.
Alla terza categoria appartengono coloro che credono ma in chiesa si comportano male e sdegnano di inginocchiarsi alle processioni; si può piuttosto dire che provocano Gesù alla vendetta, invece di guadagnarne la misericordia. Almeno il comportamento in chiesa delle anime consacrate a Dio fosse sempre fatto di fede, di amore e di pietà!
Alla quarta categoria appartengono coloro che impediscono il culto pubblico a Gesù Cristo, che ostacolano il ministero sacerdotale, ritardano od impediscono il viatico agli infermi. Non vogliono che Cristo Eucaristico regni nel mondo.

In riparazione

Zelare il culto eucaristico: scrivere, stampare, diffondere fogli, libri, opuscoli sull'Eucaristia. Essere apostoli dell'Eucaristia. Gesù tace! Ma parlino il vostro amore e le vostre edizioni.
Tutto far partire dal tabernacolo e tutto indirizzare alla gloria di Gesù Eucaristico e in Cristo, con Cristo, per Cristo al Padre.
Anche il comportamento esterno, la genuflessione, la cura del ciborio, delle sacre suppellettili, della chiesa mostrino la nostra fede.
Soprattutto pensare all'anima propria: la Visita prepara alla S. Messa ed alla Comunione. | [211] Il frequente intrattenersi ed il trattare familiarmente con Gesù producono l'amicizia, la somiglianza, l'identità di pensiero, di sentire, di volere con Gesù.
Mosé scrisse: «Non vi è altra nazione così grande che abbia i suoi dei così vicini quanto il nostro Dio sta vicino e attento alle nostre suppliche»8. Occorre dire questo del divino Ospite del
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tabernacolo: è Dio con noi! I religiosi poi lo hanno più sensibilmente vicino: egli abita nelle loro case; è il principale religioso, il religioso del Padre. È l'amico con gli amici; è uno della famiglia, il padre con i figli. «Riceverete il centuplo!» preambolo di quella coabitazione e conglorificazione che ci si prepara in cielo, «possederete la vita eterna»9. Perciò al religioso convengono quelle parole: «Quanto amabili sono i tuoi tabernacoli, o Signore! L'anima mia arde d'amore per essi!»10.
Gesù-Ostia, Dio abbandonato! «Dereliquerunt me, fons aqua evivae!»11. Eppure: «Iesus adest et vocat te»12.
Fare la Visita al SS. Sacramento: con le intenzioni di adorare, ringraziare, dare soddisfazione e supplicare Gesù-Ostia. Considerare Gesù come Sacerdote, Re, Maestro, amico intimo e indefettibile, confidente del religioso.
Abbreviare le conversazioni con gli uomini, che lasciano quasi sempre il cuore vuoto; ripetere spesso brevi visite, ardenti saluti, invocazioni umili al divino Ospite. Nelle tentazioni, timori, prove, gioie, sempre mettere a parte ed offrire | [212] a Gesù, parlando con semplicità, quello che passa nei nostri cuori; così i desideri, le preoccupazioni, il lavoro; invocando per ogni cosa il suo aiuto.
Nelle Visite considerare poi, in modo speciale, Gesù in quanto è la Verità che ci istruisce, la Via da tenere, la Vita che si deve vivere. Ricordare in ogni Visita l'apostolato delle edizioni, libri, cinema, radio, supplicando il Maestro divino ad illuminare i ciechi, confortare i deboli, santificare chi insegna e chi apprende.
Riparare i peccati che si compiono e gli scandali dati da chi abusa dei doni di Dio e dei mezzi di santificazione, per la rovina. Il desolante abbandono in cui è lasciato Gesù, ispirerà pure atti di amore, l'offerta del cuore, la riparazione al cuore eucaristico del Salvatore.
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[214]
VII
COMPIERE LA REDENZIONE*

S. Paolo ai Corinti scrive: «Aemulor enim vos Dei aemulatione: sono geloso di voi della gelosia di Dio»1. Li voleva tutti interamente di Cristo; i suoi desideri, i suoi disegni su quelle anime erano quelli di Dio stesso. Lo zelo nasce dall'amore, si nutre di amore, finisce nell'amore. Zelo e amore sono inseparabili. Perciò S. Agostino dichiara che chi non zela non ama: «eum qui non zelat non amare». Perciò lo zelo viene | [215] definito un frutto della vera carità, che mira a questo: che quel Dio che l'apostolo ama venga pure amato, servito e conseguito dal prossimo. La preghiera ed il lavoro spirituale servono a voi, l'apostolato per le anime.
Secondo fine e compito delle Figlie di San Paolo è l'Apostolato delle edizioni. Farebbe male la Figlia di San Paolo che volesse attendere solo a sé e non impiegarsi in opere di zelo. Conoscete S. Tecla, S. Teresa di Gesù, la S. [Francesca Saverio] Cabrini, la B. [Maria Domenica] Mazzarello, la B. Maria Teresa [de'] Soubiran2, ecc.; quale fuoco in quei cuori, quali ideali in quelle anime, quali fatiche ed iniziative nelle loro vite! E perché?

Gesù, il Redentore

Il Figlio di Dio è disceso dal cielo e si è incarnato per salvare gli uomini perduti per il peccato: «Propter nos homines et propter nostram salutem»3. Tutti eravamo esclusi dal Paradiso e privi di ogni dono soprannaturale. E da noi medesimi non avremmo mai potuto riparare le nostre colpe. Era necessario che il Salvatore venisse. Ed è venuto. Ci ha tracciato la via del cielo, affinché sappiamo come camminare. Condusse vita perfetta, dandoci esempi perfettissimi di virtù individuali, domestiche e pubbliche.
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Inoltre ci ammaestrò, rivelandoci le verità altissime che ci vengono ripetute dalla Chiesa. Redense l'uomo, istituì i sacramenti, stabilì il sacerdozio perché continuasse il suo ministero sino alla fine dei secoli. Morì per noi sulla croce: «Dedit semetipsum | [216] redemptionem»4. Agli uomini è stata portata, dal cielo, ogni sorta di beni.
La redenzione è compiuta. Essa è come una fontana; ma se non andiamo ad attingere o a bere, essa sarà per noi inutile. Tesori immensi di cielo, ma occorre chi li distribuisca. La redenzione è fatta, ma se il sacerdote non predica e battezza, i pagani rimangono nell'ignoranza e nelle tenebre spirituali e nell'ombra di morte.
Il mondo è redento, ma se la redenzione non si applicasse agli uomini, a che gioverebbe? Sarebbe come un tesoro chiuso nello scrigno, mentre la miseria domina. Sarebbe un pane abbondante e desiderato, ma senza chi lo spezzi; le anime muoiono di fame e di inedia.
Ecco che cosa dobbiamo concludere. Aiutare Gesù Cristo, col nostro zelo, a salvare le anime. Portare la redenzione a compimento. Egli vuole salvare gli uomini per mezzo degli uomini.E, in primo luogo, deve operare il sacerdozio, cioè quelli a cui Gesù disse: «Andate in tutto il mondo, predicate il Vangelo adogni creatura»5 e in secondo luogo, tutti i religiosi di vita apostolica. In terzo luogo vi è la cooperazione del laicato cattolico.
Che cosa deve fare l'apostolato delle Figlie di San Paolo? Esso è l'imitazione dell'apostolato di Maria Regina degli apostoli. Non diamo nulla di nostro. Perciò togliamo ogni amor proprio che avvelena ogni frutto. Noi diamo quello stesso Gesù che abbiamo ricevuto: «Ciò che ho | [217] ricevuto lo comunico a voi»6; la medesima verità, il medesimo Vangelo, la medesima fede.
Il S. Cottolengo diceva che la Provvidenza aveva mandato tutto alla Piccola Casa7. La padrona ne era essa, solo essa, perciò il suo stipendio da canonico non lo portava nella Piccola Casa, ma lo distribuiva ai poveri per strada, perché non voleva guastare l'opera della Provvidenza.
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Così, nel nostro apostolato, non dobbiamo mettere nemmeno un briciolo d'amor proprio.
La Vergine benedetta fu la più umile e offrì al mondo Gesù Cristo nella sua semplicità. Si dà Gesù Cristo in tante maniere: a voi è assegnato l'Apostolato delle edizioni. È la parola di Dio portata agli uomini.

