Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

Effettua una ricerca

Ricerca Avanzata

PER UNA COSCIENZA SOCIALE

Nota introduttiva
Questo opuscolo, apparso sul San Paolo del Novembre 1953, fu ripubblicato con notevoli aggiunte nel volumetto Alle Famiglie Paoline (pp. 20-49). Adottiamo questa seconda redazione, dal momento che la prima è da considerare come un abbozzo rispetto a questa.
Lo sviluppo del pensiero si può percepire dai sottotitoli più significativi: Principi; Studio della sociologia; Il fondamento naturale; Il fondamento soprannaturale; La socievolezza nelle comunità religiose e nella Chiesa; Tra le Famiglie Paoline; Relazioni nella nazione e relazioni internazionali...
I quattro principi offrono la chiave di lettura: 1) «Amerai il tuo prossimo come te stesso»; 2) La vita «è per tutti un impiego, per il proprio perfezionamento e per utilità del prossimo: perciò la socievolezza»; 3) «L'uomo è naturalmente ordinato da Dio a vivere in società»; 4) La società è «un insieme di individui... uniti per uno scopo comune, da conseguirsi con l'unione delle forze, sotto il governo di una legittima autorità». Ciò evidenzia l'urgenza dello studio della sociologia, poiché «è nella società che si deve esercitare l'apostolato e santificare le relazioni».
La socievolezza è una meta cui si deve tendere quotidianamente, «partendo dalle situazioni concrete di caratteri diversi e di indefinita diversità di umori». Ma resta difficile comprendere il senso vero della socievolezza senza considerarne l'alto fondamento: la dottrina del Corpo Mistico. Di qui la coscienza sociale, che deve rendersi operante soprattutto all'interno degli Istituti e unificare la Famiglia Paolina.
Di straordinaria lucidità e attualità, in questo opuscolo, la serie di indicazioni concernenti le varie espressioni della socievolezza, i rapporti in comunità, la visione cristiana delle relazioni sociali, sia nei gruppi che a raggio internazionale.
Il manoscritto autografo dell'opuscolo, conservato nel Fondo San Paolo della Casa Generalizia, consta di 23 fogli in due formati (cm. 11x18,2 e cm. 15x19,3), variamente elaborati con tagli e aggiunte, correzioni ed integrazioni. Porta il titolo dell'Autore,
Formazione sociale; titolo che in effetti è caduto ovunque, salvo che nella copertina del volumetto menzionato. Per mano del segretario vi è scritta la destinazione: «San Paolo», nonché la data: 28-31 Ottobre 1953. Quattro foglietti, con note relative alla funzione della carità, sono stati inseriti sotto il titolo «Tra le Famiglie Paoline», con la data del 19-IX-1953 e l'annotazione «Aggiunta al San Paolo già uscito». Ritocchi e spostamenti in entrambe le edizioni stampate, rispetto al manoscritto autografo, renderebbero assai laboriosa una collazione critica.
Questo lavoro, come altri che si richiamano a temi analoghi, dimostra il rilevante interesse di Don Alberione per i temi sociologici, ai quali aveva già dedicato il libro
Elementi di Sociologia cristiana (1950), uscito in diverse edizioni, ultima delle quali titolata Catechismo sociale (1985), a cura di Lucina Bianchini FSP e Luigi Giovannini SSP, con notevole apparato documentale e bibliografico.
Da segnalare, quali ulteriori fonti cui l'Autore attinse per l'attuale opuscolo, due volumi editi dai Paolini.
1

Interessante infine una notizia riportata nello stesso bollettino, dopo il testo presente: «ROMA. - L'On. Pella [Giuseppe, Presidente del Consiglio della Repubblica italiana] ha visitato la Pia Società S. Paolo. In primo luogo si intrattenne nella Cripta e nella Chiesa Regina Apostolorum. Quindi visitò la casa delle Figlie di S. Paolo: tipografia, ufficio propaganda e stabilimento del cinema, come poi fece anche da noi, assistendo pure alla proiezione di una parte del cortometraggio trittico Maria. - Con cordialità e familiarità condivise la povera nostra mensa; e, rispondendo ai ringraziamenti del Primo Maestro, chiuse con un breve ma denso discorso di elogio ed augurio, chiedendo anche l'assistenza delle nostre preghiere alla sua persona ed al suo alto e difficile compito» (SP, Nov. 1953, p. 7).
~
PER UNA COSCIENZA SOCIALE

1. PRINCIPI

1) Amare Dio con tutta la mente, le forze, il cuore: è il primo e principale precetto. Ma ve ne ha un secondo, che è simile al primo: «amerai il tuo prossimo come te stesso». E Gesù ci propose, come vero amante del prossimo, un Samaritano, che non era ebreo, ma un «alienigena».1
2) L'educazione è abituare il giovane ad usare in bene la propria libertà: e di quest'uso renderà conto a Dio per riceverne premio o castigo. La vita nostra non è destinata ad essere un peso per molti, una festa per pochi; ma è per tutti un impiego, per il proprio perfezionamento e per utilità del prossimo: perciò la socievolezza.
3) L'uomo è naturalmente ordinato da Dio a vivere in società. Infatti non potrebbe vivere nell'isolamento, non bastando da solo a raggiungere il suo perfezionamento fisico, morale ed intellettuale. Dio ha dato all'uomo l'inclinazione ad integrare la sua insufficienza, associandosi ad altri, sia nella vita domestica che civile e religiosa. E questo è diritto naturale, che nessuno può violare.
4) La società in generale è un insieme di individui, considerati nel loro grado sociale, uniti per uno scopo comune, da conseguirsi con l'unione delle forze, sotto il governo di una legittima autorità. È una unità organica (non meccanica) maturata dalla ragione e dalla fede; cresciuta sotto il governo della Provvidenza per il bene dei singoli.
1
2. STUDIO DELLA SOCIOLOGIA

Oggi, più che nei tempi passati, è necessario uno studio sufficiente della sociologia. La nostra vita si svolge in parte notevolissima in società; ed è nella società che si deve esercitare l'apostolato e santificare le relazioni.
La socievolezza vuole una convivenza serena; ma insieme vuole una convivenza benefica ed apostolica anche nella più ampia famiglia umana. «Ci ha chiamati non solo tra i Giudei ma anche tra i pagani» (Rm 9,24).
2
3. NELLE SOCIETÀ RELIGIOSE

