Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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11. LE VIRTÙ TEOLOGALI1



I. La fede

È bene che facciamo le meditazioni qui, adesso vi è una cappella in cui si può respirare, una cappella adatta allo scopo, cioè «domus orationis», adatta a pregare.
Siamo al termine del mese di maggio, alla vigilia dell’Ascensione, a cui seguirà la novena dello Spirito Santo. Per intercessione della nostra Vergine Madre Maria, Regina degli Apostoli, chiediamo tutti insieme la grazia di approfondire le virtù teologali per praticarle meglio, per sentirne l’effetto in tutta la vita quotidiana, e specialmente per disporci a ciò che sarà la nostra vita eterna dove per mezzo della fede avremo la visione di Dio, per mezzo della speranza verremo al possesso di Dio e per mezzo della carità all’unione, al gaudio in Dio.
È necessario che qualche volta noi ritorniamo a queste meditazioni fondamentali. Avviene facilmente che le anime pie si fermino a delle piccole cose e facciano consistere la religione o la loro perfezione in piccole devozioni, oppure in formule, facciano consistere la loro pietà nel cercare pratiche di vita e propositi che fanno perdere un tempo prezioso. Noi abbiamo sempre da fondare la santità sopra le tre virtù teologali, non solo perché sono le virtù che ci preparano alla vita eterna, ma ancora perché sono le virtù dalle quali procedono le virtù religiose.
Una fede viva ci porta all’obbedienza sincera, perché si vede nei superiori l’autorità e, non solo l’autorità, ma ancora i frutti dell’obbedienza. L’autorità di Dio e i frutti dell’obbedienza. Per mezzo della speranza noi sacrifichiamo con la povertà, con la pratica della povertà, i beni della terra, e con l’amore a Dio, cioè per mezzo della carità, noi praticheremo bene la virtù della castità. Un paragone sempre utile: il candeliere che
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mettete sull’altare ha generalmente tre piedi. Quei tre piedi sostengono il candeliere e sul candeliere ecco la candela che arde innanzi al SS. Sacramento. Tutto il peso del candeliere e della candela è sopra quei tre piedi. Così tutta la santità poggia sulle tre virtù teologali.
Anime che si perdono in cosettine inconcludenti, che fanno consistere la pietà in cose che sono di contorno. Noi abbiamo da insistere sopra il dono intero di noi stessi a Dio. Lì sta l’amore. Lì sta la professione: Tutto mi dono, offro e consacro2 . A Dio con la fede si dà la mente; a Dio con la carità si dà il sentimento, il cuore; e a Dio per mezzo della speranza si dà la volontà, tutto il nostro essere. Ecco: fede, speranza e carità! Vi sono persone che sono ben orientate nella vita spirituale e si vede dai propositi che tendono alle virtù essenziali, fondamentali, e cioè spirito di fede, fiducia sincera in Dio, quindi l’amore alla preghiera e la fermezza nel compiere il bene, nel praticare le virtù, nel fare l’apostolato. E si orientano nella carità verso Dio, la quale poi «Horum maior est caritas», perché se vi sono tre virtù: fede, speranza e carità, la maggiore è la carità3. E tanto siamo perfetti in quanto pratichiamo queste virtù.
Allora la meditazione di stasera è sulla fede. La fede che cos’è? La fede, come la speranza e la carità, è una virtù infusa da Dio nel santo Battesimo. Quando noi abbiamo ricevuto il Battesimo il Signore ci ha infuso un’altra vita, una vita nuova, soprannaturale. E il bambino che ritorna dalla chiesa dove fu battezzato ha un’altra vita; non è più solamente un essere composto di anima e di corpo, ma è un cristiano, un figlio di Dio, composto di anima, di corpo e di grazia di Dio. Lo Spirito Santo è stato infuso nell’anima. Ora, questa vita nuova che cosa è? L’uomo, quando è puro uomo, ha la mente e ha la volontà e ha il sentimento. Ora, alla mente che l’uomo aveva prima, questa vita nuova aggiunge la fede, che tocca sempre l’intelligenza, perfeziona la ragione. Questa vita nuova alla volontà aggiunge le virtù, le tendenze al bene. Questa vita nuova al sentimento
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buono, al cuore aggiunge la carità, l’amor di Dio. Quindi è una vita nuova che perfeziona tutto l’uomo, e a quello che l’uomo aveva prima, ragione, volontà e sentimento, aggiunge fede, virtù soprannaturali e amore soprannaturale.
Quindi la fede è una delle tre virtù teologali che vengono infuse nel santo Battesimo. Noi l’abbiamo ricevuta. E tutte le anime che vivono in grazia di Dio possiedono questa fede, virtù infusa dallo Spirito Santo nelle anime nostre. Non nasce dalla ragione, no, perché la fede è credere ciò che non si vede. Non è un ragionamento che dobbiamo fare; è dire: Dio è Verità, e questo Dio Verità ha parlato; la Chiesa mi comunica le parole che Dio ha detto e sono parole che sono registrate nella Scrittura e sono tramandate per Tradizione. La Chiesa ci ripete queste verità e noi le crediamo; le crediamo perché sono di Dio e ci sono comunicate dalla Chiesa che è stabilita maestra: «Docete omnes gentes»4, insegnate. Quindi è una virtù soprannaturale che ci viene infusa dallo Spirito Santo, per cui crediamo le verità rivelate da Dio e proposte dalla Chiesa.
