NORME PER L'APPLICAZIONE DEL DECRETO DEL SACRO CONCILIO VATICANO II «PERFECTAE CARITATIS»
Perché i frutti del Concilio possano presto giungere a maturazione, gli Istituti Religiosi promuovano innanzitutto il rinnovamento dello spirito e quindi cerchino di realizzare prudentemente ma sollecitamente l'aggiornamento della vita e della disciplina, attendendo specialmente allo studio assiduo della Costituzione Dogmatica «Lumen Gentium» (cap. V e VI) e del Decreto «Perfectae caritatis», mettendo, inoltre, in pratica la dottrina e le norme del Concilio.
Per spronare all'applicazione del Decreto Conciliare «Perfectae caritatis», le seguenti Norme, valide per tutti i religiosi, tanto per i latini, come, con i dovuti adattamenti, per gli orientali, stabiliscono il modo di procedere ed alcune prescrizioni.
PARTE I
Come promuovere l'aggiornamento della vita religiosa
I - Chi debba promuovere l'aggiornamento
1. La parte principale nel rinnovamento e nell'adattamento della vita religiosa spetta agli stessi Istituti, che li attueranno soprattutto per mezzo dei Capitoli generali o, presso gli orientali, per mezzo delle «Sinassi». Il compito dei Capitoli non si esaurisce solamente nello stabilire le leggi, ma ancor più nel promuovere la vitalità spirituale e apostolica.
2. È necessaria la collaborazione di tutti i Superiori e di tutti i religiosi per il rinnovamento della vita religiosa individuale, per preparare lo spirito dei Capitoli e attuarne l'opera, e per il fedele adempimento delle leggi e delle norme da essi stabilite.
3. Per promuovere l'aggiornamento nei singoli Istituti, si convochi, entro due o al massimo tre anni, uno speciale Capitolo generale, ordinario o straordinario.
Tale Capitolo può essere diviso, se così avrà stabilito con suffragio segreto lo stesso Capitolo, in due periodi distinti, con un intervallo di tempo non superiore, in linea di massima, ad un anno.
4. Il Consiglio generale, nel preparare questo Capitolo, provveda convenientemente a una vasta e libera consultazione dei religiosi, ordinando, poi, opportunamente il risultato di tale consultazione, perché l'opera del Capitolo venga sorretta e guidata. Ciò potrà essere fatto, per esempio, ascoltando i Capitoli conventuali e provinciali, costituendo commissioni, proponendo questionari, ecc.
5. Per i Monasteri stauropegiaci sarà compito del Patriarca fissare le norme da seguire in tale consultazione.
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6. Detto Capitolo generale ha il diritto di cambiare ad experimentum alcune prescrizioni delle Costituzioni, o, presso gli orientali, dei Tipici, purché restino intatti il fine, la natura e il carattere dell'Istituto. Qualora risultasse opportuno, la Santa Sede volentieri permetterà prudenti esperimenti contrari al diritto comune.
Tali esperimenti potranno protrarsi fino al prossimo Capitolo generale ordinario, il quale potrà anche prorogarli, non però oltre un altro Capitolo immediatamente seguente.
7. Il Consiglio generale gode della stessa facoltà per il tempo che corre fra tali Capitoli, secondo le condizioni da stabilirsi dai Capitoli stessi. Presso gli orientali, nei Monasteri sui iuris, tale facoltà sarà esercitata dall'Egumeno con la Sinassi minore.
8. L'approvazione definitiva delle Costituzioni è riservata all'Autorità competente.
9. Per la revisione delle Costituzioni delle Monache, i singoli Monasteri in maniera capitolare o anche le singole Monache, esprimano i loro voti, che, allo scopo di salvaguardare la unità della famiglia religiosa, secondo l'indole particolare di ciascuno, saranno raccolti dall'Autorità suprema dell'Ordine, se c'è, altrimenti dal Delegato della Santa Sede e, presso gli orientali, dal Patriarca o dal Gerarca del luogo. Si potranno ottenere anche i voti e le consultazioni dai convegni delle Federazioni o da altre riunioni legittimamente convocate. Offra benevolo aiuto a quest'opera anche la pastorale sollecitudine dei Vescovi.
10. Qualora si giudicasse opportuno i Superiori Generali o i Delegati della Santa Sede e, presso gli orientali, il Patriarca o il Gerarca del luogo, potranno permettere nei Monasteri di Monache qualche esperimento temporaneo relativo alle osservanze.
Tuttavia si tenga conto della particolare mentalità e sensibilità delle claustrali, le quali hanno tanto bisogno di stabilità e sicurezza.
