II
IMITARE LE VIRTÙ DI MARIA«Carissimi, imitate Maria
che voi amate; poiché il vero
amore ne imita le virtù».
(S. Girolamo)
La fede di Maria SS.
Te beata che hai creduto, perché s'adempiranno le cose a te predette dal Signore» (Lc 1,45). Le virtù teologali o divine costituiscono la parte essenziale della nostra santità. Sono la fede, la speranza e la carità: la maggiore però è la carità. Da esse dipendono tutte le altre virtù cristiane.
La fede è la virtù soprannaturale per cui crediamo sull'autorità di Dio, ciò che egli ha rivelato e ci propone a credere per mezzo della Chiesa.
È gran passo per accostarsi a Dio:
Credere oportet accedentem ad Deum (Heb 11,6).
La fede ci viene infusa da Dio nel S. Battesimo; è quindi un puro e gratuito suo dono. S. Paolo scrive: «Non che siamo capaci di pensare qualche cosa da noi come venisse proprio da noi: ma
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la nostra capacità viene da Dio» (2Cor 3,5). La fede è la più grande ricchezza della terra. S. Luigi re di Francia stimava più l'unzione della fede che l'unzione regale, più il battesimo che la corona di re. È più da stimarsi, ed è davvero più grande, chi conosce e crede le verità di un piccolo catechismo, che un superbo filosofo il quale, fermandosi alle verità naturali, non ascende a Dio né si piega alla dottrina della Chiesa.
La fede è il principio della salute: L'uomo non può tendere a Dio e al paradiso senza conoscere questo Dio, il suo fine soprannaturale ed i mezzi per conseguirlo.
La fede è il fondamento e la radice della giustificazione. Come una radice non solo sostenta lo albero, ma gli presta l'alimento onde possa produrre foglie, fiori e frutti, così la fede non solo sostenta la vita spirituale, ma la nutre, facendo produrre atti di timore, di speranza, di carità. In fine da essa dipendono la perfezione cristiana, la vocazione religiosa, lo zelo dell'apostolato.
La fede non solo è necessaria di necessità di precetto, per conseguire la salute, ma di necessità di mezzo. Sono note le parole di S. Paolo: «Senza la fede è impossibile piacere a Dio» (Heb 11,6); e quelle di Gesù: «Chi non crederà sarà condannato» (Mr. 16,16).
La fede di Maria fu la più perfetta. A Maria furono proposte a credere verità altissime ed ella fu pronta e costante nell'accettarle.
L'angelo le annunzia una serie di prodigi e di misteri: l'ineffabile mistero della SS. Trinità: il
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Padre, Figlio e lo Spirito S.; il mistero dell' Incarnazione; che ella è la vergine profetizzata da Isaia, che unirà in sé la maternità più eccelsa con la verginità illibata; che il frutto delle sue viscere sarà santo per eccellenza e Figliuolo dell'Altissimo; che regnerà in eterno. L'angelo propone sì grandi cose con ammirabile semplicità; porge solo il segno di Elisabetta.
Il sacerdote Zaccaria, scrive ammirato S. Ambrogio, non credette che Elisabetta, avanzata in età e sterile potesse divenire madre di un figliuolo. Maria invece credette che una vergine concepirebbe e darebbe alla luce un Dio fatto uomo.
Maria credette prontamente. Non esitò un istante: «Ecco l'ancella del Signore, si faccia di me secondo la tua parola» (Lc 1,38). Al primo annuncio dell'angelo si conturbò, è vero, ma il suo turbamento derivava solo dall'amore all'illibata verginità e dall'umiltà.
La prontezza nel credere, dice S. Agostino, aprì il cielo ed attirò nel seno di Maria il Verbo eterno. Credette ed intraprese subito il viaggio per le montagne della Giudea affine di offrire i suoi servizi ad Elisabetta.
S. Elisabetta esaltò Maria per la sua fede ed a questo attribuì l'adempimento delle divine promesse: «Perché hai creduto si avvereranno in te le cose che ti ha detto il Signore» (Lc 1,45).
Maria credette con costanza. La fede di Maria, posta alla prova apparve sempre forte e generosa. Fu come uno scoglio in mezzo al mare, che non si smuove per infuriare di marosi e di tempeste.
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Prova alla fede di Maria fu l'adorare come figliolo di Dio, consostanziale al Padre quel bambino che ella diede alla luce in una povera stalla, privo di quegli agi che non mancano neppure ai più poveri figlioli degli uomini. Prova fu il doverlo trafugare in Egitto per eludere il furore di Erode, come egli davanti alle persecuzioni non potesse altrimenti liberarsi. Prova fu il vederlo tanti anni nell'oscurità di un'umile officina maneggiar la pialla e il martello senza dar segno manifesto della sua divinità. Prova fu la sua passione e morte, quando parve che anche l'Eterno Padre si dimenticasse del suo Unigenito o non lo riconoscesse per figlio: «Dio mio perché mi hai abbandonato?» (Mt 27,46). L'apostolo S. Pietro, benché formato alla scuola dei miracoli dubitò, dubitò l'apostolo S. Tommaso; dubitarono tanti altri. Ma non dubitò Maria: Sola omnium... plena fide, plena spe mysterium pectore solvebat suo. Costante e generosa adorò in Gesù il suo Dio, quando richiamava i morti a nuova vita, come quando pendeva dalla croce.
Dobbiamo nutrire la nostra fede:
Con la preghiera, per ottenere da Dio il lume della fede, una volontà docile nell'assentire alle verità rivelate. Questo specialmente nelle tentazioni contro la fede, nelle tribolazioni e nelle angustie.
Con la lettura dei libri sacri quali ci vengono dati dalla Chiesa. La S. Scrittura contiene la stessa parola di Dio. Se la leggiamo con quello stesso
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spirito col quale fu scritta, Dio rivela a noi i suoi segreti. Leggiamola assiduamente con semplicità di cuore, cercando la mente di Dio e la sua divina volontà. La Chiesa vuole che si legga la Bibbia commentata dai Santi Padri. La Bibbia è il pane dell'anima.
La fede si nutre poi ancora con l'ascoltare la parola di Dio, e col pensare e giudicare tutte le cose secondo la dottrina e gli esempi di Gesù.
Come nei pensieri e nei giudizi, così anche nei discorsi è necessario l'esercizio della fede.
Adoperarsi per la fede. Mentre molti s'industriano per togliere la fede dal cuore dei nostri fratelli, sia nostro santo desiderio adoperarci a combattere per la fede. A tale scopo giova far parte dell'Azione Cattolica, interessarsi per l'istruzione cristiana, per le opere missionarie pontificie, diffondere giornali che illuminano e difendono dagli attacchi degli eretici.
S. Ildefonso esorta: Imitamini signaculum fidei Mariae: Imitiamo la fede di Maria. Ma come abbiamo da imitare questa fede di Maria? La fede è insieme dono e virtù. Disse S. Gregorio: Ille vere credit, qui exercit operando quod credit: Crede veramente colui che opera secondo ciò che crede. Questo è l'avere una fede viva, cioè il vivere secondo la fede. «Il giusto vive di fede» (Heb 10,38).
S. Giacomo scrisse: «La fede senza le opere è morta» (Ic 2,17).
Preghiamo la SS. Vergine ad impetrarci una fede viva: Domina adauge nobis fidem.
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Preghiamo - Signore Gesù, nostro mediatore presso il Padre, che ti sei degnato di costituire la beatissima Vergine tua e nostra madre mediatrice presso di te, concedici, nella tua bontà che chiunque si accosterà a te per domandare i tuoi benefici, si rallegri d'impetrarli per la sua intercessione.
Deh, o Signore, per le preghiere della tua madre e mediatrice nostra, quest'offerta di ostie faccia di noi con la tua grazia, un olocausto eterno.
S. Giovanni Bosco, nel maggio 1869 si recava a Lanzo con i giovani e la banda dell'oratorio per celebrare in quel collegio la festa di S. Filippo Neri, titolare dell'istituto. Sette giovani si trovavano in una camera isolata, colpiti dal vaiolo. Il loro maggior cruccio però era di non poter godere la bella festa. Tuttavia pieni di fiducia nella bontà della Madonna e nella sua benedizione fecero pregare Don Bosco perché si degnasse, appena giunto, di recarsi a benedirli. Egli arrivò in collegio e tutti e sette si fecero preparare gli abiti in fondo al letto. Tardando ad andare presso di loro mandarono di nuovo a sollecitarlo. E appena entrato in camera esclamarono: «Oh, Don Bosco, ci dia la sua benedizione!». Il santo fece recitare un'Ave Maria e li benedisse. Certi allora della grazia, stendendo le mani ai vestiti: «Don Bosco, dissero ad una voce, ora possiamo alzarci?».
- Avete fede nella Madonna?
- Sì.
- Ebbene alzatevi!
E Don Bosco si ritirò col direttore, il quale sentì il bisogno di ritornare in fretta a vedere gli ammalati. Erano ormai tutti vestiti, tranne uno che dubitava della guarigione:
- Baravalle non è certo di essere guarito, - gridarono i compagni.
E questi per ordine del direttore rimase a letto, mentre gli altri scendevano in cortile a divertirsi. Cercandoli poco dopo il direttore li trovò impegnati in una calorosa partita di giuoco fra i compagni. Le pustole erano scomparse.
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La speranza di Maria SS.
Tre giorni dopo c'era un banchetto nuziale in Cana di Galilea, e v'era la madre di Gesù. E alle nozze fu invitato Gesù con i suoi discepoli. Ed essendo venuto a mancare il vino, dice a Gesù la madre: Non hanno più vino (Io 2,1-3).
La speranza e virtù soprannaturale per cui confidiamo in Dio e da lui aspettiamo la vita eterna e le grazie necessarie per meritarla con le buone opere.
Speriamo in primo luogo il paradiso. Già Tobia diceva: «Noi siamo figli di santi ed aspettiamo quel]a vita che Dio darà a coloro i quali non perdono mai la loro fiducia in lui» (Tb 2,18).
E S. Agostino: «Ma come: nessun premio ci darà Dio? Nessuno all'infuori di se stesso. Il premio di Dio è lo stesso Dio». D'altronde Dio è il sommo bene, la nostra felicità eterna. Per questo i santi disprezzavano i beni della terra e non desideravano che il cielo.
Speriamo in secondo luogo le grazie necessarie per meritare la vita eterna con le buone opere. La vita eterna è il fine, le grazie per le buone opere sono i mezzi.
La misura della nostra fiducia è anche la misura delle grazie. Basta leggere il vangelo per persuadercene. Quante volte Gesù, a coloro che ricorrevano a lui per guarigioni diceva «La tua fede ti ha salvato: va' in pace. Credi tu? Se puoi credere tutto è possibile a chi crede. Confida, ti sono rimessi i tuoi peccati».
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La speranza di Maria SS. fu proporzionata alla sua grande fede: fu alta, forte, operosa.
Alta. La speranza ha per base la fede e quanto più questa è salda, tanto più quella si innalza. Di mano in mano che un'anima cresce nella conoscenza di Dio, della sua bontà, potenza e fedeltà, il cuore si dilata e si sente confortato a sperare.
Maria superò nella speranza ogni creatura. Una luce vivissima illuminò la sua mente a credere; un desiderio accesissimo sollevò la sua volontà a sperare.
La S. Vergine non aveva alcun ostacolo a questa bella virtù: non peccati, non attaccamento alle creature, al mondo, o a se stessa. Si sollevava spedita e tranquilla a Dio e in Dio si riposava.
Forte. La speranza di Maria fu posta alle prove più dure. Anche in questa virtù ella doveva essere la regina di tutti i santi. S. Giuseppe, ignaro del mistero operato in lei, pensa di abbandonarla segretamente. Maria pena per le angustie del suo Sposo, ma tanto si fida di Dio e tace, eppure una sola parola sarebbe bastata a calmare le agitazioni e a rendere ad entrambi la serenità e l'allegrezza. Alle nozze di Cana fa notare al suo divin figlio la mancanza del vino e con ciò lo prega di aiutare con un miracolo gli sposi. Gesù dà una risposta che ha sembianze di un rifiuto nonostante Maria è certa di essere esaudita ed avvisa i servi di star pronti ai cenni di lui.