Virtù che cosa significa? Significa, nel nostro caso, inclinazione a credere, disposizione ad accettare l’insegnamento della Chiesa. Per cui il bambino possiede questa inclinazione, ma finché non ha l’uso di ragione al bambino non si insegnano, perchè non potrebbe percepire le verità cristiane. Ma man mano che va avanti e raggiunge l’uso di ragione, gli vengono insegnate le verità rivelate da Dio e proposte dalla Chiesa. Vedete il bambino come le accetta volentieri, il bambino innocente come crede al Signore! Se la mamma lo porta in chiesa e gli mostra il tabernacolo, lui manda un bacio a Gesù; e se gli dice che quella statua, quel quadro rappresentano Maria che è nostra Madre, il bambino si rivolge a Maria e manda il bacio: è inclinato a credere. Questa inclinazione, questa tendenza, questa disposizione di animo si chiama la fede. La fede, ho detto, per credere le verità che sono rivelate da Dio. Noi dobbiamo stare fondamentalmente alle verità che ci sono presentate dalla Chiesa, a tutte. Tuttavia meditare più delle altre le verità fon-
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damentali che sono comprese nel Credo5 , che ci sono ricordate nell’Atto di fede.
Gli articoli del Credo sono dodici. In principio confessiamo di credere in Dio; credere che Iddio ha creato l’anima nostra e l’ha infusa nel corpo; credere che Dio ci governa con la sua provvidenza; credere che Dio è il nostro fine. Ecco, siamo partiti da Dio e dobbiamo ritornare a Dio. Per tornare a Dio dobbiamo vivere secondo Dio, affidarci a Dio e ascoltare, osservare i comandamenti di Dio. Dio, e la via per arrivare a Dio è Gesù Cristo, bisogna vivere come Gesù Cristo: meditare quindi la vita di Gesù Cristo e i suoi insegnamenti. Siccome il paradiso è uno stato soprannaturale, allora ci vogliono i mezzi della grazia: Credo nello Spirito Santo, la Chiesa cattolica, la comunione dei santi, la remissione dei peccati e la vita eterna, la grazia, la quale dopo la morte ci porta al possesso della felicità eterna.
Le verità principali sono nel Credo. Dobbiamo acquistare lo spirito di fede, non solamente recitando il Credo, ma viverlo il Credo. È molto diverso recitare il Credo e vivere il Credo: «Il giusto vive di fede»6, perché opera in maniera diversa. Voi vivete di fede perché vi siete fatte religiose. Perché ci siamo consacrati a Dio? Ci siamo consacrati a Dio, perché crediamo che il Signore ci ha chiamati a uno stato particolare e crediamo che il Signore ci attende in paradiso, e sappiamo che il nostro premio sarà tanto più abbondante quanto più sulla terra avremo amato il Signore. Quindi, sostanzialmente, la vita religiosa è una vita fondata sulla fede. Volendo arrivare certamente al paradiso, e volendo arrivare a un posto più alto in paradiso, ecco che abbiamo preso questa strada: consacrarci a Dio.
Seguire Gesù Cristo, imitare Gesù Cristo, sì, tutti cristiani. Imitarlo meglio nella povertà, la povertà del presepio. Imitarlo nella castità, nel suo grande amore al Padre celeste e alle anime, quindi l’apostolato. E imitare Gesù nella sua vita santissima di obbedienza, di umiltà, di pazienza e di zelo. Imitare meglio Gesù Cristo per essere un giorno sicuramente in paradiso
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e in paradiso arrivare a quel posto a cui Dio ci ha destinati. Sempre abbiamo da ricordare che Gesù è andato in cielo a prepararci il posto, sempre: «Vado parare vobis locum»7, e questo posto l’ha preparato bello, conforme alla vocazione bella che si è ricevuta. E ci ha già preparato anche i mezzi, le grazie, tutte le grazie che ci sono necessarie per arrivare precisamente a quel posto di felicità eterna.
Oh, lo spirito di fede: vedere Dio in tutto! Dio mi ha dato tutto; dunque io non ho mai da cercare lodi e approvazioni dagli uomini, perché tutto è di Dio. Anche se riesco in una cosa, anche se ho qualche grazia, è di Dio. Allora l’orgoglio non nasce più. Vedere Dio nelle varie disposizioni e negli avvenimenti. Chissà perché questa tentazione; chissà perché adesso faccio questo lavoro; chissà perché mi trovo in queste circostanze? Iddio ha l’occhio sopra di noi e ci guida minutamente giorno per giorno, momento per momento verso il paradiso. Vi sono persone che il Credo lo recitano in chiesa, ma poi fanno tutti i ragionamenti come se non credessero: come giudicano le cose, come pensano nella loro mente, come parlano con gli altri, come se non credessero! Come se non credessero! Allora se noi ci sdoppiamo così, che in chiesa protestiamo di credere con tutto il cuore e poi fuori di chiesa ragioniamo nel modo umano, allora siamo di Dio soltanto qualche ora della giornata: pensiamo come il Signore pensa solamente qualche ora, e per una buona parte della giornata la mente non è unita a Dio.