Gli Istituti religiosi, si chiamino essi Famiglie, o Società, o Congregazioni, sono sempre di natura sociale, avendo gli elementi costitutivi, cioè: fine, mezzi, autorità, membri. L'erezione di istituti religiosi, corrispondenti ai bisogni dei tempi, e diretti al perfezionamento dei membri con mezzi sociali, è un diritto inviolabile della Chiesa, e da essa sempre usato.
Il fine del perfezionamento è comune a tutti gli Istituti; moltissimi hanno pure un fine di apostolato nella Chiesa; e per il conseguimento dispongono dei loro mezzi. Hanno poi un'autorità, che dirige le persone e coordina le loro forze al fine od ai fini comuni.
Di qui scaturiscono due necessità assolutamente indispensabili, cioè: l'obbedienza e la carità. La prima è come fondamento dell'edificio, la seconda come mezzo di unione tra tutti i membri.
Vale anche qui il detto «La casa di Dio si fonda credendo, si innalza sperando, si perfeziona amando».2
I due fini della Pia Società S. Paolo sono espressi nei due primi articoli delle Costituzioni.3
Dovendo l'uomo conseguire un doppio perfezionamento, naturale e soprannaturale, vi è una duplice categoria di società: società di ordine | naturale e società di ordine soprannaturale. Alla prima appartengono la società domestica, la società civile, ecc.; alla seconda: la Chiesa, gli Istituti religiosi, ecc.
Con la nascita l'uomo acquista il diritto di entrare a far parte delle società naturali; con la seconda nascita, che avviene nel battesimo, acquista il diritto di entrare in società soprannaturali quanto al fine ed ai mezzi.
La Chiesa è società soprannaturale nel fine, che è l'eterna beatitudine; e nei mezzi, che sono: la fede, i sacramenti, le virtù cristiane; l'ubbidienza ai Pastori, in modo particolare al Papa.

* * *

La socievolezza, per il Paolino, richiede:4
- rispetto alla vita comune, nella famiglia religiosa: verso i fratelli, i superiori, gli inferiori;
- rispetto alle altre Famiglie religiose;
- rispetto alle altre Congregazioni paoline;
- rispetto ai fedeli singoli o raccolti in collettività;
- rispetto ai concittadini, sudditi e governanti;
- rispetto a tutta la famiglia umana;
- rispetto alla Chiesa intera: militante, purgante, trionfante.
3
4. SEGNO DI VOCAZIONE

La socievolezza è qualità essenziale per chi vuole entrare in una società, tanto più se società religiosa. Essa costituisce un segno positivo di vocazione, come la non socievolezza costituisce un impedimento fondamentale ed indizio chiaro di non vocazione. È detto chiaramente che in un istituto religioso si tende alla perfezione, oltreché per i voti, «con l'ordinare la propria vita, nella vita comune, a norma dei Sacri Canoni e delle Costituzioni». È perciò sorgente di meriti e mezzo di santificazione. Per questo tutto è comune: orario, studio, apostolato, pietà, vitto, vestito ecc. (articoli: 1, 133-136).
Richiamare gli articoli 169, 170: «Ricordino i Religiosi che tutto il bene ha principio e compimento nella carità. La carità è paziente e benigna, non è invidiosa, non è insolente, non si gonfia, non è ambiziosa, non cerca il proprio interesse, non s'irrita, non pensa male, non gode dell'ingiustizia, ma si rallegra della verità; tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta». «Perciò tutto sia fatto nella carità, osservando con sollecitudine il suo ordine, come conviene a persone sante».
4
5. IL FONDAMENTO NATURALE

Chi vuole entrare nell'Istituto deve avere un carattere socievole. Già sopra5 si diceva che «la vita comune suppone:
- un carattere mite, socievole, ottimista: parte di natura, parte di educazione;
- una mente larga, premurosa, comprensiva, inclinata ad interpretare favorevolmente;
- una disposizione retta verso i poveri, i sofferenti, i superiori, gli inferiori;
- l'osservanza delle regole di cortesia, galateo, sottomissione, gentilezza; ovunque, ma specialmente stando in compagnia;
- la disposizione a perdonare i torti ed i mali e ricordare i benefici ricevuti; senza rinfacciare le colpe, umiliare l'inferiore, ecc.;
- l'essere sempre uguali e semplici, senza orgoglio nella fortuna e nell'onore; ma senza avvilimento nelle contraddizioni».

* * *

Escludere perciò:
- i caratteri strani, sofistici, apatici, egoistici;
- i religiosi per disperazione, gli eccentrici;
- gli isterici, eccessivamente nervosi, squilibrati;
- [gl]i psicopatici, i sempre scontenti, i puntigliosi;
- gli scontrosi, oscuri, vendicativi, attaccabrighe;
- gli ineducabili, irriducibili, dispettosi, irrequieti;
- e così quelli che ebbero in famiglia tali infermità e di una certa gravità, o altre malattie ereditarie, per es. affetti da pazzia.
5
6. IL FONDAMENTO SOPRANNATURALE

La socievolezza, come ogni vera virtù ed ogni vera pietà, si fonda sopra la fede.
Per la fede vediamo in tutti gli uomini dei figli di Dio e dei Fratelli nel «Padre nostro».
Per la fede vediamo in tutti delle anime a cui siamo debitori di verità, di edificazione, di preghiera.
Per la fede vediamo come Gesù Cristo amò tutti, tanto più i bisognosi, i peccatori, i sofferenti. Egli non ebbe distinzione di carattere puramente umano; ma solo di carattere umano-divino.
Per la fede avremo un nazionalismo giusto, vedremo sempre nella nazione particolarmente le anime e la loro salvezza; mai nazionalismo di ispirazione contraria al Vangelo, e di carattere politico o economico. Si desidera che tutto si conformi alle dottrine pontificie: leggi, insegnamento, morale, pratica della religione.
Per la fede vedremo nei membri dell'Istituto dei Fratelli, tali per il titolo nuovo della professione.
Per la fede si vedono negli uomini dei compagni di viaggio verso l'eternità e se ne deducono i doveri di mutuo aiuto.
Per la fede si comprendono: il Cuore del Divino Maestro, che predica ed invita tutti gli uomini a sé: «venite tutti a me»;6 S. Paolo «dottore delle genti»7 che nel dilatato suo cuore portava tutti gli uomini; la Regina Apostolorum che [è] guida a tutti i figli del Padre Celeste, missionari, predicatori, apostoli.
6
7. SOCIEVOLEZZA NELL'INTIMITÀ RELIGIOSA

