Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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LA REDAZIONE

Nel 2.o articolo delle nostre Costituzioni si legge: «Il fine speciale della Pia Società San Paolo consiste nell'obbligo dei membri di lavorare, secondo le loro possibilità, per la gloria di Dio e la salvezza delle anime, alla diffusione della dottrina cristiana, soprattutto con l'apostolato dell'edizione - maxime apostolatu editionis - e cioè con la stampa, il cinematografo, la radio». Più oltre, specificando le attività della stampa, le Costituzioni le riducono a tre, redazione, tecnica, propaganda, accentuando la prima, la redazione.
Diciamo subito che uno dei più gravi problemi attuali della Pia Società San Paolo - soprattutto in funzione dei suoi futuri sviluppi - ben più grave di altri problemi gravissimi nella loro immediata urgenza, è il problema della redazione. E aggiungiamo, onestamente, che tale problema è solo in piccola parte risolto sia nella sua concretezza efficiente e sia ancora nella profonda convinzione di tutti che la redazione è veramente uno dei compiti essenziali del sacerdozio paolino. Eppure la redazione - apostolicamente intesa ed attuata quale ci venne spiegata questa mattina dal Primo Maestro - dà forma e garanzia di vero apostolato a tutta la nostra attività come quella che mette a fuoco la nostra Congregazione con la sua origine, le sue istituzioni, le sue finalità; investe e determina ogni tipo di edizione, non solo della stampa, ma anche del cinematografo, della radio e della televisione; infine è quella che, prima ancora che sorgesse la Pia Società San Paolo, esisteva nel suo fondatore, il quale con l'esempio personale, con significative istituzioni - pensate, per citare un caso, alle ville degli scrittori e delle scrittrici ad Albano e a Grottaferrata - con lanci creduti prematuri ma sempre in qualche misura efficaci e, certo, indicativi, con esortazioni e direttive che possiamo dire intermittenti ha reso evidentissimo questo intento fondamentale della nostra Congregazione.
Sentiamo alcune sue programmatiche parole:
«Essenza dell'apostolato è, in genere, la redazione. Quello che ci assicura di camminare nella nostra via è l'amore della redazione. Errore fondamentale sarebbe: trascurare la redazione e far scrivere e tradurre in massima parte dagli altri». E con un'espressione che sembra paradossale continua: «Si è molto più sulla giusta strada con redazione mediocre, ma nostra, che con redazione ottima, ma estranea. Finché i nostri non scrivono e scelgono esclusivamente tra gli altri scrittori, non facciamo dell'apostolato, ma l'industria. E chi si abbassasse al livello di un industriale o di un commerciante contribuirebbe ad una deviazione fatale».
Se ora tentassimo di fare una sommaria statistica - della quantità dico, non della qualità!... - delle opere redatte dai Paolini d'Italia, troveremmo che dei 3000 titoli, all'incirca, editi dalla Pia Società San Paolo nei suoi quarant'anni di vita, soltanto un decimo, vale a dire, grosso modo, 300 libri furono scritti dai membri della Congregazione.
Dovremmo allora concludere che ci sia stato un fallimento o, almeno, una colpevole deviazione dalle nostre finalità?
No, di certo, pur con tutte le nostre deficienze e le nostre personali responsabilità. E questo per almeno tre motivi:
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1) Innanzitutto la redazione, che è la prima finalità nell'intenzione, è, in pratica, in un modo indiscutibile, la più difficile nella esecuzione. Più difficile nella sua lunga preparazione; più difficile nella sua immediata realizzazione. Non c'è tormento più improbo del lavoro intellettuale. Quelle interminabili ore, piene di sùbiti entusiasmi e di ben più frequenti pentimenti, macerate nel tentativo di raccogliere la materia più utile e necessaria alle anime, disporla nel modo più efficace, sfrondarla da tutta la zavorra «congiuntiva», destinata unicamente, per dirla con Cartesio, «chartae implendae» (= a imbrattar le pagine e a seccare il prossimo...); di trovare infine la formulazione chiara e precisa di tutta una sequenza di concetti, sono indubbiamente tra le più penose che si possano immaginare. E tanto più penose in quanto sono, spesso, le meno comprese ed apprezzate dalla maggior parte dei Paolini. Eppure, qualunque altro compito nella Pia Società San Paolo è più piacevole e soddisfacente della redazione
Ora le cose ardue son proprie dell'età adulta. Da un bimbo, anche se destinato a imprese laboriose, non si può affatto pretendere che le compia nei suoi giovani anni. Nella storia di una congregazione, quarantenni corrispondono a mala pena all'infanzia di un uomo.