Ora, amare Dio con tutta la mente significa appunto sentire profondamente nella nostra anima le verità del Credo e ragionare sempre secondo quelle verità, e avere i nostri desideri sempre conformi alle verità che crediamo. Sempre! E non soltanto nel nostro interno, ma anche all’esterno mostrare che noi crediamo sinceramente alle verità che sono contenute nel Credo. Vi è una pena: E perché dovremmo sempre lamentarci così? Non è disposto o permesso dal Signore per quell’articolo: Credo nella vita eterna, perché raggiungiamo un più alto grado di gloria in paradiso? Se noi avessimo lo spirito di fede, tanto ci importa fare una cosa come di farne un’altra, perché tutto ci serve per il paradiso.
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Tanto ci importa che abbiano o non abbiano per noi riguardo, che dicano bene come dicano male. Diventiamo indifferenti alle cose della terra, perché le cose della terra, le tentazioni, i dolori, le gioie oppure gli incoraggiamenti, le circostanze liete o circostanze tristi, il trovarci in un ufficio o trovarci in un altro, l’andare bene in quello che facciamo o non riuscire bene, l’essere approvati o essere disapprovati: tutto é mezzo per andare in paradiso8. Tutto può aiutarci a conquistare meriti per il cielo. Ecco: «Diligentibus Deum omnia cooperantur in bonum: A chi ama il Signore tutto coopera al bene»9. Colui che ama il Signore, tutto utilizza, non va cercando cambiamenti oppure altre circostanze di vita, altre disposizioni. No, indifferenti! Può essere che la natura alle volte sia più soddisfatta, ma sopra ci sta la fede che mi dice: Questo è disposto dal Padre celeste che mi vuole in paradiso! È disposto da lui. E allora? Io lo accetto, piaccia o non piaccia. D’altra parte se piace al Signore, dovrebbe piacere anche a noi. E se non ci piace, facciamo lo sforzo, e se anche gli occhi piangessero e il cuore fosse gonfio, diciamo: Sia fatta la tua volontà sempre. E lo diciamo con la gioia della volontà, con la gioia dello spirito.
Ecco: Credo in Dio Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra. Ma questo può bastare per le meditazioni di un anno. Dio, il quale alla fine rimunera, e cioè dà ai buoni il premio e dà ai cattivi il castigo. Vediamo tante cose sulla terra: anche ricchi che pure peccano, e sembrano benedetti e che abbiano fortuna, e povera gente che vive bene, e soffre molto, e ha pene; ma se c’è la fede, come si ragiona? Si ragiona così: «Beati i poveri perché di essi è il regno dei cieli. Beati quelli che amano il Signore: i miti, quei che soffrono, quei che piangono, beati!»10. Perché? Perché tutto si risolverà in gaudio eterno. Vivere di fede! Gli avvenimenti umani, le cose della Chiesa, se avessimo fede, come le considereremmo! La gerarchia stabilita da Gesù Cristo nella Chiesa, come la considereremmo. Noi ragioneremmo tutto diversamente. Vi sono troppe persone che
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guardano all’esteriorità, invece Gesù guarda il cuore, l’anima, la disposizione interna. Questo lo vuole il Signore, lo voglio anch’io. Questo può essere cambiato in gemma preziosa per il paradiso, lo voglio utilizzare. E se dagli occhi cade qualche lacrima, quella lacrima sarà una gemma della corona.
Sì. Poi il Credo va avanti e ci insegna come noi dobbiamo vivere. Cioè il Padre celeste ci ha dato un esemplare, ci ha tracciata una via: l’esemplare è Gesù Cristo, la via è Gesù Cristo. Allora si va avanti nel Credo: Credo in Gesù Cristo nostro Signore, suo Figliuolo unico. E si considera la vita di Gesù Cristo fino a: Patì e morì sulla croce. Risuscitò il terzo giorno. E salì al cielo. La vita di Gesù Cristo è la vita di chi vuol essere perfetto. Gesù Cristo ha condotto una vita perfettissima e quindi ci ha detto: «Imparate da me»11. Ora nel Credo per quei vari articoli, bisognerebbe fermarsi a meditare l’incarnazione del Verbo per lo Spirito Santo e nella Vergine. E la santità è comunicata dallo Spirito Santo e Maria intercede: Mater divinae gratiae. Noi consideriamo la vita di Gesù come nasce nel presepio, in che condizioni di povertà, come ha condotto la sua vita privata a Nazaret, come ha esercitato la sua missione nell’apostolato della sua vita pubblica. Come egli fu contraddetto, perseguitato e abbiamo la sua Passione, la sua morte di croce. Vi è tutta una serie di meditazioni, questa è la via. Se noi vogliamo andare dove è andato Gesù: Salì al cielo, dove siede alla destra di Dio Padre onnipotente, la via è quella stessa. Non possiamo farcene un’altra, perché quella è la strada che porta al paradiso. Se vogliamo andare a Roma, non possiamo prendere la strada che conduce a Reggio Calabria. Certamente, questa è la strada, è via unica. Nota bene che è via unica, non ce n’è un’altra che possiamo seguire più perfettamente: i cristiani buoni la seguono meno perfettamente, e i religiosi seguono questa strada più perfettamente.