Nel tempo della passione, la speranza di Maria deve sostenere molti assalti. L'angelo le aveva annunciato di Gesù grandezze meravigliose: ma intanto
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egli è vittima dei suoi persecutori, viene trascinato da un tribunale all'altro, e condannato a morte e confitto in croce.
Eppure Maria non diffidò un istante che il suo figlio avrebbe vinto i suoi nemici; si tenne sicura che avrebbe regnato in terra e in cielo: Contra spem in spem credidit: Credette contro ogni speranza (Rm 4,18).
Impariamo a sperare sempre e diciamo con Giobbe «Anche se mi facesse morire spererò in lui... ed egli sarà il mio salvatore» (Ib 13,15-16).
Operosa. Dio richiede la cooperazione delle sue creature; non vuole far per miracolo quello che si può ottenere con la pietà. Fa' tutto quello che puoi da te, come se nulla avessi da riprometterti da Dio, diceva S. Ignazio, e spera tutto da Dio, come se nulla tu avessi fatto.
La Vergine SS. sperò a Betlemme che il Signore le avrebbe preparato un rifugio, ma lo cercò per tutta la città e fuori di essa, finché si riparò nella spelonca destinata. La fuga in Egitto, la perdita di Gesù nel tempio, la crocifissione e morte di Gesù furono altrettante occasioni che dimostrano quanto fosse operosa la speranza di Maria.
Dopo che Gesù fu rinchiuso nel sepolcro Maria non poteva che accelerare coi voti la sua risurrezione. Si ritirò perciò in preghiera; non andò con le devote donne a cercare tra i morti colui che era tra i vivi e fermamente sperava di riabbracciare tra breve risorto e glorioso.
Beate le anime che dopo aver fatto quanto possono, si abbandonano a Dio e da lui solo aspettano aiuto e premio.
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I motivi della speranza sono:
La misericordia di Dio. Chi spera nel Signore è circondato dalla misericordia (Ps 31,10). Dio è buono! Egli vuole essere chiamato nostro padre; ha sacrificato il suo unico Figlio per noi. Vuol darci il suo paradiso per eredità; ha messo a nostra disposizione mezzi senza numero per la vita eterna. Della sua bontà Gesù ci ha dati esempi toccanti nella parabola del figliuol prodigo, del buon pastore, della pecorella smarrita, nel perdonare alla Maddalena, al buon ladrone, a Matteo, a Pietro.
Dio è fedele alle promesse. «Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; picchiate e vi sarà aperto» (Mt 7,7). Gesù Cristo ha detto: «Vado a preparare un posto per voi» (Io 14,2). Ora è impossibile che Dio inganni: «Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno» (Lc 21,33). Udiamo perciò la S. Scrittura: «Conserviamo senza vacillare la professione della nostra speranza, essendo fedele Colui che ha promesso» (Heb 10,93).
I meriti infiniti di Gesù Cristo. Dice S. Paolo: «Ora siete stati riconciliati da Dio nel corpo della carne di lui, per la sua morte, affine di farmi comparire santi, immacolati e irreprensibili innanzi a lui stesso» (Col 1,22). «Colui che non ha risparmiato nemmeno il proprio Figliuolo, ma l'ha dato a morte per noi tutti, come potrà non donarci con lui tutte le cose?» (Rm 8,32).
Ecco i motivi della nostra speranza.
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Confidate in Dio, infinitamente potente, misericordioso e fedele: «Il Signore è la mia luce, la mia salvezza; di chi ho da temere? Mentre i malvagi venivano ad attaccarmi per divorare le mie carni, essi, i nemici che mi perseguitavano, han vacillato e son caduti. Quand'anche mi si accampasse contro un esercito, il mio cuore non temerà, e se mi attaccano in battaglia, in questo io pongo la mia speranza» (Ps 26,1-3).
Confidare soprattutto nelle avversità. Scrive S. Paolo: «Non soltanto di questo ci gloriamo, ma anche delle tribolazioni, sapendo come la tribolazione produce la pazienza, la pazienza l'esperienza, l'esperienza la speranza. Or la speranza non inganna, poiché la carità di Dio è stata diffusa nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5,3-5). Ed ancora: «Se figliuoli, anche eredi: eredi di Dio e coeredi di Cristo; se però soffriamo con lui, da essere con lui glorificati. Io tengo per certo che i patimenti della vita presente non sono da paragonarsi alla futura gloria che sarà manifestata in noi» (Rm 8,17s). La nostra momentanea e leggera tribolazione produce per noi un eterno ed oltremodo sublime cumulo di gloria. «Io posso tutto in colui che è mio conforto» (Ph 4,13).
Diciamo dunque a Maria:
Vergine SS., di voi dice l'Ecclesiastico (24,24) che siete la madre della speranza: Mater sanctae spei. Di voi dice la S. Chiesa che siete la stessa speranza. Spes nostra. Chi cercherò dunque? Voi dopo Gesù, siete tutta la fiducia mia: così vi chiamava
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S. Bernardo, così voglio chiamarvi ancor io: Tota ratio spei meae, salus te invocantium, salva me.
Preghiamo - Deh, Signore, largisci ai tuoi servi il dono della grazia celeste, affinché mentre il Figliuolo della B. Vergine fu loro principio di salvezza, la solennità votiva di sua natività apporti aumento di pace.
S. Francesco di Sales - Fu innanzi ad un'immagine di Maria, che S. Francesco di Sales ottenne la liberazione da una delle maggiori pene che possa soffrire quaggiù un'anima. Il santo studiava in Parigi, quando fu tentato da spaventosa disperazione pensando di essere da Dio riprovato. Questo pensiero gli stava sempre fisso nell'anima e non gli lasciava più pace. Caduto in una profonda malinconia, divenne pallido e macilento con grave danno della sua salute. Un giorno parendogli di non poter più resistere a tale tentazione, si rifugiò in chiesa e si prostro davanti all'altare di Maria, dove alcun tempo prima, aveva fatto voto di castità. Si gettò con la faccia per terra, con ardentissimo affetto e gran confidenza pregò Maria che severamente era da Dio riprovato e destinato ad odiarlo per sempre con i dannati, nell'inferno, ella almeno gli impetrasse la grazia di amarlo finché viveva qui in terra. Finì versando copiose lacrime e recitando con grande affetto la preghiera di S. Bernardo: Ricordatevi.
La madre di Dio l'esaudì. La tentazione scomparve come per incanto, ritornò la pace al suo spirito ed il suo cuore si trovò pieno di fiducia e di gioia.
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La carità di Maria SS.
Mettimi come un sigillo sul tuo cuore, come un sigillo sul tuo braccio, che l'amore è forte come la morte... Le molte acque non possono estinguere l'amore, né i fiumi potranno sommergerlo (Cn 8,6-7).
La carità è virtù soprannaturale per cui amiamo Dio per se stesso, sopra ogni cosa e il prossimo come noi medesimi per amor di Dio.
È virtù più nobile, più meritoria; è un dono che viene infuso da Dio nel s. Battesimo insieme alla fede e alla speranza: «La carità di Dio è stata diffusa nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato donato» (Rm 5,5).
Amiamo Dio e il prossimo. Queste parole indicano l'oggetto della carità, che è duplice e il prossimo figlio di Dio. «La carità, dice S. Agostino, ha due braccia: con uno si attacca a Dio, con l'altro al prossimo».
Si legge nel S. Vangelo. Un dottore in legge domandò a Gesù per tentarlo: «Maestro, qual è il maggior comandamento della legge?» E Gesù: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta l'anima tua, con tutta la tua mente. Questo è il massimo e primo comandamento. Il secondo poi è simile a questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso» (Mt 22,35-39).
E San Giovanni aggiunge: «In questo si distinguono i figliuoli di Dio e i figliuoli del diavolo: chiunque non pratica la giustizia non è da Dio, così pure chi non ama il proprio fratello. E il messaggio che voi avete sentito fin da principio
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è questo, che vi amiate l'un l'altro; non facendo come Caino che era maligno ed uccise il suo fratello. Perché lo uccise? Perché le sue opere erano malvagie e quelle di suo fratello erano giuste» (1Io 3,10-12).
La carità di Maria fu la più grande sia considerata rispetto a Dio come rispetto al prossimo.
Rispetto a Dio. Dal primo momento di sua esistenza Maria fu accesa di tanto amore verso Dio, da superare l'amore dei più grandi santi al termine della loro vita. S. Bernardino aggiunge che superò anche quello di tutti gli angeli insieme. Così S. Anselmo: Superat... omnes omnium rerum creaturum amores et dulcedines magnitudo amoris istius Virginis: La grandezza dell'amore di questa vergine supera ogni amore e dolcezza di tutte le altre creature. Maria visse su questa terra, ma col cuore sempre fisso in Dio. Quest'Amore, poi, crebbe immensamente nell'incarnazione del Verbo, nella nascita di Gesù, nella fuga in Egitto, nella perdita e nel ritrovamento, nel soggiorno di Nazaret. Crebbe nella passione e morte, nella risurrezione ed ascensione al cielo; e specialmente nelle sante comunioni che riceveva da S. Giovanni. Ella non passava, come gli altri, dall'imperfezione alla santità, o dalla tiepidezza al fervore, ma da un grado di amore fervido ad un grado sempre più acceso. Ci fanno meraviglia i deliqui di S. Stanislao Kostka e di tanti santi, i quali vivevano d'amore. Ma tutto l'amore loro è piccola fiammella di fronte all'amore di Maria.
Dice S. Bernardo: «Se tutte le creature fossero
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altrettanti Paolo apostolo, non raggiungerebbero l'estasi amorosa di Maria, perché l'Apostolo fu vaso di elezione e la Vergine vaso di divinità. La Vergine SS. per la veemenza di quest'amore, sarebbe morta: ma Dio la sostenne. Fulcite me floribus, stipate me malis, quia amore langueo: Sostenetemi coi frutti, perché io languisco d'amore (Cn 2,5), pone sul labbro di Maria la Chiesa.
Il suo amore fu sempre attuale. Il cuore di Maria fil come l'altare sul quale il fuoco era sempre mantenuto vivo di giorno e di notte. Maria non amò Dio come gli altri santi, con atti frequenti di carità lo amò con un atto solo continuo: Gloriosissima Virgo de privilegio singulari continue et semper Deum amabat actualiter.
Rispetto al prossimo. L'amore che si porta a Dio e l'amore che si porta al prossimo nascono da una medesima fonte, anzi è un solo fuoco con due fiamme. Idem specie actus est quo diligitur Deus et quo diligitur proximus; così insegna S. Tommaso. Perciò chi ama veramente Dio non può non amare anche il prossimo.
Maria ama Dio più di tutti i santi e così pure immensamente più di tutti i santi ama gli uomini.
Questa carità si accese anche per gli esempi del suo figliuolo. Sapeva che per gli uomini era disceso dal cielo; per questo si era dato in cibo, per questo era morto sulla croce.
Maria notava con somma diligenza tutte le parole che uscivano dal labbro benedetto di Gesù, ne studiava tutte le azioni, tutti i sentimenti e li meditava per imitarlo, per conformarsi in tutto a
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lui: Maria autem conservabat omnia verba haec conferens in corde suo: Maria riteneva tutte queste cose meditandole in cuor suo (Lc 2,19).
Maria SS. diede la più grande prova della sua carità sul calvario. L'amore si prova coi fatti.
Gesù nel morire per noi ci ha dato la prova più grande d'amore, perché: maiorem caritatem nemo habet, ut animam suam ponat quis pro amicis suis: Nessuno ha maggior carità di chi dà la vita per i suoi amici (Io 15,13); Maria coll'acconsentire alla morte di Gesù, anzi coll'offrir la vita di lui in espiazione dei nostri peccati, ce ne lasciò anch'essa la prova maggiore che potesse darci. Non è difficile far del bene agli altri quando poco o nulla costa: difficile quando il nostro amor proprio ne soffre. La grandezza del sacrificio indica la forza dell'amore. Fortis est ut mors dilectio: L'amore è forte come la morte (Cn 8,6).