L'apostolato, secondo fine della vita paolina

L'apostolato è un dovere del vostro stato; esso forma il secondo fine della vostra vita religiosa; ed è specifico.
1) Redazione. È la parte più delicata. Costituisce un pregio per la vostra Congregazione. Ha in sé molte difficoltà, però anche meriti proporzionati.
2) Tecnica. È di grande importanza perché moltiplica la parola di Dio. Il suo pregio sta in questo: che la parola di Dio sia data non ad una sola persona, ma a molte, affinché arrivi a tutti la conoscenza dei mezzi di salute. Un desiderio di S. Alfonso nel cuore di ogni Figlia di San Paolo. Questo santo avrebbe voluto che del suo libro: Del gran mezzo della preghiera si | [218] stampassero tante copie quanti sono gli uomini della terra, affine di far comprendere a tutti la necessità e l'efficacia della preghiera.
Sarà possibile moltiplicare le nostre edizioni in modo da offrire almeno un catechismo ad ogni uomo? I catechismi illustrati che avete preparati, stampati e diffusi, contengono in breve, ciò che si richiede per salvarsi, esposto in modo molto facile e reso più efficace con le figure. La macchina li ha moltiplicati.
3) La propaganda o diffusione. Non è la parte più delicata,ma la più necessaria. Richiede tanta intelligenza, salute, zelo. Se la redazione produce e presenta il pensiero di Gesù Cristo, la propaganda lo fa arrivare. Infatti, tra i comandi speciali dati da Gesù Cristo agli apostoli, il principale è questo: «Andate nel mondo intero, e predicate a tutte le creature»8. Notate: «... mondo intero... tutte le creature». La propaganda sembrerà meno nobile, più faticosa? Sotto certi aspetti, lo è: ma è esercizio di carità e di umiltà; è segreto di riuscita per la Congregazione; entra
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nel secondo fine dell'Istituto; è di immenso merito innanzi a Dio.
La propaganda si può fare in tante maniere. In quest'anno date uno sguardo speciale alla propaganda da casa. Nei primi tempi dell'Istituto, la propaganda si faceva solo e sempre da casa, e molto efficacemente. È la prima e principale via di diffusione questa. Per la propaganda occorrono abilità fisiche, morali ed intellettuali. La | [219] salute; ma quelle che ne hanno poca da casa possono compiere molti uffici. Chi dovesse forse anche solo passeggiare perché inferma, offra i passi per le sorelle che camminano portando verità, via, vita. L'apostolato da casa è possibile anche alle deboline. Le propagandiste siano nutrite bene, siano sostenute moralmente, siano circondate di affetto.
Occorrono poi, condizioni morali per fare utilmente la propaganda dalla libreria, o a domicilio. Ciò richiede virtù: semplicità, zelo, prudenza. Ma quel Gesù che vi ha elette, ha fatto le cose complete: al dovere ha legato una grazia ed un premio. Se pregate, il Signore vi darà l'aiuto opportuno per compiere l'Apostolato delle edizioni che la Chiesa vi ha affidato; e in tale apostolato santificare le anime vostre.
Si richiedono attitudini intellettuali. La propaganda si fa con la testa non con i piedi. I passi sono soltanto mezzi per rintracciare gli uomini. Non credere che la propaganda sia da lasciarsi a chi ha meno intelligenza. Chi fa la propaganda, deve conoscere gli argomenti di tutti i libri, almeno in modo riassuntivo, come risultano dalle recensioni; conoscere il bisogno speciale delle anime e delle varie categorie di persone; conoscere le vie per arrivare più presto, più largamente, più stabilmente.
Bisogna essere generose, inventive, umili, | [220] delicate, pronte, inesauribili nelle iniziative, riguardose. L'apostolato fatto con amore, con invenzioni e mezzi sempre nuovi, da una parte è faticoso, e dall'altra espone la suora a dei pericoli. Ma la preghiera dalla prova frutta merito, pace e benedizione. Sarete come gigli circondate dalle spine e colombe che appena sfiorano la terra. Avete la difesa proprio là, dove tutto sembra pericoloso.
Contate su Dio e sulla vocazione; troverete innumerevoli ripieghi per fare tanti passi e parole in meno e tanto bene in più.
Rimanga anche fisso nell'anima il pensiero delle vocazioni. Siano numerose e scelte, perché da una parte l'apostolato è ancora un po' incompreso, e dall'altra il numero delle anime a cui bisogna arrivare, è molto grande.
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Esame su lo zelo.

a) Gesù diceva di sé: «Sono venuto a portare il fuoco su laterra: e quale desiderio potrei avere fuori di questo, che esso divampi?»9. Questa è pure la missione di ogni persona che si consacra all'apostolato.
Il fuoco illumina: portiamo la verità con tutti i mezzi: parola, stampa, cine, radio, conferenze, scuole, consigli?
Il fuoco riscalda: eccitiamo il coraggio con il buon esempio,con la parola, con l'organizzare il bene? Promuovo le biblioteche, la lettura del Vangelo, gli abbonamenti ai periodici?
Il fuoco arde: ho desideri infuocati? Compio l'apostolato della preghiera? Considero l'ardore | [221] di zelo di S. Paolo, del cuore di Maria per le anime?

b) Il vero zelo è:
Puro: cioè, ha di mira non la propria gloria ma la gloria di Dio; non il proprio tornaconto, ma la salvezza delle anime.
Largo: si estende ad ogni qualità di persone, specialmente alle masse dei poveri, operai, agricoltori; peccatori, giusti, specialmente se uomini.
Forte: nelle prove, nelle difficoltà, negli insuccessi; sopportando ingratitudini; vincendo ostacoli.
Sincero: avendo prima cura dell'anima propria; usando mezzi ragionevoli; operando nel momento conveniente.
Prudente: avendo riguardo alle circostanze di tempo, di persone, di luogo; dandosi alle opere che altri non compie; considerando: chi, che cosa, con quali mezzi, perché opera.

c) Lo zelo ci conforma al divin Maestro, che cercò gli apostoli10, li formò, pregò e sofferse per essi; li rese perfetti mandando lo Spirito Santo, assistendoli, confermando la loro parola con prodigi11. Prima e principale cura di ogni apostolo è cercare e formare le vocazioni.

L'immagine del Crocifisso, in carta, in pittura, scultura. In ogni casa, in ogni camera, in ogni ufficio, in ogni scuola, in ogni tribunale, in ogni parlamento. Zelare questo ossequio è grande
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merito. Baciarlo con intenso amore, guardarlo spesso, tenerlo innanzi mentre si studia, si prega, | [222] si lavora. Nelle notti sia sopra il petto; si baci coricandosi, svegliandosi, prima di levarsi.
Considerare il Crocifisso come libro aperto, come bandiera, difesa, tesoro.
Via crucis. Eccita la fede, ravviva la carità, è segreto di molte grazie; specialmente spirituali: dolore dei peccati, umiltà, pazienza. Molte persone la praticano e la diffondono.
L'immagine del Sacro Cuore di Gesù. Contemplarla; osservando: le fiamme, la croce, la corona di spine, la ferita del costato; ricordando quanto disse l'apostolo S. Paolo: «Mi amò e morì per me»12.
Zelare. Sono moltissimi i libri, i foglietti, i periodici che illustrano, espongono la passione, la morte, i dolori di Gesù crocifisso.
Imitare. Le sofferenze umane colpiscono il corpo, il cuore, la stima. Per questo Gesù Cristo soffrì nel corpo, nel cuore, nell'onore: con animo sereno, senza mormorazione, senza abbattimenti, con gioia interna. Sapeva che tutto era per la gloria di Dio e per la salvezza degli uomini.
O Gesù, Maestro mio, concedimi l'immensa grazia di soffrire con te; e poi godere con te, in cielo. Così sia.
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VIII
PERCHÉ SOFFRIRE?*