Allora considerare bene come una delle tre Persone della SS.ma Trinità si è fatta uomo; ed ecco: Et incarnatus est de
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Spiritu Sancto ex Maria Virgine et homo factus est12 , e poi avanti, fino all’ascensione di Gesù al cielo e alla sua esaltazione alla destra del Padre in paradiso. Queste verità meditarle profondamente, e sempre confrontare la nostra vita con quella di Gesù Cristo: Gli rassomiglio? La mia vita è conforme alla sua?. Ma noi possiamo anche dire: Questo è difficile. Sicuro. La nostra natura per sé non ci arriverebbe, e non avremmo la fede, né avremmo la speranza cristiana, né avremmo la carità cristiana. E allora l’aiuto della grazia: Credo nello Spirito Santo. La grazia viene dallo Spirito Santo: «Per inhabitantem Spiritum Sanctum in nobis»13. «Caritas Dei diffusa est in cordibus nostris»14. Credo nello Spirito Santo.
E la grazia dove si riceve? Nella Chiesa cattolica che ci insegna le verità da credere e ci dà i sacramenti, ci guida. Per mezzo del Battesimo, per mezzo della Penitenza, per mezzo della Comunione, ecc., noi seguiremo Gesù, ameremo Gesù Cristo, avremo la grazia di imitare Gesù Cristo. La santa Chiesa cattolica, la comunione dei santi, cioè quell’unione che vi è tra la Chiesa trionfante, purgante e militante; con la partecipazione nostra dei meriti di Gesù Cristo, della Vergine e di tutti i santi. E quel potere che abbiamo noi di intercessione presso Dio: Per Christum Dominum nostrum. Per i meriti di Gesù Cristo ecco noi possiamo arrivare alla salvezza eterna.
La comunione dei santi, la remissione dei peccati, perché purtroppo a volte si cade e qualche volta si cade anche gravemente: fede nell’assoluzione. Vi sono persone che fanno quasi annegare quello che è essenziale della Confessione raccontando tante cose. L’essenziale è il dolore e l’assoluzione. In mille parole, raccontando tante cose che sono frasche15, è quasi annegato quello che è l’essenziale della Confessione: la remissione dei peccati. Pentimento e assoluzione. L’anima che si umilia, che propone, e Gesù Cristo che per mezzo del suo
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ministro assolve. Che gioia quando abbiamo l’assoluzione, ma dopo un pentimento vivo.
Non ci siamo veramente in questo pensiero: tenere bene e dare il giusto risalto a quello che è l’essenziale. Tante confidenze, tanto volere che dicano qua e dicano là..., ma facciamo annegare il sacramento in un mare di chiacchiere. «Remittuntur ei peccata multa, quoniam dilexit multum»16. Oh, la remissione dei peccati, e poi ricordare che anima e corpo avranno il premio, quindi: Risurrezione della carne e la vita eterna17 in paradiso. Avranno il premio, perché il Signore richiamerà a nuova vita il nostro corpo; questo corpo che verrà a unirsi di nuovo all’anima, e corpo e anima saranno riuniti per sempre nel comune premio. Ecco, fondarsi sopra queste verità. Penetrarle bene, e ragionare sempre conformemente al Credo.
Naturalmente per noi, meditando la vita di Gesù Cristo, bisogna fermarsi anche un tempo notevole sopra la vita pubblica da dove noi prendiamo l’esempio dell’apostolato, l’esempio che ci ha dato Gesù Cristo. Sappiamo che l’apostolato lo ha istituito lui, ed egli infonde la grazia in noi, perché possiamo compiere l’apostolato e così arrivare al doppio premio, di chi ha fatto bene e di chi ha insegnato bene.
Quindi le grandi verità! Stare all’essenziale, a quello che è essenziale. \E l’essenziale è il dogma definito per noi dalla Chiesa. Si dice che vi è molta fede. Qualcuno ha detto che di fede ce n’è troppa e che manca la carità; ma manca la carità perché c’è poca fede; oppure manca la fede perché c’è poca carità. No. Il fondamento, la radice di tutta la giustificazione è la fede/18. La radice mantiene la pianta, il fusto, i rami, le foglie che vengono fuori, i fiori e i frutti. Fede molto viva. Il proposito sulla fede potrebbe essere comune a molte anime; ad ogni modo, anche se facciamo il proposito su altri punti, il proposito va diviso sempre per quello che riguarda la mente, la volontà e il cuore. Ecco la prima parte tocca la mente. Domandiamo una
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grande luce. Diciamo a Gesù: Credo, o Signore, ma «adiuva incredulitatem meam: accresci cioè la mia fede»19, fa’ cioè che io creda sempre di più!