Nell'ambiente in cui viviamo, abbiamo Fratelli che tendono alla medesima meta, vestono la nostra divisa, partecipano alla vita comune, condividono gioie e dolori, sono animati dai medesimi propositi e seguono la nostra via, per guadagnarsi la corona di gloria.
Questa comunione d'intenti deve stringerci con vincoli di carità e fare delle case religiose soavi oasi di pace, in questa misera terra, incessantemente lacerata dalle passioni, dagli interessi e dagli intrighi umani. Quello spirito di fratellanza e divina unione che legava la prima comunità, il collegio apostolico,8 deve aleggiare tra di noi così che rallegri i nostri cuori, faccia splendere la serenità sui nostri volti e porti nelle anime nostre quel senso di calma, che tanto contribuisce a favorire la nostra unione con Dio, scopo immediato della vita religiosa. Dove manca non può darsi raccoglimento, preghiera, sincero amore al proprio stato e fervore di vita spirituale.
Inoltre l'uomo, di sua natura socievole, si trova bene solamente ove gli sia facile formarsi un ambiente in cui questo suo istinto possa essere appagato. Quando egli lascia il focolare domestico, caldo di puro affetto, in qualsiasi ambiente ove venga a trovarsi, trova un prepotente bisogno di crearsi una cerchia di persone amiche, che lo comprenda, che lo incoraggi, e che gli siano appoggi sicuri nelle immancabili tempeste della vita. A questa innocente debolezza umana non riescono a sottrarsi neppure i più grandi santi. I loro epistolari intimi ne sono una prova lampante.
Perciò il religioso che passi i suoi giorni in una comunità, ove trova cuori aperti, anime generose e benevoli, spiriti nobili e delicati, vivrà felice e sereno e potrà constatare che davvero «nulla in questo mondo rappresenta sì bene l'ammirabile assemblea della Gerusalemme celeste, quanto una società religiosa perfettamente unita nella benevolenza. Nostro Signore è in mezzo ad essi; il luogo che abitano è la porta del cielo [cf. Gn 28,17]».
Ma il demonio, nemico delle anime religiose e, per eccellenza, spirito di disordine, trova mille vie per entrarvi, turbarne la pace, e seminarvi discordie. Il maligno sa che là, ove non fiorisce concorde armonia e fraterna comprensione, non vi possono essere amore di Dio, delicatezza di coscienza, spirito di mortificazione, amore sconfinato al proprio stato; e perciò si arrovella in tutti i modi per esercitare la sua opera disgregatrice nelle comunità e renderle terreni di disunioni, di incomprensioni, e di malintesi di ogni genere. Si vale abilmente di tutte le debolezze umane, che sono inevitabili, anche tra anime eroiche.
Nella comunità religiosa più perfetta che possiate immaginare, voi troverete immancabilmente i caratteri più opposti e ciò ve lo spiegate con tutta facilità. La varietà delle disposizioni dei genitori che offrono alla religione9 i loro figli, le caratteristiche delle singole regioni che danno all'indole tinte tutte proprie, l'indefinita diversità di umori, fanno sì che si trovino assieme nella medesima casa dal mattino alla sera, in ogni ora del giorno, sempre vicino gli uni agli altri, temperamenti calmi ed irrequieti, riflessivi e leggeri, sereni ed ombrosi, equilibrati e fantastici ecc.
Un secolare che si trovasse a convivere con una persona di carattere inconciliabile col suo, risolverebbe il problema cambiando dimora od impiego; ma un religioso questa via di scampo non la può sempre avere aperta. Egli potrebbe trovarsi inevitabilmente nel medesimo ufficio con un confratello di indole o di vedute completamente opposte alle sue. Finché siamo su questa povera terra ci dobbiamo rassegnare a vivere tra debolezze e miseriole; solamente in Cielo troveremo tutti perfetti.
Il demonio, però, si vale astutamente di queste fragilità umane, le fa cozzare le une contro le altre, riesce molte volte a farne sprigionare scintille ed incendi di discordia. Sconvolge fantasie, scalda passioni, intorbida anime, rende sospettosi, ingrandisce inezie e tanto si agita e disorienta che riesce, in molti casi, a togliere la pace, la fraterna armonia, la mutua fiducia, ed a rendere pertanto pesante il dolce giogo della vita religiosa per dei nonnulla e per bagatelle da bimbi. Ove cresce tale zizzania, la virtù è soffocata, si affievolisce ogni slancio per il bene ed intisichisce la vita spirituale.
Perciò esclama S. Agostino: «miserabile quel monastero, in cui prevale lo spirito di parte».10 Può a proposito ricordarsi la parola di S. Paolo Apostolo: «Vi esorto pertanto, fratelli, per il nome del Signore nostro Gesù Cristo, ad essere tutti unanimi nel parlare, perché non vi siano divisioni tra voi, ma siate in perfetta unione di pensiero e d'intenti» (1Cor 1,10).
7
8. PECCATI CONTRO LA SOCIEVOLEZZA

1) Rompere l'unità spirituale tra Fratelli; massime con l'autorità e chi la rappresenta. L'unità è il «bonum sociale»; disgregare le forze è cosa contraria alla stessa natura della società; che danneggia tutti ed attenta alla stessa sua esistenza. Ciò può anche avvenire con la critica sregolata.
2) Sottrarre le forze, prendendosi uffici fuori della Congregazione o trascurare i doveri propri: come ministeri, apostolati, scuole. Ciò avverrebbe prendendo impegni con fratelli e sorelle della famiglia o parenti ed amici; contraendo inutili relazioni estranee; od anche con mostrarsi «tardus ad communia et ad singularia promptus».11
3) Non unificare le forze di tutti al fine; o non provvedere ai singoli nei loro bisogni spirituali e materiali.
4) Rifiutare senza giusti motivi gli uffici assegnati, o trascurarli. Così pure aspirare ad uffici cui non si ha capacità, tanto più se già dimostrata da esperimenti.