I. Alla domanda: Perché soffrire?, S. Gregorio dà quattro spiegazioni principali:

a) Talvolta Dio castiga il peccatore dandogli come un anticipo di Inferno. In tal modo il castigo è senza rimedio, come quello toccato alla nazione giudaica, dice Geremia: «Senza rimedio è la tua ferita, disperata la tua piaga. Io t'ho percossa con mano nemica, con un crudele castigo... Perché urli sopra la tua sventura? Il tuo dolore non ha rimedio, a causa dell'enormità delle tue | [224] colpe e per l'indurimento nei tuoi peccati, io t'ho fatto questo»1.
Qui è il peccatore ribelle e caparbiamente ostinato, che provoca i castighi di Dio.

b) Altre volte il peccatore è punito, affinché si converta . Così era accaduto al paralitico risanato a Gerusalemme, dopo trentotto anni di malattia. A lui disse Gesù: «Eccoti guarito, non peccare più, affinché non ti avvenga di peggio»2. Le colpe passate avevano attirato dalla divina giustizia il castigo di quella lunga e penosa infermità, affinché si emendasse.

c) Altre volte, non per colpe passate, ma perché eviti una futura caduta. Ciò indica chiaramente l'apostolo Paolo, quando dice di se stesso: «E quanto all'eccellenza delle rivelazioni ricevute, perché io non abbia a insuperbirmene, mi fu dato uno stimolo nella carne, un angelo di satana, che mi schiaffeggi, affinché io non mi insuperbisca»3.

d) Infine, affinché risplenda la sua divina bontà e onnipotenza nel sostenere gli innocenti durante la prova, nel liberarli gloriosamente dal loro travaglio, e nel ricompensare abbondantemente i loro meriti, accresciuti per la pazienza e la fortezza.
Questo è il caso del cieco nato. Avendo, infatti, i discepoli domandato al divin Maestro: «Perché costui nascesse cieco, chi
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ha peccato, lui o i suoi genitori?». Gesù rispose: «Né lui, né i suoi genitori hanno peccato, ma era necessario | [225] che fossero manifestate, in lui, le opere di Dio»4. Così fu di Giobbe, il quale dapprima fu lodato da Dio sopra tutti gli altri uomini, poi fu dato nelle mani del demonio tentatore; ma, dopo la prova, fu trattato dal Signore con più confidenza e con duplicata generosità. Egli era cresciuto in santità durante le orribili sofferenze.

II. Riflettiamo: Il dolore serve mirabilmente come preservativo dal peccato, e per richiamare chi vi fosse caduto.
Purtroppo le ispirazioni di Dio non sempre vengono seguite, né la voce dei sacerdoti ascoltata: ed allora la misericordia divina si serve dei dolori. Quanto non poté ottenere il consiglio, l'esortazione, la supplica o la minaccia dei castighi riservati ai peccatori, l'ottiene facilmente, e talvolta tutto a un tratto, un lutto, un fallimento, una persecuzione, un'angustia, una malattia.
Se tutto procede prosperamente, e con facilità abbondano soddisfazioni, lieti successi, gioie, si corre pericolo di credere, praticamente, che quella sia la vera felicità, e così il cuore vi si attacca con danno dello spirito. Il dolore, invece, ci richiama alla realtà, e ci fa toccare con mano la pochezza, la fragilità, il nulla delle cose di quaggiù di fronte a quelle celesti. Ci orientiamo allora, decisamente verso il nostro fine: la vera felicità, Dio.
Inoltre: vi sono mali disposti da Dio per il maggior bene nostro ed altrui. La storia di Giuseppe | [226] ne è prova evidente. Chi può misurare il suo dolore di vedersi maltrattato e venduto dai fratelli, e trovarsi in carcere per la malvagità della moglie di Putifarre? Eppure tutti quei mali erano come tanti gradini dei quali si serviva la Provvidenza per innalzarlo al seggio più vicino al trono di Faraone, e farlo salvatore dell'Egitto.
Dio si serve anche di tale mezzo come medicina salutare per liberarci dall'orgoglio e dalle scelleratezze dei superbi. Saulle, umile agricoltore, era il più morigerato della sua tribù. Fatto sovrano, divenne invidioso e perfido. La prosperità condusse Salomone alla rovina.
S. Bernardo fa notare che sono assai più quelli che acquistarono la saviezza nell'avversa fortuna, di quelli che, nella prospera l'hanno perduta. La prosperità fomenta il lusso, la mollezza,
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la sete del piacere, che rovinano gli empi. Invece il dolore, tenendoci umili e bisognosi dell'aiuto di tutti, tiene mirabilmente a freno le nostre cattive inclinazioni, ci induce a pregare.
La vita cristiana, e ancor più quella religiosa, alla luce della fede, è croce, penitenza, martirio. Pochi, però, sono quelli che risolvono spontaneamente di abbracciare quelle mortificazioni e penitenze che il Concilio di Trento chiama: battesimo laborioso, per ridonare all'anima il candore battesimale. Giungono perciò opportune le afflizioni e i dolori ed offrono il modo di praticare quella penitenza che è la vera tavola di salvezza. E così il dolore, da una parte è riparazione | [227] delle nostre colpe, dall'altra ci rigenera, ci perfeziona, ci santifica.
Il cristiano ed il religioso, nell'afflizione sentono il bisogno di pregare; la preghiera ottiene l'aumento di grazia; e la grazia diviene come la misura, il termometro della vita spirituale e delle virtù. Il dolore muove il cuore e le labbra alla preghiera e facrescere nella perfezione. Le virtù poi, attraverso il crogiuolo della sofferenza, s'ingemmano di luce sempre più bella. I mali fisici e i dolori più intimi infondono un sentimento sempre più forte della nostra pochezza e insufficienza. È il tempo in cui, sulla debolezza della natura si erge maestosa e irradiata di celesti splendori, la forza irresistibile della grazia, e si prepara la gloria eterna.

III. Il dolore contrassegno degli eletti. Dice la Sapienza che Iddio usò sempre purgare i suoi eletti come l'oro nel crogiuolo5. S. Paolo si congratulava con i primi cristiani, perché avevano subito con gioia la rapina delle loro ricchezze, convinti di avere ricchezze migliori e più durevoli6. Lo stesso apostolo scrivendo ai fedeli di Corinto si compiaceva delle infermità, oltraggi, necessità, persecuzioni, angustie patite per amore di Gesù Cristo; di queste si gloriava, perché meglio si manifestava in lui la virtù e la potenza del Signore7. Ecco il conforto e la gioia nelle pene e debolezze.
L'essere conformi all'immagine di Gesù Cristo crocifisso è [228] segno di predestinazione. Dov'è il capo, ivi saranno le membra.
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Ma non si può dimenticare mai che apparteniamo a un capo coronato di spine. Ciò spiega perché i cristiani ferventi e le persone consacrate a Dio, anziché rifuggire dalle croci e dalle sofferenze, le sopportano con rassegnazione, anzi le amano e le domandano, talvolta, come grazie speciali a Dio. Sanno che la povertà, le sventure, le malattie, le sofferenze, anche più strazianti e prolungate, sono sempre pegno di predestinazione. Sebbene privati di tutto, hanno l'animo ripieno di gioia, perché sentono Dio nel cuore. Non già che siano insensibili al dolore: anzi, certe nature delicatissime, ne esperimentano con maggior strazio, tutta l'amarezza. Ma queste anime generose abbracciano, con indicibile trasporto di gioia, la loro croce: l'amano, la preferiscono a qualsiasi dolcezza, a qualsiasi condizione di vita, felici di trovarsi là, ove le ha collocate l'amorosa provvidenza. E così la rassegnazione, la conformità al divino volere, la gioia di rassomigliarsi a Gesù Cristo, sono per esse motivo di quella letizia ineffabile di cui parla S. Pietro8.
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[233]
IX
LE MALATTIE*