II. La speranza

L’atto di fede, come pure l’atto di speranza e l’atto di carità sono obbligatori, e l’obbligo è come mezzo di salvezza eterna, quindi l’obbligo più stretto che si possa pensare, e come precetto. Così che, secondo tutti insegnano, è necessario che noi li facciamo questi atti saepius in vita: frequentemente in vita, maxime20 poi in punto di morte. E vi sono sempre occasioni nella vita in cui è necessario fare o l’uno o l’altro di questi atti.
Vi sono delle occasioni in cui bisogna fare l’atto di fede e la professione di fede, ad esempio, la religiosa quando si trova in punto di morte, in modo particolare, oltre al dovere generale che hanno tutti. Vi sono occasioni di fare l’atto di fede, per esempio quando uno è molto tentato, poi, specialmente, per chi insegna teologia, per chi guida un istituto, per chi nella Chiesa compie un ufficio particolare che ha annessi doveri riguardanti le anime, la cura delle anime, ecc. Sono elencati tutti questi casi nel Diritto Canonico e nella teologia morale.
L’atto di speranza può essere obbligatorio in momenti in cui l’anima si sente esasperata, quasi disperata, perché si tratta di combattere una tentazione grave. E così l’atto di amore di Dio nella Comunione: l’atto di amore di Dio è collegato con la stessa Comunione, poiché la Comunione è unione e questa unione è amore. Non è che siano sempre obbligatorie le formule come le abbiamo nel catechismo, ma in sostanza vi siano questi atti. Perciò nel Libro delle Preghiere21 si suggerisce che a coloro che sono infermi gravi, si dicano le giaculatorie che poi ripeteranno nel loro cuore: Signore, io credo in Voi. Io spero il Paradiso. Io vi amo con tutto il cuore, e si aggiunge: Mi pento di tutti i miei peccati.
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Questi sono atti obbligatori per necessità di mezzo e obbligatori per precetto, perciò di massima importanza. È più necessario l’atto di fede che non la Comunione, ad esempio, che non l’assistenza alla Messa, perché, abbiamo letto un momento fa nel Vangelo: «Chi non crede sarà condannato»22. Invece il malato, supponiamo che debba sempre rimanere a letto, può essere che non assista mai più alla Messa, ma l’atto di fede, gli atti di fede, in una formula o in un’altra si devono fare. A queste virtù: la primaria importanza per tutti, o semplici cristiani o religiosi. Per tutti la massima importanza.
Quest’oggi la Chiesa ci invita ad elevare i nostri cuori ed accompagnare il nostro Salvatore Gesù: Jesu tibi sit gloria qui victor in coelum redis: Sia gloria a te, o Gesù che ritorni in paradiso vittorioso23, vittorioso, perché «captivam duxit captivitatem»24, vincesti la schiavitù e mettesti in schiavitù la schiavitù a cui noi eravamo soggetti, schiavi del peccato per causa dei nostri progenitori.
Quando Gesù ci dice: «Chi vuol venire con me, prenda la sua croce, rinneghi se stesso e mi segua»25, non intende soltanto dire che lo seguiamo fino al Calvario immolando noi stessi, ma che lo seguiamo su in cielo. E nell’oremus della Messa26 abbiamo domandato che, come Gesù adesso è già in cielo alla destra del Padre, [anche noi], intanto che siamo ancora sulla terra, cominciamo ad abitare in paradiso con la mente. Giacché non siamo ancora cittadini di presenza nel paradiso, almeno abitare colà con la nostra mente e con i nostri cuori. Oppure, come avevamo domandato la settimana scorsa al Signore: «Ibi nostra fixa sint corda ubi vera sunt gaudia»27, i nostri cuori si fissino, si orientino, cerchino solo quello che veramente è gioia e gioia eterna, «ubi vera sunt gaudia». Non siamo attaccate alle cose umane, non cercando le cose che si vedono, che appaiono, ma cercando quello che non si vede, la gloria eterna del cielo, la vita eterna.
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Che cos’è l’atto di speranza? O meglio, noi diciamo che cos’è la speranza? Perché la speranza è una virtù e quando poi diciamo: Io spero allora facciamo degli atti. Più sono frequenti questi atti e più il desiderio del paradiso entra in noi, e più noi diventiamo inclinati, forti nel compiere degli atti virtuosi, più diventiamo fervorosi nella nostra vita. Qui consiste il fervore: lavoro spirituale interiore di emendazione e di conquista, poi l’osservanza della vita religiosa e l’apostolato, il compimento dell’ufficio che in Congregazione ad ognuna in particolare è assegnato. Queste sono le vere manifestazioni del fervore.