Dio dev'essere amato con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutta la mente, con tutte le forze. Nella perfezione della celeste beatitudine, insegna S. Tommaso, noi ameremo Dio con tutto il cuore, perché la nostra intenzione si trasporterà in Dio da tutto ciò che penseremo, ameremo, faremo; con tutta la mente, perché il nostro pensiero con un atto continuo volerà a Dio, studiando sempre lui e tutte le cose in lui; con tutta l'anima perché tutto il nostro affetto sarà continuamente intento ad amar Dio, e per amore di lui ameremo tutte le cose; con tutte le forze perché l'amore di Dio sarà l'unica ragione di tutti i nostri atti esterni.
Adempiamo questo massimo e primo dei precetti mentre siamo su la terra:
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Riferendo tutto a Dio come nostro ultimo fine; ordinando la nostra vita al suo servizio: così ameremo Dio con tutto il cuore.
Assoggettando il nostro intelletto a Dio credendo ciò che egli ha rivelato: così ameremo Dio con tutta la mente.
Amando in Dio quello che amiamo e riferendo in tutto e per tutto ogni nostra affezione all'amor di Dio: così ameremo Dio con tutta l'anima.
Avvalorando coll'amor di Dio tutto il nostro esterno, le nostre parole e le nostre opere; così ameremo Dio con tutte le nostre forze.
Maria ama immensamente il suo Dio e perciò richiede ai suoi devoti che l'amino anch'essi quando possono. S. Caterina da Siena chiamava Maria, apportatrice del fuoco del divino amore.
S. Alfonso prega così la SS. Vergine.
«Ah! regina dell'amore, Maria, la più amabile, la più amata e la più amante di tutte le creature: ah! madre mia, voi ardeste sempre e tutta d'amore verso Dio; deh, degnatevi di donarmene almeno una stilla. Voi pregaste il vostro figlio per quegli sposi ai quali mancava il vino: Vinum non habent (Io 2,3) e non pregherete per noi privi dello amore a Dio che siamo tanto obbligati d'amare? Dite pure: Amorem non habent e voi impetrateci quest'amore.
Dice S. Gregorio Nazianzeno che non v'è cosa con cui possiamo più acquistarci l'affetto di Maria che con usar carità al nostro prossimo.
Secondo la carità che noi useremo col prossimo,
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Dio e Maria l'useranno con noi:
Date et dabitur vobis. Eadem quippe mensura, qua mensi fueritis, remetietur vobis: Colla stessa misura con cui avete misurato, sarete misurati (Lc 6,38).
O beatissima vergine, madre del bell'amore, date anche a noi un cuore come il vostro!
Preghiamo - Onnipotente e sempiterno Dio, che nel cuore della B. Vergine Maria preparasti una degna abitazione dello Spirito Santo, concedi propizio che celebrando la solennità del medesimo purissimo cuore, possiamo vivere secondo il tuo cuore.
S. Teresa del B. Gesù, nutriva in sé un grande amore a Maria: «L'amo tanto diceva, e se fossi stata sacerdote, come avrei parlato bene di lei!» Ma poi soggiungeva: «Maria preferisce di essere imitata, piuttosto che ammirata». E la imitò fino a raggiungere in breve un alto grado di santità.
Chi ama tanto Maria e ne imita le virtù si farà santo.
La prudenza di Maria SS.
Figlio mio, dà retta alla sapienza e porgi l'orecchio alla prudenza, se vuoi vigilare sui tuoi pensieri e custodire la scienza (Pro 5,1s).
La virtù è l'abitudine di operare il bene.
Vi sono quattro virtù che si chiamano cardinali. Sopra di esse, come sopra quattro cardini, si svolge tutta la vita virtuosa.
Nel libro della Sapienza (8,7), si legge: «Insegna la temperanza, la prudenza, la giustizia e la
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fortezza delle quali nulla vi è di più utile per gli uomini nella vita».
Le altre virtù morali si possono ridurre a queste quattro.
La prudenza è la prima delle virtù cardinali, e secondo S. Tommaso, è un retto modo di comportarsi nell'operare, in ordine alla vita eterna, è una sapiente discrezione.
La prudenza ha tre atti: bene consultat, recte iudicat, efficaciter imperat. E cioè: prima pondera sui mezzi, sul fine, sulle circostanze, poi sceglie, con sereno giudizio, ciò che conviene e infine muove efficacemente le potenze dell'anima e del corpo.
Essa è quindi guida per ogni virtù. S. Antonio abate diceva che la prudenza è la madre, la custode e la moderatrice di ogni virtù.
La prudenza dei santi in generale è conoscere Dio nostra eterna felicità ed ordinare tutta la vita presente all'eternità. La prudenza della carne che presso Dio è la più cieca stoltezza, mira solo alla vita presente senza curarsi dell'eternità. I santi sono gli uomini più prudenti: «Siate prudenti come i serpenti», disse Gesù Cristo (Mt 10,16).
Si legge nella S. Scrittura: «Beato l'uomo che ha acquistato la sapienza ed è ricco di prudenza. L'acquisto di lei val più di quello dell'argento ed il suo frutto val più dell'oro preziosissimo» (Pro 3,13s). «Mio padre mi ammaestrava e mi diceva: Accogli nel tuo cuore le mie parole, osserva i miei precetti e vivrai. Acquista la sapienza, acquista la prudenza, non dimenticare le parole della mia bocca e non ti scostare da loro. Non abbandonare
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la sapienza ed essa ti custodirà, amala ed essa ti conserverà. Principio della sapienza è: acquista la sapienza; con tutto il tuo cuore acquista la prudenza. Afferrala ed essa ti esalterà; sarai da lei reso glorioso quando l'avrai abbracciata. Aggiungerà al tuo capo ornamenti di grazia e ti cingerà di inclita corona» (Pro 4,4-9).
La Madonna è Vergine prudentissima nell'annunciazione, nel suo esteriore, nella vita intera.
Nell'annunciazione si mostrò di una prudenza mirabile. L'arcangelo Gabriele presentandosi a Maria la salutò con un ineffabile elogio: Ave gratia plena, Dominus tecum, benedicta tu in mulieribus. Maria avendo udito queste cose, si turbò e pensava che volesse significare un simile saluto. Ma l'angelo riprese: «Non temere, o Maria, hai trovata grazia presso Dio. Ecco che concepirai un figlio e ne diverrai madre, e lo chiamerai Gesù. Questi sarà grande e sarà chiamato il Figlio dell'Altissimo; e il Signore gli darà il trono di suo padre e regnerà sulla discendenza di Giacobbe in eterno, e il suo regno non avrà fine». Rispose Maria all'angelo: «Come avverrà questo non avendo io relazione con uomo alcuno?» L'angelo allora: «Lo Spirito Santo discenderà su di te, la virtù dell'Altissimo ti adombrerà e il santo che da te nascerà sarà chiamato Figlio di Dio. Ed anche Elisabetta, tua parente, ha concepito da sei mesi un figlio nella sua vecchiaia, poiché nulla è impossibile presso Dio». Disse allora Maria: «Ecco l'ancella del Signore: si faccia di me secondo la tua parola» (Lc 1,28-38).
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Prudenza mirabile per tre motivi:
1. - Non si lasciò invanire da un elogio sì grande, anzi si turbò e si conservò nella più perfetta umiltà dichiarandosi serva mentre veniva eletta madre di Dio.
2. - Ella aveva il voto di verginità: non si lasciò lusingare dalla dignità offertale di madre di Dio, ma subito domandò come avrebbe potuto osservare l'obbligo del voto e come conservare intatto il giglio verginale.
3. - Come era sicura che lo spirito che le parlava era un messo di Dio e non un'illusione? Credette soltanto dopo che l'angelo le ebbe data una prova, cioè il fatto prodigioso di Elisabetta fatta, nella sua vecchiaia, madre di S. Giovanni Battista. È l'aurea regola scritturale: «Non vogliate credere a qualsiasi spirito: prima assicuratevi se vengono da Dio» (1Io 4,1).
Prudentissima fu Maria nel suo comportamento esteriore. Tutto in lei era ordinato alla vita eterna, all'amor di Dio, alla propria santificazione. L'imprudente è disordinato nelle sue cose, irriflessivo nel parlare, inconsiderato nelle relazioni, volubile nelle decisioni, precipitoso nelle risoluzioni, senza riguardi a Dio, e al prossimo; si regola più secondo le impressioni momentanee che secondo un programma e princìpi ben meditati.
Niente di questo in Maria. Scrive S. Giovanni Damasceno: «Immagina Maria nelle azioni più comuni della vita: nel conversare, nel camminare, nel lavoro, a tavola, nell'assistere Gesù Bambino:
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sempre tranquilla, semplice, attenta, compita, composta, amabile».
Quindi dice S. Ambrogio: «Il gesto di Maria non era molle, il passo non era licenzioso, la voce nulla aveva di petulante; la compostezza esteriore indicava la perfetta e celestiale armonia del suo interno». S. Epifanio dice di lei: «Maria era sempre affabile, ma parlava poco e sempre con saviezza, edificando quanti l'ascoltavano». Alle nozze di Cana espresse il bisogno degli sposi e domandò per essi un miracolo con parole così moderate che di più non si potrebbero pensare: «Non hanno più vino» (Io 2,3).
Il parlar molto espone al pericolo di peccare in tanti modi: perciò Gesù disse: Sia il vostro parlare: sì, sì; oppure; no, no; il di più è del maligno (Mt 5,37). Nella scrittura si dice che in multiloquio non deest peccatum: Nel molto parlare non mancherà il peccato (Prov 10,19).
Prudentissima fu Maria in tutta la sua vita. Teneva sempre presente il paradiso; ordinava all'acquisto di esso ogni pensiero, sentimento, parola, azione.
Ecco la bella parabola di Gesù: «Allora si paragonerà il regno dei cieli a dieci vergini, le quali, prese le loro lampade, andavano incontro allo sposo e alla sposa. Or cinque di esse erano stolte e cinque prudenti. Le stolte, nel prendere le loro lampade, non s'erano provviste d'olio; le prudenti invece, colle lampade presero anche l'olio nei vasetti. Or, tardando lo sposo, s'appisolarono tutte e s'addormentarono. E sulla mezzanotte si levò
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un grido: Ecco lo sposo; uscitegli incontro. Allora tutte quelle vergini s'alzarono, e prepararono le loro lampade. E le stolte dissero alle prudenti: Dateci dell'olio vostro perché le nostre lampade si spengono. Ma le prudenti risposero: Affinché poi non manchi e a noi e a voi, andate piuttosto dai venditori e compratevene. Or mentre quelle andavano a comprarne, giunse lo sposo: quelle che erano pronte entrarono con lui alle nozze e fu chiuso l'uscio. Da ultimo arrivarono anche le altre vergini e cominciarono a dire: Signore, Signore, aprici. Ma egli rispose: In verità vi dico: non vi conosco. Vegliate adunque perché ignorate il giorno e l'ora» (Mt 25,1-13). A capo, condottiera e modello di tutte le vergini prudenti, sta Maria chiamata dalla Chiesa vergine delle vergini, anzi regina dei vergini. Se dunque vi furono delle vergini prudenti, Maria le precede e supera come una regina. In ogni istante della vita cercò solo Dio, solo il paradiso, lo cercò con tutta la mente, con tutte le forze, con tutto il cuore. Fuggiva ogni ombra di male; la volontà di Dio era la unica sua guida.
Ci è tramandata l'immagine di Maria, dipinta in tutte le circostanze della sua vita, ma con gli occhi, o rivolti a terra, o rivolti al cielo in atto di supplica e sempre in una modestia più celeste che terrena. Sempre serena in volto era Maria, sempre parca, sempre modesta nello sguardo, di quella modestia che solleva l'anima alle cose del cielo. Evitò con giusto studio di vedere e d'essere veduta, e le inutili conversazioni. La solitudine ed il raccoglimento erano sua delizia; non fuggì tuttavia
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di stare col prossimo quanto era richiesto dalla misericordia e dalla carità.
Quando giunse il momento del beato suo transito, Maria era la più ricca di meriti, la più preparata all'ingresso in paradiso.