La Chiesa celebra la festa di S. Raffaele arcangelo1. La Scrittura ci narra la storia di Tobia che era diventato cieco e soffriva in tante maniere, perché il Signore aveva voluto provarlo. «Quia acceptus eras Deo, necesse fuit ut tentatio probaret te»2. Ma il Signore esaudì la preghiera di Tobia, perché «bona est oratiocum ieiunio et elemosyna»3, disse l'arcangelo prima di sottrarsi al loro sguardo. Buona è la preghiera con il digiuno, l'elemosina, massime se con lacrime. Per digiuno si intende, qui, la mortificazione nelle sue varie applicazioni; per elemosina si vuol | [234] dire qualunque opera di misericordia spirituale e corporale. E voi compite quelle spirituali. Le lacrime manifestano il pentimento e la compassione per i tanti peccati del mondo e per le miserie che circondano la vita nostra, per le anime che si dannano. Benedette le lacrime spremute da tali sentimenti. «Beati qui lugent quoniam ipsi consolabuntur»4.
Dice l'Ufficiatura: «Appparve l'angelo con un turibolo pieno di carboni ardenti e bruciò l'incenso». I profumi dell'incenso rappresentano le nostre preghiere: «quae sunt orationes sanctorum»5.
Il Vangelo della Messa di S. Raffaele 6 allude al potere di quest'arcangelo di curare le malattie: egli è «medicina Dei». Gesù,infatti, arrivò alla piscina probatica detta Betsaida, e vi trovò un uomo paralitico da trentotto anni. Gli domandò: «Vuoi guarire?». Ed egli rispose: «Sono trentotto anni che aspetto di scendere nell'acqua quando l'angelo la agita; ma non ho mai potuto arrivare per primo; non ho chi mi aiuti»7.
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Se domandate al malato: Vuoi guarire? Egli subito risponde: Lo desidero tanto! Però il Signore non guarisce sempre. Le malattie sono le ancelle della morte e, siccome tutti dobbiamo morire, è necessario che tutti passiamo per le malattie. Può ammalarsi prima lo stomaco o prima gli occhi; il polmone o il fegato; preavvisi di morte.

Tipi di malattie

Non aspettiamo ad accettare la morte all'ultima malattia. Accettiamo le piccole infermità | [235] come avvisi del cielo: «Sei polvere e tornerai in polvere»8. Se una parte del nostro organismo si indebolisce: l'occhio, l'udito, il cuore, ricordiamo: «Memento mori!»9. Accettiamo questa graduale distruzione del nostro essere in spirito di sottomissione alla divina volontà. Questi piccoli mali sono misericordia perché sono ammonimento: non è stabile la dimora quaggiù, preparati ad entrare nella casa della tua eternità. Dio solo conta; i beni spirituali, i meriti si devono cercare. La robustezza, l'ingegno, la salute, la bellezza, la stima degli uomini, tutto finirà sotto quattro palate di terra. Invece le opere buone vanno alle porte dell'eternità ad attenderci, per accompagnarci al premio.
I piccoli mali sono come angeli precursori di Gesù, nostro premio e felicità eterna. La morte viene come un ladro ed è terribile solo per chi non è pronto e non vuole prepararsi. Distinguiamo però. Vi sono delle malattie immaginarie e altre reali. Oggi la nevrastenia è tanto diffusa. Altre persone, invece, non vorrebbero cedere nemmeno davanti ai mali reali e gravi. Allora, invece, occorre rimettersi totalmente alla volontà di Dio e accettare le cure con umiltà.
Il Calderone10 dice ai malati immaginari: «Non vi è bisognodi attendere altri mali; tu sei il peggior male a te stesso». Per questi non vi è che un rimedio: convertire la loro volontà immaginaria di essere malati con quella di essere sani.
[236] E che dire del numero, che va crescendo ogni giorno, dei nervosi e dei nevrastenici? Poveretti! Essi ci fanno veramente
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compassione; e siamo ben lontani da attribuire a colpa i loro lamenti. Non si fa però loro torto dicendo che avrebbero potuto arginare il loro male fin da principio, con più energia di volontà. Talvolta si ritiene per debolezza fisica e nervosa quello che è soltanto debolezza di animo e di volontà.
La nevrastenia è una specie di epidemia: dipende da la febbre della vita moderna. Solo una energica volontà può evitare il contagio. La fatica eccessiva indebolisce; un moderato riposo rafforza i nervi. I malati gravi di solito non sono così insopportabili, né così impazienti, come quelli che hanno un male da poco.
Un leggero malessere si domina facilmente non facendone caso. Diceva S. Francesco di Sales: «Non sto mai meglio di quando non mi sento del tutto bene». Queste leggere molestie non disturbino la vita di famiglia, gli orari, le occupazioni ordinarie. Che se invece il male è grave, la testa più non regge... vi è una forza, ancora, che non può capitolare, che deve mantenere le redini del governo: la volontà.

Malattia e apostolato

Allora si tratta di combattere e vincere il nemico; ovvero, se è troppo forte, farcelo alleato ed utile amico: farne uno strumento di merito, un mezzo di apostolato. Sollevare gli occhi a Dio; unirsi alle intenzioni con cui Gesù si immola su gli altari; | [237] chiedere: o la salute per vivere più santamente o la grazia di morire bene.
Santo pensiero, di giorno e di notte, di ogni istante, preparare un sacrificio di espiazione, di lode, di adorazione: offrendo il proprio corpo come ostia viva, gradevole; e glorificando il Signore anche nei giorni dell'afflizione, portandolo nel nostro corpo mortale 11.
Allora l'infermo si sente membro di Gesù Cristo12 e sente che il suo soffrire sta in relazione con la passione di Gesù Cristo; e che questa relazione è fonte copiosa di grazia. Egli solleva i suoi occhi ed il suo cuore al Crocifisso: l'Uomo dei dolori gli è innanzi e lo invita a seguirlo nella via della croce. Non è più solo,
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l'infermo: ha una guida da seguire, un compagno che lo sostiene, un consolatore che promette il premio.
L'energia della volontà è utile anche per cooperare alle medicine, ai ricostituenti e alle cure fisiche.
Il Signore solo è forte, eterno, grande, potente. Lui solo rimane. Noi siamo piccoli e mortali. Egli cambia anche i secoli, come si muta da noi un vestito13.
«Buona è la preghiera, migliore il lavoro, ottima la sofferenza». Occorre, d'altra parte, che ci sia la fiducia.
Nelle malattie, anche brevi, si faccia bene l'esame di coscienza. I malati lasciarli soli, almeno per un tempo ragionevole. Gesù,che ha tanto amato i malati, vuole entrare in intimo trattenimento | [238] nella solitudine con essi. Lasciamo al Signore il tempo giusto per parlare all'anima. Lo si aiuti, sollevi, soccorra, ma il malato entri quanto può in se stesso. Il Signore tratterà a tu per tu conl'anima, la illuminerà ad esaminare la vita, le opere, il bene e il male: in una parola, a rivedere in una luce speciale il proprio stato spirituale. Il malato deve sentire Gesù, parlare a Gesù, esporgli i timori, le speranze, il dolore e prepararsi ad una Confessione straordinaria.
Dopo una malattia di otto o dieci giorni si dovrebbe essere preparati a fare una Confessione più larga e diligente, e dolorosa, e umile di quella degli Esercizi. Verrà un giorno in cui la malattia sarà grave e mortale. S. Francesco d'Assisi esortava il medico a dirgli la verità, perché lui non temeva la morte.