Che cos’è dunque la speranza? È una virtù, è un abito, come si esprimono i teologi, una tendenza, una disposizione interiore che ci è infusa dallo Spirito Santo nel Battesimo, per cui noi speriamo il cielo e tutti i mezzi, tutte le grazie che sono necessarie per arrivare al cielo. La nostra speranza si fonda sopra la fede. La fede è la radice da cui nasce la pianta. Quando si mette il seme nella terra, ecco la radichetta, poi questa radice si sviluppa e cresce. La speranza è il fusto, il tronco della pianta. Poi verrà la carità che è manifestata dai frutti. Come d’altra parte si dice: la vita religiosa, la vita cristiana, la vita buona si può paragonare alla erezione di una casa: la fede è il fondamento della casa, e la speranza è la costruzione della casa, l’edificio che si vede all’esterno, e la carità è il compimento, il tetto della casa, quello che completa e che ripara tutto il rimanente della casa, poiché il tetto della casa stessa ripara dalle intemperie. Quando c’è grande amore a Gesù non fa bisogno di suggerire tante cose alle persone; quando c’è grande amore a Gesù c’è solo bisogno di dire: Quello che piace a Gesù. L’assistenza allora è molto facile, le correzioni non hanno quasi ragione di esserci, se non in questo: Forse non hai ricordato la tal cosa, oppure: La tal’altra cosa si fa in questo modo. Solo indicazioni. Oh, quando c’è la carità verso Dio!
Noi finiamo il Credo dicendo: Vitam aeternam, ecco: «exspectantes beatam spem et adventum Domini nostri Jesu Christi»28 il quale riformerà il corpo della nostra umiliazione, della nostra infermità in un corpo glorificato e glorificato in
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eterno: tutto il nostro essere glorificato. Crediamo il paradiso! Crediamo di essere fatti per il paradiso e che solo per questo il Signore ci ha creati. E mentre egli ci ha creati per il paradiso, ottiene pure il suo fine che è supremo: la sua gloria. La gloria di Dio dipende dalla nostra santificazione. Propriamente non è soltanto la recita di un Gloria Patri o Gloria in excelsis Deo: queste sono manifestazioni dei desideri, dei sentimenti che abbiamo, che il Padre, Iddio sia glorificato, ma la glorificazione di Dio sta particolarmente nel farci santi realmente. Allora il nostro essere è tutto consumato, viene tutto consumato, come una candela innanzi al tabernacolo: consumato per Dio. Allora in Cristo si dà la maggior gloria a Dio: Per ipsum, et cum ipso, et in ipso est tibi Deo Patri omnipotenti, che cosa? Insieme allo Spirito Santo: Omnis honor et gloria29 .
Siamo fatti per il paradiso. Ecco, l’uomo che è un essere così piccolo, l’uomo può rendere nullo il desiderio di Dio, può opporsi ai fini che Dio ebbe nella creazione: opporsi. Noi che siamo così piccoli, ci opponiamo a Dio onnipotente! E come può opporsi l’uomo? Quando Dio ci ha creati per un fine [il paradiso] e noi non ci andiamo. Pecchiamo e ci orientiamo verso le creature, perché il peccato è sempre aversio a Deo et conversio ad creaturas30. Quale audacia commettere31 il peccato! Invece, ogni volta che noi tendiamo verso il cielo e vogliamo conquistarlo e vogliamo farci santi e grandi santi, allora corrispondiamo al suo volere, allora diciamo con i fatti: «Fiat voluntas tua sicut in coelo et in terra»32 e la facciamo questa volontà di Dio.
La nostra speranza si fonda:
I. Sopra l’onnipotenza di Dio, perché per l’uomo non sarebbe necessario, secondo la sua condizione, avere il paradiso a cui il Signore ci chiama. È per sua misericordia che ci ha elevati all’ordine soprannaturale, e noi, avendo una vita soprannaturale per la grazia di Dio, possiamo operare soprannatural-
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mente in ordine al cielo e allora arrivare ad una gloria che non è solamente di semplici uomini, ma come figli di Dio. «Si filii et heredes: heredes Dei et coheredes Christi»33. L’onnipotenza di Dio a servizio del suo amore! Che grande chiamata, che grande vocazione ci ha dato l’onnipotenza di Dio a servizio del suo amore!
Poi la nostra speranza si fonda ancora sopra la bontà di Dio. Il Padre celeste ci manda sulla terra a guadagnare un po’ di meriti, a compiere qualche lavoro, una missione per avere alla fine ragione di premiarci. Ci ha fatti liberi, affinché nella libertà potessimo acquistare meriti. Senza libertà non c’è merito. E con questo darci un premio sovrabbondante: «La misura buona, la misura pigiata, la misura scossa, la misura che versa»34. Il che significa che tutto il nostro essere in paradiso avrà il premio: la mente pienamente soddisfatta, il cuore pienamente soddisfatto e la volontà pienamente soddisfatta. Oh, il premio eterno, la bontà del nostro Dio quanto è grande!