11. Spetterà alle Autorità sopra elencate provvedere alla revisione del testo delle Costituzioni, con la consultazione e la collaborazione dei Monasteri stessi, e a sottoporlo all'approvazione della Santa Sede o della competente Gerarchia-
II - Revisione delle Costituzioni e dei «Tipici»
12. Le leggi generali di ogni Istituto (dette Costituzioni, «Tipici», Regole, o con altra espressione) comprendano approssimativamente i seguenti elementi:
a) i principi evangelici e teologici riguardanti la vita religiosa e la sua unione con la Chiesa, e la dovuta chiara formulazione con la quale «si riconoscano e si osservino lo spirito e le finalità proprie dei Fondatori, come pure le sane tradizioni, perché tutto ciò costituisce il pa-trimonio di ciascun Istituto» (Decr. «Perfectae caritatis», n. 2 b).
b) le norme giuridiche necessarie per la determinazione del carattere, del fine e dei mezzi dell'Istituto, norme da non moltiplicarsi eccessivamente ma, nondimeno da esprimersi sempre in modo adeguato.
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13. Perché i codici fondamentali degli Istituti abbiano una base stabile e siano pervasi da vero spirito e da una legislazione vitale, è necessario che esista l'unione di ambedue gli elementi, quello spirituale e quello giuridico; in tal modo si eviterà un testo solamente giuridico oppure esclusivamente esortatorio.
14. Si escluda dal codice fondamentale degli Istituti quanto è già antiquato o è mutevole rispetto alle consuetudini di un determinato tempo, o che risponde a costumi strettamente locali.
Invece le norme che corrispondono al tempo presente, alle condizioni fisiche, psichiche dei membri, come pure a situazioni particolari, siano raccolte in codici complementari aggiunti, che sono chiamati "direttori", libri di usi o con altri nomi.
III - Criteri per l'aggiornamento
15. Le norme e lo spirito per realizzare l'aggiornamento devono essere tratti non solo dal decreto «Perfectae caritatis», ma anche dagli altri documenti del Concilio Vaticano II, specialmente dai capitoli V e VI della Costituzione dogmatica «Lumen gentium».
16. Gli Istituti curino che i principi sanciti nel n. 2 del Decreto «Perfectae caritatis» informino davvero il rinnovamento della propria vita religiosa. Perciò :
§ 1) si favorisca maggiormente nei religiosi fin dal noviziato lo studio e la meditazione del Vangelo e di tutta la S. Scrittura. Si promuova pure con mezzi più atti la partecipazione al mistero e alla vita della Chiesa;
§ 2) Si ricerchi e si esponga sotto i vari aspetti (teologico, storico, canonico, ecc.) la dottrina relativa alla vita religiosa;
§ 3) A fine di procurare il bene stesso della Chiesa, gli Istituti promuovano la conoscenza autentica del proprio spirito primitivo, affinché custodendolo fedelmente nella determinazione degli adattamenti, la vita religiosa venga purificata da elementi estranei e liberata da quelli antiquati.
17. Sono da ritenersi antiquati gli elementi che non costituiscono la natura e le finalità dell'Istituto e che, tenendo però presente il compito di testimonianza dello stato religioso, hanno perduto il loro significato e la loro forza e non sono più veramente di aiuto alla vita religiosa.
18. Il modo di governare sia tale che «i Capitoli e i Consigli,... ciascuno a proprio modo, siano l'espressione della partecipazione e della sollecitudine di tutta la comunità» (Decr. «Perfectae caritatis», n. 14), specialmente per mezzo di una partecipazione davvero efficace nella scelta dei membri di essi; parimenti l'esercizio dell'autorità sia reso più efficace e più spedito, secondo le esigenze dei nostri tempi. I Superiori di qualsiasi grado godano delle opportune facoltà, affinché non si moltiplichino inutilmente né troppo frequentemente i ricorsi alle autorità superiori.
19. D'altronde un efficace rinnovamento non può essere realizzato una volta per sempre, ma in certo modo deve essere alimentato continuamente per mezzo del fervore dei religiosi e della sollecitudine dei Capitoli e dei Superiori.
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PARTE II
Alcune cose da aggiornarsi e da rinnovarsi nella vita religiosa
I - L'Ufficio divino dei Fratelli e delle Suore (Decr. «Perfectae caritatis» n. 3)
20. Benché i religiosi che recitano un piccolo Ufficio debitamente approvato eseguiscano la preghiera pubblica della Chiesa (cfr. Cost. Sacrosanctum Concilium, n. 98), si raccomanda però agli Istituti che, invece del piccolo Ufficio, recitino integralmente o in parte l'Ufficio divino, affinché la loro partecipazione alla vita liturgica della Chiesa sia più intima. I religiosi Orientali recitino le dossologie e le lodi divine secondo i propri «Tipici» e le proprie consuetudini.