* * *

All'incontro: si procura il «bene sociale» che è l'unità, quando negli uffici ed occupazioni si concentrano le energie dell'intelligenza, della volontà, del cuore, del corpo: perché sia bene interpretata la volontà dei superiori e compita nel miglior modo.
8
9. PERICOLI CONTRO LA SOCIEVOLEZZA

1) Occupazioni estranee alla Società, affetto a persone pericolose, la smania di uscire, visitare; tenere relazioni epistolari o personali fuori della Congregazione, occultate ai superiori che, si sa, non le permetterebbero.
2) Amicizie particolari; simpatie od antipatie; tante gentilezze riservate ad estranei, e durezza o grossolanità, indifferenza, indelicatezza con i fratelli anche nei momenti di afflizione o di gioia.
3) Le mancanze contro i segreti naturali, o di ufficio.
4) L'amore proprio, che genera le invidie e gelosie; e distrugge o ritarda l'azione dei fratelli e dei superiori. L'invidia è cosa troppo comune e troppo deleteria; basta ricordare Caino ed Abele, la storia di Giuseppe e suoi fratelli.
5) Vi è un pericolo proveniente da coloro che sono facili ad intromettersi dove non sono né richiesti, né hanno incarichi; da chi parla e non opera; da chi distribuisce facilmente consigli, ma non ne accetta.
6) Come anche è facile distaccarsi dallo spirito quando si cercano facilmente pareri da estranei e si perdono i meriti della propria vocazione, senza farsi i meriti di altra vita. Non si verifichi quanto Geremia lamenta dei suoi tempi: «Abbandonate le sorgenti di acqua viva, si sono scavate delle cisterne, e cisterne sconnesse, che non possono contenere le acque» [cf. Ger 2,13]. La ragione e la fede insegnano ben altri rimedi ai mali, dei quali siamo causa noi stessi per lo più.
7) Vi può essere la tentazione di ricorrere a superiori lontani cercando di ingannarli per non obbedire ai superiori vicini; oppure seminare la sfiducia su fratelli o superiori con sorde critiche fatte vilmente contro chi non può difendersi. Vi sia chi fa l'avvocato degli assenti: è carità squisita. Chi lavora intensamente e pratica l'attende tibi,12 difficilmente, e solo per motivo di carità, sta ad osservare gli altri: eccetto il caso che ne abbia l'ufficio.
9
10. SEGNO DI VOCAZIONE E DI CORRISPONDENZA13

Segno di vocazione è l'amore all'Istituto; il parlare in bene della sua organizzazione, delle Costituzioni, dei Superiori, dei Fratelli, delle iniziative, delle opere, delle case, ecc.; il pregare sempre per la santità di tutti, per le vocazioni, per l'apostolato; il lavorare per le vocazioni, il contribuire con tutte le forze, secondo la posizione di ognuno, al progresso spirituale e intellettuale, come all'apostolato ed al bene materiale: l'operare per togliere i difetti ed accrescere il bene.
Segno di non-vocazione: abitudine ad una critica distruttiva od imprudente, la fiacchezza nelle opere dell'Istituto, contribuire agli inconvenienti ed ai difetti. Basta che una ruota od ingranaggio si rompa perché tutta la macchina ne soffra.
Stimate tutti gli Istituti nel senso e spirito della Chiesa; ma sopra tutti amate il vostro. Rifuggite da chi manca di questo amore: poiché, spesso, è più pericoloso di chi dà scandalo anche in materie gravi; invece affezionatevi e frequentate chi mostra vero spirito paolino. Grande merito ha chi semina il bene, la verità, la pace: «Beati i pacifici perché saranno chiamati figli di Dio».
10
11. MEZZI DI SOCIEVOLEZZA

È necessario, ed obbligatorio, tenere le conferenze, convocando i professi, sentirli, incoraggiarli, dare le direttive.
Nelle adunanze ognuno dice il suo pensiero con semplicità, tutti lo considerano, nessuno si impone; poi il Superiore riassume e determina; poi vive un solo pensiero, unione generosa e lieta di forze ed intenti, alimentata sempre dalla pietà. «Raccolti i consigli, unite le forze, moltiplicati gli intercessori...».14
Sono da considerarsi le parole di S. Paolo ai Filippesi: «È giusto ch'io riguardo a voi nutra questi sentimenti, perché vi ho nel cuore come coloro che, e nelle mie catene e nella difesa e nella conferma del Vangelo, avete partecipato alla mia gioia. Mi è infatti testimone Iddio, in qual modo io ami tutti voi nelle viscere di Gesù Cristo. E questo io domando, che la vostra carità abbondi sempre più nella conoscenza ed in ogni finezza di discernimento» (Fil 1,5-11).
11
12. SOCIEVOLEZZA NELLA CHIESA

In ordine alla Chiesa ed alla cristianità, fondamento particolare della socievolezza è la dottrina del Corpo Mistico. Non si tratta solo di relazioni esterne: ma tra i membri vivi della Chiesa circola lo stesso sangue di Gesù, cioè la stessa sua vita, che tutti anima: così da risultare un solo corpo con molte membra, aventi per capo Gesù Cristo stesso. Formiamo la Chiesa.
E questa Chiesa risulta delle tre parti: militante, purgante e trionfante,15 che formano l'unica Chiesa: o in viaggio sopra la terra, o già arrivata al porto nell'eternità.
La socievolezza ci fa riguardare in ogni fedele (che almeno appartenga all'anima della Chiesa) un fratello di sangue (il sangue di Gesù Cristo).
La socievolezza vuole: con il Papa relazioni di amore, obbedienza, venerazione; in proporzione, ugualmente con i Vescovi e con i Superiori ecclesiastici.
Con i fedeli viventi: soprattutto apostolato delle edizioni. Con esso viviamo con i lettori, gli spettatori, gli uditori. Ad essi dobbiamo portare luce, conforto, incoraggiamento. Il lettore deve essere trattato bene, con comprensione e bontà.
I rapporti di amicizia, perché siano tali, devono essere chiari. Chiare le condizioni per accettare i giovani; chiare le offerte di abbonamento o dei libri; chiari gli sconti. Siano puntuali le spedizioni e si esigano fermamente e per tempo i pagamenti. Patti chiari, amicizia lunga. I debitori non amano i creditori; si allontaneranno; e l'apostolato ne perderà. Dare ed esigere con fermezza.
Abbiamo delicatezza e riguardo specialmente con i piccoli: per la stampa, il cinema, la radio e la televisione. Sopra questi punti occorre molta vigilanza. Vigilanza pure su quanto si distribuisce ai giovani nelle tipografie per composizione.16
Qui vengono da considerarsi le relazioni con i genitori e parenti dei Nostri, con gli scolari, gli aspiranti, gli uditori, i penitenti, ecc. Consultare Autori che ne parlano distintamente.
Soffrire con chi soffre, godere con chi gode; specialmente soffrire quando la Chiesa soffre; godere quando essa gode. Vivere in unione di mente, volontà e cuore col Papa: significa partecipare alla universalità delle sue premure.
Nessuno diviene paolino per una nazione determinata, tanto meno per la propria; ma per andare in quella parte in cui si verrà destinati per i fini della gloria di Dio e del bene delle anime. Siamo cittadini del regno di Cristo, che è la Chiesa, ed in qualunque nazione siamo, apparteniamo sempre ad essa: poiché la Chiesa è cattolica. E tutti siamo cittadini romani: poiché la Chiesa è romana.17