Come accompagnare il malato

Non nascondiamo a lungo la notizia della morte al malato.Forse si spaventa? Forse sì. La morte porta con sé un corteo di smarrimenti, di agitazioni e di sofferenze: dobbiamo pensare che essa è pena del peccato. Ed è propriamente per questo che dobbiamo essere schietti col malato, per aiutarlo a purificare ogni residuo di peccato e aggiungere alla corona le ultime e più preziose gemme. Oltre il naturale timore ci sia anche la parola della fede, che porti l'infermo a maggior fiducia e confidenza nella misericordia di Dio.
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Il malato può disporsi e meritare di uscire dal mondo perfettamente purificato. Al buon ladrone | [239] Gesù assicurò: «Oggi sarai con me in Paradiso»14. E quell'anima, appena entrata in cielo, pregherà per due specie di persone principalmente: quelle che l'hanno educata nella vita religiosa e quelle che l'hanno preparata alla morte.
Il malato va soggetto sovente a smarrimenti. Può trovare difficile il dire come Gesù: «Fiat voluntas tua»15; poi forse è tormentato da molte tentazioni, specialmente nell'ultimo momento: di disperazione, di orgoglio, di sensualità. Chi assiste l'infermo grave preghi, faccia pregare, presenti spesso il Crocifisso ed inviti a baciare il sacro costato di Gesù. Egli solo è il vero consolatore.
Tre amici vennero a consolare Giobbe disteso su un fetido letamaio. Egli li sentì, ma concluse: «Il vero conforto lo provo solo in Dio»16.
Il Signore benedice largamente le cure che si hanno per i malati. Cure fisiche: anche se si richiedono spese ragionevoli; senza però che il malato si creda autorizzato ad esigere cure troppo dispendiose e non conformi allo spirito religioso. Cure morali, specialmente la preparazione all'Estrema Unzione, che è il sacramento dei malati. Aggravandosi il male, si aumentino le sollecitudini, le preghiere, l'assistenza.
Una speciale premura è da usarsi perché l'infermo acquisti l'indulgenza plenaria. Si dicano, per quanto si può in tempo, le preghiere di raccomandazione dell'anima. Giova molto suggerire a tutti gli infermi gravi, più volte, le preghiere: «Mio Dio, io credo in | [240] voi, spero in voi, vi amo sopra ogni cosa; detesto ogni mio peccato».
Ognuna impari per sé: Oggi a te, domani a me. Signore, abbiate pietà di me! Che io spenda bene quel tanto di tempo che ancora mi date. Vi sono malattie lunghe che si possono chiamare grazie e misericordia. Altre invece sono precipitose; e la morte repentina non permette una preparazione calma o non ne permette alcuna. Se le malattie sono lunghe, si accolgano come preparazione
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alla morte. Ma l'avviso di Gesù è per tutti: «Estote parati!»17.
Sarà premiato tutto il bene fatto ai malati. «Ciò che avretefatto a uno di questi piccoli, l'avrete fatto a me!»18.

Utilità della malattia

Una malattia può portare molti servizi. In quella casa forse tutti faranno riflessioni buone; discenderanno speciali benedizioni perché si curano bene i malati; il Signore sarà più sentito.
Quante volte una malattia ha rimesso sul buon cammino un traviato? Quante volte essa ha fatto conchiudere bene una vita disordinata? E le persone che praticano le divozioni a S. Giuseppe ed al Crocifisso possono ottenere a molti morenti la grazia della riconciliazione.
In mezzo alle occupazioni, in tempo di prosperità e di florida salute molti dimenticano Dio ed il Paradiso. Anime, anche pie, perché praticano i comuni esercizi di religione, vanno innanzi senza un profondo e vero amore a Dio, un vero e totale distacco da sé, ma nella malattia | [241] quante cose vengono scoperte! Quali nuovi e santi orientamenti!
Se meditiamo questo, finiremo per ringraziare il Signore di averci mandato la prova. Una persona, molto abituata al dolore, diceva: "Dio è teneramente buono con gli infermi".
Se il male è grave e non permette di pensare e pregare? Il sopportare tale stato è grande preghiera: è un sacrificio che prende valore dal sacrificio di Gesù. Per mezzo di questa missione si rendono feconde anche le notti insonni; quelle notti piene di sofferenze, interminabili. Quante virtù, poi, nelle malattie si possono esercitare! L'umiltà, la pazienza, la bontà, lo spirito di preghiera, la riconoscenza, la fede, ecc. Dice S. Girolamo: «Sei più grato a Dio sottomettendoti alla sua volontà nella malattia, che facendo molte e buone opere in salute».
Vi sono persone che si dolgono perché non possono lavorare, devono farsi servire. Se la croce non si sentisse, non sarebbe croce. Tu non ti lamentare. Lavora quanto puoi nella tua infermità
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e sta' in pace. Crèati un circolo di azioni, per quanto ristretto. È di grande importanza un ordine: ore di preghiera, di lavoro, di lettura, di riposo, di conversazione, di solitudine... Un sacerdote rimase in letto per oltre dieci anni con un buon orario: si salvò dalla noia, scrisse libri, edificò tutti, fu una lampada che arse per Gesù finché venne a mancare l'olio.
Se non puoi operare con la destra, fa' qualcosa con la sinistra; se la testa non ti serve, | [242] adopera le braccia; e se il corpo nulla può fare, lo spirito potrà agire, forse. Se non puoi studiare, potrai pregare; se non puoi scrivere libri, potrai insegnare l'alfabeto ad un bambino; se non puoi fare un lavoro di importanza, potrai fare corone, fare la calza, fare qualche ninnolo. Qualunque lavoro solleva lo spirito, abbrevia il tempo, merita innanzi a Dio.
L'infermo è più portato a pensare alla morte. «O mors, bonum est consilium tuum!»19. La morte è una sorella che ci presta molti e buoni servizi: ci preserva da molte cadute, ci consiglia nei momenti decisivi, ci consola persino nelle pene, ci fa passare dall'esilio alla patria.
Potrà essere doloroso il suo arrivo per causa del corteo di ansie e dolori che l'accompagna, ma per il buon servo di Dio non è né una sconosciuta, né una nemica, né un sinistro fantasma. È un angelo che annuncia la fine della giornata di lavoro, la chiamata alla casa del Padre: dove molte sono le dimore, e dove il Maestro divino ha preparato il posto anche per noi.
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LA SANTA MESSA*
Ascoltata meditando la Passione di Gesù Cristo

1. Il sacerdote si veste dei sacri paramenti, prende il calice con l'ostia e va all'altare, con l'inserviente, circondato dal popolo.
Medita: Gesù, terminata l'ultima cena, va al Getsemani, accompagnato dagli Apostoli, per incominciare la passione. È la vittima e il sacerdote che sta per incominciare il sacrificio.
Va' alla S. Messa. Accompagna il buon Maestro. Raccogliti: fissa qualche intenzione speciale; unisciti pure alle intenzioni del cuore di Gesù crocifisso. Contempla la maestà divina e prostrati con Gesù per adorare, ringraziare, placare, supplicare.


2. Il sacerdote ai piedi dell'altare incomincia la Messa; col popolo invoca il perdono per entrare con anima pura nel Santo dei Santi.
Nel Getsemani Gesù inginocchiato e con la faccia a terra, prega il Padre celeste; suda vivo sangue; prende sopra di sé i peccati di tutto il mondo; e per espiarli accetta di bere sino all'ultima goccia il calice della passione.
[245] Accetta le tue croci offrendole col sangue di Gesù per scancellare i tuoi peccati, quelli commessi per tua colpa o da le persone care.

3. Il sacerdote sale all'altare.
Finita la preghiera dell'orto, Gesù legato, risale a Gerusalemme, per essere giudicato e fatto morire.
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È l'Agnello condotto alla morte1. È innocente. È mansueto.
Domanda la mitezza nelle contraddizioni. Proponiti l'apostolato della sofferenza per le anime dei fratelli.

4. Il sacerdote recita il Kyrie.
Il santissimo Maestro compare davanti ad Anna e Caifa, uomini perversi, per esservi giudicato e condannato. Accetta l'umiliazione penosissima in isconto del nostro orgoglio e delle nostre disobbedienze.
Il Kyrie significa: «Signore, abbiate pietà di noi»2; è l'invocazione con cui gli infermi chiedevano a Gesù la guarigione.
Chiedi la guarigione dalla tua superbia, accidia, ira, sensualità, invidia.

5. Il sacerdote legge l'Epistola.
L'Epistola è un tratto del vecchio o, specialmente, del nuovo Testamento, che invita a seguire Gesù.
Medita: «Chi vuol seguirmi, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e venga dietro di me»3.

6. Il sacerdote legge il Vangelo. [246] Gesù confessa la sua divinità innanzi al sinedrio e la sua regalità innanzi a Pilato.
Gesù Cristo è Dio: adoralo anche mentre soffre. Gesù Cristo è re: confessalo anche quando la sua corona è di spine: è un re di amore.Credo.

7. Il sacerdote offre pane e vino.
Pilato, flagellato Gesù, lo presenta al popolo dicendo: Ecce homo: Ecco l'uomo!4.
Grida a Dio: Venga il tuo regno per mezzo di Gesù Cristo. Di' a Gesù Cristo: Ti eleggo per re della mia mente, della mia volontà, del mio cuore.

8. Il sacerdote invita tutti i fedeli a raccogliersi e pregare: Orate, fratres.
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Nella passione il popolo, istigato dai sacerdoti, gridava: Crucifigatur!5. Ogni peccatore ha mandato lo stesso grido. Recita l'atto di dolore, fermandoti specialmente su l'espressione «cagione della morte del divin Figlio».