L'astuzia e l'inganno sono peccato. «Ma rinunziando ai nascondigli della turpitudine, non operiamo con astuzia, né falsifichiamo la parola di Dio; raccomandiamo invece noi stessi alla coscienza di ogni uomo davanti a Dio mediante la manifestazione della verità» (2Cor 4,2). «Preserva la tua lingua dal male e le tue labbra non parlino con inganno» (1Pt 3,10).
L'anima prudente fuggirà ancora: la precipitazione per cui si espone al pericolo di giudicare male e quindi di male operare, e l'incostanza per cui si recede dai buoni propositi senza ragione sufficiente.
Preghiamo - O Dio, che ci hai data per madre la stessa madre del tuo Figlio diletto ed hai voluto che la sua bella immagine risplendesse con miracolosa apparizione, fa ti preghiamo, che seguendo i suoi consigli viviamo secondo il tuo cuore e meritiamo di giungere alla patria celeste.
Pio VII - Napoleone I, orgoglioso per le vittorie riportate, aveva chiuso Pio VII, vecchio ed infermo, in carcere, a Savona.
Ma sta scritto nei Libri santi che le porte dell'inferno non potranno prevalere contro l' immacolata sposa di Cristo, la chiesa cattolica. In quelle terribile angustie, con slancio fervidissimo, Pio VII ricorse a Maria, venerata col titolo di Madonna della misericordia, vicino alla
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città di Savona. Sulla fronte del pontefice lampeggiò un sorriso di pace e di trionfo. È fama dicesse allora all'ufficiale che lo custodiva: «Ora scrivete pure a Napoleone, e ditegli in mio nome che ha finito di vincere. La sua stella si volge al tramonto!». E come disse il Papa così avvenne. Gli eserciti di Napoleone furono ripetutamente sconfitti ed egli, fatto prigioniero dagli inglesi, veniva esiliato sull'arido scoglio di S. Elena. Al contrario, il Pontefice rientrava trionfalmente nella sua Roma il 24 maggio 1814, tra il plauso del mondo intero; dopo aver incoronata la Vergine misericordiosa. Ordinava che si facesse speciale festa in perpetuo, con messa ed officio proprio ad onor di Maria SS. sotto il titolo:
Auxilium christianorum: aiuto dei cristiani. Tale festa venne da Pio VII fissata il 24 maggio.
La giustizia di Maria SS.
Egli sederà a fondere e purificare l'argento: purificherà i figli di Levi, li colerà come l'oro e come l'argento, e allora offriranno al Signore sacrifici di giustizia (Ml 3,3).
La giustizia è una virtù cardinale: per essa si dà a ciascuno quanto è dovuto. Giusti con tutti: verso Dio, al quale è dovuta l'adorazione, l'obbedienza, l'amore verso il prossimo, a cui siamo obbligati da vari doveri che possono andare dall'obbedienza ai genitori, all'amore verso il prossimo; verso noi medesimi tanto riguardo all'anima che riguardo al corpo.
La Sacra Scrittura fa un grande elogio a San Giuseppe quando dice:
Joseph cum esset justus (Mt 1,19). Significa che S. Giuseppe adempiva tutti i doveri: verso Dio, il prossimo e se stesso.
Possiamo comprendere questa virtù considerando
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un episodio del vangelo: «Allora i farisei, ritiratisi, tennero consiglio per veder come coglierlo in fallo nelle parole. E gli mandarono i propri discepoli con gli erodiani a dirgli: Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo la verità e non ti curi di nessuno, che non guardi in faccia alle persone. Dicci dunque: è lecito o no pagare il tributo a Cesare? Ma Gesù, conosciuta la loro malizia, disse: Perché mi tentate, ipocriti? Mostratemi la moneta del tributo. Ed essi gli prestarono un denaro. Ed egli chiese loro: Di chi è quest'immagine e l'iscrizione? Gli risposero: di Cesare. Allora disse ad essi: Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio» (Mt 22,15-21).
«Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia, poiché saranno saziati», disse ancora Gesù Cristo (Mt 5,6).
Maria diede a Dio il debito onore. Diede il tributo della preghiera. Fin dai primi momenti della sua esistenza, la Vergine ha adorato, ringraziato, propiziato e pregato il Signore meglio degli angeli e santi che sono in paradiso. E il profumo di quest'incenso andò sempre crescendo fin nell'eternità, nella quale Dio riceve da Maria lode grande.
Maria offrì tutta se stessa anima, corpo, vita al Signore. Infatti è comune sentimento dei Dottori e dei Padri, che ancora bambina, fu condotta dai parenti a Gerusalemme, al Tempio ove stette fino all'età di quindici anni. Ella praticò la massima perfezione nel servizio di Dio. Sembra fossero scritte per lei le parole: Audi, filia, et vide et inclina
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aurem tuam et obliviscere populum tuum et domum patris tui: Ascolta, o figlia, guarda e porgi l'orecchio, e dimentica il tuo popolo e la casa di tuo padre (Ps 44,11).
Maria si consacrò a Dio subito: gli offerse la volontà sottomettendosi perfettamente a coloro che la guidavano in nome di Dio.
Consacrò a Dio la sua intelligenza volendo amare il Signore con tutta la mente, pensare solo a Dio ed alle cose che riguardavano il suo santo servizio; studiava i salmi, meditava la S. Scrittura.
Consacrò a Dio il suo cuore ed il suo corpo con voto di perpetua castità, volendo amare il Signore con tutte le forze e senza alcuna divisione.
Man mano che passavano i giorni, Maria, per l'infusione di luce celeste, per i lumi che le venivano dalla S. Scrittura e dalle istruzioni dei dottori della legge si apriva a conoscere e contemplare il mistero dell'incarnazione del Verbo. Il suo cuore allora ardeva dal desiderio e sulle labbra si moltiplicavano le preghiere: Si aprano i cieli, le nubi piovano il giusto, germini la terra il Salvatore.
S. Bonaventura dice: «Maria era la prima nella mortificazione, la più erudita nella conoscenza della divina legge, la più umile, la più diligente nei canti sacri, la più perfetta in ogni virtù».
E questa fu l'alba, ma progredì sempre più calda e luminosa la giornata di sua vita terrena.
Maria praticò ogni giustizia verso il prossimo.
Prima con i suoi genitori San Gioacchino e Sant'Anna.
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Ad essi, sebbene piccina ancora, mostrava tutta la sua riconoscenza ed il suo tenerissimo affetto; e questo in una maniera così graziosa e semplice che commuoveva; la sua santità irradiava negli altri ed estingueva in essi ogni moto di concupiscenza. Anche al presente, se durante la tentazione si mira l'immagine di Maria, il cuore rimane libero. Maria è la Vergine singolare.
Maria fu giusta con S. Giuseppe suo casto sposo. Il Signore lo aveva a lei destinato come conforto, come difesa, come aiuto. Maria gli portò un amore santissimo; lo servì in tutte le necessità; lo consolò nelle pene, l'accompagnò a Betlemme, in Egitto, a Nazaret, alla pasqua di Gerusalemme con ogni fedeltà; soprattutto l'obbedì in tutto.
Maria adempì ogni giustizia riguardo al suo Divin Figlio Gesù. Ella ne era vera madre poiché da essa si formò il corpo di Gesù. Da lei Gesù ebbe tutte le cure materiali di cui abbisogna un bambino ordinario: da lei ebbe tutta l'educazione e formazione che come uomo Gesù volle prendere da Maria; da lei apprese le preghiere, i salmi, le attitudini ai lavori familiari. Maria rimase con Gesù a Nazaret, lo seguì come madre e discepola nella vita pubblica, lo assistette sul calvario morente, compose la salma nel sepolcro, lo accompagnò al monte dell'ascensione.
Maria adempì i doveri di giustizia verso la parentela: visitò e servì S. Elisabetta, conservò sempre le buone relazioni di parente con la madre di S. Giacomo il minore; si comportò verso S. Giovanni lasciatole come figlio da Gesù sul Calvario, come madre di adozione.
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Maria adempì ogni giustizia con gli apostoli: con essi pregò ed ottenne lo Spirito Santo; li confortò in tutte le varie difficoltà: li consigliò nei dubbi e ne infervorò lo zelo.
Anche col prossimo in generale, Maria compì ogni giustizia, poiché al mondo diede il Redentore; sparse ovunque il profumo delle sue eccelse virtù; pregò e sofferse per tutti durante la sua vita terrena.
Maria fu giusta verso se stessa. La giustizia richiede di sottomettere la parte inferiore allo spirito; di spendere per l'anima il tempo e le cure che sono necessarie per la santificazione; di trattare il corpo come un buon servo. La S. Vergine non ebbe il peccato originale, perciò fu adorna del dono di integrità. Il suo corpo con tutti i sensi, il cuore con tutti i sentimenti, la stessa fantasia erano sempre regolati dalla ragione e dalla fede. Tutto in lei era ordine e armonia; tutto procedeva da sano giudizio a secondo il divino volere; tutto assecondava i desideri e le aspirazioni altissime della sua anima. Maria diede all'anima le cure, il tempo, i mezzi necessari.
Siamo giusti? Considerando le virtù che riguardano le relazioni nostre verso Dio, verso il prossimo, ed i doveri verso di noi, possiamo fare un conveniente esame con i propositi necessari.
Lo spirito di religione, per cui si dà a Dio quel che è di Dio. Vi è chi vanta di osservare la giustizia mentre nega il culto esterno, non rispetta i voti, le promesse, il nome di Dio.
La pietà filiale insegna a dare ai genitori ed ai superiori quel che loro è dovuto.
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Il rispetto verso le autorità vuole che onoriamo in esse lo stesso Dio che esse rappresentano.
È pure da curarsi la sincerità per cui rispettiamo negli altri il diritto alla verità, camminando con cuore semplice e schietto.
Mostrare la riconoscenza per i benefici ricevuti e conservare il cuore umile, poiché tutto viene da Dio.
Si pecca contro la giustizia con qualsiasi danno che si arreca al prossimo in sostanze, in opere, offendendolo nella persona o nell'onore.
Alla religione si oppongono i vizi condannati nei primi tre precetti del Decalogo; alla pietà si oppone l'empietà, il cosmopolitismo ed il nazionalismo esagerato; al rispetto l'irriverenza e la disobbedienza; alla sincerità la bugia, la simulazione e la rivelazione dei segreti; alla riconoscenza l'ingratitudine; alla liberalità la prodigalità e la avarizia.
Preghiamo - Dispensa, te ne preghiamo, o Signore, ai tuoi servi il dono della grazia celeste, e, come la nascita del Figlio della B. Vergine fu loro principio di salvezza, così la solennità votiva della sua visitazione, apporti loro accrescimento di pace.
Il padre Claudio Fernand, missionario in Giappone, guarito da breve malattia, si sentì salutare cordialmente da un giapponese che, fuori di sé per la gioia, gli disse: «Oh! padre, Dio sia benedetto! Io sono cattolico e da otto anni mi stabilii in questo villaggio con la mia vecchia madre. Dacché siamo venuti qui non abbiamo mai veduto un sacerdote cattolico; ma quando sentii che un forestiero era entrato nel villaggio, mi affrettai per vederlo pensando che fosse un missionario, e non mi sono ingannato
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Provvidenza di Dio! Senta, Padre mia madre da una settimana sta molto male; credo debba morire presto; sono però assai angustiato riguardo alla sua anima. Eppure, cosa strana! Chi lo crederebbe? Essa conosce benissimo di essere alle porte dell'eternità, nondimeno non appare allarmata e va sempre ripetendo: Sta quieto, figlio mio, non ti accorare, perché io sono sicurissima di non morire prima d'aver veduto un sacerdote, il quale mi confesserà e mi darà l'Estrema Unzione».
Il missionario si portò a trovare la malata. La vecchia tripudiando di gioia esclamò «Oh, padre! Io stavo proprio aspettendovi: benvenuto, benvenuto! Ora che siete voi qui, morrò ben presto; ero certa però che non sarei morta prima di vedere un sacerdote».
«E come potevi tu avere tanta sicurezza? Perché ti fidi tanto».
«Eh, padre, perché ogni giorno della mia vita, ho sempre recitato il rosario della beata madre di Dio per ottenere da lei la grazia di ricevere i santi sacramenti prima di morire e la B Vergine non ha rifiutato di ascoltare le mie preghiere».
