Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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II
SEMPLICITÀ E UMILTÀ1


(...)2 e imparare a conservare nella nostra vita quelle qualità che il Signore desidera che sempre ci siano nella nostra anima.
Bisogna metterci di fronte la natività di Maria, Maria nella sua piccola culla, e il Bambino Gesù nella grotta di Betlemme su un po’ di paglia nella greppia. Il Signore Gesù sempre, prima ha fatto quello che voleva insegnarci, allora volendo egli insegnarci l’imitazione del bambino, si è fatto bambino. Lo contempliamo in quella mangiatoia, piccolo, e sappiamo che ha un grande cuore, un cuore pieno di amore per il Padre e pieno di amore per noi uomini.
Quali sono le qualità del bambino? Un giorno gli apostoli per strada avevano discusso fra loro chi di loro fosse il primo e ognuno aveva le sue ragioni per mettersi innanzi agli altri. Vi era in fondo a quei cuori una superbia un po’ semplice, perché non avevano ancora ricevuto lo Spirito Santo. Gesù aspettò che fossero arrivati alla casa a cui erano diretti e, avendoli chiamati, domandò loro: «Di che cosa discorrevate per la strada?»3. Pensiamo come saranno arrossiti. Per strada stavano un po’ lontani da Gesù, pensando così di non essere sentiti. Ma chi può nascondere qualche cosa delle nostre parole e dei nostri pensieri a Gesù? Nessuno. Allora Gesù chiamò un bambinello, lo mise in mezzo a loro e poi pronunciò le grandi parole: «Se voi non vi convertirete, e non diverrete simili a questo bambino, non avrete posto nel regno dei cieli»4. Il paradiso,
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il regno dei cieli è fatto per questi: «Talium est enim regnum coelorum»5, cioè è fatto per quelli che hanno le qualità del bambino. Ai bambini Gesù dimostrò grande affetto ed ebbe a dispiacersi con gli apostoli che cercavano di allontanarli da lui: «Sinite parvulos venire ad me»6 e concluse: «Chi accoglie un bambino in nome mio, accoglie me»7, che significa: Tutto il bene che si fa a un bambino, lo si fa a me.
Un giorno, io avevo predicato questo al principio dell’Istituto, senza nominare il Vangelo. Allora due, dopo la predica, un po’ sorpresi delle parole: «Non vi sarà posto nel regno dei cieli», sono venuti a domandare spiegazione dicendo che la predica era stata dura. Allora risposi: Prendete il Vangelo tale, capo tale, al versicolo tale, e leggete. E trovarono che era Gesù che aveva detto queste parole.
Adesso pensate così: non è che le parole di Gesù siano dure, ma noi siamo duri di testa a capire e accettare quello che comporta un poco di umiliazione. E questo tardare a capire l’umiliazione che richiede Gesù da noi è appunto un segno del nostro orgoglio. «Se non vi convertirete» e voleva dire: Se voi continuate con la vostra superbia, con il vostro orgoglio, non avrete posto nel regno dei cieli. Le grazie infatti si fanno agli umili: «Humilibus dat gratias, superbis resistit»8, dice il Signore. Ora se la pioggia cade sopra le montagne, non si ferma sulle punte, ma scivola a valle, si ferma nella valle e lì si può formare un lago. Le grazie di Dio non si fermano su chi ha la testa orgogliosa, su chi si crede già molto ricco di doni, di qualità, magari forse anche di virtù, di abilità, con chi si compiace della sua posizione, senza riferire a Dio la gloria per il bene che ci ha fatto. Il superbo poi si gonfia di orgoglio e allora l’acqua della grazia non trova posto nel suo cuore. Bisogna che il cuore sia vuotato dal nostro orgoglio. Tanto più che superbia vuol proprio dire: super, sopra, ossia non solo è gonfio, ma stragonfio. Non avendo niente di nostro, ci lodiamo di ciò che abbiamo detto o fatto, e di quel che siamo. Essendo peccatori,
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nascondiamo il passato, e magari anche con bugie. Poi, avendo continuamente bisogno della grazia, essendo poveri, non siamo neppure buoni a domandare le grazie, perché non riconosciamo il bisogno che abbiamo. Bisogna che noi stendiamo la mano come il bambino che è strappato e affamato e chiede l’elemosina a uno che ha. Se non ci convertiamo dall’orgoglio, allontaniamo tante grazie da noi. Chissà quante grazie in più il Signore avrebbe fatto discendere nel nostro cuore e avrebbero portato frutto! Invece, forse, sono discese sul nostro capo e non sono state ricevute da noi, perché il cuore non era preparato.
