Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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CAPO V
VIRTÙ

Obbedienza.


Maggiorino ripeteva spesso: «Voglio farmi santo»: ma il suo programma di santificazione non era affatto strano: anzi bene equilibrato, positivo, chiaro, pratico.
Eccolo colle sue parole scritte il 1. Gennaio 1918: «Anno nuovo, vita nuova!» «Voglio diventare un santino come S.Giovanni Berchmans». E si era preso a modello questo santo ed ogni giorno leggeva, qualche periodo dell'aureo libro: «La perfezione della vita comune, cioè considerazioni sopra S. Giovanni
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Berchmans». Questo santo aveva per programma: «Far bene le cose comuni». E si santificò col fare le cose comuni in modo non comune.
Maggiorino era diligentissimo nell'osservanza di ogni regola. E la osservanza delle regole costantemente, con amore, con esattezza, richiede un certo eroismo di virtù. Nella condotta, sebbene si fosse rigorosissimi, otteneva costantemente il dieci. I suoi superiori non ricordano di aver veduta in lui una vera trasgressione volontaria.
Può essere utile ricordar queste note che devono costituire il programma ma d'ogni giovane di comunità.
Dobbiamo essere tutti uniti assieme; non perché i corpi sono vicini: ma coi pensieri, colle opere, colle intenzioni. Pensare tutti ad un fine solo: al fine del capo: uniti nel capo. Insomma obbedire i superiori e formare di tutti come un sol cuore.
Ogni desiderio dei superiori era per lui un ordine. Troncava a metà una parola: sempre tra i primi a portarsi allo studio, al lavoro, a passeggio.
Diceva una sera al Direttore: - Mi
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lascerebbe fare il voto di obbedienza?
- Adagio coi voti. Lo sai che poi, mancando, si commetterebbe doppio peccato?
- Lo so, ma, osservando vi è pure doppio merito. - Potrai quindi farlo quando esaminandoti vedrai che da qualche mese non trovi più mancamenti contro l'obbedienza.
- Ma a me sembra di far quanto posso da diversi mesi.
- Sta bene: potrai quindi far il voto sotto pena di colpa veniale, ma solo settimana per settimana. Al termine di ciascuna mi dirai come ti sei regolato e vedremo se conviene continuare.
Ed il nostro Maggiorino se ne andò felice.

* * *

Quante volte i suoi compagni l'hanno udito dire: «Farò come dirà il Teologo: chiederò al Teologo; lo farò se il Teologo lo dirà...bisogna veder prima
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se il Teologo è contento...» e simili frasi.
Qui la delicatezza di coscienza era giunta all'estremo.
Egli lavorava come macchinista: era capo-macchina un suo compagno più anziano di due anni. Egli lo amava e rispettava come avesse veduto il Signore.
Spesso quello lo interrogava: «Vi sono due, tre, quattro lavori da fare (e si spiegava), quale preferisci?»
E Maggiorino: «Per me è lo stesso; faccio come dici; dimmi pure come vuoi». E queste erano le sue ordinarie risposte. Eppure alle volte vi erano dei lavori che esigevano non poca abnegazione!
Il capo-macchina una volta volle insistere: «Ma dimmi ciò che desideri, ciò che preferisci fare!»
«Io desidero fare la volontà di Dio: comanda, io obbedisco».

* * *

Una volta chiedeva al Direttore:
- Potrebbe sciogliermi un dubbio?
- Parla, di' pure.
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- Spesso in tipografia mi dicono fa' questo e quello, fa in questo modo o in quello. A me sembra si debba far diversamente e talora son certo che il comando è sbagliato perché non si conoscono le circostanze. Devo obbedire o esprimere le ragioni in contrario?
- Fa' un esempio.
- Ieri il capo-macchina mi disse di far andare innanzi la macchina: ma egli non sapeva che le viti erano aperte: sarebbe succeduta una disgrazia. Che dovevo fare? Obbedire o far osservazione?
- Con umiltà far l'osservazione.
- E se l'altro insiste?
- Se insiste, dopo sentite le ragioni, tu obbedirai.
E così fece.