II - L'orazione mentale
(Decr. «Perfectae caritatis» n. 6)
21. Perché i religiosi partecipino in maniera più intima e più fruttuosa al sacrosanto mistero dell'Eucaristia e alla preghiera pubblica della Chiesa, e tutta la loro vita spirituale ne sia più abbondantemente alimentata, pur conservando i pii esercizi comunemente ammessi nella Chiesa, anziché moltiplicare le formule di preghiera, si dia maggiore tempo all'orazione mentale, usando la dovuta cura perché i religiosi siano diligentemente istruiti sulla maniera di condurre la loro vita spirituale.
III - La mortificazione
(Decr. «Perfectae caritatis» nn. 5 e 12)
22. I religiosi più degli altri fedeli attendano alle opere di penitenza e di mortificazione. Se è necessario, le osservanze penitenziali proprie degli Istituti siano rivedute, così che, tenute presenti le tradizioni sia dell'Oriente sia dell'Occidente come pure le condizioni dei tempi presenti, i religiosi possano veramente praticarle, assumendo nuove forme anche dal modo di vivere odierno.
IV - La povertà
(Decr. «Perfectae caritatis» n. 13)
23. Gli Istituti, specialmente per mezzo dei Capitoli generali, promuovano diligentemente e concretamente lo spirito e la pratica della povertà secondo quanto è prescritto nel n. 13 del Decr. Perfectae caritatis, cercando e sollecitando anche, a seconda della propria indole, nuove forme che al giorno d'oggi rendano più efficaci l'esercizio e la testimonianza della povertà.
24. Tocca agli stessi Istituti di voti semplici, nel Capitolo generale, il decidere se sia da introdursi nelle Costituzioni la rinuncia dei beni patrimoniali acquistati o da acquistarsi e, se ciò avvenga, se tale rinuncia sia obbligatoria o facoltativa e quando essa debba essere fatta, se, cioè, prima della professione perpetua oppure dopo alcuni anni.
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V - La vita comune
(Decr. «Perfectae caritatis» n. 15)
25. Negli Istituti dediti alle opere di apostolato, la vita comune, così importante perché i religiosi, come famiglia unita in Cristo, realizzino una comunione fraterna, sia promossa con tutte le forze in maniera rispondente alla vocazione d'ogni Istituto.
26. In tali Istituti l'orario quotidiano spesso non può essere lo stesso in tutte le case né, talvolta, nella stessa casa uguale per tutti i religiosi. Esso, però, deve essere sempre stabilito in modo che i religiosi, oltre al tempo dedicato alle pratiche spirituali e al lavoro, ne abbiano anche un po' a loro disposizione, e possano usufruire di una congrua ricreazione.
27. I Capitoli generali e le «Sinassi» studino la maniera secondo la quale coloro che sono chiamati conversi, cooperatori o con altro nome, gradualmente in certi atti di comunità e nelle elezioni possano avere il voto attivo e, relativamente a certi compiti, anche passivo; in tale modo verranno veramente congiunti più strettamente alla vita e alle opere della comunità, e i sacerdoti potranno attendere più liberamente ai loro ministeri.
28. Nei Monasteri nei quali si sia giunti ad avere un'unica categoria di Monache, siano precisati nelle Costituzioni gli obblighi corali tenuta presente la diversità delle persone, come è richiesto dalla distinzione delle opere e dalle speciali vocazioni.
29. Le Suore addette al servizio esterno dei Monasteri, chiamate oblate o con altro nome, siano rette da speciali statuti, i quali tengano conto sia della loro vocazione non esclusivamente contemplativa, sia delle esigenze della vocazione delle Monache alle quali vivono unite, pur senza essere esse stesse Monache.
La Superiora del Monastero ha il grave dovere di prendersi sollecita cura di esse, di dare loro la conveniente formazione religiosa, di trattarle con vero senso di carità e di alimentare il vincolo di fraternità con la comunità delle Monache.
VI - La clausura delle Monache
(Decr. «Perfectae caritatis» n. 16)
30. La clausura papale dei Monasteri deve considerarsi un istituto ascetico particolarmente coerente con la vocazione specifica delle Monache, dato che è segno, protezione e forma speciale della loro separazione dal mondo.
Con lo stesso spirito osservino la propria clausura le Monache dei riti Orientali.
31. Tale clausura sia adattata in modo da conservare sempre la separazione materiale dall'esterno. Le singole famiglie religiose, poi, secondo il proprio spirito, possono stabilire e precisare nelle Costituzioni i particolari di tale separazione materiale.