Terribile è la sentenza: «Se non vi convertirete». Negli Esercizi proporre di convertirci dall’orgoglio. Considerare l’orgoglio, la superbia come il nemico numero uno, cioè il principale. Perché se la tendenza cattiva del bambino, del fanciullo, della fanciulla è la golosità, più avanti incomincia la tentazione della cupidigia, della sensualità, ma poi, fatti adulti, entrati nella posizione, diciamo di maturità, in cui ci sentiamo un poco capaci, un po’ istruiti, un po’ in salute, un po’ stimati, ecc., allora la tendenza brutta è l’orgoglio. E il nemico numero uno, in quel tempo diventa quindi la superbia. Temiamo la superbia.
Gesù poi è andato avanti e ha detto: «...e se non vi farete come questo bambino non entrerete nel regno dei cieli». Allora, che cosa ha il bambino? E quindi, che cosa dobbiamo avere noi per poter entrare nel regno dei cieli? Il bambino è innocente. Davvero non si entra in paradiso senza l’innocenza, perché il peccato grave conduce all’eterna perdizione se non è perdonato; e il peccato veniale manda le anime al purgatorio se non viene cancellato, se non viene fatta la penitenza su questa terra. Non si entra davvero in paradiso con il peccato! Innocenza conservata. Oh, se ci fosse tanta innocenza sempre conservata, oppure innocenza riacquistata! Conservata, se mai si è commesso peccato grave; riacquistata se la stola battesimale venne macchiata dalla colpa, e si riacquista lavando la stola battesimale nel sangue dell’agnello Gesù per mezzo della Confessione. Innocenza! Vedere sovente la nostra anima com’è. E se il Signore ci chiamasse, come stiamo? Vogliamo entrare in paradiso, ma ci vuole la veste candida. Se ci fossero anche delle macchiette, bisogna toglierle prima.
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Il bambino poi è sincero. Non sa sospettare in male, giudicare in male, non ha astuzie e furberie, non ha inganni, non ha bugie. Sincero. Allora Gesù richiede che amiamo la sincerità, la semplicità: «Est est, non non»9. La schiettezza! La bugia è sempre un ingannare, sebbene qualche volta non si creda, Ma l’animus può essere un animus, cioè volontà di ingannare. E poi oltre le bugie con le parole, ci sono le bugie con i fatti, cioè l’ipocrisia, quando noi vogliamo veramente mostrarci più di quello che siamo e vogliamo che gli altri riconoscano in noi delle qualità che non abbiamo; quando, parlando di noi, gonfiamo le cose per essere più stimati o le riduciamo affinché gli altri dicano: Non è così, non c’è tutto questo male; tu sai di più, tu sei più capace. Parlare di noi è sempre pericoloso e, prima di parlare, occorre constatare che ci sia necessità.
La bugia a volte può essere soltanto per scherzo. Qualche volta può essere invece che la bugia porti danno. E qualche volta può essere anche grave, quando fosse detta in confessionale, così da nascondere qualche cosa che si doveva dire, dichiarare. Vi sono persone che hanno come due facce e vi sono persone che sono semplici.
Il bambino poi è docile. Può essere che, fatto adulto, comincino i capricci, ma intanto il bambino è semplice, è docile, crede alla mamma, non pensa che la mamma lo inganni e fa quel che la mamma gli dice. Docile! Ci vuole in tutti la docilitas, la docilità, che non è la dolcezza, ma è quella disposizione di animo a fare quello che piace a Dio: che cosa dicono le Costituzioni10 , come sono date le disposizioni, come vogliono che si operi e quale ufficio si deve compiere. Ecco la docilitas. La docilitas è una qualità essenziale per la vita religiosa e generalmente si associa a un buon carattere che porta ad una convivenza familiare, serena, lieta. Non quella durezza con cui si tarda a ricevere, quelle nostre voglie già predisposte, fisse nella mente, anche quando si chiede consiglio, e si vuole che ci diano il consiglio che vogliamo noi, e si aggiustano le espressioni e si avanzano le ragioni che possono indurre a darci il consi-