2) Le impellenti esigenze del sorgere e della crescita, così precoce, della Congregazione hanno necessariamente impegnato quanti avrebbero dovuto e potuto attendere alla redazione nelle più svariate occupazioni, spesso così distanti da quel raccoglimento esterno ed interno indispensabile per chi scrive.
Ancor oggi, lo si può ben dire, non c'è ufficio in Casa Nostra che non sia sguarnito di elementi necessari e che richiederebbero, per giunta, una maggiore preparazione.
Ma è forse questa lacuna - la quale, del resto, verrà via via colmata - che ha anche contribuito in un certo senso a dare alle Famiglie Paoline quella giovanile baldanza, quel coraggio e quella fede generosa nel Segreto di Riuscita che ne costituiscono uno dei volti più simpatici. Che Iddio ci tenga lontano da quegli organismi vecchi e che san di muffa, zeppi di personale fino alla pletora, macchinosi e formalisti come la sfaccendata e costosa burocrazia di tanti enti e istituti; da quei fanatici dell'orologio e da quegli specialisti arrabbiati che, per amore di un'irraggiungibile perfezione, mentre combinano poco o nulla si riservano però il compito di sottoporre al loro giudizio universale quanti commettessero il delitto di fare qualcosa... Noi siamo grati, profondamente grati, ai primi collaboratori del Fondatore che con lui hanno portato il «pondus diei et aestus» delle dure origini: senza i loro sacrifici - oggi troppo dimenticati dai Paolini! -, la loro dedizione a un ideale, la rinunzia a studi diletti, noi non saremmo a questo punto.
Notiamo tuttavia: «Vi sono Scrittori e Scrittrici in ognuna delle regioni ove si è stabilita la Famiglia Paolina che attendono, pur con abbondante lavoro, alla redazione dei periodici; e in diverse case traducono, adattano, scrivono libri ed articoli» (Primo Maestro).
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3) C'è infine un terzo motivo che, mentre suona giustificazione per un compito in piccola parte assolto, rimarrà, sia pure in forme sempre più rispondenti al richiamo dei tempi, un impegno basilare della nostra attività.
Alludo alla nostra attività di editori quale venne esplicata nel decorso quarantennio.
E mi spiego: oggi l'importanza dell'editore è pari e, in un certo senso, immensamente superiore a quella dell'autore.
Da circa mezzo secolo il concetto di queste due categorie ha subito una radicale rivoluzione. Mi sembra che si possa dire delle relazioni fra editore e autore quello che il vecchio Filarete diceva del committente e dell'artista: e cioè che l'artista è la madre dell'opera d'arte e il committente ne è il padre. E' un'immagine che presa con discrezione può valere anche attualmente quando affermiamo che l'autore è la madre e l'editore il padre del libro.
Un tempo, lo scrittore era un uomo che, col suo malloppo sotto il braccio, si presentava ad uno stampatore perché da un solo manoscritto traesse centinaia di copie. L'iniziativa partiva esclusivamente dall'autore: l'editore-stampatore era un semplice esecutore materiale.
Oggi, invece, per esigenze che sarebbe stolto condannare o disconoscere, l'editore ha acquistato una funzione preminente: è lui che si cerca l'autore che gli piace; che traduce da lingue straniere quando i suoi compatrioti non lo soddisfano; che lancia le idee che vuole o che i suoi interessi morali, culturali o esclusivamente economici gli suggeriscono; è lui, insomma, il grande regista che orchestra la forse più rischiosa delle intraprese, non mai conchiusa e non mai rassicurante qual è la formazione o la sconsecrazione delle masse; è lui infine che pedagogo - ora tristo ed ora nobile - tra i più fecondi, i più universali nello spazio e nel tempo e i più efficaci, vien plasmando giorno per giorno e in differenti guise, con risultati molteplici e non prevedibili, ma con certezza di effetto, l'anima del lettore.