Il missionario la confessò, le amministrò subito l'Estrema Unzione, e dopo una mezz'ora la pia madre volava in cielo.
La fortezza di Maria SS.
Una donna forte chi potrà trovarla? Più delle perle venute dall'estremità della terra essa vale; in lei confida il cuore del suo sposo e non mancheranno ricchezze (Pro 31,10s)
La fortezza affronta senza temerità e senza timidezza qualunque difficoltà e pericolo, anche la morte, per il servizio di Dio e il bene del prossimo. Essa è fermezza di animo ed è condizione per qualsiasi virtù. «La fortezza è propria di una anima grande; da sola difende gli ornamenti di tutte le altre virtù, custodisce la giustizia, combatte
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inesorabilmente tutti i vizi: invincibile nelle fatiche, salvezza nei pericoli, rigorosa nei piaceri, severa negli allettamenti». È fortezza dei giusti il vincere la carne, il contrastare le passioni, lo spegnere il diletto della vita presente».
Disse Gesù: «Il regno dei cieli si acquista con la forza e lo afferrano i forti» (Mt 11,12); «Se uno vuole venire dietro di me, rinneghi se stesso prenda la sua croce e mi segua» (Mt 16,24); «L'atleta non è coronato, se non ha combattuto fortemente» (2Tm 2,5).
La fortezza ha tre gradi:
Il primo grado consiste nella mortificazione delle passioni. Si dicono forti i domatori di belve, i soldati vincitori, gli scalatori di montagne, i trasvolatori degli oceani. Ma sono più forti coloro che dominano se stessi, vincono l'ira, l'amore proprio, la concupiscenza. «Il paziente val più del forte; e chi sa combattere se stesso val più di chi espugna una città» (Pro 16,32).
Il secondo grado consiste nel sacrificare, quando fosse necessario, la propria libertà, la fama e la vita stessa, per la gloria di Dio e per il bene del prossimo. È questa la fortezza praticata dall'apostolo Paolo. Pur di salvare anime egli si esponeva ad ogni pericolo: «Spesso in viaggio tra pericoli di fiumi, pericoli degli assassini, pericoli da parte dei miei connazionali, pericoli dai gentili, pericoli nelle città, pericoli nel deserto, pericoli in mare, pericoli dai falsi fratelli» (2Cor 11,26). È questa la fortezza eroica di cui danno ancora sì bella prova i missionari e le missionarie.
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Il terzo grado consiste nel tollerare i mali con animo forte ed invitto. È di chi accetta rassegnato la morte dalle mani di Dio, e, ancor più di chi subisce il martirio. S. Ignazio martire scrive ai romani: «Dio voglia che io possa godere di quelle belve che mi sono preparate: io le desidero feroci contro di me... Desidero essere maciullato dalle loro zanne, per essere frumento di Dio».
Maria è chiamata regina dei martiri, perché il suo martirio fu il più lungo, il più intenso, il più amoroso. Considerando però più in generale la sofferenza di Maria diciamo che ella provò ogni pena; che la sua rassegnazione fu totale; che fu per magnanimità la più grande creatura.
Maria provò ogni pena: povertà, disprezzo, dolore accompagnarono sempre la vita della Madonna. Chi è povero ha occasione di esercitare continuamente la virtù della pazienza. Maria era sposa di un artigiano, santo sì, ma povero. Nella grotta di Betlemme, nella fuga e dimora in Egitto, nell'officina di Nazaret, soffrì talvolta la fame, talvolta la sete, il freddo, il caldo, la pioggia, i venti, la stanchezza e tutte le altre privazioni proprie dei poveri.
Più difficile a sopportarsi è il dispregio: Maria lo provò in Betlemme dove fu da tutti respinta; ed in tutti i luoghi di sua dimora, perché ovunque visse fu trattata da povera. Ma i disprezzi più umilianti, le ingiurie, le contraddizioni più acerbe piombarono su di lei quando si cominciò a perseguitare il suo Figliuolo Gesù. Oh! quanto ebbe a sostenere Maria, come madre di Gesù! di quante
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beffe ed insulti fu fatta bersaglio! di quante villanie ed improperi fu ricolma!
Immagina la condizione di una donna che è madre del più odiato e perseguitato da ogni classe di uomini; ricchi, poveri, plebei, dotti, ignoranti! Gesù soffrì tanto; ma il tenero cuore di Maria, fu pure trafitto dal dolore. Dalla profezia di Simeone fino alla risurrezione di Gesù, ella fu in un mare di pene, le più acerbe ed intense.
La SS. Vergine patì senza agitazione, senza risentimento, desiderando patire maggiormente.
Non lamenti, non amarezze; in Dio solo cercava conforto: la benedetta sua anima era in una calma imperturbabile, il suo cuore era sempre in pace.
Maria aveva sotto gli occhi gli scribi, i farisei ed il popolo giudaico, che con ogni specie di strazi avevano fatto morire il suo divin Figliuolo. Tuttavia taceva, pregava per essi, li mirava con sguardi pieni d'amore.
La rassegnazione di Maria fu totale. Desiderò sempre che la volontà di Dio fosse compiuta in cielo ed in terra.
La Galilea o l'Egitto, Nazaret o Betlemme erano per lei fatica indifferenti: la penuria e l'abbondanza, la fatica ed il riposo, le erano ugualmente cari nella volontà del suo Dio.
Il suo sentire e pensare erano in perfetta uniformità al volere di Dio.
Il sangue sparso da Gesù, non impedì che la maggior parte del popolo eletto perdurasse nella miscredenza; quel popolo che aveva avuto a capo i patriarchi, i dottori, i profeti, quel popolo
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che aveva ricevuto la legge da Dio stesso, ed a cui erano state fatte tante promesse, restò nelle tenebre dell'errore, oppresso da sciagure indicibili e lontano da Dio. Quale pena al cuore di Maria, che avrebbe dato mille vite per esso! Di più, dopo l'ascensione di Gesù, la lunga dimora sulla terra era per Maria un continuo esercizio di rassegnazione. Ella sospirava la patria celeste. Infiammata d'amore più di tutti i serafini, non aveva più che una brama ardente: congiungersi presto al suo diletto in cielo.
Nonostante Maria persisteva in una perfetta e tranquilla rassegnazione. Amava, desiderava, ma non avrebbe voluto prevenire d'un istante la volontà del Signore.
Con la viva persuasione di non meritare nulla, accettava ogni pena senza sorpresa, benedicendo sempre Dio nelle pene e nelle gioie, nelle umiliazioni e nelle glorie.
La rassegnazione di Maria fu magnanima. Ripiena di lume celeste, istruita nelle sacre Scritture, sapeva che il Redentore era l'uomo dei dolori: virum dolorum (Is 53,3) e che simile a lui doveva essere la Donna destinatagli per madre.
Le donne d'Israele dopo aver offerto nel tempio i loro figliuoli li riscattavano con poche monete piene di allegrezza se li riportavano a casa e li riguardavano come la loro speranza. Maria invece riguardava nel suo Gesù la vittima che ella doveva allevare per il sacrificio.
Ma il momento più sacro in cui la sua magnanimità doveva apparire unica al mondo, fu quello
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del calvario, quando, sotto la croce assistette all'agonia del suo Gesù.
Stantem lego, dice S. Ambrogio, flentem non lego: Leggo che stava ma non che piangeva. Stava presso la croce contemplando l'infinita bontà del Signore, che, per salvare i colpevoli sottoscrive alla morte dell'unigenito suo Figlio. Stava contemplando la passione dolorosa e amorosa di Gesù; stava dando a tutta la chiesa nascente un esempio di generosità e di costanza che la costituiva regina di tutti i martiri e corredentrice dell'umanità.
I difetti contro la fortezza sono specialmente la timidezza e la temerarietà.
Chi è timido teme dove non deve temere, o teme più di quanto è necessario.
È male, il vano timore con la pusillanimità, per cui vengono trascurati i doveri del proprio stato. È specialmente da condannarsi il rispetto umano, per cui uomini che si credono forti, diventano come schiavi dei più cattivi.
Il temerario vuole compiere il bene quando non conviene, o nel modo che non conviene.
I frutti della fortezza sono: a) La magnanimità che porta a fare opere grandi per Dio e per il prossimo.
b) La magnificenza, per cui ad onore di Dio, o per il bene della chiesa o della patria si fanno cose grandi, e quindi pure grandi spese: come avviene per la costruzione di templi, collegi, università, seminari, monasteri.
c) La pazienza, che ci fa sopportare con animo tranquillo, per amor di Dio in unione di Gesù
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Cristo, patimenti fisici e morali. Soffriamo tutti abbastanza, tanto da farci santi, se sapessimo soffrire da forti e per motivi soprannaturale le piccole pene.
d) La costanza nell'operare il bene senza cadere nella stanchezza. nello scoraggiamento.
Chi vuol progredire sulla fortezza, adoperi i mezzi: preghiera, confidenza in Dio, meditazione, fedeltà nelle piccole cose, ricordando che chi è fedele nel poco è fedele anche nel molto, e chi è ingiusto nel poco è ingiusto anche nel molto; soprattutto si abbia l'amor di Dio. S. Paolo diceva: «Chi potrà separarci dalla carità di Cristo? La tribolazione forse, l'angoscia, la fame, la nudità, il pericolo, la persecuzione, la spada? Come sta scritto: Per te noi siamo ogni giorno messi a morte, siamo considerati come pecore da macello. Ma di queste cose noi siamo più che vincitori in virtù di Colui che ci ha amati» (Rm 8, 35-37).
Preghiamo. - Dio, che decorasti l'ordine del Carmelo del titolo singolare della tua beatissima sempre vergine e madre Maria; concedi propizio, che mentre oggi ne celebriamo la commemorazione con solenne ufficio, muniti della sua protezione, meritiamo di giungere ai gaudi eterni.
S. Maria Egiziaca.- Al sepolcro di Gesù Cristo in Gerusalemme, avveniva or sono 15 secoli, una prodigiosa conversione per opera di Maria SS.
Dopo 17 anni di una vita scandalosa, Maria Egiziaca, recavasi in Gerusalemme, alla festa della S. Croce. Ma volendo entrare col popolo in quel tempio si sentì respinta da una forza misteriosa. Tre volte ritentò ma invano; allora capì che il Signore la rigettava.
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Piangendo amaramente, si prostrò dinanzi ad una immagine di Maria dipinta sopra la porta della chiesa, e invocò con gemiti e sospiri l'aiuto di colei che è il rifugio dei peccatori.
Terminata la preghiera, sentì aprirsi l'animo a speranza; poté entrare in chiesa, senza trovare resistenza alcuna. Si gettò allora ai piedi del Crocifisso, rinnovando le promesse già fatte a Maria SS. di riparare le sue colpe con lunga penitenza. Si confessò, si corroborò col pane eucaristico. Si ritirò al di là del fiume Giordano, ove dimorò per 47 anni, dedicandosi alla preghiera, al lavoro ed alla penitenza.
La temperanza di Maria SS.
Ecco, la Vergine concepirà e partorirà un figlio, il cui nome sarà Emmanuele. E mangerà burro e miele, fino a che non sappia rigettare il male ed eleggere il bene (Is 7,14s).
La temperanza frena le passioni e modera l'uso dei cibi, del riposo, del]a sensibilità, secondo la retta ragione e secondo la fede.
È virtù cardinale. Se la moderazione è lodevole in ogni virtù, lo è principalmente nell'uso delle cose naturali: cibo, riposo, piaceri.
Concorre alla temperanza: la
verecondia, ossia il timore che S. Tommaso d'Aquino chiama «pudore»;
l'onestà, cioè il decoro.
Sono frutti del]a temperanza: la
mortificazione, l'astinenza, la
sobrietà, la
pudicizia, una
giusta regola nel riposo e nelle ricreazioni. Le cose create sono buone. Dice infatti la Scrittura: «Tu fai crescere il fieno per i giumenti e gli erbaggi a servizio dell'uomo. Tu fai che venga fuori della terra
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il pane, e che il vino rallegri il cuore dell'uomo; far sì che l'olio ne renda ilare la faccia e il pane sostenti il cuore dell'uomo» (Ps 103,14s). L'uso delle cose naturali è buona cosa; il peccato sta nell'abuso.