* * *

Un giorno uno dei compagni stava compiendo un lavoro e canterellava. Sentì dispiacere di quella mancanza di
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silenzio: gli si accostò con molto garbo e gli disse: «Senti, questa sera dovremo confessarci. Non è meglio, anzichè cantare, far l'esame di coscienza?»
Un'altra volta, raccontava un altro compagno, stavo rifilando con lui alcuni libri. Ad un certo punto lo interrogai: «Sapresti dirmi quale sia la lezione assegnata dal maestro?»
Ed egli: «Vedi, adesso è tempo di silenzio e non possiamo parlare».

* * *

Era già ammalato, il male progrediva. I suoi genitori gli fecero la domanda:
- Vuoi che ti facciamo visitare dal medico?
Anche allora egli diede la solita risposta:
- Parlate al Teologo: come egli penserà io farò.
Si era notato: «Farmi santo! che bella e gran cosa! E pensare che la via e facile: far bene ciò che mi verrà comandato».
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Schiettezza.


«I giovani schietti sono quelli che più facilmente migliorano», diceva il grande educatore D. Bosco. Maggiorino era schietto, financo nelle cose più piccole.
Raccontando qualche episodio della sua fanciullezza egli narrava senza mistero anche le piccole scappate. Anzi si può dire che queste erano le sole cose che narrava di quell'età.
La sua anima, era come uno specchio tersissimo in cui ciascuno poteva leggere. Ai superiori faceva conoscere tutto il suo cuore.
Nella Pia Società S. Paolo prima di andare a riposo il Direttore suole lasciare un buon pensiero, narrare un fatto, commentare qualcosa di rimarchevole succeduto nella giornata o anche dare un avviso e terminare coll'augurio della buona notte. I giovani ricambiano l'augurio e si va a riposo. Molti però vogliono anche passare dal Direttore ad esporre un bisogno, accusarsi di qualche mancanza, chiedere qualche favore e più ancora
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confessarsi. Questo uso fu inaugurato e mantenuto spontaneamente dagli alunni; esso serve tanto a mantenere l'affezione, la unità, anzi la vita fra il Direttore ed i giovanetti, che acquistano una confidenza difficile a immaginarsi col loro Direttore.

Come un cristallo.


Maggiorino era fra i più assidui: ogni sera avrebbe voluto fare una minuziosa esposizione della sua giornata al Direttore.
Non ogni sera, gli disse il Direttore, ma due volte per settimana: poi non dovrai essere così minuto, ma riferirmi soltanto alcuni punti e glieli fece notare. E il nostro caro giovanetto ubbidì. Una sera successe fra il Direttore e lui questo dialogo:
- Io desidero tanto tanto che conosca l'anima mia bene, voglio dirle tutto, ma proprio tutto.
- Sta tranquillo: hai tredici anni ed io ti conosco da otto anni.
- Ma io vorrei che ora sapesse
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anche le cose più piccole della giornata ed il modo con cui le compio; perché mi possa correggere.
- Senti; tu sei troppo minuzioso: per farti buono è necessario essere diligente, ma non diligentissimo.
- Io non capisco
- Voglio dire che non devi fare tanti propositi assieme; ma uno, due, al più tre; e che su questi poi dovrai esaminarti e dirmi come sei riuscito.
- Quale devo fare?
- Credo farai bene a far questi due (e li espresse).
- E tutte le altre cose?
- Con questi propositi anche il resto andrà bene.
- Ma io voglio che lei mi conosca bene, io voglio confessarmi da lei.
- Non te lo proibisco né te lo consiglio, prega e fa come il Signore t'ispira.
- Ebbene io vengo da lei.
- Prova pure ma ogni settimana continuerai a recarti in Parrocchia, (allora si andava ancora in Parrocchia) coi compagni che là si confessano e avrai comodità di farlo anche tu.
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- Ma lei mi avviserà proprio di tutti i miei difetti?
- Sì, per quanto vedrò.