Di qui è facile comprendere la grande importanza e la tremenda responsabilità dell'editore che Pio XII ricordava con forti parole nel discorso tenuto agli editori nell'anno santo.
Ammessi dunque il valore e l'efficacia dell'editore nel lancio delle idee e nella formazione delle coscienze, possiamo concludere che se la Pia Società San Paolo, per gli anzidetti motivi, non ha tradotto nella pratica tutto il programma redazionale previsto dalle sue finalità, l'ha però assolto in parte nel campo editoriale in quanto, ispirandosi alle continue direttive del Primo Maestro e alle proprie Costituzioni, ha impresso ai propri libri, da lei scelti, anche se scritti da altri, un volto suo, genuinamente paolino tendente a quell'edificazione dell'anima cristiana di cui parla l'Apostolo.
Ma ascoltiamo per un istante la voce più eloquente delle cifre.
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L'Italia - secondo le statistiche pubblicate dalla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze - nel 1953 ha stampato 8599 novità librarie (esclusi i fascicoli inferiori alle 100 pagine e le ristampe) piazzandosi così al sesto posto nella produzione mondiale dopo l'Inghilterra, il Giappone, la Germania, gli Stati Uniti e la Francia, con un totale approssimativo di 30.000.000 di copie.
Nello stesso anno, i Paolini d'Italia hanno editato 260 volumi all'incirca con un totale di esemplari che s'aggira sul 1.300.000: cifra modesta, se volete, in confronto della produzione nazionale; ma se noi riflettiamo che le suddette 8599 novità con relative copie vanno ripartite fra le oltre 300 case editrici italiane, troveremmo che le medie - 28 titoli, 100.000 copie - sono state da noi superate quasi 10 volte nei titoli e 13 volte nelle copie. Non per nulla, anche la rivista comunista «Rinascita» ci ha fatto l'onore - bontà sua.... - di collocarci fra i più potenti complessi editoriali d'Italia.
Noi, consci delle deficienze contenutistiche e tecniche dei nostri libri, preferiamo trarre, ora, un'altra conclusione.
La produzione libraria italiana del '53 è stata, sotto un certo aspetto, un indice amaro: la più forte flessione è quella verificatasi nei libri di carattere religioso con una percentuale del 27 per cento in meno dell'anno precedente; il secondo posto in questa discesa è stato raggiunto dalle opere a carattere teologico.
Se noi pensiamo che, si può quasi dire, il 100 per cento dei nostri volumi è direttamente o indirettamente a carattere religioso e teologico, possiamo giustamente consolarci del significato che l'editoria paolina rappresenta nella produzione libraria italiana.
Identico discorso dovremmo fare se dal libro passiamo al giornale e alla rivista. Secondo un calcolo recente, nei grandi quotidiani della Penisola, si nota che alle 3000 colonne annuali riservate alla cronaca nera ne corrispondono 70 per la cultura generale. Ciò potrebbe far pensare che la posizione della cultura nella valutazione del nostro paese corrisponda al 2 per cento contro il 98 per cento per il fattaccio. E' appunto per questo che si è offerto al mondo il clichet d'un'Italia ben peggiore del «bordello» di dantesca memoria... E' forse presuntuoso affermare che fra le 3060 pubblicazioni periodiche italiane, le nostre 10, redatte in buona parte dai Paolini, fra cui «Famiglia Cristiana» con le sue 300.000 copie settimanali, siano qualcosa di più di una semplice boccata d'aria fresca in un'atmosfera tanto pesante?

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Ma se questi tre motivi ci giustificano per il passato, certo non ci dispensano per l'avvenire dall'affrontare, gradatamente, il problema della redazione con saggezza, coraggio, e fede.
a) Lo dobbiamo fare innanzitutto perché è la nostra missione. E qui non aggiunga parola a quanto il Primo Maestro ha detto questa mattina sulla natura della redazione, sui requisiti e le disposizioni del redattore paolino e, infine, sulle relazioni fra la nostra redazione e Maria SS., Regina della Redazione.
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b) Lo dobbiamo fare in secondo luogo perché è importante.