* * *

Questa18 coscienza sociale ha da rendersi operante anche nell'apostolato.
La Casa Generalizia opera ed esiste per la carità, considera i bisogni della Chiesa, delle anime, della Congregazione e delle Case; dà un indirizzo ed un incoraggiamento che è servizio a tutte; sceglie e propone le iniziative: non ferma alcuna attività che è contenuta nello spirito delle Costituzioni: le edizioni si possono adattare e riprodurre nelle altre nazioni; si diviene una forza viva ed operante nella Chiesa e per la Chiesa.
«Del savio educator questa è la legge: eccita, lascia agir, guida e corregge».19
Gesù Cristo è il Maestro Divino, che meglio ha rispettato la persona umana, la sviluppa nelle sue facoltà naturali e soprannaturali, la eleva e dirige a partecipare [nell'opera] di Dio nel tempo e nell'eternità: «Concedici... di aver parte alla divinità di colui che si è degnato farsi partecipe della nostra umanità, Gesù Cristo...».20 E perciò stesso è totalitario; non patteggiamenti con l'errore, con il male, con i falsi culti e le superstizioni, con il falso zelo.
E così è la Chiesa; e così deve operare chi in qualche misura rappresenta l'Istituto e la Chiesa.
12
13. TRA LE FAMIGLIE PAOLINE21

Piacque al Signore che le nostre Congregazioni fossero quattro; ma possiamo dire: «Congregavit nos in unum Christi amor... Simul ergo cum in unum congregamur, ne nos mente dividamur, caveamus».22
Vi è una stretta parentela tra esse, perché tutte nate dal Tabernacolo. Un unico spirito: vivere Gesù Cristo, e servire la Chiesa. Chi rappresenta tutti, intercedendo, presso il Tabernacolo; chi diffonde, come dall'alto, la dottrina di Gesù Cristo; e chi si accosta alle singole anime.
Vi è tra esse una stretta collaborazione spirituale, intellettuale, morale, economica.
Vi è separazione per governo ed amministrazione; ma la Pia Società San Paolo è altrice23 delle altre tre.
Vi è separazione; eppure un vincolo intimo di carità, più nobile del vincolo del sangue.
Vi è indipendenza tra loro; ma vi è uno scambio di preghiere e di aiuti, in molti modi; l'attività è separata, ma vi sarà una partecipazione alle gioie e alle pene.

Sapersi comprendere: questo è il primo passo verso una convivenza che, più di quella di buon vicinato, è di una parentela sui generis, poiché è comunione di pensiero, di spirito, di aspirazioni.

Sapersi rispettare: il [detto] «la carità non pensa male» [1Cor 13,5] vale molto bene qui; quindi: «pensare bene, desiderare il bene, parlare in bene, far del bene». Sapersi aiutare: quando una famiglia è stabilita in una nazione, preparare l'ingresso alle altre.

Coordinarsi: Nessuna concorrenza tra le Congregazioni femminili nella ricerca delle vocazioni; saperle suscitare, ma lasciare libere le giovani di entrare ove si sentono spinte e ne hanno le attitudini. Quelle che escono da una Congregazione non siano accettate nell'altra. Ciascuna Congregazione compia il proprio apostolato; le altre ne rispettino il campo e le iniziative, dandovi anche, quando se ne presenta l'occasione, una cooperazione.

* * *
La coordinazione tra le quattro Congregazioni si compie tra i Superiori; i sudditi prenderanno dai rispettivi superiori le disposizioni.
Le minute difficoltà che si incontrano nel cammino, per quanto è possibile si risolvano in modo paterno dal Superiore della Pia Società S. Paolo. I cuori siano ragionevolmente docili; la carità è vantaggio così grande che merita bene qualche sacrificio.
La carità24 nella Chiesa regola la sua azione sociale.
La carità è il principio, il movente, l'elemento determinante dei Canoni e di ogni disposizione data dalla Chiesa e da ogni autorità ecclesiastica e religiosa. Poiché Pietro amò «più di costoro» [Gv 21,15], così ebbe l'ufficio di governare e disporre per tutta la Chiesa. E nella Chiesa non vi è potere se non da Gesù Cristo, esercitato dal suo Vicario in terra.
Così la carità conduce ad una interpretazione retta di quanto viene disposto; ed ugualmente la carità conduce all'esecuzione santa, applicando tutto il nostro essere: mente, forze e cuore.
Le nostre Congregazioni sono ben distinte nei fini e nei mezzi; vi è tuttavia sempre un terreno di confine che non può essere precisato al millimetro, appunto perché tutte quattro servono ed operano nella Chiesa e per la Chiesa.
La carità, dunque, supplisca a quello che le Costituzioni non possono precisare. Per esempio: è chiaro che le Suore Pastorelle si occupano, nei limiti della parrocchia ove sono stabilite, del bollettino, della biblioteca, della diffusione dei catechismi, ecc., sotto la direzione del Parroco. Così la carità troverà il modo di convivenza ed attività di una libreria paolina e di un centro di apostolato liturgico.
Incontrarsi, sentirsi, considerarsi vicendevolmente, e la retta intenzione, saranno modi di intesa, di pace, di maggior frutto.
Fu un buon parroco dell'albese che regalò a San Paolo25 il secondo nostro calice; disse, offrendolo: «Vedi che ho fatto incidere nel piede: Ut unum sint; sono le parole del Maestro Divino, e sarà sempre questa unione tra di voi che permetterà lo sviluppo dell'Istituto, la pace ed il fervore di ognuno». È infatti nell'orazione sacerdotale che Gesù, per quattro volte, domandò al Padre questa unità tra gli Apostoli prima, poi tra i fedeli tra di loro e con la Gerarchia ecclesiastica:

«Padre santo... che siano uno, come anche noi».
«...Che tutti siano uno, come tu Padre in me e io in te, perché anch'essi in noi siano uno».
«...Che siano uno, come anche noi siamo uno».
«Io in loro, e tu in me: perché siano perfetti nell'unità» (Gv 17,11.21.22.23).