Carità


La stimava tanto che su questa cara virtù tenne una domenica sera una bella conferenzina ai suoi compagni.
«Nel prossimo vi è un'immagine di Dio: quanto facciamo agli altri Gesù lo ritiene come fatto a lui stesso».
«Noi dobbiamo amarci l'un l'altro come fratelli in una famiglia, consigliarci a vicenda, impedire, in quanto si può, l'offesa di Dio».
«Ha sbagliato il tuo compagno? Leva la trave che e nel tuo occhio prima di cercare la pagliuzza nell'occhio del tuo fratello».
«Se quando mormoriamo, grattassimo un po' sotto, novantanove volte su cento troveremmo di aver torto. Se udiamo mormorazioni cerchiamo di rompere il discorso».
«Fra noi deve regnare solo l'allegria e la carità; così il diavolo non potrà entrare».
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Sa gli avveniva qualche volta di commettere qualche sgarbatezza coi compagni, benchè inavvertita subito chiedeva scusa.
Sentiva ripugnanza da principio ad imprestare i suoi libri e quaderni, per timore che gli venissero guastati o macchiati. Avvertito che la carità era virtù maggiore dell'ordine, si corresse, imprestava volentieri, non si lagnava dei guasti e, data l'occasione, sapeva pur regalare.
Lavorò anche assiduamente per reprimere quei moti d'invidia che nascono così spontanei nei cuori dei fanciulli. Su questo accettava volentieri ogni correzione.
La sua carità si applicava in varie maniere. Egli era rigorosissimo con se stesso, per non far mai minimo sospetto o giudizio temerario. Scusava volentieri. «Poverini! - diceva di alcuni fanciulli che l'avevano schernito perché divoto; - essi non sono stati educati bene».
Quando si presentava l'occasione sapeva anche dir una buona parola. Nei primi giorni, raccontava un
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compagno, io sentivo la vita molto dura, egli mi disse più volte: «Sii buono e prega bene: ascolta S. Paolo che ti ha chiamato a venire in questa Casa a lavorare per l'Apostolato della Stampa: altrimenti egli non ti vorrà e ti manderà via come ti ha detto il Sig. Teologo. E se vai via andrai a finir male, sai! Prega la Madonna e ti aiuterà».

Apostolato della Preghiera.


Non potendo ancor egli predicare come avrebbe voluto, e pure desiderando tanto di far del bene, si era fatto inscrivere all'Apostolato della Preghiera. In quest'Unione le intenzioni nostre divengono purissime, santissime, efficacissime: perché sono sostituite da quelle che Gesù stesso ha nella S. Messa.
Maggiorino recitava ogni giorno la formola di offerta nel primo svegliarsi al mattino: poi la ripeteva con vivo fervore almeno cinque volte nel decorso della giornata. Tutto per lui doveva farsi colle intenzioni di Gesù.
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Poche grazie particolari pensava poi a chiedere; tutto era già inchiuso nella sua intenzione generale. Nel suo cuore abbracciava specialmente i moribondi; «140 mila! al giorno ne muoiono: chi sa quanti hanno bisogno di preghiere!» E allora si era fatto mettere nella compagnia del «Transito di S. Giuseppe» e ripeteva almeno quattro volte ogni dì la giaculatoria: «O S. Giuseppe. Padre putativo di Gesù Cristo e vero sposo di Maria Vergine, pregate per noi e per gli agonizzanti di questo giorno (notte)».

Umiltà


In certi momenti chi non conosceva Maggiorino a fondo avrebbe detto che avesse nel cuore una buona dose di superbia. Insisteva nelle sue ragioni, difendeva i suoi lavori, andava facendo progetti. Si trattava invece di zelo e di ardore per la verità ed il bene: Tanto è vero che meglio istruito e corretto subito si adattava, prendeva in pace anche le osservazioni e le umiliazioni.
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Sentiva bassamente di sé; conosceva bene il suo nulla; teneva ben presente i suoi difetti.
Le poche lettere che il Direttore ebbe occasione di ricevere da lui portavano costantemente questa firma: «Sono il suo più indegno alunno Vigolungo Maggiorino».

Castità.