9. Il sacerdote legge il Prefazio, che è un solenne ringraziamento al Signore.
Gesù sofferse per noi schiaffi, pugni, flagelli: gli venne sputato in faccia, fu beffeggiato, trattato come il peggiore malfattore.
Ringrazialo tanto di cuore recitando l'inno di ringraziamento con gli angeli: hosanna!

[247] 10. Il sacerdote recita il Canone; fa molti segni di croce per santificare le offerte.
Gesù piega le spalle sotto la croce; la porta con amore; caduto tre volte si rialza e arriva al Calvario.
Accetta le croci per espiazione, per maggior merito, per accompagnare il tuo Maestro.

11. Il sacerdote impone le mani sul calice e sull'ostia, le benedice, prega.
Gesù arrivato al Calvario è abbeverato di fiele e mirra, spogliato delle vesti, steso sulla croce.
Chiedi la mortificazione, la modestia, lo spirito di preghiera: atto di carità.

12. Il sacerdote pronuncia le parole della consacrazione: «Questo è il mio corpo... questo è il mio sangue»6.
Gesù è inchiodato alla croce, mani e piedi. La croce viene alzata alla vista di tutti.
Adora la Vittima; contempla le piaghe; devotamente ripeti: «Signor mio e Dio mio»7.

13. Il sacerdote genuflette, presenta la Vittima al cielo, distribuisce i frutti della passione: dà gloria al Padre, suffragio aidefunti, benedizioni a tutti, misericordia ai peccatori.
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Gesù passa tre ore di agonia su la croce: mostra le ferite al Padre, prega per i carnefici, ci dona per madre Maria.
Assisti Gesù agonizzante, in dolore e amore; prega per la Chiesa, suffraga il Purgatorio; chiedi la salvezza per te e per tutti i peccatori.

14. Il sacerdote recita il Padre nostro. [248]
Gesù su la croce si rivolge al Padre: gli manifesta la cocente sete di anime, gli consegna il suo spirito.
Recita adagio il Padre nostro, unendoti ai sentimenti di Gesù crocifisso. Aggiungi col celebrante: «Liberaci, Signore, da tutti i mali passati, presenti e futuri, per l'intercessione della beata Maria, Madre di Dio...».

15. Il sacerdote divide l'Ostia santa.
Gesù Cristo prega: «Padre, nelle tue mani rimetto il mio spirito»8; «è tutto consumato»9 l'amaro calice; china il capo in segno di obbedienza al Padre e di amore agli uomini, e spira.
Domanda a Gesù una buona morte; per ottenerla proponi di fare la volontà di Dio fino alla fine, abbi sempre nel cuore Dio e le anime; muori con Gesù.

16. Il sacerdote dice tre volte: Agnus Dei10, picchiandosi il petto. Alla morte di Gesù il sole si oscura, la terra freme di orrore, i morti si mostrano in città, carnefici e spettatori si battono il petto, confessando Gesù Cristo Dio e l'orribile peccato del deicidio. Sono perdonati.
Innanzi a Gesù Cristo: umìliati, confèssati colpevole, ma prega e spera. Lava l'anima tua spesso nel sangue divino per mezzo della Confessione.

17. Il sacerdote prima della Comunione chiede tre grazie con [249] tre orazioni.
Il Salvatore morendo ci ottiene le tre grazie che qui si chiedono: la pace, la guarigione dai nostri vizi, la vita in Cristo.
Atto di carità.
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18. Il sacerdote dice tre volte: «Domine, non sum dignus»11 confessandosi indegno di ricevere Gesù Cristo.
Gli Apostoli durante la passione si erano nascosti; piangono la loro infedeltà; tuttavia tutti in fondo sperano (eccettuato Giuda), nella bontà del Maestro.
Per stabilire la tua vita in Cristo: pentiti spesso, o meglio ogni giorno, comunicati, ripeti frequentemente: «Gesù è con noi, noi siamo con Gesù».

19. Il sacerdote si comunica.
Gesù deposto dalla croce è ricevuto tra le braccia di Maria.
Qui fa' almeno la comunione spirituale; stringi Gesù nel cuore con l'affetto di Maria; effonditi in atti di amore.

20. Il sacerdote ringrazia Gesù e purifica il calice.
Gesù è portato e deposto nel sepolcro.
Tu hai Gesù. Che il tuo cuore sia sempre un tabernacolo, un trono, un tempio di Dio: «Perseverate nel mio amore»12.

[250] 21. Il sacerdote recita gli ultimi Oremus.
Gesù Cristo risuscita la domenica di Pasqua. Godi del trionfo di Gesù Cristo su la morte e su l'Inferno.
Sei risorto; non morire più.

22. Il sacerdote legge l'ultimo Vangelo13, che ricorda la generazione eterna, temporale e spirituale del Verbo incarnato. Gesù Cristo, salito al cielo, siede alla destra del Padre; manda lo Spirito Santo agli Apostoli.
Invoca lo Spirito Santo su di te, sui ministri di Dio, sulla Chiesa.
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XI
CONTEMPLAZIONE E ATTIVITÀ RADICATE NELL'EUCARISTIA*

Il Signore vi ha invitate a sé, e voi, come avete dichiarato, avete corrisposto alla divina chiamata. Occorreva che fra di voi, che volete servire il Signore e quelle che vogliono seguire la vita di famiglia nel mondo, vi fosse una distinzione esterna, ed ecco che la Chiesa riveste quelle che vogliono seguire la vita di religione, di un abito che le distingua, affinché appaia a tutti da una parte il loro proposito e dall'altra l'impegno che assumono di essere totalmente di Dio. Il Signore è misterioso nei suoi pensieri; i disegni suoi non sono i disegni degli uomini, e forse mentre altri pensavano ad un vostro avvenire diverso da quello che avete scelto, ecco che Dio vi ha benignamente attirate a sé e vi ha fatto dono di un abito speciale.

Poco tempo fa il S. Padre ha elevato all'onore della beatificazione M. Teresa de' Soubiran, e poi nei vari pellegrinaggi intesseva le sue lodi1. Questa nuova Beata era stata chiamata da Dio per vie eccezionali; e mentre i suoi progettavano un altro avvenire, ella seguiva la voce di Dio che sentiva nel suo cuore, ma Iddio la destinava a [cose] ben più grandi di quelle che lei stessa pensava! Voleva infatti che stabilisse la Società di Maria Ausiliatrice, e la fece passare per vie diverse, prima come semplice assistente delle figliole che volevano separarsi dal mondo, poi volle che rivestisse l'abito religioso e prendesse così una parte direttiva a quelle figliole che intendeva aiutare nello spirito. Infine il Signore volle che cominciasse la sua Società con due scopi: la vita mistica o adorazione o riparazione per i peccati
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dell'umanità, e poi la vita attiva per aiutare le fanciulle dai 15 ai 25 anni che si trovano tra i maggiori pericoli o che lavorano nelle grandi città. D'allora per quindici anni rimase fedele all'adorazione e all'apostolato. Il punto che congiungeva le due vite di contemplazione e di attività era la vita eucaristica. Un giorno, dopo la Comunione, sentì come una voce interna che le diceva: "È finita la tua missione. Per te non ci sarà più posto in casa, sarai cacciata; ma ioguiderò ogni cosa con forza e con dolcezza". Da allora per quattordici anni ascese il suo calvario; fu cacciata dalla Congregazione che lei aveva fondata, messa prima tra le figlie perdute, poi la sua virtù venne conosciuta dalle Figlie della carità che l'accolsero tra loro, e così ricominciò postulato, noviziato e professione. Dopo unpo' di tempo anche qui venne sospettata, come se avesse fini secondari, nell'esercizio delle sue virtù. Allontanata dalle altre, venne reclusa in una camera con una sola suora per compagnia. Ma ella continuava a dire: "Il Signore ha avuto per me tanta grazia, e mi hadimostrato la sua grande bontà".
Intanto le suore che l'avevano cacciata con le loro calunnie, continuarono a far progredire la Società, nonostante che trovassero tante difficoltà. Nello stesso anno della morte della Fondatrice, quella che l'aveva deposta venne a sua volta deposta dall'ufficio di Generale, anzi usciva dalla congregazione e ritornava nel mondo sotto altro nome. Un anno dopo veniva eletta la Suora più diligente e più affezionata alla Madre de' Soubiran e, per prima, dopo quattordici anni, parlò nuovamente della Fondatrice alle suore che in grande maggioranza non la conoscevano. Ma ecco che alla tomba della Santa avvenivano tanti e tali prodigi che si introdusse presto la sua causa presso la S.Sede, e ora il Papa l'ha incensata, esposta nella gloria del Bernini. Sulla tomba di questa Beata fu scritto: «Se il granello di frumento caduto in terra non verrà a morire, rimane solo, ma se muore produrrà molto frutto»2. Ora la salma della Madre riposa con onore accanto alle sue figlie.

