È necessario combattere la passione predominante.
PRIMO PRINCIPIO
L'uomo non è più quale fu creato da Dio. Esso si trova in stato di natura decaduta e quindi deteriorato nell'anima e nel corpo. Nel corpo vi è la ribellione allo spirito ed alla ragione: "Non quod volo bonum, sed quod nolo malum hoc facio", scriveva l'Apostolo. "Video aliam legem in membris meis repugnantem legi mentis meae". "Video meliora proboque, deteriora sequor", diceva già il poeta pagano: "Veggio il meglio ed al peggior m'appiglio". Tutto quanto è dovere, tutto quanto è bene costa sacrificio. È dunque necessità di natura farsi violenza, combattere le proprie inclinazioni inferiori: "Castigo corpus meum et in servitutem redigo". Chiunque voglia compiere del bene, fosse pure un pagano, fosse pure un ebreo, deve usarsi violenza: "Militia est vita hominis super terram". La lotta è dunque necessaria agli uomini.
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SECONDO PRINCIPIO
La lotta è tanto più necessaria per un cristiano. Egli è anzitutto un seguace di Gesù Crocifisso, e non sarebbe degno discepolo se non seguisse il Maestro. Questo Maestro: "Christus non sibi placuit" non piacque a se stesso, ma sempre piacque al Padre: "quae placita sunt Ei facio semper". E così ci insegnò: "Qui vult venire post me... tollat crucem suam et sequatur me. Qui non renuntiat omnibus quae possidet non potest meus esse discipulus". È tracciata la via: rinneghi se stesso. Ora l'io si concentra nelle tentazioni della carne, nella concupiscenza del denaro, nella superbia della vita, nella passione predominante. Rinneghi l'io.
TERZO PRINCIPIO
Non coronabitur nisi qui legitime certaverit. Se vuole arrivare alla gloria, il mezzo più sicuro è rinnegare se stesso. Se noi aspiriamo alla gloria, aspiriamo ad essere compagni di Cristo nella sofferenza: "Si compatimur et conglorificemur".
QUARTO PRINCIPIO
Noi abbiamo il carattere di soldati di Gesù Cristo. Soldato vuol dire militare;
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militare vuol dire combattere. È la natura stessa di cristiano che ci obbliga a combattere la passione predominante. Il carattere di soldato ci fu impresso nella santa Cresima.
QUINTO PRINCIPIO
Come Sacerdoti e come Religiosi dobbiamo combattere. Come Sacerdoti noi siamo i capitani dei soldati, cioè di quelli che hanno il carattere di soldati di Gesù Cristo. Il capitano non deve seguire, ma precedere. Deve precederli col suo esempio per dire: Venite dietro di me.
SESTO PRINCIPIO
Siamo religiosi: il religioso non è altro che colui vince splendidamente le tre concupiscenze, rinnegando se stesso anche in quello che sarebbe lecito in altri stati. Vince la concupiscenza della carne col voto di castità, vince la concupiscenza del denaro col voto di povertà, vince la superbia col voto di obbedienza.
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Dietro a questi principi noi veniamo a concludere: o vincere o morire. Chi si sottrae
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alla battaglia è un imboscato, è un disertore, sarà un vinto.
Proponiamoci di vincere come uomini, come cristiani, come religiosi, come sacerdoti.
COME UOMINI
L'umile attirerà tutti dietro di sé; il superbo si alienerà tutti: egli ha voluto da tutti la lode, egli ne raccoglie profondo disprezzo. È sempre vero che chi si umilia sarà esaltato e chi si esalta sarà umiliato. Con l'umiltà si progredisce nello studio, si progredisce nel proprio ufficio; con la superbia si resta vuoti. L'uomo altero è un uomo irragionevole, quindi è sepolto sotto il peso del proprio io.
L'avaro è uno schiavo non soltanto di se stesso, ma del proprio denaro. Egli per lo più raccoglie e non gode: quale infelicità maggiore che accumulare soltanto per gli altri? Le ricchezze sono spine: nessun ricco fu mai felice. Morirà in un letto spinoso.