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glio o il permesso per una cosa come la vogliamo noi. Questa disposizione è contraria alla disposizione che viene chiamata con il nome di docilitas. E certamente occorre esigerla tanto nelle aspiranti e nelle novizie, e particolarmente quando si ha da ammettere alla professione. Ci sono persone che a qualunque disposizione che viene loro data, hanno una risposta da dare, un’osservazione da fare, una critica da mettere avanti.
L’obbedienza è il perno della vita religiosa, è il perno su cui tutto gira; e se non c’è, la vita religiosa non c’è, non può sussistere. Non c’è la vita religiosa in quella persona, nell’anima, nel cuore, nell’essere della persona, e non c’è anche nell’andamento generale dell’Istituto. È assolutamente necessaria la docilitas. Maria ci ha dato un grande esempio quando, all’angelo che le proponeva la divina maternità, che le proponeva un mistero così grande come conciliare la verginità con la maternità divina, Maria ebbe un’espressione che mostrava tutta la disposizione della sua anima: «Fiat mihi secundum verbum tuum»11. Voleva dire: Sia fatto di me secondo che hai detto a nome di Dio. Questo non è solamente un sì che uno dice quando gli è comandato una cosa: Va’ a fare la tale commissione, ad esempio, oppure: Va’ ad aiutare in quell’apostolato, ecc. Quel fiat, indicava la sua disposizione abituale; ella viveva il ‘sì’, non solo lo diceva qualche volta, ma lo viveva. E lo viveva così perfettamente da dire: «Come tu hai detto, come vuole Iddio», e cioè: Io mi rimetto tutta a Dio. Quel che vuole, sia fatto. Il che comporta una virtù molto grande, mette l’anima in uno stato continuo di docilità e di sottomissione al volere di Dio.
Negli Esercizi certamente si fa l’esame sui voti. Il voto dell’obbedienza è ordinato ad acquistare la virtù dell’obbedienza, cioè uno si obbliga ad obbedire sotto pena di peccato, quasi per costringersi a fare la volontà di Dio, a osservare la virtù. Questo voto è mezzo per l’acquisto della virtù dell’obbedienza, e non solo, ma alla virtù della docilità, a portare l’anima a quella disposizione: essere sempre pronta al volere di Dio. Allora la volontà di Dio è come il sole, il quale ci dà luce e quindi illumina la strada. Il sole è la volontà di Dio. La
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volontà di Dio che si ha da fare in silenzio, non tanto protestando la nostra obbedienza quanto eseguendo quel che piace al Signore. E certe volte quel che piace al Signore non piace a noi, cioè non piace al senso, ma con la grazia di Dio noi dobbiamo cercare che ci piaccia, cioè dobbiamo cercare di accettarlo anche con sacrificio, ma volentieri, perché piace al Signore, perché guadagniamo un merito, perché rassomigliamo ai santi, a Gesù che era sempre in stato di obbedienza a Nazaret e nella sua intiera vita al Padre celeste: «Quae placita sunt ei, facio semper»12.
Obbedienza cieca, obbedienza pronta, obbedienza continua. Non c’è chi deve obbedire e chi deve solo comandare senza obbedire. No: tutti devono obbedire. Anche chi ha da comandare deve disporre le cose per obbedienza, perché ha l’ufficio di guidare e deve fare un’obbedienza doppia, perché deve fare quello che è comandato come le sorelle, farlo come le sorelle, e di più deve fare l’ufficio che le sorelle non hanno. D’altra parte, più si è in alto, più ci sono disposizioni sopra di noi. E allora, docilità. Esaminiamoci fino al fondo dell’anima se c’è la docilitas. I capricci, le resistenze al volere di Dio, la testa dura non piacciono al Signore, fan perdere molti meriti. E l’obbedienza più è fatta volentieri e maggiormente acquistiamo.
Avere le qualità del bambino, dunque: l’umiltà, l’innocenza, la veracità, la docilità. Nel bambino queste qualità non sono meritorie, perché il merito richiede sempre la cognizione e il consenso e il bambino non ha raggiunto l’uso di ragione e non l’ha. Egli come non può far dei peccati, così non può fare dei meriti. Ma queste qualità nell’adulto sono virtuose, sono meriti. Dicevano di S. Tommaso d’Aquino, il più grande Dottore della Chiesa, che a cinquant’anni, vicino alla morte, aveva ancora l’animo di un bambino tanto era candido il suo parlare, il suo modo di esporre e la sua innocenza, la sua umiltà, il suo candore, la sua docilità ai superiori.