Concludiamo con un breve pensiero: La croce è il contrassegno degli eletti, e la croce più pesante è per gli eletti a maggiore santità.
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Vestendo l'abito religioso voi mirate al Calvario e cominciate l'ascesa verso il monte della croce che «è il monte degli amanti»3. Dietro le disposizioni che importano sacrificio vi è il volere del Padre Celeste che dispone tutto in peso, numero e misura.
Ricordiamo il detto di Gemma Galgani: «Il segno del puro amore di Dio è di accettare senza ansietà e senza precipitazione ciò che si presenta a noi nel dovere quotidiano, giorno per giorno, anzi ora per ora»4. Ogni momento contiene un dovere, portauna pena ma ci prepara pure al premio eterno.
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1 VN, 11 [1946] 6.

2 Sr. Gesualda, Gemma Galgani. Un fiore di passione della città del Volto santo , PSSP, Alba 1944. Cf le note al testo, pp. 316-319, 322.

3 S. M. Prete della Missione, Un segreto di felicità, Propaganda mariana, Casale Monferrato 1935, p. 234 (cf nota al testo, p. 346).

4 Cf nota al testo, p. 346.

* Testo del Vangelo riportato nell'originale: Mt 20,17-19; Mc 10,32-34; Lc 18,31-34.

1 Filippo Benizi (1233-1285), medico fiorentino, entrò come fratello laico nell'Ordine dei Servi di Santa Maria.

2 L'esempio si trova in: G. Brusa, La passione di Gesù , PSSP, Alba 1944, p. 21 e prima ancora in: S. Alfonso de' Liguori, La Passione di N.S. Gesù Cristo, vol. II, I,3, PSSP, Roma 1939, p. 10.

3 Cf Gv 20,27.

4 Cf Gv 12,32.

5 La lunga citazione è tratta da: Sr. Gesualda, S. Gemma Galgani. ed. cit., pp. 17-18.

6 Eb 5,7: «...con forti grida e lacrime».

7 Lam 1,12: «Considerate e osservate se c'è un dolore simile al mio dolore».

8 Espressione che richiama il modo di meditare la passione di Giuliana di Norwich (1343-1416), mistica medievale (cf Libro delle rivelazioni, 20,151).

9 Gal 2,20: «Mi ha amato e ha dato se stesso per me».

10 Sal 30,10: «Quale vantaggio dalla mia morte?».

* Testo del Vangelo riportato nell'originale: Gv 1,1-18.

1 Cf Sr. Gesualda, Gemma Galgani, ed. cit., pp. 154-155.

2 Gal 4,4: «Dio mandò il suo Figlio, nato da donna».

3 Cf Gen 22,1-13.

4 Gv 3,16.

5 Mt 26,39.

6 Mt 27,46.

7 Cf Lv 16,20-22.

8 Cf Is 53,4-5.

9 Cf Is 6,8.

10 Cf Eb 10,5: «...un corpo invece mi hai preparato».

11 Cf Lc 1,35: «...su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo».

12 Gv 1,14: «...e il Verbo si fece carne».

13 Cf Gen 22,13.

14 1Pt 2,24: «Egli portò i nostri peccati».

15 Espressione di una formula dell'atto di dolore, allora usata.

16 Imitazione di Cristo, II, XII, 3: «Tutta la vita di Cristo fu croce e martirio».

17 Articolo del Credo o Simbolo niceno-costantinopolitano: «Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo, e per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo. Fu crocifisso... morì e fu sepolto».

18 Cf Lc 18,31-33.

19 Cf Gv 6,38.

20 Mt 16,23.

21 Gv 18,11.

22 Cf Lc 12,50: «C'è un battesimo che devo ricevere; e come sono angosciato finché non sia compiuto!».

23 Lc 19,28: «Gesù proseguì avanti agli altri».

24 Cf Mc 1,22: «... ed erano stupiti».

25 Mt 26,46: «Ecco colui che mi tradisce si avvicina».

26 1Pt 2,21.

27 Sant'Agostino, Ex Tractatu super Psalmos, 63,2.3, in Breviarium Romanum , Feria VI in Parasceve, II Nocturno, Lectio IV.

28 Cf At 20,17-24.

29 Gv 19,15: «Via, via, crocifiggilo!».

30 Cf Lc 19,14: «Non vogliamo che costui venga a regnare su di noi».

31 Cf Gv 11,47.50.

32 Cf Mc 14,44.

33 Mt 26,66: «È reo di morte».

34 Sal 22,7: «Ma io sono verme, non uomo».

35 Gal 2,20: «...mi ha amato e ha dato se stesso per me».

* Testo del Vangelo riportato nell'originale: Lc 14,25-35.

1 Margherita (1390-1464), figlia di Amedeo di Savoia. Diede inizio, in Alba, al monastero di ispirazione domenicana.

2 Maria Maddalena de' Pazzi (1566-1607), monaca carmelitana di Firenze. Il motto è riportato in S. Alfonso, La Passione di N. S. Gesù Cristo, vol. II, III, 7, ed. cit, p. 67.

3 «Per alcuni luoghi».

4 Gv 19,6 «Crocifiggilo, crocifiggilo!».

5 Cf Gen 4,3-9.

6 Cf 1Sam 19,8-10; 23,19-26.

7 Mt 27,18: «Sapeva bene infatti che glielo avevano consegnato per invidia».

8 «E fu annoverato tra i malfattori».

9 Gv 19,19: «Gesù il Nazareno, il re dei Giudei».

10 Mt 16,24.

11 Apostolato della preghiera, associazione fondata da X. Gautrelet nel 1844.

12 Mons. Luigi Stepinac (1898-1960) iugoslavo. Si oppose alla politica atea di Tito; per questo fu imprigionato e condannato a sedici anni di carcere e di lavori forzati. Pio XII lo elesse cardinale nel 1953. Beatificato a Zagabria il 3 ottobre 1998 da Giovanni Paolo II.

13 Tob 12,13 (Volgata).

* Viene riportato il brano del Vangelo: Gv 16,18-24.

1 Edvige (1174-1243), bavarese. È venerata come patrona della Polonia. La memoria liturgica ricorreva allora il 16 ottobre. Può essere un indizio per datare questo corso di Esercizi verso la metà di ottobre.

2 Cf 1Cor 1,23.

3 Cf 2Tm 4,16.

4 Cf Mt 26,36.

5 Mt 26,37: «...cominciò a provare tristezza e angoscia».

6 Mt 26,40: «Così non siete stati capaci di vegliare un'ora sola con me?».

7 Lc 22,40.

8 Mt 26,46.

9 Gv 15,15: «...vi ho chiamato amici».

10 Mt 27,46.

11 Gv 8,29.

12 1Gv 2,6: «...deve comportarsi come lui si è comportato».

13 Leone Magno, Sermo 17, De Passione, cap. 13. Il testo è riportato in: S. Alfonso de' Liguori, La Passione… ed. cit, vol. II, V, 16, p. 111.

14 Roberto Bellarmino (1542-1621) gesuita, arcivescovo di Capua, cardinale; teologo, uomo di vasta erudizione. Fu l'interprete del Concilio di Trento.

15 Cornelio a Lapide (1567-1637), gesuita, esegeta.<
sup>16 Cf Rm 8,35-37.

17 «Rendiamo grazie a Dio».

