Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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30. OGNI PERSONA È CREATA PER LA SANTITÀ
Santo è chi compie la volontà di Dio
Vigilia di San Giovanni Battista, Ritiro Mensile, 2a Meditazione,
Torino (SAIE), 23 giugno 1962
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Un ragazzino stava giocando con i compagni così sul piazzale della chiesa; erano appena usciti da scuola. Si avvicina una suora ad osservarli - stava passando da quelle parti - e vede un ragazzo che gioca con più entusiasmo, con più impegno. Le fa impressione, lo chiama a parte: Ma tu cosa farai nella vita?. Quando io sarò grande, voglio farmi santo… ecco la risposta. Nella sua mente pensava di fare una cosa grande e per lui non vi era in mente altro di maggiore, di più bello, che essere santo.
Penso che oramai nella posizione vostra, secondo le grazie dello Spirito Santo, oramai non si pensi più ad altro che alla santificazione, sì! Crescere ogni giorno di più, e orientate tutte verso quella cima, tutte alla cima, le vette, la santità che è la più grande vetta che si possa pensare, perché tocca Dio che è altissimo, santissimo, perfettissimo.
Che cosa è la santità? La santità può essere comune, può essere santità distinta, può essere santità eroica, può essere santità taumaturga e può essere santità canonizzata.

Vi è la santità comune. La santità comune è l’essere in grazia di Dio. San Paolo chiama spesso i suoi convertiti santi: santi perché? Perché c’è la vita spirituale nell’anima, c’è
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la vita soprannaturale, la vita di Gesù Cristo, che è la grazia. Quindi la santità comune… e perciò uno che muoia con questa santità, cioè con la grazia di Dio, sarà accolto in paradiso. Santità comune di tanti padri e madri di famiglia, di tante giovanette, di tanti confessori, eccetera: santità comune. Quando si fa una buona vita, e cioè si schiva il peccato mortale, si fa quel bene che si può, si vive in grazia di Dio.
«Sancti estote, quoniam ego sanctus sum» [cf Lv 11,44; 19,2], dice il Signore: fatevi santi perché io sono santo, e dovete venire a casa mia, cioè in paradiso, dice il Signore. E allora se egli è santissimo, chi entrerà là? Entreranno i santi. «Elegit nos [in ipso] ante constitutionem mundi, ut essemus sancti»2 [cf Ef 1,4], crea ogni anima per la santità, perché si santifichi: santità comune.

Poi vi è la santità distinta quando l’anima vive in grazia, sì, ma esercita già virtù che sono più perfette: più perfetta la fede, più perfetta la speranza, più perfetta la carità, più perfetta la prudenza, più attaccata ai suoi doveri… e c’è già una santità distinta. Ma distinta poi vi è la santità di chi sa far già bene le pratiche di pietà, e cioè la meditazione, la Comunione, frequenza ai sacramenti, ascoltare la Parola di Dio e compiere i propri doveri. Vi è già lì una santità abbastanza distinta, sì.
Però può essere più distinta ancora… e quando? Quando un’anima non arriva solo alla meditazione ma alla contemplazione, che è un dono di Dio; quando, supponiamo, un’anima è estatica davanti al presepio, è estatica davanti al crocifisso, è estatica davanti a Gesù Sacramentato, esposto nel Santissimo Sacramento, e l’anima resta presa dall’amore di Gesù verso di noi, e dall’amore che quest’anima vuole nutrire per Gesù: contemplazione, quella vita di unione, ecco, con Gesù. Allora è già una santità distinta, quando si arriva alla contemplazione infusa, all’unione con Dio, unione che si può dire soprannaturale, sì.
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Oh! Vi sono anime le quali conservano quell’unione abituale con il Signore, lo sentono, lo assecondano, conservano i pensieri di Gesù stesso, e cioè pensano a Gesù, pensano a quel che Gesù pensa, e così hanno il loro cuore più unito a Dio, sentono amore… Allora vi è già una santità distinta. Questa è facile per le anime che fanno i voti, che si consacrano a Dio. Sì, è bene chieder la contemplazione, è bene chiederla la grazia della contemplazione e di arrivarci, ma tutti hanno le grazie per arrivarci, basta che noi poi ci impegniamo a pregare. Oh! E tuttavia vi sono anime che non arrivano quasi alla contemplazione fuori che certi istanti… eppure hanno una santità distinta.

Poi vi è la santità eroica; santità eroica è il martirio, per esempio. Santità eroica nel sopportare in una famiglia maldicenze, contraddizioni, appunto perché quella figliola è buona e ama di frequentar la chiesa, di frequentar la Comunione, e sempre la mettono in ridicolo e l’ostacolano, e le mettono tutti gli ostacoli che possono. È eroismo quando si perdona una persona che veramente magari ha calunniato, e allora si sente tutta sconvolta dalla persona; ma per amore di Gesù Cristo, prega ancora per quella persona e fa ancora qualche servizio e dà ancora qualche aiuto a quella persona. Eh già, qui stiamo già all’eroismo! E così è eroismo certe volte nel sopportare persone proprio… quasi insopportabili, vorrei dire. Quando c’è un eroismo: che la si dura, e per tanti anni, nel far certi servizi ai poveri; oppure nel fare con lo zelo un apostolato che non è ricompensato e invece è accompagnato da tante difficoltà, magari c’è poca salute, e tuttavia si resiste…qualche volta si viene all’eroismo. Quindi, per esser canonizzati, ci vuol sempre l’eroismo della fede, speranza e carità; e poi prudenza, giustizia, fortezza e temperanza.