E dalla situazione presente nella Chiesa comprendiamo come questa insistenza del Divin Maestro avesse profonda ragione: quante migliaia di scismatici, e centinaia di migliaia di eretici, e discussioni sregolate su verità di fede e principi di morale.

* * *
La socievolezza vuole che si pratichi l'ospitalità. L'ospitalità, raccomandata da S. Paolo, importa il dovere nell'ospitante di essere accogliente e premuroso; ma anche il dovere nell'ospite di essere rispettoso ed edificante, «ospitali gli uni verso gli altri, senza mormorare» [1Pt 4,9]. Non disturbi l'ordine nella casa, ne apprenda il bene, non prolunghi la dimora oltre il bisogno.
Ovunque i Nostri ricevano l'ospitalità e la accoglienza fraterna; ma insieme, ovunque si va, si eviti di gravare con troppe pretese sopra i fratelli; si eviti, in quanto possibile, di recare disturbi. Non si faccia circolare il male da una casa all'altra, ma il bene! si edifichi, invece, con l'esempio di osservanza religiosa.

* * *
La socievolezza è molto favorita da ricreazioni liete, in comune, regolate dalla prudenza.

* * *
La Famiglia paolina sempre si è appoggiata all'Unione Cooperatori Apostolato Edizioni.26 Da essi molto ha ricevuto e ad essi molto ha dato; e con essi molto si sente legata spiritualmente, e per mezzo del bollettino proprio. Il dono di riconoscenza più grande è la celebrazione di 2400 Messe ogni anno a loro favore; poi vi sono le preghiere per i viventi e defunti; la partecipazione al bene che compiono le Congregazioni nostre; le indulgenze; e per i più insigni Cooperatori anche le Messe Gregoriane dopo la morte. La socievolezza richiede da parte nostra la più viva riconoscenza.
Istruirli per loro santificazione ed illuminarli per una cooperazione sempre più efficace, sono due nostri compiti.

* * *
Aiutare i vocazionari, perché questi hanno forte peso; tanto più se il vocazionario si trova da principio. Che una casa composta interamente di professi, possa facilmente provvedere a sé, è cosa ovvia. Ma essa deve pensare che riceve persone già formate; invece vi sono case ove le costruzioni, i macchinari, le scuole, l'assistenza spirituale, ecc., le spese quotidiane sono forti. In ogni istituto le case formate di soli professi contribuiscono per determinazioni precise ai vocazionari. Da noi non fu ancora ciò stabilito, perché finora lo spirito di carità vicendevole ha supplito; vi è da pregare che tutti siano comprensivi e veramente pieni di bontà. Questo non è tuttavia solo dovere di carità, ma dovere naturale di giustizia in una società. Esempio: nella società domestica (supponiamola composta di cinque persone) il padre provvede a tutti i membri, pur in una qualche collaborazione, se possibile.

* * *
Anche nell'apostolato sarà operante la coscienza sociale. In Italia si compie una redazione che può servire di indirizzo, o meglio, di orientamento per le altre nazioni; vi può essere uno scambio di edizioni tra nazione e nazione, nel senso già spiegato a riguardo del Centro internazionale di Roma27 e dei centri delle altre nazioni; tutto sarà facilitato se si darà la doverosa e necessaria precedenza nel pagamento dei debiti interni.
13
14. RELAZIONI NELLA NAZIONE

La sociologia cristiana indica i doveri dei Cattolici di fronte alla Nazione ed al governo: «I doveri dei singoli sono il rispetto coscienzioso e l'obbedienza ragionevole. Inoltre il prestare le proprie energie al conseguimento del bene comune materiale e morale». Nei Governi a tipo democratico è grave dovere concorrere secondo | le leggi a dare Governanti saggi, onesti, rispettosi della Chiesa e della persona umana, disinteressati di sé ed impegnati per il bene comune. Dalla S. Sede sono venuti insegnamenti chiari: e le Famiglie paoline debbono impegnare i mezzi che hanno a loro disposizione.
Naturalmente è dovere amare più la propria nazione che la nazione vicina; ma l'amore per la propria nazione va inquadrato e coordinato nell'amore e rispetto a tutta la famiglia delle nazioni.
Grande nemico della Chiesa è il nazionalismo. Pensano molti, specialmente nelle nazioni a governo totalitario, che dipendere da Roma28 sia una ribellione od un sottrarsi alla dovuta dipendenza ai propri governanti, ed una adesione ad una potenza straniera. Ragionamento strano, errore rovinoso! Ma vi sono tuttavia coloro che praticamente antepongono la patria alla Chiesa; hanno un pregiudizio o sospetto che la Chiesa esageri, se non nella dottrina, almeno nella pratica coll'incaponirsi su alcuni diritti e prerogative; e sono inclinati ad incolpare più la Chiesa che lo Stato nei vari urti, anziché lasciarsi guidare dalla oggettività dei fatti, dai principi di Diritto Pubblico, dal desiderio dei beni superiori ed eterni delle anime.
Qui giova leggere le encicliche papali su tale materia, pubblicate dal 1860 ad oggi. L'amore alla patria è subordinato all'amore alla Chiesa; lo Stato stesso è subordinato alla Chiesa29 in quello che tocca la natura e la missione della Chiesa; gli interessi materiali sono subordinati agli spirituali, come il fine dello Stato è subordinato al fine della Chiesa; i partiti politici sebbene sani e cattolici non rappresentano né costituiscono la Chiesa.
I Religiosi ed i Sacerdoti, vivendo in modo intelligente e totalitario il Vangelo, sanno amare gli uomini di ogni nazione ed assieme compiere i doveri civici in modo esemplare. Sacerdoti e Religiosi anche dello stesso Istituto, ma sudditi di nazioni nemiche, hanno compiuto il loro dovere di soldati durante la guerra; riportando anche in buon numero segnalazioni al merito ed onorificenze.
14
15. RELAZIONI INTERNAZIONALI