Il rifiorire della nostra Famiglia religiosa - con la conseguente soluzione di cruciali problemi interni, il dissiparsi di malinconie e insoddisfazioni personali, lo schiudersi di entusiasmanti orizzonti apostolici ai pochi che (in una Congregazione come la nostra in cui vi sono ideali da scuotere un morto e nella quale molti, se lo potessero, vi entrerebbero con vera passione ben vedendo che in essa basta avere un zin-zino di zelo e un brandello di fegato per sentirsi trascinati a lavorare con efficacia per le anime) sembrano non averne più alcuno all'infuori di quelli aperti da grettezze ed egoismi personali - è intimamente legata allo sviluppo della redazione ispirata ai principi elencati nelle Costituzioni dall'art. 221 al 236. Non saranno le belle case o le macchine - per quanto necessarie siano - che renderanno fecondo e duraturo il nostro apostolato, bensì le idee che avremo fatto fermentare nel fondo degli spiriti.
Leggendo, oggi, le origini delle grandi istituzioni religiose - pensate, per esempio, a quelle dei domenicani o dei gesuiti - non c'interessano gran che i conventi che essi hanno allora edificati, ma le idee e le innovazioni nel pensiero religioso e teologico che i grandi maestri domenicani del '200 o i gesuiti del '500 hanno bandito dall'alto delle loro cattedre famose, dalle pagine delle Summae o dai banchi del Concilio di Trento. Noi, dopo tanti secoli, siamo ancora debitori, in parte, alle conquiste dottrinali che essi hanno raggiunte, o dobbiamo anche ai figli di S. Ignazio se il protestantesimo non è dilagato in tutta l'Europa.
c) Pari all'importanza è l'attualità della redazione applicata al libro, alla pellicola, alla radio.
Oggi la predicazione orale della parola di Dio, anche in Italia, giunge ad una percentuale sempre più bassa di fedeli. Le statistiche in proposito sono sconfortanti. Moltissimi non assiepano più - come un tempo - i nostri pulpiti domenicali; i vespri sono quasi ovunque disertati. A qualcuno pare addirittura che i cristiani sopravvivano ancora perché ci vuol sempre del tempo per liquidare le anticaglie. A prescindere dagli illusi che si ostinano a tenere discorsi di pia inattualità davanti a uditori inoffensivi, un dilemma terribile si pone al cristianesimo odierno: o cerca di utilizzare i mezzi più efficaci del mondo di oggi per far giungere a quelli - la maggior parte - che non vengono più in chiesa la voce eterna e sempre attuale e insostituibile del Cristo, oppure non li utilizza, e allora - per quanto sta dagli uomini - si presenta quasi senza speranza.
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Occorre raggiungere le pecorelle svagate o indifferenti nel segreto delle loro case e persino nei luoghi di divertimento ove cercano di scordare per un attimo le amarezze e il peso della vita. A questo fine, oggi, non vi sono altri mezzi efficaci all'infuori del giornale, del libro, della radio, del film, della televisione. Anche con tali mezzi va fatta ora la predicazione della parola di Dio. «O noi - osserva il Card. Elia Della Costa e ripeteva il Primo Maestro al Congresso dei Religiosi - guardiamo coraggiosamente la realtà, al di là del piccolo mondo che ci attornia, ed allora vediamo urgente un rivolgimento radicale di mentalità e di metodo; oppure, nello spazio di pochi anni, avremo fatto il deserto attorno al Maestro della vita; e la vita, giustamente, ci eliminerà come tralci morti, inutili, ingombranti».
Chiamati, non per merito nostro, ad un apostolato così urgente, efficace e moderno, noi dobbiamo prepararci nel modo migliore a tradurre la parola di Dio sul foglio o sullo schermo; nel modo migliore, dico, perché l'impresa non è facile e i gusti del pubblico si vanno facendo sempre più complessi, raffinati ed esigenti.
Dinanzi a difficoltà che possono sembrare insormontabili alle nostre limitate capacità e ai nostri umili mezzi dovremmo forse indietreggiare per cullarci sulle posizioni raggiunte, vivere delle conquiste altrui, farci un comodo posticino in un regno che non è nostro, perderci in vani bizantinismi o in critiche ingenerose al confratello che, più coraggioso di noi, s'arrischia, non sempre con risultati brillanti, in un arringo così arduo? Oltre che una viltà, sarebbe un tradimento della nostra vocazione e delle anime che da noi attendono una parola di chiarificazione e di speranza. Chi ha i sentimenti dell'Apostolo, prova tutta la seduzione del nostro ideale paolino.