La temperanza insegna anche la modestia, cioè una buona convenienza nel vestito, nell'ornamento, nel passo, nella voce, nei giuochi, ecc. «Dove c'è Cristo c'è pure modestia» (S. Gregorio). «Componi l'abito, la voce, il volto, il passo, in modo che riesca di gradimento a Dio, a te di ornamento, al prossimo di edificazione» (S. Ambrogio). Scriveva S. Paolo a Timoteo: «Voglio che le donne si vestano in modo decente, con verecondia e modestia, non riccioli, oro, perle e vesti preziose, ma come s'addice a donne che fanno professione di pietà, con opere buone» (1Tm 2, 9s).
Anche l'umiltà viene dalla temperanza. Essa frena la smania di cose grandi e di lodi umane, secondo la stima esatta e non esagerata di noi stessi. È virtù propria dei figli di Dio.
La santa Vergine fu temperante nel cibo, mortificata nel riposo, regolata negli affetti e nell'espansione del suo cuore.
S. Giovanni M. Vianney fu temperante nel cibo così da recar meraviglia come potesse vivere ed operare: S. Tommaso d'Aquino fu così privilegiato da venir liberato dagli stimoli della carne; S. Carlo Borromeo riduceva il suo riposo a pochissime ore. Tutti i Santi seppero imporsi regole, astinenze, mortificazioni. Maria però li superò tutti come maestra e regina. In lei non eccessi, ne abusi, ne immoderazioni per il dono dell'integrità, tutto in
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lei era moderato, regolato. Prendeva il cibo senza curarsi del gusto, ma solo e sempre per mantenersi nel servizio di Dio. Riposava col suo corpo, ma il suo cuore vegliava con Dio. Il suo cuore con tutte le forze aveva per unico oggetto il Signore; nel Signore e soltanto in lui amava S. Giuseppe, i suoi parenti, gli uomini tutti. Mai la ripugnanza la tratteneva nei doveri; mai alcuna voglia immoderata la trascinava ad eccessi.
Nell'uomo vi sono passioni le quali sono forze che possono servire per spingere al bene od al male ma purtroppo divenute ribelli per il peccato originale spingono spesso al male. In Maria non fu così; le passioni erano regolate e servivano solo al bene.
L'amore era diretto sempre al bene; l'odio rivolto sempre contro il male. Desiderava sempre il regno di Dio e la sua giustizia; aveva una inimicizia irreconciliabile col peccato. Si rallegrava di ogni cosa che piacesse al Signore, temeva solo l'offesa di Dio.
L'orgoglio è un'immoderazione nella stima di noi e nel desiderio della gloria. Esso gonfia, è ambizioso, si compiace vanamente. Maria fu perfettamente umile: nella mente, ove solo la verità dominava; nella volontà, che solo e sempre cercava la gloria di Dio; nelle vesti sempre conformi alla semplicità, al decoro, alla modestia; nelle azioni; serviva a tutti, si metteva all'ultimo posto, obbediva sempre.
La superbia è il principio d'ogni peccato: l'umiltà il principio di ogni virtù. Maria fu umilissima.
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«Come non vi fu creatura tanto innalzata, dice S. Bernardino da Siena, così non vi fu creatura che tanto si abbassasse nel concetto di se stessa».
Maria non si reputava peccatrice, anzi riconosceva i singoli suoi privilegi; ma li riferiva tutti alla bontà di Dio, ritenendosi come una povera ancella gratuitamente beneficata. Nel sublime suo canto ella non parla che di Dio, e di sé: ma di Dio per esaltarlo, di se per abbassarsi. Era come dicesse: Voi, o Elisabetta, mi esaltate, per la dignità che possiedo; ma io esalto solo il Signore che me l'ha data.
E l'umilissima fra tutte le creature tiene con somma cura celato il suo tesoro. Apprende dall'arcangelo, i sublimi misteri; ma perché ridondano a gloria sua rimangono sepolti nel suo cuore; non ne fa parola ad alcuno, neppure col sacerdote Zaccaria suo congiunto, non con Elisabetta alla quale sapeva averli Dio rivelati; nemmeno con S. Giuseppe nella circostanza più delicata, in cui pareva che ogni ragione dovesse indurla a parlare. Non basta: quando il suo divin Figliuolo operava strepitosi prodigi, saziava con pochi pani tante migliaia di uomini, liberava ossessi, risanava infermi, risuscitava i morti, Maria si confondeva tra il popolo. Quando invece Gesù saliva il calvario e spirava come un malfattore sulla croce, allora Maria si fece conoscere per madre di Gesù; e assistette la sua agonia.
Dio versò in Maria doni senza misura: nobiltà di natali, talenti di spirito, perfezione di corpo. Bellezza, ma senza ostentazione; sapienza, ma senza arroganza; affabilità, ma senza leggerezza.
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L'alba nascente, il sole nel suo meriggio, la bianca luna, i fiori più vaghi, le piante più belle sono immagini di Maria. Ricca poi di doni interni: mente perspicace, volontà retta, nessuna inclinazione disordinata, attrattiva ammirabile per la virtù, calma imperturbabile negli affetti e nelle opere, soavità di carattere. Eppure in mezzo a tanta ricchezza di doni qual fu il contegno di Maria? Sempre misurato, composto, semplice.
Esercizio perfetto di temperanza. La moderazione insegna a non lasciarsi abbattere dalle contrarietà, non esaltarci nelle cose prospere. La vita dei giusti sulla terra è intessuta di tribolazioni e di consolazioni.
Così fu sempre quella di Maria. Ma lei fu sempre uguale a se stessa; penava, ma non si abbatteva nel dolore; gioiva nelle consolazioni, ma non si esaltava; aveva una virtù perfetta!
Senza l'umiltà è impossibile salvarsi: «In verità vi dico, se non mutate e non divenite come pargoli non entrerete nel regno dei cieli» disse Gesù (Mt 18,3). «Se tu domandassi qual sia la strada per raggiungere la verità; qual cosa sia principale nella religione, nella scuola di Cristo, ti risponderò: la prima è l'umiltà. Qual'è la seconda? L'umiltà. Qual'è la terza? L'umiltà. E se cento volte m'interrogassi, cento volte ti darei la medesima risposta... Vuoi innalzare una grande fabbrica che non solo vada fino al cielo, ma fino al cospetto di Dio? Pensa prima al fondamento dell'umiltà, e quanto più in alto si vuole spingere la mole dell'edificio, tanto più profonde si scavino le fondamenta dell'umiltà» (Sant'Agostino).
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La moderazione dell'ira produce la mansuetudine. Gesù disse: «Imparate da me che sono mansueto ed umile di cuore» (Mt 11, 29). Giustamente Gesù associa la mansuetudine all'umiltà, perché questa non può praticarsi senza di quella. La mansuetudine non è da confondersi con la debolezza di carattere; richiede grande fortezza il dominare noi stessi. I veri mansueti non solo temperano l'ira, ma se ne astengono secondo disse Gesù Cristo: «Io vi dico di non resistere al malvagio, anzi, a chi ti percuote dalla guancia destra, porgigli anche l'altra» (Mt 5,39)
Preghiamo - O Dio, che poni lo sguardo sulle cose umili e le superbe le guardi solo da lontano, concedi ai tuoi servi di imitare con purità di cuore l'umiltà della beata e sempre vergine Maria, la quale per la verginità ti piacque e per la sua umiltà merito di diventare la madre di Gesù
S. Gabriele dell'Addolorata. - Uno dei santi, che maggiormente si distinsero nella divozione a Maria, è S. Gabriele dell'Addolorata. Il suo amore verso la S. Vergine lo portò ad uno studio indefesso e sempre crescente per togliere dal suo cuore tutto ciò che a lei potesse dispiacere. Lo portò ancora ad imitarne le virtù per esserle maggiormente accetto; ad operare e patire per lei. Non vi fu difficoltà e sacrificio capace ad arrestarlo: tutto affrontò con slancio e generosità. «Nessun giorno, diceva, mi passerà senza che io compi atti di virtù da coronare il capo verginale della madre mia»; ed in questo suo mortificarsi per amore della vergine adoperava le più squisite maniere.
Frenare la naturale curiosità, concentrare i sentimenti esteriori per non farli troppo vagare in immagini distrattive, conservare un dominio continuo sui propri affetti erano i suoi esercizi di mortificazione. Questa serie di piccole
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vittorie, era da lui indirizzata al nobilissimo scopo di piacere sempre più a Maria SS.
Non negava cosa alcuna a chi gliela chiedesse per amor di Maria. Se qualche cosa non gli andava a genio la eseguiva con gioia per piacere alla celeste madre. E questo chiaramente si constatò nell'ultima sua malattia in cui non poteva prendere la medicina che gli veniva somministrata. Ma se il fratello infermiere lo pregava dicendo: «Ne gusti qualche altro sorso per amore della Madonna», allora si levava subito sul letto, arrendendosi contento.
Per piacere a Mara si spogliò del suo giudizio e della sua volontà rendendosi docile e pieghevole a chicchessia. Imparò a sopportare i disagi con allegrezza, le noie e le tentazioni con coraggio e confidenza. Si studiò, insomma, di ricopiare in se quanto fu possibile, Gesù, per amore di Maria
L'ubbidienza di Maria SS.
Mentre Gesù parlava alle turbe, una donna levando la voce di mezzo alla folla, gli disse: Beato il seno che t'ha portato, ed il petto che hai succhiato. Ed egli aggiunse: Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica (Lc 11,27s).
Con l'obbedienza noi diamo a Maria quanto di meglio abbiamo: la volontà. Per la disobbedienza invece priviamo Dio del maggior ossequio ch'egli attende da noi.
L'obbedienza si compie con la conformità ai divini voleri. Questo divino volere viene manifestato per mezzo dei comandamenti, dei consigli evangelici e delle disposizioni dei superiori ecclesiastici e civili. Come pure per mezzo di circostanze ed avvenimenti, quali le malattie, il variare delle stagioni e dei tempi.
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L'obbedienza è richiesta dal supremo dominio che il Signore ha sopra di noi, come creatore, padre, redentore, santificatore.
Essa costituisce il maggior merito: poiché melior est oboedientia quam victimae: L'obbedienza val più dei sacrifici (1Re 15,2). È il segreto per ottenere un gran numero di grazie: Vir oboediens loquetur victoriam: L'uomo obbediente canterà vittoria (Pro 21,28).
L'obbedienza per essere perfetta deve sottomettere tutto l'uomo: la mente col giudizio, la volontà con la generosità, il cuore con i sentimenti, il corpo con le potenze, gli atti con tutta la vita.
S. Agostino dice: La disobbedienza di Eva fu causa di rovina perché indusse anche Adamo a disobbedire; ma per l'obbedienza Gesù fu redentore e per l'obbedienza Maria fu corredentrice. Ciò compie il pensiero di S. Paolo: Come per la disobbedienza di un uomo tutti siamo diventati peccatori, così per l'obbedienza del secondo Adamo, Gesù Cristo, siamo stati giustificati (Rm 5,19).
L'obbedienza di Maria fu continua. Bambina, in famiglia, era anche nelle minime cose soggetta a S. Anna ed a S. Gioacchino: nel prendere il cibo, nel vestire, nell'orario, e compiva tutto deliberatamente poiché possedette la conoscenza fin dal primo istante del suo concepimento.
Nel tempio poi tutte le regole, tutte le prescrizioni erano da lei scrupolosamente praticate, in modo da diventare il modello delle compagne.
Lo stesso matrimonio con S. Giuseppe non fu effetto che della più perfetta obbedienza a Dio.
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Legata com'era a quel voto di verginità, amatissima di sì bella virtù, ella non avrebbe mai pensato a dare la mano di sposa ad un uomo; ma appena Dio le fece conoscere essere questa la sua volontà, subito vi si sottomise ed obbedì. Stava soggetta al suo sposo come a capo di famiglia, senza mai contraddire alle disposizioni di lui. Per la sua dignità e per i lumi speciali che aveva dal Signore, lo superava di tanto; tuttavia dipendeva dai suoi cenni come bisognosa di direzione e di consiglio. Ella aveva la cura delle faccende domestiche, ma si regolava secondo le disposizioni dello Sposo ed a lui deferiva ogni cosa.