Sono essenzialmente basate sopra: la comune origine, la comune redenzione, il comune destino, il comune bene delle nazioni.
«Il genere umano, quantunque per ordine naturale stabilito da Dio si divida in gruppi..., è tuttavia legato da mutui vincoli morali e giuridici in una grande comunità» (Pio XII).
Leggi naturali e convenzionali ne stabiliscono le relazioni.
L'amore alla Patria non esclude, ma rafforza l'amore all'umanità con lo scambio di beni tra tutti.
«Guardatevi dall'esagerato nazionalismo; perché vi è nazionalismo e nazionalismo» (Pio XI).
Sopra questo punto occorrono: 1) idee giuste, cioè concezione cristiana della vita umana; 2) spirito di universale fratellanza tra gli uomini; 3) ritenere che la base di coerenza tra gli uomini è la fede cattolica.
All'Italia nel consesso delle nazioni spetta un posto specialissimo per i suoi valori umani e religiosi, per la sua tradizione storica, per essere la sede del Vicario di Gesù Cristo, per la sua vocazione civilizzatrice e missionaria.30
Il paolino parlerà sempre bene di tutte le nazioni; il paolino preferirà le lingue più largamente parlate per allargare il suo apostolato; il paolino nelle nazioni ove arriva avrà grande spirito di adattabilità nelle cose indifferenti; a tutti porterà molto rispetto; comunicherà le ricchezze del Vangelo, della Chiesa e della civiltà.
Le nostre prediche e meditazioni richiamino spesso [l'attenzione su] i popoli che aspettano ancora la redenzione.
Nelle preghiere includiamo tutti i popoli e riteniamo lo spirito universale del Padre Nostro.
Abboniamoci all'Osservatore Romano, come il periodico che meglio ci offre la visione dell'intera umanità.
Tutti ricordino che le Costituzioni ci ispirano l'universalità e ci fanno mirare alle altre nazioni. Quindi si accolgano con gioia i provenienti da altre nazioni; si offra loro un'ospitalità fraterna ed accogliente.

* * *

Conoscere gli uomini è mezzo per amarli. Nella scuola di geografia, storia, letteratura e simili, giova rilevare i pregi ed i bisogni dei vari continenti, lo stato di civiltà, i costumi, le dottrine, le condizioni religiose, le relazioni con Roma cattolica, ecc. Per amare occorre conoscere.
Non vi è, per il religioso, né ricco né povero, né selvaggio né civile, né uomo né donna, ma solo dei figli di Dio e delle anime da salvare. Egli non si sente nato per le cose materiali o politiche; ma fornito di una missione superiore, che riguarda lo spirito e l'eternità.
Nelle case nostre si riceva ugualmente il settentrionale ed il meridionale, l'orientale e l'occidentale.
Si evitino in modo assoluto i discorsi che possono ferire l'animo dei fratelli di altre nazioni, anche se nemiche. Per il paolino vi sono solo degli amici e dei fratelli.
Si abbia, anzi, più carità per i provenienti da «aree depresse»: in Paradiso i neri potranno anche precedere i bianchi.

* * *

Le aspirazioni del mondo ad una società delle nazioni, oggi ONU (Organizzazione Nazioni Unite), se si realizzassero, si realizzerebbero anche i disegni di Dio Padre e Creatore, di Gesù Cristo Maestro, della Chiesa cattolica, di San Paolo Apostolo: «venga il tuo regno»; uno il Maestro, una la scuola, uno l'insegnamento, uno il frutto da maturarsi. Perciò è stato composto il libretto «Principi di Sociologia»,31 che è da studiarsi in tutte le nostre case, come si studia il catechismo della classe superiore.
Superate da Gesù Cristo le barriere di un nazionalismo religioso-civile del popolo ebreo, che aveva una missione speciale e limitata, Cristo stesso ha intimato: «Andate nel mondo intero, predicate ad ogni creatura il Vangelo» [cf. Mc 16,15]. Il Padre Celeste ha detto al Figlio suo: «ti darò in possesso le genti» [Sal 2,8], tutte le nazioni del mondo; e la Chiesa, suo Corpo mistico, ebbe un'eredità universale, con un diritto ed un dovere verso l'intera umanità. E San Paolo mostrò questo diritto e questo dovere; ed il Concilio di Gerusalemme, con uomini forti che mai più si avranno, cioè i genuini, i diretti rappresentanti del pensiero di Gesù Cristo, gli Apostoli: fu il Concilio della universalità. I paolini hanno da raccogliere questa preziosissima eredità del loro Padre, Maestro e Dottore: cuore, aspirazioni, apostolato sconfinato.

* * *

Le particolari società, le nazioni singole, sono torrenti di un gran fiume che è l'umanità; il Vangelo non è solo soprannaturale, ma è soprannazionale; esso non ha la limitazione che si chiuse con la venuta della pienezza dei tempi, ma ha per solo confine l'epilogo della storia e dell'eternità. «Non c'è distinzione fra Giudeo e Greco, dato che lui stesso è il Signore di tutti, ricco verso tutti quelli che lo invocano» (Rm 10,12).
Pensiero, sentimento, aspirazione di un vero paolino riflettono questa soprannaturalità e sopra-temporalità (sit venia verbis):32 non al ristretto ambiente familiare, diocesano, o al terreno ove è stabilita la gerarchia ecclesiastica, od ai già conquistati a Cristo. Più avanti! sempre più avanti! Basati sul fondamento degli Apostoli, e sopra la stessa pietra angolare Cristo Gesù, il balzo sarà sicuro. Misurare l'altezza e la profondità, la lunghezza e la larghezza della missione.
La S. Messa è la preghiera dell'universalità e dell'unità insieme; è la preghiera collettiva e sociale. L'unità si forma in Cristo: una la fede, una la vita, una la grazia, uno il gregge, uno il Pastore, uno il Paradiso. Il vino che viene consacrato risulta di molti acini, ed il pane che viene transustanziato risulta di molti grani. Tutti assieme offriamo, «per ipsum et cum ipso e in ipso»33 per mezzo del celebrante, il sacrificio della croce. Ogni mattina, pure sparsi in tanti punti della terra, siamo uniti nella stessa azione, la più grande: uno è il Sacerdote, una la vittima, medesimi sono i frutti; uno il viatico per la giornata, di cui ognuno può servirsi: «per non venire meno lungo la strada» [cf. Mt 15,32]. L'universalità: la Chiesa prima che si compia l'azione sacrificale raccoglie spiritualmente attorno all'altare la moltitudine degli uomini: «tutti i circostanti», e chiama tutto il paradiso: «in comunione...».34 È l'immolazione del Cristo mediatore; in lui si uniscono cielo e terra; in lui vivono tutte le membra del corpo mistico. Ascoltare la Messa con coscienza sociale è trasformarla nel più vivo apostolato.

