Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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2-LA CONFESSIONE E I CONFESSORI1
Siccome vi saranno due giorni in cui si terranno conferenze tra di voi, poi potrete fare domande, esporre difficoltà, così sarà, per quei giorni lì, una maggior larghezza nel parlare. Ora, riducendosi a sei giorni proprio intensi gli Esercizi, si rimandano le parole per allora e così si parla di più con Dio, si sente di più Iddio, si ricevono più grazie da Dio.
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Adesso continuiamo l'argomento della meditazione antecedente. I confessori occorre che si vedano attraverso la grata, in generale, soltanto, meno qualcheduno con cui si ha qualche particolarissima relazione per necessità. La direzione spirituale si fa al confessionale, se occorre.
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Appartiene alla vita comune anche, quello che c'è nelle Costituzioni: abitualmente andare dal medesimo confessore. Sottrarre alla vita comune la confessione, le confidenze, le domande di spiegazioni e, diciamo anche, l'apertura di coscienza, si sottrae il meglio della vita religiosa. Quando si dice: «tutto mi dono, offro e consacro»1 e: «mi impegno a comporre la mia vita secondo le presenti Costituzioni», s'intende la vita comune. Perciò, abitualmente i medesimi confessori. La suora che non si adatta a questo... mettiamo le eccezioni che possono farsi, rispettando la libertà; ma se ci fosse libertà di andar sempre da un altro, allora non c'è più regola. La libertà è per eccezione, qualche volta, e, quando si dovesse fare abitualmente, sapete cosa dicono le Costituzioni. Ma del resto, la suora si mette molto fuori dell'Istituto, continua a far vita spirituale da sé.
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Ora, il merito della vita comune sta nel fare le cose in comune, specialmente quello che è il lavoro. Quale è il lavoro della suora? principale? La santificazione, il primo articolo delle Costituzioni.
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«Ma questo non mi piace, ma quello ha il tale difetto, quello è giovane, quello è vecchio, quello non sente, quello sente troppo, quello fa troppe domande». Ma sentiamo un po', tutti abbiamo dei difetti e tutti abbiamo delle virtù, delle buone qualità. Il confessore sente e poi dopo dice quel che deve dire, e chi è un po' più così e chi è un po' più così, ma la sostanza, quando è buona, basta. Quindi, questo è un difetto per cui vi sono persone religiose che non progrediscono; il lavoro principale non lo fanno in comune; uno dei motivi, perché hanno il loro confessore «proprio» e, se poi mettessero quel confessore lì proprio1, come confessore ordinario, ne cercano un altro, forse. Sarà facile. Hanno la manìa del singolare. «Oh, ma mi aiuta!». L'aiuto ce lo diamo noi in confessione, cioè siamo noi che progrediamo o non progrediamo; che mettiamo le disposizioni o non le mettiamo, siamo noi. Vi saranno delle occasioni; vi saranno gli Esercizi in cui si fan l'eccezioni; vi sono anche le Quattro Tempora da osservarsi, va tutto bene. Ma questo particolare fa subito giudicare che la suora spiritualmente non lavora bene, si vuole fare il lavoro spirituale a modo suo.
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Si deve fare il lavoro spirituale al modo delle Pie Discepole. Non in qualunque modo santificarsi, no! ma coi tre voti e con la vita comune la cui principale parte è la spirituale. Su questo punto è difficile, alle volte, intendersi. Perché ho trovato più facilmente suore che osservano i tre voti che non osservar la vita comune. La vita comune è più spesso strappata, fatta di buona volontà, qualche volta, ma con tante, troppe eccezioni.
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Particolarmente stia attenta la Superiora a non fare eccezioni, perché se fa eccezione essa, eh! che cosa c'è da dire? che tanto più si sentono autorizzate a fare eccezione le suddite.
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In secondo luogo, la vita comune nella sua parte spirituale si trascura per un'altra ragione, questa: non c'è apertura con le Madri. Vi sono suore che hanno una piena apertura, qualche volta arrivano anche a dire fino abbondantemente; tanto più quando si tratta di peccati non son da dirsi, eccetto che una voglia dire qualche cosa per spiegarsi, non fa male. Ma l'apertura, la confidenza, questo, come potrebbe mancare? Se poi una è Superiora, deve essere aperta con la Madre per avere l'apertura delle altre a rispetto a sé. Generalmente le altre fanno come fa la loro Superiora, la quale deve essere come il libro, è la regola vivente: «come faccio io, così va bene», ecco. E, se si vuole acquistare la fiducia, si dia fiducia a chi rappresenta Iddio.
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Quindi, fino a che punto questa apertura di animo? Non si può mettere una regola fissa, vi sono casi e casi, casi l'uno diverso dall'altro, quindi niente di fisso, ma la confidenza, ma il cuore aperto, ma lo scrivere mostrando le difficoltà interne, esterne, scrivendo come si fa per le confessioni, per le pratiche di pietà, nelle relazioni che si hanno fra le suore, nelle relazioni esterne e come va l'apostolato e come va la salute e come va lo studio del catechismo e come va la parte economica, ecc.
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Oh, qualche Casa che fa dei veri progressi, fino ammirabili, perché è aperta e quando si è aperti con... il Signore benedice sempre, perché o chi ci sente sa risponderci bene, e Deo gratias! o chi ci sente non risponde a tono o che non sa o che per prudenza non dice tante cose, ma supplisce il Signore, allora; basta che noi mettiamo la nostra parte, il Signore supplisce.
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Quindi molta apertura, e predicatela a tutte, questa apertura, e abituate a questa apertura le aspiranti, le novizie, perché sempre dobbiam dire così: la maggior parte dei meriti la suora se li fa nella vita comune e nella vita comune particolarmente per quel che riguarda lo spirito e poi anche per quel che riguarda lo studio e l'apostolato e l'educazione umana, la povertà, sì, tutto bene, ma soprattutto il lavoro spirituale e allora: apertura, così è diretto, così è benedetto, così acquista il merito dell'obbedienza. Se no, quel lavoro lì che è il principale resta senza il merito dell'obbedienza, come se lo faceste [da] secolari, come giovanette o buone donne del mondo che fanno anche il merito, ma è uno dei meriti. Otteniamo il merito di obbedienza al nostro lavoro interiore, particolarmente nella benedizione dei propositi e nella apertura di animo.
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Adesso, forse è ancora utile precisare una cosa: il confessore è direttore spirituale? Il confessore è sempre direttore spirituale riguardo a tre punti, e cioè: quello che si riferisce alla scelta della vocazione e in generale un po' alla corrispondenza. Secondo, quello che si riferisce all'emendazione dei difetti o alla fuga di certi peccati, per esempio evitare certe occasioni; e quello che si riferisce all'acquisto della virtù, di quelle virtù che ci son più necessarie. Ma il confessore lo dice in due parole.
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Tutta l'altra direzione si può chiamare morale e appartiene molto di più all'Istituto che non al confessore. Che cosa ha da dire il confessore a nostro riguardo per le relazioni con le Sorelle? Si rischia di dir più i difetti delle Sorelle che non i propri. Per quello che è il governo della casa, le disposizioni che vengono date dall'alto oppure quelle che vengono date dalle persone che lavorano nello stesso reparto e sono a capo del reparto, ecc., in questi particolari la direzione morale appartiene all'Istituto e alle persone che in quel determinato posto rappresentano l'Istituto.
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Ho detto tante volte delle confessioni brevi e vi sono quelle che ascoltano bene e vi sono quelle che si impiastricciano sempre di più. Perché finiscono col non progredire, generalmente, col non progredire o si occupano più di cose accessorie che non della vera santificazione, emendazione ed acquisto delle virtù. E' come fregarsi gli occhi perché bruciano un po'; più freghi e più bruciano, se si capita poi ad avere in mano una cipolla, (e qualcheduna capirà cosa voglio dire) bruceranno sì, molto di più.
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Allora, vedere, non parlare ai confessori fuori di confessione. E si è confessata, è stata tre quarti d'ora, poi viene il direttore spirituale in casa, ne ha per un'ora e mezza, due ore. Lavorasse un'ora e mezza, due ore! si fa molto più santa, ma molto di più. Studia come ha da farsi santa facendo i peccati e perdendo tempo, trasgredendo le norme più elementari della prudenza cristiana, che è questa; le norme più elementari della prudenza cristiana, non dico di una suora, ma della prudenza cristiana e qualche volta anche della prudenza semplicemente umana. Fregarsi gli occhi!
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Vale più un: «fiat voluntas tua»1 che non centomila sospiri e centomila sistemi inventati perché c'è quella spiritualità propria. «Oh, mi piace la spiritualità del Marmion». E per mia parte ho subito scritto: (non parlo di voi): «Non mettete certamente Superiora quella suora, eh!». Ci vuole la spiritualità paolina, della Pia Discepola del Divin Maestro, di Maria, madre di Gesù e madre nostra, modello dell'apostolato eucaristico, del servizio sacerdotale e del servizio liturgico. Essa che è pietà! Nessuna che ha spirito estraneo o singolare può esser messa Superiora, che guasterà solo, sotto pretesto e con la persuasione di fare del «meglio».Facciamo il «bene»! Il meglio è fare quello che c'è nell'Istituto. Tanto più poi che vi sono proprio persone le quali hanno la manìa di dirigere secondo il loro Istituto, secondo le loro vedute. Questo vuol dire far perdere lo spirito della Discepola che non si farà mai più santa, perché la santificazione vostra è vivere secondo lo spirito della Pia Discepola, quello è obbligatorio. E non ammettere altro spirito. E questo consiglio, quell'altro. San Paolo, che è san Paolo, dice: «nolite omni spiritui credere»2. Non credete a ogni spirito, ma esaminate se sia lo spirito di Dio per voi.
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Su questo punto, che fa ritardar tante anime di buona volontà; vi sono quelle che vanno proprio a cercare quelle di buona volontà e le sviano. Ma come mai? Perché le suore sono troppo semplici, si lasciano pescare, diciamo così, si lasciano pescare. Ma si lasciano pescare nella loro ingenuità e perché vogliono troppo avere direzioni particolari. La vostra direzione morale è nella Congregazione, è nel libro delle Costituzioni. Quindi, insegnate queste cose a tutte.
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Vi vorrei dire che qualche volta sono molto disgustato di queste cose perché vedo quanto tempo si viene a perdere proprio dalle anime che hanno più grazie e che potrebbero camminare sveltamente sulla via della propria santità. Del resto, non crediamo che la minestra del vicino sia la più buona. Oh, così.
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Il Signore, poi, le grazie per voi le dà a quel confessore che è mandato, le fa passare di lì, da un altro, no. E anche se vi venissero dette cose belle, voi non avrete forza a praticarle. Perché? Perché la benedizione su di voi, la grazia su di voi parte da altra via che è quella delle persone che il Signore vi ha dato.
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Oh, dopo ci accusiamo dei peccati, non è vero? con sincerità e semplicità. Farla breve, l'accusa, comprensiva. Finito, onorar subito Iddio, credere alla sua bontà, ecco. Di qui indietro son perdonata, non ci penso più. Credere alla remissione dei peccati. Credere, e star tranquilla. Ma vengono tanti dubbi! Apposta perché son dubbi, non dovete più dirli; c'è solo l'obbligo di dir le cose certe. Ma io ho certezza. Vediamo, se il confessore una volta ha detto: non aggiunge[re] più altro, resta scancellato anche quel che fosse certo, per mezzo della assoluzione; voi avevate intenzione di dirlo, se occorreva.
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Oh; poi si deve fare l'atto di dolore e prendere l'assoluzione. E' Gesù che interviene. E il confessore dice: «Io ti assolvo». Ma chi può assolvere il peccato se non Dio solo?1 A chi spetta perdonare l'offesa se non a Colui il quale è stato offeso? Quindi chi perdona è Gesù. Il sacerdote dice: «Io ti assolvo» in quanto fa una cosa sola con Gesù, in quel momento.
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Quindi fare la penitenza e l'emendazione. La penitenza e l'emendazione possono essere unite. La penitenza, cioè, può essere quella che dà il confessore per l'emendazione, quindi sono unite. Ma la penitenza migliore è quella da farsi da noi, cioè fare al contrario, al rovescio di quanto abbiamo fatto prima: se siamo stati orgogliosi, diventare umili: se siamo stati iracondi, diventare miti; se siamo stati invidiosi, diventare benigni; se siamo stati, invece, pigri, diventare fervorosi; se abbiam mancato per eccesso di parole, moderare la lingua; se sono stati gli occhi che han mancato, moderare gli sguardi; se è il cuore che è andato un poco verso cose a cui non doveva andare, volgere il cuore a Gesù, il cuore a Gesù, amare lui sempre più intensamente. E poi promettere a Gesù di amarlo di più perché ci ha perdonato di più. Voglio dire, la penitenza massima è fare al contrario di quel che abbiamo fatto quando si è peccato. E questa penitenza è insieme emendazione. Oh, il Signore vi benedica tanto, in questo.
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Le confessioni sono un gran mezzo di progresso. Però le confessioni fatte bene, in cui soprattutto si sente il pentimento e si fanno dei propositi fermi. Allora porteranno tanta gioia all'anima e incoraggiamento perché la confessione non serve solo a perdonare il passato, ma anche ad acquistare forza, fervore per l'avvenire, onde non peccare più. Gesù diceva all'adultera: «Va', io non ti condanno, ma non peccare più»1.
Sia lodato Gesù Cristo.
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1 Esercizi Spirituali (2-10 agosto 1955) alle Superiore Pie Discepole del Divin Maestro
Roma, Via Portuense 739, ... agosto 1955 *
* Nastro 1/d (= cassetta 1/b). - Per la datazione di questa meditazione, cfr. c1. Il dAS riporta che il PM si è recato dalle PD ogni giorno dal 2 al 10 agosto. Non si è in grado di determinare a quale giorno si riferisca questa meditazione. Che si tratti di un corso e di una meditazione per superiore lo si arguisce dal n. 24: «Particolarmente stia attenta la superiora a non fare eccezioni, perché se fa eccezioni essa, eh! che cosa c'è da dire? che tanto più si sentono autorizzate a fare eccezioni le suddite».

1 Formula della professione religiosa delle PD, Cost. (1948) art. 89.

1 Cioè: «mettessero come confessore ordinario, quel confessore (lì) proprio, ne cercano un altro».

1 Mt 6,10.

2 1Gv 4, 1. Don Alberione attribuisce dunque erroneamente l'espressione a san Paolo, che ha tuttavia una frase che le si avvicina in 1 Cor 15, 33: «Non lasciatevi ingannare».

1 Lc 5, 21.

1 Cfr. Gv 8, 11.