Le tragiche istanze di un mondo da ricondurre a Cristo coi mezzi più moderni, ci sospingano a meditare seriamente sulle responsabilità della nostra missione, saggiamente comprensivi delle difficoltà dell'impresa, ma armati di quel coraggio apostolico e di quella fede per cui, sentendoci «debolissimi, ignoranti, incapaci, insufficienti in tutto: nello spirito, nella scienza, nell'apostolato e nella pietà», sotto la custodia della Vergine, la Regina della Redazione, confidiamo in Colui che ha detto: «Qualunque cosa chiederete al Padre in nome mio, l'avrete».

D. Gambi Valentino


Predica tenuta il 2 dicembre 1954 nel Santuario della Regina degli Apostoli.
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Il Sacerdote e il Discepolo

Due nomi, che indicano due stuoli di anime aventi un unico e medesimo spirito: quello del Divin Maestro... «Io vi manderò il mio Spirito»; aventi pure un'unica e medesima missione: «glorificare il Padre e salvare le anime», donando Gesù Maestro, Via, Verità e Vita; conseguentemente, anche la stessa promessa del premio imperituro: «Avrete la vita eterna».
Sono Discepolo, perciò non celebro il S. Sacrificio della Messa; però partecipo misticamente al sacerdozio di Gesù e dei suoi Ministri immolandomi per lo stesso duplice ideale: gloria di Dio, salvezza delle anime.
Il mio tempio è il mondo; il mio altare è il posto assegnatomi dall'ubbidienza; le mie funzioni sacre sono le mansioni che compio nell'apostolato; il mio modello è Gesù Maestro, nei suoi anni di vita mortale, specialmente nel tempo del suo nascondimento a Nazaret.
Non invidio il Sacerdote che celebra la Santa Messa, che distribuisce la S. Comunione, che amministra i Sacramenti... No! lo venero come ministro di Dio, lo amo è sono felice di coadiuvarlo nella sua santa missione, ma so di essere anch'io sacrificatore, anch'io distributore di beni eterni, anch'io salvatore di anime, con la mia vita interiore, con l'ascesa costante verso la santità.
Il Sacerdote guida le anime sulla via del bene, le forma e le spinge verso la santità... Ma so di fare questo anch'io, quando, con cuore ardente di zelo, compongo o stampo o diffondo quel libro, quell'opuscolo, quella rivista che richiamerà sulla retta strada un'anima che sta perdendosi, che santificherà un'anima mediocre, che farà fiorire una vocazione di più nella Chiesa, che darà forse un santo di più al Paradiso; so di fare questo anch'io, quando un'anima si avvicina a me e so trasfonderle lo splendore della mia consacrazione, il calore del mio ideale; so di fare questo quando prendo per mano un confratello più giovane e più inesperto di me, lo conduco ai piedi di Gesù che assolve e che si dona a noi per fonderci nel suo cuore e comunicarci l'unica felicità: il suo amore.
E capisco, anche, che la mia posizione di Discepolo è necessaria nella nostra Congregazione e nella Chiesa... Io sono la «longa manus» del Sacerdote; io ho modo di avanzare fin dove egli, con la sua divisa, non può portarsi; ho modo di avvicinare anime che a lui non si avvicinerebbero; ho modo e soprattutto tempo, di compiere un apostolato esterno che lui, preso dal suo ministero e dai suoi studi, non può compiere.
Io gli sono necessario come la mano è necessaria al cervello per compiere un'azione; e so che solo da questo movimento collegato del Sacerdote e del Discepolo Sampaolino la Congregazione trae la sua vitalità e la sua forza di conquista spirituale.
Per questo io vivo con santo entusiasmo la mia vocazione e penso al premio grande che mi aspetta lassù... Grande, perché io sono Religioso; ho lasciato la famiglia e il mondo per consacrare a Dio tutte le mie forze, tutto il mio essere, e avrò quindi il premio del Religioso: «... Avrai il centuplo in questa vita e la vita eterna»; grande perché sono Apostolo, se la mia vita e le mie intenzioni saranno state apostoliche: «Risplenderanno come stelle nella perenne eternità».

Fra Celestino Rizzo

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