18 Gc 5,13: «Chi tra voi è nel dolore, preghi».

19 Lc 22,43: «... in preda all'angoscia, pregava più intensamente».

20 Invocazioni della preghiera: Anima Christi...

21 Rm 4,18: «Egli ebbe fede sperando contro ogni speranza».

22 Sir 1,29.

23 Cf Imitazione di Cristo II, IX, 1.

24 Cf Lc 24, 13-31.

25 Cf Mt 25,34-40.

26 Cf 1Ts 4,13.

* Testo del Vangelo riportato nell'originale: Lc 2,23-34.

1 «...in essa vi è la nostra salvezza, vita e risurrezione». Cf Antifona di Introito della Messa dell'Esaltazione della croce.

2 Lc 2,34: «Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti... segno di contraddizione».

3 Lc 2,35: «E anche a te una spada trafiggerà l'anima».

4 Is 53,4: «...percosso da Dio».

5 Gv 1,36: «Ecco, l'Agnello di Dio!».

6 Gv 1,29. Certamente in Alberione risuona la formula liturgica.

7 Cf 1Pt 2,24.

8 Cf Lam 1,12.

9 Is 53,3: «... uomo dei dolori».

10 Cf Gv 19,26-27.

11 Cf Gv 19,25: «Stava presso la croce Maria, la madre di Gesù».

* Viene riportato il brano del Vangelo: Gv 15,18-27. Tutta la meditazione è una trascrizione di: Sr. Gesualda, S. Gemma Galgani, ed. cit., pp. 23-28, capitolo: "Il Crocifisso".

1 Cf Imitazione di Cristo II, XII,1.

2 Ibid., 6.

3 Ibid., 1.

4 Il brano citato è preso letteralmente da: Sr. Gesualda, S. Gemma Galgani, ed. cit., p. 26, nota.

5 Gv 12,32.

6 Sr. Gesualda, Gemma Galgani, ed. cit., pp. 23-26.

7 Ibid ., pp. 23-24, nota.

8 Ibid., pp. 27-28.

9 Efrem (306-372), siro, padre e dottore della Chiesa.

10 Dalla liturgia del Santo: Breviarium romanum, Mattutino, II Notturno, Lectio V, Responsorio.

11 Lc 21,19 (Volgata).

12 Cf Gal 6,14.

13 S. Teresa d'Avila, Libro della vita, cap. XL, 20, in Opere complete, Paoline, Milano 1998, p. 466.

14 S. Maria Maddalena de' Pazzi (cf nota 2, p. 297).

15 Sant'Antonino da Firenze (1389-1459). Scrisse opere di teologia e morale.

16 Cf Sr. Gesualda, Gemma Galgani, ed. cit ., p. 122.

17 Ibid .,p. 178.

* Testo del Vangelo riportato nell'originale: Mt 26,26-29; Mc 14,22-23; Lc 22,19-20.

1 Mt 26,26.

2 Cf Mc 12,41-44.

3 Cf Gv 13,1-30.

4 Cf Mt 26,26-28.

5 «...si fa memoria della sua passione». Cf Antifona "O sacro convito..." dei Vespri della solennità del Corpus Domini.

6 Cf Canto eucaristico "Adoro te, devotamente" attribuito a S. Tommaso d'Aquino.

7 Cf Gv 20,29: «Beati coloro che non han visto ed han creduto!» (Volgata).

8 Dt 4,7.

9 Mt 19,29.

10 Cf Sal 84,2-3.

11 Ger 2,13: «...essi hanno abbandonato me, sorgente di acqua viva».

12 Gv 11,28: «Il Maestro è qui e ti chiama».

* Testo del Vangelo riportato nell'originale: Lc 10,1-7.

1 2Cor 11,2.

2 Maria Teresa de' Soubiran (1834-1899), francese, favorita di doni mistici, fondatrice della Società di Maria Ausiliatrice, beatificata il 20 ottobre 1946.

3 Espressione del Simbolo niceno-costantinopolitano: «Per noi uomini e per la nostra salvezza».

4 Cf 1Tm 2,6: «...diede se stesso in redenzione» (Volgata).

5 Mc 16,15.

6 Cf 1Gv 1,3.

7 Così è chiamata la fondazione del santo che accoglieva ed accoglie coloro che non sono accettati da altre istituzioni.

8 Cf Mc 16,15.

9 Cf Lc 12,49

10 Cf Gv 1,35-51.

11 Cf Mc 16,20.

12 Gal 2,20.

* Testo del Vangelo riportato nell'originale: Mt 11,25-30.

1 Cf Ger 30,13-15.

2 Gv 5,14.

3 Cf 2Cor 12,7.

4 Cf Gv 9,2-3.

5 Cf Sap 3,6.

6 Cf 2Cor 8,1-2.

7 Cf 2Cor 12,10.

8 Cf 1Pt 1,8.

* Testo del Vangelo riportato nell'originale: Mt 8, 14-17.

1 La memoria liturgica ricorreva allora il 24 ottobre.

2 Cf Tb 12,13: «Ma siccome tu eri accetto a Dio, fu necessario che la tentazione ti provasse» (Volgata).

3 Tb 12,8: «Buona cosa è la preghiera con il digiuno e l'elemosina».

4 Mt 5,5: «Beati quelli che piangono, perché saranno consolati» (Volgata).

5 Cf Ap 8,3-4: «...che sono le preghiere dei santi».

6 Veniva proclamato il brano di Gv 5,1-4.

7 Cf Gv 5,5-7.

8 Gen 3,19.

9 «Ricordati che devi morire».

10 Deve trattarsi di Pedro Calderón de la Barca (1600-1681).

11 Cf 1Cor 6,20.

12 Cf 1Cor 6,15.

13 Cf Sal 102,27.

14 Lc 23,43.

15 Cf Mt 6,10: «Sia fatta la tua volontà».

16 Cf Gb 6,10.

17 Mt 24,44: «State pronti».

18 Cf Mt 25,40.

19 Cf Sir 41,3: «O morte, buono è il tuo decreto» (Volgata).

* La terminologia di questa istruzione è molto precisa. Non sembra trattarsi di una meditazione orale, ma di un testo scritto. Sembra un adattamento di "Modo di ascoltare la S. Messa meditando la passione di Gesù Cristo", pubblicato in un manuale di devozioni, allora assai in uso: Un segreto di felicità, Propaganda Mariana, Casale Monferrato 1935, pp. 234-242. Questa istruzione è stata stampata insieme a un altro testo dal titolo: "In onore di Gesù Via, Verità e Vita" in un opuscolo: Sac. Alberione SSP, La santa Messa. Due metodi per ascoltarla con frutto. L'opuscolo è senza data. Damino nella Bibliografia lo data al 1947 (ed. 1994, p. 53). Il metodo che Alberione raccomanda di più è il secondo, presentato anche nel libro Le Preghiere della Famiglia Paolina.

1 Cf Is 53,7.

2 Cf Lc 17,13.

3 Cf Mt 16,24.

4 Gv 19,5.

5 Gv 19,6: «Crocifiggilo!».

6 Cf Mt 26, 26-28.

7 Cf Gv 20,28.

8 Lc 23,46.

9 Cf Gv 19,30.

10 «Agnello di Dio».

11 «Signore, io non son degno...».

12 Gv 15,9 (Volgata).

13 Gv 1,1-14.

* Meditazione stampata in sedicesimo, pp.12-14. Nell'originale il titolo è "Vestizione del 1° Novembre". Non è indicato l'autore e il luogo. Consultando le sorelle si è accertato che la vestizione del 1° novembre 1946 è avvenuta a Roma. Il Fondatore ha presieduto la funzione. La meditazione-omelia si può quindi attribuire a lui. Essendo l'unica meditazione fuori raccolta, è stata collocata dopo gli Esercizi di Ottobre.

1 Era il 20 ottobre 1946. Pio XII al pomeriggio di quello stesso giorno e il 22 ottobre riceve i pellegrini e un folto numero delle Figlie di Maria ausiliatrice; tratteggia il profilo spirituale della nuova beata (cf CivCatt, vol IV, 1946, p. 219-220).

2 Cf Gv 12,24.

3 S. Francesco di Sales, Teotimo, PSSP, Alba 1944, Libro XII, 13.

4 Cf Sr. Gesualda, Gemma Galgani, ed. cit., p. 153. L'autore, che cita l'espressione, la ricava dal libro: Il dono di sé di P. Schryers.