Poi la nostra speranza si fonda ancora sopra i meriti di Gesù Cristo e sulle sue promesse. Si può dire che non vi è cosa di cui parla più spesso Gesù Cristo nel Vangelo che del paradiso. Il programma della predicazione di Gesù Cristo è contenuto nel discorso della montagna: «Beati i poveri di spirito perché di essi è il regno dei cieli»35, ecco comincia così. Quante volte ritorna poi sopra questo pensiero del cielo e quante volte ha preannunziato, e si può dire anche ha già annunziato, la sentenza che darà: «Avanti, servo buono e fedele: entra nel gaudio del tuo Signore»36; e l’altra al giudizio universale: «Venite, o benedetti, nel regno del Padre mio, possedete il regno che vi è stato preparato, ecc.»37. Le promesse! Ora che cosa dobbiamo pensare della speranza? Dobbiamo pensare che è necessario anzitutto non offendere la virtù della speranza e, secondo, di accrescerla nei nostri cuori.
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Come si offende la virtù della speranza? Si offende in due maniere: o con la presunzione oppure con la disperazione. La presunzione di salvarsi senza meriti, oppure con i nostri soli meriti. È una stoltezza, una cecità: salvarsi senza meriti, quasi che il Signore non sia giusto. Il Signore è misericordioso; il Signore ha voluto redimerci col suo sangue e mette a disposizione nostra il suo sangue, per cui noi veniamo lavati nel Battesimo dal peccato originale e nella Penitenza dal peccato attuale. Sì, il Signore, in un eccesso di misericordia ecco che cosa ha fatto: Gesù Cristo sulla croce paga per il nostro peccato. Eccesso di misericordia: Lui, l’offeso, viene a pagare la nostra offesa fatta a Dio.
Ma il Signore nello stesso tempo è giusto e quindi, se noi non ci arrendiamo alla misericordia, dovremo incontrare la sua giustizia. Quindi, salvarci senza meriti, no. Il lavoro che fate quotidianamente, prima il lavoro interiore, spirituale e poi il lavoro di apostolato, se fatto per il Signore e fatto bene, costituisce una catena ininterrotta di meriti. Suore e anche semplicemente i cristiani, che santificano tutto, tutto: anche il sonno, anche il cibo che prendono, le stesse ricreazioni, gli stessi scherzi che possono fare per rendere lieta la conversazione, santificano tutto. Ma tutto questo nostro lavorìo spirituale e nostro lavoro dell’apostolato vale ed è proporzionato al gaudio del cielo, se tutto è offerto a Gesù Cristo e per lui al Padre: Per Christum Dominum nostrum. Le nostre opere sarebbero misere e sproporzionate al gaudio eterno, perché il premio è straordinariamente alto, ma Gesù Cristo vi aggiunge i suoi meriti. Ecco, noi dobbiamo sempre lavorare e nello stesso tempo appoggiarci ai meriti di Gesù Cristo.
I bambini che muoiono dopo il Battesimo e prima dell’uso di ragione vanno in cielo per la grazia del Battesimo, poiché ad essi è stata applicata la virtù della passione di Gesù Cristo; noi adulti abbiamo ancora un’altra grazia e cioè quella di «abundantius habeant»38, possiamo guadagnare di più lavorando, lavorando ogni giorno per il Signore: lavoro spirituale e lavoro di apostolato! Dunque, non essere così presuntuosi di salvarci con
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i nostri meriti o di salvarci senza meriti. No, dobbiamo guadagnare meriti e i nostri meriti, perché abbiano il premio eterno, cioè il cielo, devono essere uniti ai meriti di Gesù Cristo.
Contro la speranza poi c’è anche la disperazione, che è un peccato grave, gravissimo. Disperare della bontà di Dio. La disperazione a volte può arrivare ad un eccesso ed essere veramente peccato grave, ma ordinariamente non si arriva lì. Tuttavia qualche volta forse si commettono delle venialità: persone che non sperano più di farsi sante, persone che non sperano di ottenere questa grazia o quell’altra. Parliamo delle grazie spirituali: la grazia di vincere il peccato, di vincere le tentazioni, di vincere l’orgoglio, di vincere la pigrizia, la tiepidezza. Non disperare mai. Anche se si fosse già in punto di morte e l’anima si trovasse come in un abisso di tristezza, guardi al cuore di Dio, al cuore di Gesù, guardi all’immagine di Maria. La misericordia è ancora là e attende l’anima fino a che essa sia separata dal corpo.
Tutti possono farsi santi. La religiosa poi, ha proprio una vocazione speciale alla santità e la certezza che è chiamata alla santità. Questa certezza viene appunto dalla certezza che c’è la vocazione. La vocazione religiosa è vocazione alla perfezione, cioè alla santità. E come si potrebbe dubitare poi che il Signore che ci dà i mezzi, non ci dia i mezzi? Non si può dubitare. Il Signore quando chiama una persona a uno stato, la fornisce di tutte le grazie che avrà bisogno per compiere quello che è di piacere di Dio, di volontà di Dio. Allora non lasciamoci sorprendere dal pessimismo: Tanto non riesco!... Tanto non mi faccio santa, e subito dire: Io mi contento di una mediocrità. Questa è la tiepidezza viva, è la tiepidezza che se entra in un’anima religiosa fermerà il suo lavoro spirituale e renderà la sua vita abbastanza triste, una vita scontenta, perché non possiede le consolazioni di Dio e non ha nel cuore quella pace che Iddio comunica a chi lo ama. Mai lasciarsi prendere dal senso dello scoraggiamento.