«Chi vive castamente non si perderà», notò Maggiorino.
In questo punto aveva una delicatezza specialissima. Come una bianca colomba che non si lorda, pure dovendo posarsi fra le sozzure: così Maggiorino seppe passare fra i pericoli della terra senza contaminarsi.
Ogni giorno recitava un'«Ave, Maria», colla giaculatoria: «Mater purissima!» per conservare immacolato il suo cuore.
La sua modestia di sguardi a passeggio era dapprima anche esagerata, ma di un'esagerazione spiegabile in un ragazzo che non aveva ancora tutta
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la necessaria istruzione. Il suo parlare era castigatissimo: quantunque tanto faceto, non faceva mai la minima allusione a cose anche lontanamente pericolose: non parlava neppure di feste o canzoni o divertimenti mondani.
Non già che egli fosse assolutamente all'oscuro di certe cose: aveva anzi per massima di chiedere su questo spiegazione al Direttore ogni volta che o non capiva o leggeva cose che per lui contenevano un significato non compreso.
Castissimo nei suoi pensieri, nei suoi affetti, in tutto il suo portamento.

Fugge l'occasione.


Come tutti i giovani specialmente se di carattere ardente, Maggiorino era tentato spesso violentemente... Il suo stesso timore che lo preoccupava troppo, gli causava tentazioni. Alle volte ne era tormentato con una violenza eccezionale: Ma egli era sempre vigilante, sempre attento, sempre pronto. Il demonio lo trovava sempre vigilante
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e, mortificato. Qualche volta dopo la lotta, chiedeva un po' sconcertato: «Ho forse dato consenso?» Ma era facile da tutti gli indizi rispondergli no, rimani tranquillo.
La gioia brillava allora nei suoi occhi ed il suo pensiero volava subito alla Madonna: «Grazie, o Maria».

* * *

In tipografia i giovanetti si servivano per tenere la pasta, dei legatori di una scatola di latta. L'aveva consegnata il Direttore. Portava la figura di un uomo che senza essere indecentemente coperto, poteva. esserlo meglio. Maggiorino l'aveva impiastricciato. Un giorno però diceva, ad un compagno: «Ho coperto varie volte questa figura e torno sempre a trovarla, in questo modo». «Oh, è poi veramente brutta, questa figura,?» «Ed io questa volta la raschierò addirittura: nessun più la vedrà». E così fece.
Anche quando era già ammalato
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grave non voleva lo toccassero: si faceva da sé ogni servizio che poteva. La madre, che l'assisteva, ben conosceva, il cuore di Maggiorino e gli usava e faceva fare tutti i riguardi che sapeva egli pretendere.
Finalmente quando già vaneggiava per il male, pareva tornare in sé e diventava risoluto e riprendeva per un momento la sua consueta energia nel respingere ogni toccamento anche innocente ed ogni apparenza di pericolo.

Distacco.


Il suo spirito di distacco si conosce da queste cose molto semplici:
Teneva dacconto di tutto: se trovava un ritaglio di carta, un trucciolo di macchina che potesse ancora servire egli lo portava al Direttore perché potesse usarlo nello scrivere indirizzi o prendere note. Teneva i libri e i suoi quaderni di «bella copia» puliti e in ordine.
Nel suo armadio tutto era, a suo posto e ben ripiegato.
Una sera, ad ora tarda, il Direttore
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sentì bussare alla sua porta. «Avanti», rispose. Entrò Maggiorino che col capo basso disse: «Oggi non ho fatto abbastanza attenzione e ho lasciato guastare un foglio di carta; posso ancor fare la Comunione domani mattina?» «Si, caro ragazzo, solo chiedi al Signore di poter sempre riflettere al tuo dovere».
Osservava di essere costantemente pulito e in ordine negli abiti, nella persona, nelle scarpe. I suoi parenti non ricordano che egli si sia permesso una spesa inutile o in ghiottonerie. Anzi, per mettersi fuori dell'occasione di farlo volontariamente egli consegnava al Direttore quei pochi soldi che gli venivano dati dai suoi parenti. Neppure uno egli ne spendeva senza il permesso chiesto di volta in volta ai superiori.
Pochi giorni prima che lo colpisse l'ultima malattia, tutti i ragazzi tornavano da una bella passeggiata col loro Direttore. Questi vedendoli tutti attorno a lui li interrogo:
- Quest'anno dove preferite che andiamo per la passeggiata lunga?
Ed i giovani: - A Cherasco, a Bra, ai Piloni di Montà, al Santuario di
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Castiglion Tinella... e ciascuno faceva la sua proposta
- Ebbene, disse il Direttore, ve ne propongo due: all'Ausiliatrice a Torino, oppure ai Piloni di Montà. Ma notate le condizioni: se ai Piloni di Montà farà tutte le spese: se a Torino invece pagherete voi il viaggio di andata. Sceglite.
- A Torino, a Torino! - gridarono tutti gli allegri giovani: vogliamo vedere la tipografia del «Momento», quella dei Salesiani e le opere del Beato Cottolengo.
Soltanto Maggiorino taceva, pareva soprapensiero. Un compagno interpretò quel silenzio come un dissenso perché mancante del denaro e gli disse: «Hai paura che i tuoi ti neghino cinque lire?» Maggiorino taceva.
Il Direttore per lasciare un argomento che gli sembrava tornare imbarazzante per Maggiorino troncò il discorso col dire: «Oh state certi! se egli volesse andarvi i suoi parenti hanno tanto denaro e tanto affetto per lui da concederglielo volentieri; anzi egli ha già consegnato a me molto più di cinque
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lire. E il discorso fu cambiato.
Giunti a casa il Direttore volle interrogare Maggiorino; «Perché sei stato così indeciso?»
«Mi è parso che fosse contro lo spirito di povertà e di chiedere troppo ai miei che fanno già tanti sacrifizi. Ma ora capisco che tale spesa ci può essere utile e ne parlerò appena li vedrò».
Così fece, ebbe il denaro, ma a Torino non vi andò più: servì invece come gli altri suoi risparmi alla celebrazione di Messe di suffragio per l'anima sua.
La mamma che l'assistette amorosamente e costantemente nella sua ultima malattia diceva: «Questo benedetto figliuolo non s'interessa né dell'andamento delle campagne né degli affari di casa: par che non pensi più alle cose di questa terra. Ha sempre i suoi studi, i suoi pensieri, la preghiera».