Il goloso ha in se stesso il proprio castigo: ne uccide più la gola che la spada. Il goloso si accorge che è un uomo basso e triviale; in lui non può abitare lo spirito di Dio. Egli non avrà mai aspirazioni nobili ed alte. Egli striscerà sempre sopra la terra, sarà un adoratore del proprio ventre. L'uomo mortificato invece gode una
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vera libertà: mangia per vivere e vive per servire a Dio.
Il lussurioso abbrevia la propria vita: non termina la soddisfazione che già incomincia l'avvilimento, e la puntura del rimorso uccide il corpo che egli vorrebbe soddisfare. Sono conseguenze: la cecità della mente, l'incostanza, l'inconsiderazione e particolarmente il timore della morte e l'orrore dell'eternità, che aderiscono alle sue ossa e l'accompagnano alla tomba.
L'invidia era raffigurata dagli antichi in una donna vecchia, scarna, rabbiosa, che tiene in mano il proprio serpe roditore, che infigge il suo morso al cuore.
L'ira ha press'a poco le stesse conseguenze dell'invidia. L'indignazione, il turbamento della mente, il clamore, le risse, le bestemmie, le maledizioni, le sedizioni: sono tutte conseguenze dell'ira. L'uomo mite guadagna i cuori, l'uomo iracondo allontana tutti.
Conseguenze anche più terribili sono quelle che dipendono dall'accidia, cioè dal languore spirituale, dalla pigrizia nei nostri doveri. L'accidioso non è ben veduto da Dio, non è ben veduto dagli uomini, non riesce a nulla. Successo infelice nei suoi studi, successo infelice nei suoi uffici, nei suoi lavori, nelle sue imprese. Odia chi lo scuote, ha rancore per chi gli vuole bene: "In odio a Dio ed ai nemici suoi".
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O vincere, dunque, o essere dei vinti: l'uomo vittorioso gode una grande pace nel proprio cuore; l'uomo vinto è in continua pena. L'uomo vittorioso gode stima dagli uomini; l'uomo vinto è disprezzato. L'uomo vittorioso è benedetto da Dio; l'uomo vinto è da Lui disprezzato. L'uomo vittorioso ha fortuna nei suoi studi e nelle sue imprese; l'uomo vinto è un disertore, un infelice per tutta quanta la vita.
Entriamo nella battaglia come Davide contro Golia: uno dei due deve vincere. Il duello è all'ultimo sangue; non vi è via di mezzo. "Quae conventio Christi ad Belial?".
La luce non è tenebre, come vizio non è virtù.
O con Cristo o contro Cristo; o il Paradiso o l'inferno.
COME CRISTIANI
O vincere o morire.
Il nome di cristiano significa: simile a Gesù Cristo, seguace di Gesù Cristo. Ora Gesù Cristo era umile, purissimo, povero, mansueto: come può dirsi suo imitatore e discepolo il superbo, il disonesto, l'iracondo, l'avaro?
Diceva Alessandro Magno ad un soldato
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che portava il suo nome, ma era fiacco, vile e pauroso: "O cambi nome o cambi abitudini".
Ecco un pensiero che convertì un gran cavaliere, assai mondano: Gesù Cristo è crocifisso, ed io voglio soddisfarmi; Gesù Cristo è poverissimo, ed io ambisco ricchezze e golosità; Gesù Cristo è sulla croce, ed io me ne sto su un letto di piume. Ah, che io non merito il nome di cristiano! Voglio mutare vita, voglio seguire il Maestro Divino.
Quanti cristiani che non hanno che il nome ed il battesimo di Gesù Cristo, mentre vivono quasi come pagani! Quale vergogna, qual rimorso! E perché? Perché non hanno vinto le loro passioni; ne sono anzi delle miserabili vittime.
Non ama Gesù Cristo chi non lo imita: l'amore è imitazione; le anime che davvero amano Gesù sono le anime che lo seguono al Calvario, nella via privata di obbedienza, nell'umiltà. L'imitazione è il carattere infallibile per distinguere gli amati di Gesù.