32. La clausura minore viene abolita. Perciò le Monache che per istituto attendono a
opere esterne, definiscano la propria clausura nelle Costituzioni. Le Monache invece, le quali, benché per istituto siano contemplative, hanno assunto opere esterne, dopo un conveniente periodo di tempo, che vien loro concesso per riflettere sul da farsi, o, lasciate le opere esterne, ritengano la clausura papale, o, conservando le stesse opere, precisino nelle Costituzioni la loro clausura, restando salva la loro condizione di Monache.
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VII - La formazione dei Religiosi
(Decr. «Perfectae caritatis» n. 18)
33. La formazione dei Religiosi fin dal noviziato non venga organizzata nello stesso modo in tutti gli Istituti, ma si tenga conto del carattere proprio di ogni Istituto. Nella revisione e nell'adattamento di essa si lasci sufficiente e prudente posto agli esperimenti.
34. Quanto è stabilito nel Decreto «Optatam totius» (sulla formazione sacerdotale) convenientemente adattato al carattere di ogni Istituto, è da osservarsi fedelmente nel modo di formare i chierici religiosi.
35. L'ulteriore formazione da darsi, nella maniera che convenga a ciascun Istituto, dopo il noviziato, che è assolutamente necessaria per tutti i Religiosi, anche di vita contemplativa, per i fratelli delle Religioni laicali e per le suo re degli Istituti dediti a opere di apostolato, generalmente venga protratto per tutto il periodo dei voti temporanei, come già esiste presso molti Istituti sotto il nome di juniorato o scolasticato o altro.
36. Questa formazione deve essere impartita in case adatte e, perché non sia esclusivamente teoretica, venga completata, a modo di tirocinio, con l'esercizio di opere o compiti corrispondenti al carattere e alle circostanze proprie di ogni Istituto, così che i Religiosi vengano gradualmente inseriti nella vita che in seguito dovranno condurre.
37. Salva sempre la formazione specifica di ciascuna religione, quando i singoli Istituti non potessero dare la sufficiente formazione dottrinale o tecnica, si potrà provvedere con la fraterna collaborazione di più Istituti. Tale collaborazione può avere diversi gradi e forme: lezioni e corsi comuni, scambio di docenti, anzi associazioni degli stessi e prestazione di mezzi per una scuola comune da frequentarsi da membri di più Istituti.
Gli Istituti provvisti di mezzi necessari aiutino volentieri gli altri.
38. Una volta fatti gli opportuni esperimenti, i singoli Istituti redigano le proprie e adatte norme relative alla formazione dei religiosi.
VIII - Unione e soppressione di Istituti
(Decr. «Perfectae caritatis» nn. 21-22).
39. Per promuovere una unione di qualsiasi genere tra vari Istituti, si presuppone una idonea preparazione spirituale, psicologica e giuridica, nello spirito del Decreto «Perfectae caritatis». A tale scopo sarà spesso opportuno che gli Istituti siano aiutati da un Assistente approvato dall'autorità competente.
40. In tali casi e circostanze si deve avere presente il bene della Chiesa, avendo tuttavia sempre il dovuto riguardo al carattere proprio di ciascun Istituto e alla libertà dei singoli membri.
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41. Tra i criteri che possono portare alla formulazione del giudizio sulla soppressione di un Istituto o di un Monastero, considerate tutte le circostanze, si ritengono specialmente, presi insieme, i seguenti: il numero esiguo di religiosi rispetto agli anni di esistenza, la mancanza di candidati per molti anni, l'età avanzata della maggior parte dei membri. Qualora si debba giungere alla soppressione, si provveda alla aggregazione "per quanto è possibile, ad un altro Istituto o monastero più fiorente, che non differisca nella finalità e nello spirito" (Decr. «Perfectae caritatis», n. 21). Prima, però, si ascoltino i singoli religiosi, e tutto venga realizzato con carità.
IX - Conferenze e Unioni di Superiori e Superiore Maggiori
(Decr. «Perfectae caritatis» n. 23).
42. Si provveda a che l'Unione dei Superiori Generali e l'Unione delle Superiore Generali possano essere sentite e consultate per mezzo di un Consiglio costituito presso la Sacra Congregazione dei Religiosi.
43. È di somma importanza che le Conferenze o Unioni nazionali dei Superiori e delle Superiore Maggiori collaborino con fiducia e riverenza con le Conferenze Episcopali (cfr. Decr. «Christus Dominus», n. 35, 5; Decr. «Ad gentes divinitus», n. 33).
Perciò si desidera che le questioni che interessano ambedue le parti vengano discusse in Commissioni miste, costituite da Vescovi e da Superiori o Superiore Maggiori.
CONCLUSIONE
44. Queste norme, valide per i Religiosi di tutta la Chiesa, lasciano intatte le leggi generali ecclesiastiche, sia della Chiesa latina sia delle Chiese Orientali, come anche le leggi proprie degli Istituti religiosi, a meno che non le mutino esplicitamente o implicitamente.
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