O fortunata obbedienza, esclama S. Giovanni Damasceno, che riparò i danni della disobbedienza di Eva! Maria imitò l'obbedienza del Figliolo di Dio incarnato, il quale obbedì fino alla morte di croce: factus oboediens usque ad mortem, mortem autem crucis: Si fece obbediente fino alla morte, ed alla morte di croce (Ph 2,8)
L'obbedienza di Maria fu eroica. Riuscì penosa l'obbedienza che esercitò quando S. Giuseppe le manifestò l'ordine divino di fuggire di nottetempo in Egitto. Costò alla Vergine, intraprendere un viaggio sì lungo e sì disastroso per ricoverarsi in un paese idolatra e avverso alla nazione ebrea. Non ebbe tempo di prepararsi il necessario per la fuga, non sapeva quanto tempo avrebbe dovuto dimorare fuori di casa. Il solo suo sposo divise con lei i pericoli, le fatiche, i timori accresciuti dalle tenebre della notte e dalle ricerche di Erode. Eppure Maria si affidò a Dio ed eseguì volentieri la volontà
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divina. Maria e sempre pronta: Nihil sibi libertatis reservans, sed per omnia subdita: Non riservandosi nessuna libertà ma sottomessa in tutto. Dio così vuole, ecco il motivo che alleggerisce ogni fatica e la rende generosa nel superare tutti gli ostacoli. Obbedì anche quando non era strettamente obbligata a recarsi al tempio per la purificazione. Tuttavia ella obbedì ed obbedì ancorché alla vista degli uomini compariva immonda come tutte le madri e bisognosa di purificarsi. E Maria sapeva che questo atto generoso sarebbe stato grato a Dio e senz'altro lo compì con tutta perfezione.
L'obbedienza di Maria fu semplice. Obbedì senza badare se i comandi fossero difficili o facili; obbedì, sottomettendo il proprio giudizio e la propria volontà; e solo per piacere a Dio. Se al posto di Maria si fosse trovata una di quelle anime che vogliono ragionare su tutti i comandi, oh quanti motivi e pretesti avrebbe trovato per non obbedire! La Vergine SS. invece accoppiò somma prudenza a somma semplicità. Non turbamenti nella mente, non agitazioni nel cuore, non lamenti sul labbro; una volta conosciuto il volere di Dio, lo eseguì con alacrità ed amore.
L'obbedienza dev'essere pronta, volonterosa, totale. Tutte queste condizioni si possono ridurre ad una: considerare nelle disposizioni soltanto Dio e l'autorità di lui in chi comanda.
Il motivo per cui obbediremo non sarà quindi perché ciò ch'è disposto piace, perché il superiore è santo e sapiente, perché comprendiamo i motivi
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e così vediamo l'utilità del comando, ma perché Dio così vuole. Non sbaglieremo mai obbedendo, acquisteremo anzi grandi meriti.
S. Filippo Neri diceva: «Delle cose fatte per obbedienza non si ha da render conto al Signore, poiché Gesù Cristo disse: Qui vos audit, me audit; qui vos sprenit, me spernit: Chi ascolta voi ascolta me; chi disprezza voi, disprezza me» (Lc 10,16).
Scrive S. Alfonso de' Liguori che Maria per l'affetto che portava alla virtù dell'obbedienza, allorché fu annunziata da S. Gabriele, non volle chiamarsi con altro nome che di ancella: Ecce ancilla Domini (Lc 1,38).
Preghiamo - O Dio che con la feconda verginità della B. Maria desti al genere umano la grazia della riparazione, concedi che godiamo perennemente in cielo della beata compagnia di colei che chiamiamo in terra madre della grazia.
S Filippo Neri - Filippo Neri nacque a Firenze nel 1515. Ancora fanciullo lo chiamavano Pippo buono. Cresciuto negli anni, nel 1531, si recò a Roma ove fondò la congregazione dei Preti dell'Oratorio a vantaggio della gioventù. Pure a Roma si compiaceva di intrattenersi fra mendicanti sulle piazze e nelle vie, negli ospedali, al letto degli infermi, nei tuguri come nei palazzi per insegnare a tutti la carità, per consolare gli afflitti, per sorreggere la debolezza vacillante, con giovialità condita di inesauribili arguzie.
Soleva ripetere ai suoi penitenti: «Figlioli, siate umili, la santità consiste in tre dita di spazio», e ciò dicendo metteva la mano alla fronte, per indicare che per farsi santi bisogna rinunziare alle proprie vedute.
Nemico degli scrupoli, amante dell'allegria, scherzando esclamava spesso: «Scrupoli e malinconia, lungi da casa mia!».
Ma ove il suo zelo ancor più si distinse fu nella divozione
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alla Madonna. Negli 80 anni di sua vita ne fu divotissimo. Non faceva mai un discorso senza intromettervi: «Figliuoli miei, siate divoti della Madonna, siate affezionati a Maria». Fin dai primi anni soleva salutare la Vergine col dolce titolo di «mamma mia».
Col rosario in mano percorreva le contrade di Roma, chiamando anime traviate a penitenza. Innumerevoli poi furono le guarigioni portentose ottenute per le preghiere di S. Filippo alla Vergine SS.
Sul letto dei suoi ultimi dolori andava ripetendo: «Paradiso, paradiso, con Maria ben sarai la stanza mia!». E la regina del cielo da lui sì costantemente amata e pregata con tanto fervore, lo compensò, visitandolo nella sua serena agonia; per annunziargli che tra poco lo avrebbe preso con se in cielo.
La castità di Maria SS.
Ecco, il mio diletto mi parla: - Alzati, affrettati, o mia diletta, o mia colomba, o mia bella, e vieni (Cn 2,10).
La castità è la virtù che frena la concupiscenza della carne. «Buona è la castità coniugale, migliore la continenza vedovile, ma ottima fra tutte è la perfetta verginità», scrisse S. Beda. Perciò S. Girolamo dice: «Io attribuisco il cento per uno alla vergine, il sessanta per uno alla vedova, il trenta per uno al casto matrimonio». La verginità è una castità eroica, per cui la persona si nega anche le soddisfazioni che sarebbero lecite nel matrimonio per conservare tutto il cuore a Dio, senza divisione alcuna.
La castità ha trovato in cielo il modello che imita in terra. Ha chiesto al cielo il suo metodo di vita poiché lassù essa si è trovato lo Sposo.
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È il verbo di Dio. Chi mai, dopo averlo trovato, lascerà un tale bene? Quelli che non si sposano, saranno come gli angeli di Dio in cielo. Sono i casti che divengono apostoli.
La verginità di Maria SS. è gloriosa. Le donne ebree reputavano un castigo il non aver figlioli. Per lume di Dio Maria conobbe la gemma preziosissima della verginità, e senza badare agli uomini, senza esempio precedente, prima di tutte, offre e consacra a Dio in perpetuo olocausto, la sua illibatissima verginità. I santi Padri le danno concordi la gloria di aver innalzato per prima il candido e glorioso vessillo della purità verginale. S. Ambrogio se ne congratula perché: signum sacrae virginitatis extulit, et intemeratae integritatis pium Christo vexillum levavit. S. Bonaventura la chiama virginum signifera; S. Giovanni Crisostomo primiceria virginitatis; S. Bernardo: «O cuore magnanimo, esclama, più stabile della terra, più elevato del cielo! Qual sublimità di pensieri si richiedeva, qual fortezza d'animo era necessaria!».
La castità di Maria SS. è miracolosa. Infatti fu unita alla più alta maternità. Una purità che fu una continua oblazione del suo corpo come ostia viva e grata agli occhi di Dio.
Amò questa virtù e l'osservò con un amore sì disinteressato, che piuttosto di perderla avrebbe rinunziato alla dignità di madre di Dio. Le parole dell'angelo, dice S. Girolamo, che le promettevano un Dio per figliolo, non bastarono a farla vacillare un momento dal suo proposito.
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Se la Vergine SS. ci darà un raggio della sua luce, comprenderemo la sublimità di questo privilegio, meglio che con tutte le riflessioni e i discorsi. La Chiesa dopo aver chiamato Maria vergine singolare, vergine delle vergini, regina dei vergini, dichiara di non avere espressioni bastevoli per esaltarla: Sancta et immaculata virginitas, quibus te laudibus offeram nescio: Santa e immacolata verginità, non so quali lodi ti debba offrire.
La castità di Maria SS. è esemplare. Non vi è secolo nella Chiesa che non si vanti un numero di anime grandi che imitarono Maria nel consacrarsi a Dio, ostie viventi, con voto di perpetua verginità.
La verginità libera da tre ostacoli che sogliono impedire la perfezione: scioglie dai legami familiari, dall'instabilità nella vita dello spirito e dalla divisione del cuore. Eleva inoltre l'anima ad una vita simile a quella degli angeli, e comunica la vera pace. Dona una conoscenza di Dio più chiara e profonda: Beati i puri di cuore perché vedranno Dio (Mt 5,8).
Quanto al premio speciale riservato ai vergini riportiamo le parole di S. Giovanni nell'apocalisse:
«Poi guardai, scrive l'Apostolo S. Giovanni, e vidi l'Agnello che stava sul monte Sion e con lui centoquarantaquattromila persone che avevano scritto in fronte il suo nome e quello di suo Padre. E udii venire dal cielo un suono simile al rumore di molte acque e al rombo di gran tuono, e il suono che sentivo era come un concerto di arpisti che suonano i loro strumenti. E cantavano come un cantico nuovo dinanzi ai quattro animali ed ai vegliardi,
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cantico che nessuno poteva imparare, se non quei centoquarantaquattromila riscattati dalla terra: quelli che non si sono macchiati con donne, essendo vergini. Essi seguono l'Agnello dovunque vada; essi furono riscattati tra gli uomini, primizie a Dio e all'Agnello, né fu trovata menzogna nella loro bocca; e sono senza macchia davanti al trono di Dio» (Ap 14,1-5).
Dice S. Agostino: Inter humana certamina duriora sunt proelia castitatis: Gli sforzi per conservare la castità sono i più duri; percio è rara la vittoria su questo vizio. Tre sono i mezzi come dicono i maestri di spirito.
Iejunium, periculorum evitatio et oratio, digiuno, fuga dei pericoli, preghiera. Per digiuno s'intende la mortificazione, specialmente degli occhi, della gola e del riposo.
Maria fu in ogni cosa mortificata.
Occorre ancora fuggire le occasioni: qui autem cavet laqueos securus erit: Chi sfugge i lacci sarà sicuro (Pro 11,15). Onde dice S. Filippo Neri: Nella guerra del senso vincono i poltroni, cioè quei che fuggono l'occasione.
Terzo mezzo è l'orazione. Dice il Savio (Sp 8, 21): «E come seppi di non poter possedere la sapienza se Dio non me la concedeva,... mi presentai a Dio e lo pregai».
Preghiamo. - Supplichevoli scongiuriamo la tua maestà o Dio onnipotente ed eterno, affinché come il tuo Unigenito Figliuolo oggi fu presentato nel tempio nella sostanza della
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nostra carne, così conceda a noi, d'essere presentati a te con l'anima monda.
Santa Caterina Labourè. - La medaglia, detta miracolosa, venne coniata la prima volta nel 1832. Eccone l'origine: Verso la fine dell'anno 1830, una suora, Caterina Labourè, in una delle comunità che si consacrano a Parigi a servizio dei poveri, vide mentre pregava una scena rappresentante la S. Vergine come è raffigurata ordinariamente sotto il titolo dell'Immacolata, ritta in piedi e con le braccia tese. Uscivano dalle sue mani, come a fascetti, dei raggi di splendore. Nello stesso tempo, Caterina udì una voce che le diceva: «Questi raggi sono i simboli delle grazie che Maria ottiene agli uomini». Attorno al quadro, essa lesse la seguente invocazione: «O Maria, concepita senza peccato, pregate per noi che ricorriamo a voi». Alcuni momenti dopo, quel quadro si rivolge, e sul rovescio distingue la lettera M sormontata da una croce ed in basso i sacri cuori di Gesù e di Maria. Sentì la voce dirle: «Bisogna far coniare una medaglia su questo modello». La medaglia miracolosa si diffuse in tutto il mondo cristiano. Essa preservò e guari un'infinità di persone da morbi contagiosi; operò ed opera ancora tante conversioni.
La povertà di Maria SS.
Beati i poveri di spirito perché di essi è il regno dei cieli (Mt 5,3).
La povertà di Maria SS. La povertà nel senso evangelico non è penuria di beni materiali; ma distacco dai beni della terra, e la ricerca dei beni del cielo.
La virtù della povertà può stare tanto con la scarsezza come con l'abbondanza dei beni. Dice
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S. Bernardo: Non paupertas sed amor paupertatis virtus est: Non è virtù la povertà ma l'amore della povertà. S. Paolo nel suo alto spirito di povertà diceva: Scio e; umiliari, scio et abundare: ...satiari et esurire, et abundare et penuriam pati: So essere umile e abbondare; ... essere sazio ed aver bisogno, abbondare ed essere nell'indigenza (Ph 4,12).
Aspirare al cielo, cercare il regno di Gesù Cristo e la santità è la prima anzi la sola cosa necessaria. Il lavoro poi e la cura delle cose materiali si compiranno come doveri, come mezzo per conseguire i beni eterni: Thesaurizate vobis thesaurum in coelis: Preparatevi un tesoro in cielo (Mt 6,20). La povertà ha vari gradi: alcuni sono di vero dovere, altri di consiglio. In sudore vultus sui vesceris pane: Nel sudore ti guadagnerai il pane (Gn 3,19). È legge comune. S. Paolo dice: «chi non vuole lavorare non mangi» (2Th 3,10). Il lavoro può essere di indole materiale? morale, intellettuale. Anche il rispetto alla roba altrui è grave obbligo di natura.
«Beati i poveri di spirito perché di essi è il regno dei cieli» (Mt 5,3), è la prima beatitudine annunziata da Gesù Cristo al mondo il quale si stupisce al sentire questa dottrina nuova.
Vi sono coloro che lasciano tutto per amore di Gesù Cristo, seguendo il consiglio evangelico: «Se vuoi essere perfetto, va', vendi tutto, danne il prezzo ai poveri, ...poi vieni e seguimi» (Mt 19,21).
Chi ama con affetto sregolato i beni della terra non sarà mai santo, dice S. Filippo Neri. Santa Teresa, si spiega così: Si perde chi segue cose perdute, o che si perderanno in morte.
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Beati sono i poveri perché in Dio trovano ogni bene; trovano nella povertà il loro paradiso in terra, come lo trovò S. Francesco nel dire: Deus meus et omnia. Ama quell'unico bene in cui sono tutti i beni, esortava S. Agostino: Ama unum bonum in quo sunt omnia bona. S. Ignazio pregava: Amorem solum cum gratia tua, mihi dones et dives sum satis: Dammi solo l'amore colla tua grazia e sarò felice. Quando la povertà ci affligge pensiamo che Gesù e la madre sua sono stati poveri. Pauper, disse S. Bonaventura, multum consolari potes de paupertate Mariae et de paupertate Christi: Povero, molto ti potrai consolare nella povertà di Gesù e di Maria.
La povertà dai pagani e da molti cristiani stessi è riguardata con spavento, pur ammettendo in teoria che le ricchezze non sono quelle che rendono felici. Gesù Cristo invece la praticò, l'insegnò e la elevò al grado di consiglio per gli uomini. La povertà non è in sé il consiglio principale ma è il punto di partenza. Di qui s'incomincia il distacco dal mondo; il primo gradino della scala verso i beni eterni, verso Dio, bene infinito.
Perciò la rinunzia alle ricchezze e il distacco reale ed effettivo da esse, è il primo atto che impose Gesù agli apostoli, al giovanetto che chiedeva la via della perfezione, ed a quanti lo vogliono seguire. S. Francesco d'Assisi che è il dottore, l'amante e lo sposo della povertà, imponeva per prima cosa, a coloro che chiedevano di entrare fra i suoi seguaci, di vendere quanto avevano e di distribuirlo ai poveri.
L'umile vince il superbo, il casto vince il vizioso,
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il povero vince il ricco e lo trasforma in suo cooperatore, poiché è armato della forza divina insita nella povertà.
Maria fu povera per affetto. La S. Vergine, illuminata dallo Spirito Santo, comprese quale segreto di meriti e di pace sia la povertà.
Dice S. Pietro Canisio che dei beni paterni ella avrebbe avuto di che vivere comodamente; ma per amor della povertà, volle distribuirli quasi tutti ai poveri od offrirli al tempio.
Maria fu povera per il distacco da tutti i beni terreni, povera per la rinuncia dei medesimi, povera per il voto fattone a Dio. Il suo cuore, poi, si accese per sì bella virtù nella grotta di Betlemme. Progredì assai in quella scuola dove vide il Verbo incarnato scegliere per suo albergo una stalla, per suo trono una mangiatoia, per suo corteo due animali. La più rigida povertà divenne la sua delizia, la rozza grotta e le povere lane le furono più care di una reggia e di preziose vesti. Il Figliolo di Dio nasce, vive e muore povero. La sua santissima madre condivide con perfetto cuore la condizione del figlio. Ecco il nostro maestro! Ecco la nostra maestra!
Maria fu povera in effetto. La vita di Maria fu, in ogni circostanza, priva non solo di agiatezze, ma talvolta del necessario.
Dio le dà sposo un uomo che è costretto a guadagnarsi il pane col sudore della fronte.
A Betlemme Maria non trova un alloggio, perché apparve povera: Non erat eis locus in diversorio: Non c'era posto per essi (Lc 2,7).
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Costretta ad uscire di città, cerca un ricovero e lo trova in una stalla esposta ai venti, priva di tutto il necessario.
Nell'Egitto Maria vive col lavoro delle sue mani e con le fatiche del suo Sposo. Quante volte si sarà trovata in tale scarsezza di mezzi da poter a mala pena sostentare la vita! Quante volte avrà trovato nel cibo, nell'alloggio, in tutte le cose, la più rigida povertà!
Un giorno fu invitata a nozze; ma quali nozze? Di sposi che, sul più bello della festa, mancarono di vino. Gli inviti in simili circostante si sogliono fare tra uguali; or se chi invitò, fu sì povero, non molto dissimile doveva essere la condizione degli invitati. Gesù Cristo poté dire:
Vulpes foveas habent, et vo1ucres caeli nidos: Filius autem hominis non habet ubi caput reclinet: Le volpi hanno la loro tana, gli uccelli il nido: il figlio dell'uomo non ha dove posare il capo (Lc 9, 58). Se il redentore non aveva dove posare il capo, poteva essere molto dissomigliante da lui la sua madre santissima?
Maria si mostrò povera. Ella non nascondeva la sua povertà, ma voleva apparire ed essere stimata tale da tutti. Dopo la nascita di Gesù offrì al tempio un paio di tortorelle o colombi, era l'offerta dei poveri. Non avrebbe potuto con l'oro ricevuto dai Magi fare l'offerta dei ricchi? Certamente. Ma l'oro, dice S. Bonaventura, passò ben presto dalle sue alle mani di S. Giuseppe, e da queste a quelle dei poveri. Rimasta così nella sua indigenza, gode di essere annoverata nel numero dei poveri.
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Quando Gesù dalla croce pensò di dare un sostegno alla sua santissima madre, l'affidò ad un povero pescatore: l'apostolo S. Giovanni. Avrebbe potuto consegnarla a qualche discepolo agiato, come a Giuseppe d'Arimatea od a Nicodemo, ma non lo fece, dice S. Agostino, per assecondare le mire e lo spirito di Maria, che voleva vivere povera ed essere riconosciuta come tale.
Gli apostoli raccoglievano le elemosine dei fedeli e le dividevano tra le vedove bisognose dell'altrui carità; Maria non si vergognò di ricevere la sua parte.
L'esempio di Maria ci animi a comparire in faccia al mondo con i segni della povertà di Gesù Cristo.
La povertà toglie uno degli ostacoli più grandi alla perfezione costituito dalla concupiscenza del denaro. Le ricchezze sono occasioni di molti peccati.
La povertà unisce l'anima al Signore che dice: «Io sono la tua ricompensa grande oltre misura»; il povero che ama Dio è felice esclamando: Deus meus et omnia.
La povertà accresce le virtù teologali: infatti S. Ambrogio chiama la povertà madre e nutrice di ogni virtù. Al cuore del povero il Signore parla; all'anima loro dà la sapienza delle verità celesti. Il povero facilmente spera e desidera il paradiso: nulla aspettandosi dalla terra. S. Bernardo scrive: La povertà non si trovava in cielo mentre abbondava in terra: ma l'uomo ne ignorava il valore. Perciò il Figlio di Dio volle scendere dal cielo per manifestarne il pregio agli uomini. Maria l'abbracciò fedelmente e la professò.
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Mantenere il cuore distaccato dalle ricchezze è di stretta necessità per salvarsi. Dice Gesù: «Chi non rinunzia a tutto quello che possiede, non può essere mio discepolo» (Lc 14,33). Guai a voi. O ricchi! «È più agevole ad un cammello entrare nella cruna di un ago, che ad un ricco nel regno di Dio» (Mt 19,24).
S. Agostino diceva: «Le ricchezze sono un vischio per le ali; impediscono all'anima di elevarsi verso le cose celesti. Dimentica, infatti, il cielo chi ha la sua consolazione quaggiù».
Occorre pazienza nelle strettezze e privazioni.
La povertà è sempre un po' umiliante: per l'abitazione, il vestire, il cibo; i poveri sono umiliati per istrada, in chiesa, in società. Queste umiliazioni però sono gloriose; S. Paolo scrive: Omnia detrimentum feci et arbitror ut stercora, ut Christum lucrifaciam: Ho stimato spazzatura le cose allo scopo di guadagnare Cristo (Ph 3,8).
Diceva il divin Maestro: Facite vobis amicos de mammona iniquitatis; ut, cum defeceritis, recipiant vos in aeterna tabernacula: Fatevi degli amici con le ricchezze ingiuste, affinché quando veniate a mancare, vi ricevano nelle tende eterne (Lc 16,9). Ciò che diamo al povero sarà nostro in eterno. Chi dà al bisognoso riceve da Dio.
Preghiamo. - Dispensa, te ne preghiamo, o Signore, ai tuoi servi il dono della grazia celeste; e come il Figlio della Vergine fu loro principio di salvezza, così la solennità votiva del suo sposalizio apporti loro accrescimento di pace.
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S. Pier Damiani. - Pier Damiani, ancora fanciullo, un giorno trovò una moneta d'argento. Egli, povero ed orfano, era stato ricoverato per carità da un fratello, il quale lo trattava poco bene. «Come impiegherò questa moneta?» domandava a se stesso. Vedeva il suo abito sdrucito, sentiva lo stimolo della fame. Ma in quel momento vide passare un sacerdote, ricordò il padre e la madre defunti, fece una risoluzione: corre dal sacerdote e: «Prendete, gli dice, fatemi la carità di celebrare una messa per i miei poveri morti!»
Da quel giorno, protetto dalla Vergine, che tanto gradì la sua generosità, e, favorito dalle anime sante del purgatorio, la sua condizione mutò. Un altro fratello chiamato Damiano, lo accolse, e lo mandò a scuola, Pietro crebbe in sapienza e virtù. Visti un giorno due monaci di S. Romualdo, andò con essi a Fonte Avellana e vestì l'abito dei Camaldolesi. Divenne un modello di monaco, esemplarissimo e di una ardente divozione a Maria SS. Fu creato vescovo, quindi Cardinale.
Combatté strenuamente gli eretici, ridusse all'obbedienza della Sede apostolica gli abitanti di Ravenna; richiamò al dovere Enrico IV imperatore di Germania. Fervente apostolo di Maria ne propagò ovunque il culto, promosse la recita del suo ufficio.
Piero Damiani morì serenamente a Faenza l'anno 1072 e fu canonizzato da Leone XII.
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