Di fronte all'eternità ecco la necessità dell'imitazione: "Quos praescivit et praedestinavit conformes fieri imagini Filii sui". Al giudizio, Gesù Cristo ricercherà in noi la sua immagine morale, la sua fisionomia spirituale, quasi direi le sembianze del suo cuore. Solo chi rassomiglierà a Gesù verrà
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ammesso al regno di Dio; tutti i figli dovranno rassomigliare al Figlio primogenito.
Non vi è dunque via di mezzo: o vincersi o perdersi. Il Cielo è la patria dei vittoriosi. Che han fatto i beati del Cielo? Hanno vinto e trionfato delle passioni e del peccato. Gesù Cristo è il capo dei vincitori. L'inferno è l'ignominia dei vinti, dei miseri schiavi di se stessi. E non importa che siano stati uomini eletti nelle armi, nelle arti, nelle scienze, nei commerci; spesso si incontrano degli uomini forti in tante cose, ma senza coraggio poi e schiavi di fronte ad una miserabile passione.
Una delle due eternità ci aspetta. Nell'eternità sarà conservato il carattere di soldato di Gesù Cristo, a gloria per il soldato valoroso, ad ignominia per il vile che ha disertato la battaglia. Queste due schiere corrispondono alla distinzione che vi è nel tempo fra i cristiani: dei valorosi lottatori, dei deboli e paurosi che si danno per vinti.
È notissima la considerazione che fa a questo proposito S. Ignazio. Egli paragona Gesù Cristo ad un re temporale che alza la sua bandiera ed invita ad arruolarsi sotto di essa gli uomini, per conquistare un grande regno: Gesù Cristo è il grande Re degli eletti. E d'altra parte ci rappresenta Satana, principe dei reprobi, che alza pure la sua bandiera. Ed ecco che una schiera di eroi si unisce a Gesù Cristo; ecco che una
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schiera di infelici si unisce a Satana. Ed ecco la finale conclusione di quest'epica lotta; Gesù Cristo, che rivolto ai suoi fedeli soldati dice: "Venite, o benedetti, nel regno del Padre mio". Ed ai disertori: "Andate, o maledetti, nel fuoco eterno, preparato al demonio e ai suoi seguaci".
COME RELIGIOSI
Il religioso deve vincere completamente. Lo stato religioso è infatti una condizione stabile di vita in cui si tende ad una più alta perfezione, mediante l'esercizio di obbedienza, castità, povertà perfetta nella vita comune. Il lavoro del religioso primieramente è questo: tendere alla perfezione. E questo diviene il suo mestiere, la sua professione, la sua occupazione: lavoro e applicazione che volgono particolarmente attorno alle tre grandi concupiscenze. Il religioso è l'eroe della lotta, è lo specialista delle battaglie, è colui che per assicurarsi la vittoria impegna maggiori mezzi, usa armi scelte, persevera con l'ostinata tenacia di una vita intera, totalmente e unicamente consacrata a questo fine.
Il religioso ne fa professione: cioè consapevolmente, con voto pubblico, in faccia a Dio ed alla Chiesa, al popolo cristiano ed alla propria coscienza, si impegna a compiere questo lavoro.
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Si noti:
il voto obbliga gravemente;
è un triplice voto;
è un voto pubblico;
è un voto in un Istituto approvato dalla Chiesa; e a questo scopo vi sono abito, organizzazione, mezzi esterni.
Ne consegue, secondo l'insegnamento dei Teologi, che il religioso è tenuto a tendere alla perfezione sotto pena di peccato grave, con l'esercizio dei mezzi ordinari di tutti i cristiani in generale, con quelli particolari dello stato religioso, e con quelli speciali della sua Famiglia o Istituto.
Dunque, o vince e diviene un magnifico trionfatore, o si lascia vincere e cade in un abisso di ignominia ove la sua condizione di religioso serve soltanto a moltiplicare i peccati.