Notiamo però che quando si è raggiunta una certa età, non bastano più le qualità del bambino, ci vogliono anche le vir-
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tù dell’adulto. Ad esempio, il bambino non ha la fortezza che è dono dello Spirito Santo, che è virtù cardinale: la fortezza d’animo, ma l’adulto deve acquistarla. Il bambino non ha la prudenza, perché non sa neppure distinguere, ma l’adulto deve avere la virtù della prudenza. Così il bambino non ha lo zelo per la salvezza delle anime, l’adulto, la religiosa paolina devono avere zelo profondo, amore alle anime e amore a Dio. Così delle altre virtù. Quindi, conservando le belle qualità del bambino come virtù, e aggiungendo le belle qualità della persona adulta, religiosa, buona, virtuosa, noi piacciamo in tutto al Signore.
Allora in questi giorni pensiamo alla Bambina celeste, a Maria, pensiamo al Bambino Gesù, vediamo se noi possediamo le qualità di un bambino, e se alle qualità del bambino abbiamo aggiunto le belle virtù dell’adulto che ha ricevuto un maggior numero di grazie. È passata la fanciullezza, la giovinezza, è passato il noviziato, si è raggiunta la professione religiosa, forse anche la perpetua, ma ci sono ancor le qualità del bambino? E a queste, abbiamo aggiunto le virtù dell’adulto? Ecco, la pratica.
Occorre molta devozione al Bambino Gesù, occorre molta devozione alla Bambina Maria. Occorre che anche nella pietà siamo semplici, che dappertutto sappiamo regolarci con schiettezza. Nella stessa Comunione, nella Visita Gesù non ricerca da noi espressioni difficili, no, Gesù vuole che gli diciamo ciò che abbiamo nel cuore. E Gesù non possiamo ingannarlo, perché vede il cuore, ma aspetta che glielo esprimiamo con semplicità, che andiamo a lui come bambini, che sappiamo domandargli perdono, che sappiamo dirgli grazie quando ci ha fatto dei benefici, che sappiamo esprimere innanzi a lui tutta la nostra anima. E fare come il bambino che in ogni sua necessità chiede, domanda alla mamma, domanda al papà.
Com’è brutta la superbia di chi ha poco e ha ancora dei peccati e si trova in tante necessità, e intanto l’orgoglio la penetra: risponde male, tratta male e, pregando non sa trovare le espressioni che muovono il Signore a misericordia. Il fariseo, quando è andato a pregare, invece di domandare, si lodava e diceva che era superiore a tutti: «Oh, non sono come tutti gli
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altri che sono, ladri, che sono disonesti..., ecc.». Raccontava anzi i suoi meriti a Dio. Quindi non pregò, si lodò e andò a casa più peccatore di prima. Intanto il pubblicano, in fondo al tempio, col capo chino si picchiava il petto: «Signore, abbiate pietà di me, peccatore», e ritornò a casa giustificato, cioè santo13.
Piaccia al Signore, per l’intercessione di Maria Bambina, ottenerci queste qualità, e che le portiamo sempre con noi, sempre. Queste qualità siano ancora rese più preziose dalle virtù dell’adulto, che sono le virtù specialmente teologali e le virtù cardinali.
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1 Predica tenuta a Roma l’8 settembre 1957 durante un corso di Esercizi spirituali. Trascrizione da nastro A6/an 33b = ac 56a. I contenuti di questa meditazione richiamano quelli della meditazione tenuta ad Alba il 29 agosto 1957.

2 Manca una parte di registrazione.

3 Cf Mc 9,33.

4 Cf Mt 18,3.

5 Cf Mt 19,14: «A chi è come loro, infatti, appartiene il regno dei cieli».

6 Ibid: «Lasciateli, non impedite che i bambini vengano a me».

7 Cf Mt 18,5.

8 Cf Gc 4,6: «Dio resiste ai superbi, agli umili invece dà la sua grazia».

9 Cf Mt 5,37: «Sì, sì; no, no».

10 Cf Cost’53, art 39,1.

11 Cf Lc 1,38: «Avvenga di me secondo la tua parola».

12 Cf Gv 8,29: «Faccio sempre le cose che gli sono gradite».

13 Cf Lc 18,11-14.