* * *

La socievolezza è perciò virtù di tutti e verso tutti. Essa è particolarmente necessaria a chi vive in comunità; ma ha pure un campo larghissimo, quanto è largo il nostro apostolato, quanto è larga la nazione, quanto è estesa la Chiesa, quanto è numerosa l'umanità che oggi viene calcolata a due miliardi e mezzo di uomini.35
15

1 GIULIO MONETTI S.J., La Questione Sociale, Corso accademico di Sociologia particolare ed applicata, Scuola Tipografica Editrice di Alba, 1921; NATALE BUSSI, La persona umana nella vita sociale, Pia Società San Paolo, Alba 1945.

1 Alienigena: alla lettera, generato altrove; straniero.

2 Nell'originale: «Domus Dei credendo fundatur, sperando erigitur, amando perficitur» (S. AGOSTINO, Sermo 27).

3 Si allude ovviamente alle Costituzioni allora vigenti, che ponevano i due fini rispettivamente nella “Gloria di Dio e santificazione dei membri” e nella “Evangelizzazione con i mezzi più celeri ed efficaci”.

4 Nelle edizioni precedenti leggiamo: «La socievolezza per il Paolino, si richiede», espressione sintatticamente errata e comunque ambigua. Se il verbo è da intendersi in forma passiva (è richiesta), allora il “rispetto” degli item successivi va inteso in senso avverbiale (in riferimento a...). Se invece il verbo è all'attivo (richiede), allora il “rispetto” ha valore di sostantivo (ossequio), in funzione di complemento oggetto. Preferiamo adottare questa seconda formulazione.

5 Cf. Formazione umana, n. 4, pag. 123.

6 Nell'originale: «venite ad me omnes» (Mt 11,28).

7 Nell'originale: «doctor gentium» (1Tm 2,7).

8 Cf. At 4,32-35.

9 Religione indica qui Congregazione, Istituto religioso, o simili.

10 S. AGOSTINO, Serm. 256, de temp.

11 Lento alle cose comuni e pronto alle singolari (agli interessi personali).

12 «Bada a te stesso» (1Tm 4,16).

13 Questo capitoletto, e parte del seguente (fino a “moltiplicati gli intercessori...”), non è presente nel San Paolo del novembre 1953. È stato aggiunto nel volumetto Alle Famiglie Paoline.

14 «Collatis consiliis, viribus unitis, multiplicatis intercessoribus...», espressioni ricorrenti nei canoni del Diritto canonico riguardanti le procedure decisionali delle autorità religiose nei rispettivi ambiti di governo.

15 Militante...: termini tradizionali per indicare, rispettivamente, la Chiesa pellegrina (in lotta per il Regno), la Chiesa in via di purificazione, e la Chiesa entrata nella gloria.

16 Si riferisce all'uso allora vigente di far partecipare i giovani alla composizione dei libri nelle tipografie paoline. Era nota l'insistenza di Don Alberione nello sconsigliare la collaborazione dei giovani a collane o volumi dal contenuto riservato agli adulti.

17 Sul senso di tale “romanità” si veda Abundantes divitiæ, nn. 48-57.

18 Anche questo brano (fino al titolo seguente) è stato aggiunto nel volumetto Alle Famiglie Paoline.

19 Detto pedagogico già citato (v. nota 52 ad «Amerai...», pag. 49) e frequente in Don Alberione.

20 Dal Messale Romano: «Da nobis... eius divinitatis esse consortes, qui humanitatis nostræ fieri dignatus est particeps, Jesus Christus...» (Preghiera all'Offertorio, quando viene versata l'acqua nel vino).

21 Fino ai primi anni '50 del Novecento, la terminologia dello stesso Fondatore variava spesso dal plurale (Famiglie, singoli istituti) al singolare (Famiglia Paolina, per intendere l'insieme di essi come organismo unitario). L'espressione plurale, che presto lascerà il posto al singolare, viene qui precisata col termine “congregazioni”. Alla fine del 1953 erano le quattro elencate; non erano ancora nate le Suore Apostoline e gli Istituti aggregati. - Su tutta questa tematica, presente nel contemporaneo testo di Abundantes divitiæ (nn. 33-35, con identica formulazione), Don Alberione ritornò nel 1960 con tre interventi (cf. Ut perfectus sit homo Dei, I, 19-20; I, 375-382; III, 180-191).

22 Dalla sequenza Ubi caritas et amor: «Ci ha riuniti tutti insieme l'amore di Cristo... Noi formiamo, qui riuniti, un solo corpo: evitiamo di dividerci tra noi» (Messale Romano, Giovedì Santo, Cena del Signore).

23 Sul significato di “altrice” si veda la relazione di F. PIERINI SSP, Ruolo della Società San Paolo altrice della Famiglia Paolina, in Il ministero dell'Unità nella F.P., V Incontro dei Governi Generali, Ariccia, Settembre 1987, Ediz. Arch. St. Gen. F.P., pp. 135-160.

24 Questo brano (fino al titolo “RELAZIONI NELLA NAZIONE”) è stato aggiunto nel volumetto Alle Famiglie Paoline.

25 Qui “San Paolo” sta per “Pia Società San Paolo”.

26 Era questa la denominazione dei Cooperatori in quel tempo e fino al 1992, quando venne approvato il nuovo Statuto. Ora si denomina “Associazione Cooperatori Paolini”, il cui bollettino proprio è Il Cooperatore Paolino.

27 Cf. San Paolo, Nov. 1953, p.7: «Per la Direzione delle edizioni: l'Ufficio Edizioni, nella Casa Generalizia, va sempre meglio stabilendosi... Oltreché per l'Italia, lavorerà anche per un graduale coordinamento con le case estere, in ordine alla redazione e scelta delle edizioni».

28 Ovviamente: dalle direttive della Santa Sede.

29 Il concetto di “subordinazione” dopo il Concilio Vaticano II è scomparso dalla dottrina sociale della Chiesa, sostituito dai concetti di integrazione e collaborazione, nel rispetto del proprio ordine di competenze (cf. la Costituzione pastorale Gaudium et Spes).

30 Valutazioni che possono apparire discutibili, ma che esprimono il sentire di Don Alberione, cresciuto in un determinato tempo storico e orientato su una prospettiva non puramente terrena.

31 Si tratta del libro già citato: Elementi di Sociologia (1950) o Catechismo sociale (1985).

32 Detto attuale: ci si perdoni l'espressione.

33 Versione CEI della epiclesi eucaristica: «Per Cristo, con Cristo e in Cristo».

34 Riferimento al Canone romano, nel “Memento” dei vivi: «In comunione con tutta la Chiesa...».

35 Questa cifra del novembre 1953 oggi è più che raddoppiata.