Nella Chiesa militante lo stato religioso rappresenta appunto lo stato di maggior santità. Esso è connaturale alla Chiesa, che rifulge maggiormente della sua nota di santità per lo stato religioso. Esso è indistruttibile, perché voluto da Gesù Cristo, che lo istituì con la parola, con la grazia, con l'esempio. Esso mai può venire come regola sconsigliato, essendo un diritto della anime il tendere alla santità, alla perfezione della virtù quale appunto si ha nello stato religioso,
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nel quale non solo si tende al distacco dai beni terreni, ma alla povertà perfetta; non solo alla purezza, ma ad una castità perfetta; non solo all'umiltà, ma ad una perfetta obbedienza.
Lo stato religioso è la rivendicazione di questo diritto ed è l'impegno preso di imitare, anzi vivere della vita di S. Giuseppe, di Maria Santissima, di Gesù Cristo stesso. O una vittoria tale che solo il Cielo premierà, o un'ignominia che solo l'inferno castigherà. "Vos qui reliquistis omnia et secuti estis me, centuplum accipietis et vitam aeternam possidebitis". Ed una gloria speciale: più vicini a Gesù Cristo in cielo, come più vicini a Lui sulla terra. "Quanto è difficile che un ricco entri nel regno dei Cieli!".
Ma che cosa sarebbe di un religioso non corrispondesse? "Melius erat si natus non fuisset homo ille". Una sconfitta clamorosa!
Il religioso fedele alla sua vocazione è già "un Angelo sulla terra" dice un Santo Padre: angelo di purezza, angelo di distacco, che pare non abbisognare che di un minimum sulla terra; angelo perché fa la volontà di Dio "...in terra come si fa dagli Angeli in Cielo". Quanto grande sarà dunque la sua gloria fra le celesti schiere!
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COME SACERDOTI
Il religioso sacerdote è anche un condottiero, è colui che capitana una parte dell'esercito di Gesù Cristo, dell'esercito militante.
E in qual modo adempirà il suo incarico divino? Col preceder i soldati nell'insegnamento, nella virtù, nella preghiera. Chi insegna soltanto predicando, non ottiene la vittoria: occorre l'esempio di santità, la vita pia che merita. Quando il sacerdote va innanzi a tutti, precede nella lotta, nella mortificazione, nella pratica della virtù, allora trascina: exempla trahunt! Il popolo cristiano, infiammato dalla sua parola, trascinato dal suo ardore, muove alle sante conquiste della virtù e del Cielo. I soldati camminano bene sulle orme del capitano che li precede, para i colpi e abbatte il nemico principale.
Beato il sacerdote che vince crocifiggendo in se stesso le concupiscenze; poiché anch'egli potrà ripetere: "cum exaltatus fuero a terra, omnia traham ad meipsum!".
Che volete invece che ottenga il capitano che grida: "Armiamoci e partite"? Bisogna dire "Armiamoci e partiamo". Un capitano che va dietro non indica la strada, non rende animosi i cuori, non sostiene gli smarriti. Il sacerdote che precede tutti nella scienza sacra, che è il primo nella preghiera,
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che non vede che Dio ed anime e dice parole infuocate all'esercito, è come Napoleone: il suo sguardo, la sua parola, la sua sicurezza suscitava energia, accendeva l'ardore.
Vi fu un sacerdote specchio di innocenza, povero come Gesù, cercatore di umiliazioni, che diceva con franchezza: "Vi vorrei tutti come sono io; imitate me!" Chi è? È S. Paolo, il quale rese proprie le parole di Gesù Cristo: "Imparate da me; vi ho dato l'esempio", perché prima aveva portato in se stesso la vita di Gesù Cristo.
È chiaro, ed aspettatevelo: un sacerdote fiacco andrà a perire trascinando altri con sé nella rovina; un sacerdote che precede nell'umiltà, purezza, distacco dalla terra condurrà alle più alte conquiste il suo esercito.
O vincere con molti o morire con molti!...
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