Mortificazione


Non fu mai osservato prender qualcosa senza necessità fuori pasto.
Se, qualcosa, frutta, dolci od altro,
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gli veniva regalato dai parenti, egli portava tutto in cucina perché venisse consumato in comune. Se poi si trattava di cosa di poca importanza la offriva a qualche compagno.
Nell'inverno soffriva dolorosissimi geloni alle mani che sovente si aprivano ed erano ribelli ad ogni cura. Egli non se ne lamentava punto; solo gli rincresceva che gl'impedivano un po' di lavorare. Disse una volta ad un compagno
- Sarebbe meglio non averli per poter lavorar di più.
- Ma la volontà del Signore è che noi li sopportiamo.
- Egli mosse il capo in segno di approvazione e non parla più.
Offriva costantemente al Signore quell'incomodo.
Una volta il Direttore si accorse che a pranzo, dopo la pietanza aveva lasciata la frutta. Chiamatolo in disparte glielo proibì. Non lo fece più.
Un'altra volta chiese di lasciare il vino. Non gli fu concesso e obbedì. Ma il Direttore avendolo abbastanza vicino a sé notò che trovava sempre il
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modo di mortificarsi in qualche maniera: invitava gli altri a servirsi per i primi; lasciava qualche cosa senza che gli altri potessero notarlo; attendeva a masticare con diligenza sebbene fosse portato alla voracità: osservava le regole del galateo; sapeva usare verso gli altri quelle gentilezze che sono convenienti in una comunità.

Il tempo è prezioso.


«Il tempo vale quanto vale Dio», ha detto un santo. Eh! sì. Perché in ogni minuto di tempo possiamo guadagnare o perdere il Paradiso, l'anima, Dio. Maggiorino ne faceva il massimo conto.
La sua diligenza gli meritò la stima del Direttore: Maggiorino spesso in tipografia era lasciato a lavorare da solo fuori dallo sguardo degli assistenti, in lavori di fiducia. Egli li eseguiva con puntualità e precisione.
Lo si sapeva: non avrebbe perduto un minuto di tempo.
E questo era uno dei suoi propositi:
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«Propongo di far silenzio in tipografia; di non parlare, se non per vera necessità, in studio; di non perder tempo in nessun posto; ed anche in tipografia (dove appunto lavorava spesso da solo), di non perdere neppure un minuto secondo di tempo».
Aveva terminato un lungo lavoro di tipografia e si trattava d'incominciarne un altro che richiedeva molto tempo. Mancavano pochi minuti al finis: «Ed inutile incominciare!» gli osservò un compagno. Ed egli: «Perché vi sono pochi minuti debbo perderli?» Ed eccolo senz'altro all'opera.