Tuttavia, c’è una santità che è eroica ma non è mai taumaturga, cioè quel santo non fa mai dei miracoli. Perché il fare i miracoli, poi, non è [necessario]… è il miracolo che fa i santi, è il Signore che li fa i santi, il Signore si serve di quell’individuo
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per fare un miracolo e cioè, supponiamo, per guarire una persona gravemente inferma, magari con i polmoni quasi consumati e che guariscano ad un istante con la benedizione di una persona santa: si chiama taumaturga, cioè miracolosa; ma non vuol dire sempre che i maggior santi siano sempre taumaturghi, e cioè che il Signore voglia metterli in vista usandoli a fare dei prodigi, qualche miracolo. Così avvenne di don Cafasso, così di don Bosco, così del Cottolengo: li ha voluti mettere in vista. Coloro che erano invocati in certe necessità e hanno avuto la grazia di operare… per l’intercessione [concessa] dal Signore, operare un prodigio. Si chiama [santità] taumaturga.

Poi vi è la santità canonizzata. Qual è la santità canonizzata? È quando la Chiesa definisce che uno è in paradiso. E così ha canonizzato la suora Bertilla, così ha canonizzato san Giuseppe Cafasso, così don Bosco e così tanti nei secoli… e il Papa continuerà a canonizzarli, specialmente nell’anno ecumenico, del Concilio Ecumenico. Quando cioè è conosciuta la santità di un individuo ed è provata con i miracoli, allora c’è la certezza che quest’anima è in paradiso: e allora si chiama santità canonizzata.

Ma, senza voler aspirare alla santità canonizzata e taumaturga, all’eroismo si può arrivare e si può arrivare da tutti; tanto più la santità distinta. Siete in possibilità, tutte in possibilità, avete tutte le grazie. Perché? Che cosa ci vuole a fare un santo? Eh, bisogna dire che è semplicissimo farsi santi! La santità taumaturga dipende dal Signore, quella; e che il sacerdote cambi il pane nel corpo di Gesù Cristo è un miracolo quello: non è vero? Cessa di essere pane e diviene il corpo di Gesù Cristo, ma non è il sacerdote che lo fa, è Gesù Cristo che cambia [le specie]. E tuttavia quel miracolo lì non serve a provare che quel sacerdote, perché fa questo, sia santo: quello non prova, no. Che cosa dunque ci vuole per la santità. La santità è semplice… è semplice! Fare tutta la volontà di Dio a nostro riguardo e farla con retta intenzione: ecco tutto!
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È lì: chi non può arrivare fino lì? Possiamo arrivare tutti. Fare la volontà di Dio dal mattino alla sera; fare la volontà di Dio nei momenti in cui troviamo facile e nei momenti in cui troviamo difficile… accettare, per esempio, un malanno e accettarlo volentieri e per il Signore, cioè per il paradiso. Far la volontà del Signore in quello stato in cui sei, e nelle circostanze di vita in cui tiri avanti, e poi dopo ancora nelle difficoltà che incontri, o esterne o interne: la volontà del Signore. La volontà del Signore, se sei in comunità, è l’obbedienza; se vai a confessarti, c’è l’obbedienza al confessore quando avvisa di qualche cosa; c’è l’obbedienza quando uno è in un ufficio, o uno che faccia scuola o uno che faccia un impegno, un impiego; santità: i doveri quotidiani, il dovere di rispettare le persone e l’osservanza dei comandamenti… c’è l’obbedienza, la purezza, la carità, la preghiera, l’osservanza dei voti, i desideri santi… fare la volontà di Dio nel parlare bene, nel compiere l’ufficio a cui siamo destinati, per cui ci siamo impegnati, e mantenere le parole date, fare i servizi alle persone che sono attorno a noi, sopportare quelli che sono molesti… è tutta la volontà del Signore. Ora è preghiera e poi ci sarà la ricreazione, e poi ci sarà il tempo di tavola, ci sarà il tempo di riposo: il dovere proprio. Non poltrire, non insuperbirsi, non irritarsi, non i nervosismi così facilmente, non contare bugie, non pigrizia, non libertà dei sensi, degli occhi, eccetera… così è la volontà di Dio.
E chi è che non può farla? Per poco che si preghi, si può fare la volontà di Dio. La volontà di Dio è per Dio, cioè per dar gloria a Dio e per il paradiso. Per dar gloria a Dio, e che è appunto quello: gloria al Signore e pace agli uomini. È appunto così.
Ora, se un’anima dice: Ma io vorrei farmi santa… ma che cosa ci vuole?. Abbiamo le grazie. Certissimo! Tutti quelli che siamo qui, abbiamo le grazie per farci santi. Non soltanto per la santità comune: bravi uomini, brave donne, bravi giovani, e brave maestre e brave infermiere, eccetera […]
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1 Nastro originale 130/62 (Nastro archivio 119a. Cassetta 119, lato 1. File audio AP 119a). Titolo Cassetta: “La santificazione”.

2 «[In lui] ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi».