Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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8. «GLI ULTIMI SARANNO I PRIMI» (Domenica di Settuagesima)

Meditazione alla Comunità delle Pie Discepole del Divin Maestro.
Roma, Via A. Severo 56, 6 febbraio 19661

In quel tempo: Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Il regno dei cieli è simile ad un padrone che uscì di primo mattino in cerca di operai per la sua vigna. Accordatosi con loro per un denaro al giorno, li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso l'ora terza, vide altri che stavano in piazza inoperosi e disse loro: Andate anche voi nella mia vigna e ciò che sarà giusto io ve lo darò. E quelli vi andarono. Uscì ancora verso l'ora sesta, verso l'ora nona e fece altrettanto. Verso l'undecima ora, infine, uscì di nuovo, ne trovò altri inoperosi, e disse loro: Perché ve ne state qui tutto il giorno senza fare nulla? Gli risposero: Perché nessuno ci ha preso a giornata. Ed egli Andate anche voi nella mia vigna. Giunta la sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: Chiama gli operai e paga loro il salario cominciando dagli ultimi fino ai primi. Vennero quelli dell'undecima ora e ricevettero un denaro a testa. Venuti poi i primi, pensavano di ricevere di più, ma ebbero anch'essi un denaro a testa. E nel riceverlo mormoravano contro il padrone dicendo: Questi ultimi hanno lavorato per un'ora e li hai trattati al pari di noi che abbiamo portato il peso della giornata ed il caldo. Ma egli rispondendo ad uno di loro disse: Amico, non ti faccio un torto. Non hai pattuito con me per un denaro? Prendi quel che ti spetta e vattene. Voglio dare anche a questi ultimi quanto ho dato a te. Non posso, forse, disporre dei miei beni come voglio? Oppure il tuo occhio è malvagio perché io sono buono? Così gli ultimi saranno i primi, e i primi, gli ultimi. Molti, infatti, sono i chiamati, ma pochi gli eletti»2.
La parabola è un po' misteriosa, così, a prima vista; ma è una parabola che insegna tantissime cose. E, in primo luogo, è la spiegazione che dà un santo Padre, e cioè: i primi uomini, dopo Adamo ed Eva, essi stessi, e poi i primi uomini, ecco, [vivevano] seguendo il Signore e vivendo in maniera giusta; osservanza, cioè, dei comandamenti, in sostanza, con la fiducia nel futuro Messia. Coloro che han preceduto Gesù Cristo, si salvavano sperando nella misericordia, cioè nel Messia promesso da Dio nel paradiso terrestre. E allora lavorarono tanto, anche con vite lunghe.
E noi siamo come dell'ultimo tempo, perché ora abbiamo conosciuto il Messia venuto [come] redentore. E noi abbiamo le ricchezze della Chiesa, dei sacramenti e la comunione. Oh! Quindi, noi siamo all'ultimo tempo, ma abbiamo maggiori ricchezze di mezzi per la santificazione, ecco; e quindi, ancorché noi abbiamo poco tempo, siamo in ritardo, siamo equiparati a coloro che vivevano anche a lungo nel tempo passato prima dell'incarnazione del Figlio di Dio.
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Poi il significato può essere: che uno viva sempre bene cominciando dai sette anni, quindi la prima ora, e poi sempre più perfezionandosi, lavorando per la sua santificazione, sì. Ma vi sono anche anime che hanno tardato un poco a mettersi nella via giusta. E chi a 15 anni, chi a 25 anni, chi a 50 anni; e vi sono anime che si son convertite anche più tardi, e poi hanno avuto un tale calore, una tale fede, speranza e carità da arrivare con l'intensità di amore, rispetto a anime che hanno cominciato prima, ma non avevano il fervore, forse. E quindi dobbiamo considerare di santificare le nostre ore, quello che il Signore dà di tempo a ciascheduno, sollecitare in maniera tale da ricevere anche lo stesso denaro, perché ciò che è più breve e più intenso, allora merita lo stesso guadagno.
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Poi vi è sempre tanta differenza: e vi sono persone che vivono un po' sempre nella tiepidezza, e altre vivono in grande calore, fervore. Oh! Dipende, questo, dalla fede profonda, e dalla speranza ferma in Cristo, e dall'amore, dalla carità: l'amore a Dio, l'amore alle anime. Anime che vivono anche poco tempo, ma nell'umiltà e nell'amore a Dio, piangendo i propri peccati e riparando con tanto amore quello che è stato difettoso prima. Noi non abbiamo da fare i confronti con gli altri. Poi non fare il confronto né [con] chi è daccanto, né [con] chi è un po' più lontano. E quante volte c'è l'orgoglio e ci crediamo subito molto santi e invece ci può essere la ruggine dell'amor proprio e la superbia. E molti meriti non si fanno, perché? Perché vi è molto amor proprio. In sostanza, il mistero. Dio solo conosce le anime, e Dio dà a ogni anima secondo l'anima è stata fervorosa.
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Ma il fervore non è un lacrimare, in sé; ma dipende dalla fede e speranza e carità.
Fede in Dio profonda, e allora c'è la visione di Dio dopo la morte.
E poi c'è la speranza, cioè: io non ho alcun merito, io mi prendo i meriti di Gesù Cristo per la misericordia, per la speranza, la bontà di Dio e per le sofferenze di Gesù Cristo in croce. E allora i meriti sono applicati a noi. Quante volte si sprecano... si potrebbe fare veramente, e si fa realmente; ma è la disposizione interna, la quale ci stabilisce in una grande umiltà e fiducia nella grande misericordia, nel Crocifisso, nel crocifisso Gesù, nei suoi meriti per noi.
E poi c'è l'amore intensissimo a Dio, quando si arriva a cercare la gloria di Dio. Quindi l'anima è nella perfezione quando in tutto si cerca la gloria di Dio. Quello è l'amore perfetto. E questo amore perfetto, glorificando Dio, è già un prevenire il paradiso, in una, certa misura, perché in cielo c'è la glorificazione di Dio, e la glorificazione di Dio ci rende felici. E già molte anime hanno questo amore intenso di Dio. Non è una sentimentalità. Può essere anche che la sentimentalità accompagni la mente, il pensiero, ma ciò che importa soprattutto è il pensiero, le intenzioni.
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E poi, quando c'è rispettivamente di amore al prossimo. Amore al prossimo: sapere amarci, aiutarci, compatirci; portare sempre buon esempio; parlando sempre in maniera edificante, e quello che è esterno e quello che è interno. Dio solo conosce l'intimo del cuore. E dovremo noi conoscere il cuore, sì. Vedere che ci sia sempre l'amabilità, la sopportazione, anche se vi è qualche dispiacere. Ma qualche volta noi non siamo capaci. I carnefici inchiodavano le mani e i piedi a Gesù Cristo. E lui se l'è presa? Ha fatto qualche condanna al crocifissore? No, subito: «Padre, perdona loro, non sanno quel che fanno»1. E noi non siamo capaci a sopportare una parola? Bisogna sempre che stiamo nella posizione giusta, o che ci sia una persona che piace o una persona che non piace; deve piacere a ciascheduno, perché c'è l'anima che è creatura di Dio; e l'anima, specialmente se è in grazia di Dio... sono anime che amano il Signore. Quindi esser sempre uguali. E se abbiamo da fare una preferenza, amare più i peccatori, come diceva il santo; e amare di più quelli che ci fanno qualche piccolo dispiacere o anche grosso dispiacere; amare di più. E quindi dare più preghiera perché chi fa male si converta e viva2.
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C'è da fare un buon esame. E il Signore in questa parabola ci dice tante cose. Vi sono quelli che vedrebbero una valutazione non giusta considerando la parabola. Ma noi dobbiamo considerare il mistero di Gesù Cristo. Però, questa parabola è un complesso di insegnamenti. E qualche volta si riferisce anche alle vocazioni: e chi entra presto e chi entra più tardi. E non stiamo lì a considerare quello che riguarda gli altri, guardiamo quel che riguarda noi stessi. Esame e propositi.
Sia lodato Gesù Cristo.
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1 Nastro 134/c (= cassetta 207/b). - Voce incisa: “Domenica di Settuagesima meditazione del PM”. In PM nessun indizio cronologico (cf nostra nota in c34). - dAS, 6 febbraio 1966 (domenica): «Celebra [il PM] verso le ore 5 cappella CGSSP, m.s.» (cf dAS in c9).

2 Mt 20,1-16.

1 Cf Lc 23,34.

2 Cf Ez 18,23.