Piccoli sacrifizi.


Si trattava alle volte di piccoli sacrifizi che nella vita non mancano mai; tanto più nella comunità. Maggiorino li compiva con volto rassegnato, ma talora con gioia.
Il suo maestro che l'aveva così spesso sott'occhio scrisse di lui: «Per il Signore! per amor di Dio!» quante volte ho udito questa risposta da Maggiorino
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Allorché gli chiedevo: «Per chi fai quest'azione?»
L'accompagnai a casa, quando fu colpito dalla pleurite. Dimostrava vivo desiderio che si facesse presto, perché soffiava un venticello freddo; ma non emise lamento. Mi salutò dicendomi allegro di voler fare la volontà di Dio e soffrire in pace e tranquillità quanto il Signore gli mandava».

La lotta spirituale.


La vera santità, si conosce dalla continua, lotta, contro le nostre cattive inclinazioni. Ed è proprio per questo che ho creduto utile scrivere queste pagine perché rarissimamente si trovano anime che conducano una lotta così costante e così energica.
Maggiorino possedeva un carattere vivace, irascibile assai: piccolino, per un nonnulla si accendeva. Ma egli in poco tempo era già riuscito con continuata vigilanza e violenza a contenersi e ad acquistare un dominio esemplare
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su se stesso. Lo si osservò in varie occasioni. Tra ragazzi sono facili e frequenti le occasioni di piccoli bisticci Maggiorino le evitava, quanto gli riusciva. Per vincersi meglio, qualora gli fosse accaduto di mancare, al più presto chiedeva scusa al compagno.

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Avvenne qualche occasione di piccole dispute: era allora facile ad un occhio esperto ed attento, rilevare quale violenza interiore facesse a se stesso Maggiorino per non lasciarsi trasportare dal suo carattere. Dopo una confessione scriveva: «Prometto di non lasciarmi trasportare dall'ira».

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Un compagno gli chiese per almeno venti volte un favore che Maggiorino non poteva concedere, e con insistenza
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tale che doveva riuscirgli penosissima.
Si poteva benissimo vedere come il povero fanciullo ne soffriva. Pregava l'altro a non chiederglielo più, gli spiegava i motivi ragionevolissimi del suo diniego, tornava a ripeterli. Domandò due volte al Direttore se poteva accontentare il compagno: sentito che no, stette fermo ma non ebbe una parola amara per l'importuno compagno, nonostante che ad ogni nuova insistenza si sentisse ribollire il sangue per l'ira.
Il Signore non misura i meriti da quanto uno fa, ma dall'amore con cui si fa. Un'anima può giungere ad una grande santità in poco tempo, anche in pochi mesi; operando con gran fervore, con vivo amore.

Fervore di volontà.


Ecco delle sue espressioni che leggiamo nelle sue memorie: «Con la grazia del Signore e della Madonna voglio farmi santo, grande santo, presto santo».
«Basta peccati! meriti, meriti!» «San Paolo da feroce persecutore dei cristiani
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divenne un ardente apostolo di Gesù Cristo. Io da cattivello che ero prima voglio, con la grazia del Signore, diventare santo. Il premio che mi aspetta grandissimo. Coraggio dunque, per guadagnarlo».
«Avanzare almeno di un tantino in virtù ogni giorno, sino alla morte».
«Mio Dio, voi solo io voglio, e niente più».
«O Gesù mio, io voglio farmi santo, aiutatemi».
«Gesù, aiutatemi: voglio farmi santo veramente santo, sul serio santo, davvero santo».
«Preghiamo e non stanchiamoci mai».
«Possa io dire al fine d'anno: non ho fatto alcun peccato: e dunque, che mi aspetta? il Paradiso!».
«Chi vuole si fa santo: volere e potere».
«Chi prega si salva, chi non prega si danna».
«Bisogna dire ogni giorno: voglio, voglio, voglio».
«Discendiamo spesso nell'inferno col pensiero mentre viviamo per non precipitarvi dopo la morte».
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«Sovente mi è accaduto di dirgli una buona parola. Egli l'accoglieva con un sorriso di semplicità, volgendo il suo sguardo a capo chino. Se eravamo in ricreazione od a passeggio desiderava che stessimo un po' più vicini per discorrere di Dio e del cielo». Così nota il suo maestro.
In una, lettera al fratello soldato (che non potè più spedire per una ripresa troppo violenta del male) gli dice: «Caro fratello, ho una cosa a dirti: che preghi anche per me, perché mi possa far santo...».
Si era fissata sulla carta e più nell'anima questa massima che richiamava alla mente quando stava per compiere un'azione di qualche importanza: «Se fra un'ora dovessi morire, saresti preparato?» Per non dimenticarla, se la scriveva sulle immagini che si teneva fra i libri o sul banco nello studio.

Ricorda i novissimi.


Verrà forse in mente a qualcheduno che l'ardore di Maggiorino fosse frutto
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di pura sentimentalità, cosa passeggera, una di quelle frequenti esplosioni giovanili?
No, poggiava su basi molto solide; perché nasceva dalla considerazione delle verità più forti della religione, specialmente dei novissimi. Spigoliamo alcune sue espressioni. «Per fare una buona morte occorre una buona vita».
«Ricorda, che è possibile morire da un momento all'altro: bisogna che sia sempre preparato».
«Pensiamo sovente alla vergogna che ci daranno i nostri peccati al giorno del giudizio».
«Guai a chi morrà in peccato mortale!»
«Il fuoco dell'inferno entra nelle midolla delle ossa del dannato».
«Sopra l'inferno si può scrivere: sempre e mai: cioè sempre vi si starà, mai vi si uscirà».
Per tenersi maggiormente presente il pensiero della morte si era dipinta una tomba e la guardava spesso.
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Il correttore.


Tutto questo non bastava! «Il Direttore non mi vede sempre, diceva, io ho bisogno di qualcuno che mi osservi bene e mi corregga di ogni più piccola cosa».
E si scelse un compagno correttore e si portava da lui spesso e insisteva a chiedere:
«Che cosa hai visto?» E siccome spesso l'altro non aveva osservato neppure mancanze inavvertite egli se ne lagnava col Direttore: «Il mio compagno non mi dice mai nulla. Forse ha troppo lavoro; non mi osserva. Me ne indichi un altro».

Contro i difetti d'indole.


Usava ogni attenzione par vincere se stesso e per correggere le sue cattive inclinazioni anche non peccaminose. Era egli così timido che aveva una gran paura dell'oscurità: avvertito si provò parecchie volte ad entrare verso notte nelle camere tutto solo e senza lume.
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Temeva assai anche nel dar la comunicazione dell'energia elettrica per le varie macchine: come restava quasi terrorizzato innanzi allo scintillio di luce prodotto da un piccolo contatto dei fili: a poco a poco con continui forzi andava acquistando il sangue freddo ed il dominio di se stesso.
A tavola si usa fare per circa metà il tempo della cena e del pranzo la lettura di un buon libro dai giovanetti per turno. Maggiorino che sembrava tanto franco in ricreazione dovette farsi non poca violenza per vincere la ripugnanza che sentiva a leggere in pubblico.
Aveva presa l'abitudine di dormire nell'inverno tutto raggomitolato nel suo letto. Avvertito che ciò era contro l'igiene, non lo fece più mai.
A tavola il Direttore avendolo vicino notò molte volte che egli mangiava indifferentemente di tutto: gli tornasse o no di suo gusto.

Voglio sempre essere allegro.


Questo era uno dei propositi di Maggiorino. Anzi teneva allegri gli altri:
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giocava, cantava, rideva, narrava barzellette, diceva anche stranezze.
E lo faceva per due ragioni: cacciare via le tentazioni e osservare la regola che stabilisce la ricreazione per necessario sollievo.
Il diavolo per tentare cerca i disoccupati: Maggiorino non voleva lasciare al demonio il tempo per farlo. In questo temeva talmente la tentazione che si poteva chiamare soverchio il suo timore.
Nella ricreazione si faceva anche promotore dei giuochi e spesso era l'anima dell'allegria. Sovente a tavola nel tempo in cui era permesso parlare, tutti si volgevano a lui ed egli allora sapeva cacciare il malumore da chiunque.
La vera pietà non conosce tristezza o malinconia.
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