La disperazione si presenta in tante forme, perché non si è ricevuta quella grazia materiale: È inutile che preghi, Dio non mi sente. Ma è possibile dire così? Oppure queste espressioni sono vicine alla bestemmia, almeno vicine? No! Dio ci sente,
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Dio desidera più lui darci le grazie di quanto noi le desideriamo. Non andiamo avanti di spropositi in spropositi nella vita spirituale, ma di verità in verità, e sempre appoggiati a Dio. Ci resta sempre la Madonna, anche quando l’anima si sentisse come smarrita, quando si sentisse come la nave sbattuta dalle tempeste, dai venti, dai flutti. Allora c’è ancora Stella maris, Ave maris stella39 per orientare la vita. E questa Madre subito ci soccorrerà. Si dia mano alla corona.
Inoltre bisogna far crescere in noi la virtù della speranza. Questa virtù si perfeziona in due maniere o con due mezzi. Il primo è: fare le opere buone, mediante le opere buone che io debbo e voglio fare. E cioè non possiamo solamente desiderare il paradiso, ma meritarlo. E cosa vuol dire meritare? Il bambino che va a scuola, il fanciullo, lo studente, ecc., meritano il dieci o meritano il nove per il loro studio, o magari meritano la lode. Ecco: bisogna che operiamo. E chi è che paga gli operai che stanno tutto il giorno oziosi nelle strade? «Ite et vos in vineam meam, e quello che sarà giusto ve lo darò»40. «Unusquisque propriam mercedem accipiet secundum suum laborem»41. Bisogna proprio ‘farlo’ il merito. Ma questo costa sacrificio, ma quello è difficile, ma qui c’è la tale obiezione, oppure: Adesso sono tribolato interiormente; non mi comprendono, o mi trovo in queste circostanze dovendo lavorare con persone di diverso carattere, dovendo fare un apostolato un po’ ingrato, ecc.: «Proposito sibi gaudio sustinuit crucem»42. Gesù avendo da conquistare il bel posto preparatogli dal Padre suo alla sua destra, lassù in paradiso, portò la croce. «Si quis vult post me venire, abneget semetipsum»43. Rinnegare noi stessi, proprio rinnegare noi stessi. Persone che lavorano fino a stremarsi di forze e quando poi si tratta di vincersi in un punto, di vince-
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re il loro orgoglio, non ci sono più. Si tratta di spendersi per l’apostolato e allora «impendam et superimpendar»44 al modo di S. Paolo, e questo è lodevole. A volte poi si tratta di perdonare un’offesa oppure di lasciar passare un disgusto, oppure di sopportare un’incomprensione: non hanno più il coraggio, la volontà. Dunque il paradiso si merita, il che vuol dire: occorre proprio guadagnarselo. Far tutto quello che possiamo e poi sperare in Dio e pensare che dove è mancata la nostra possibilità, dove c’è la nostra insufficienza, umiliarci e chiedere a Gesù che ci applichi i meriti della sua passione e morte.
II. La speranza si coltiva con la preghiera. Recitare bene l’Atto di speranza; e tutte le volte che diciamo il rosario, che facciamo il ringraziamento alla Comunione, che ascoltiamo la Messa, o siamo alla Visita esercitarci bene nella speranza: Speriamo il paradiso e le grazie necessarie per andare in paradiso. Non dirlo superficialmente con le labbra, fateci sante!, ma sentirlo in noi.
Il Papa Pio XI45 aveva questa abitudine: non tantissime preghiere, ma sentite, meditate. E mentre altri recitavano il Breviario in un’ora, egli ne impiegava due, perché meditava i versetti che stava recitando e penetrava il senso. Si direbbe: Ma il Papa ha tante cose da fare. Non dire delle cose vuote. Vi sono dei rosari che son detti con semplicità, ma con attenzione; e può essere che un rosario detto con semplicità, con attenzione, con viva fede e speranza, a volte valga di più che recitarne tre. Sentire! Signore, mi avete [preso]. Fecisti nos ad te Domine: Signore, ci hai creati per te46, per il paradiso e io so che mi darai tutte le grazie per arrivarci. Anche quando la mia preghiera non sembra esaudita, io so che mi esaudisci: mi dai tanto di meglio. E se non lo vedo con i miei occhi, perché io sono superficiale, non so penetrare bene le cose, non possiedo
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ancora bene tutto lo Spirito di Dio, so però che è così. Tu mi ami e desideri più tu di darmi le grazie, che non desideri io di riceverle. Esercitarsi nella speranza con la preghiera.
E poi, se viene qualche sentimento di disperazione, mettersi a posto: Signore, io spero nei meriti della vostra passione e morte, e intendo fare quello che devo fare, con le opere buone che io debbo e voglio fare per guadagnare il paradiso. Avanti sempre. Abituarsi. In tanti luoghi alzare gli occhi al cielo: ci vuole così poco! E si può fare in camera, e si può fare per strada, e si può fare sull’automobile, e si può fare anche di notte che è buio. Alzare gli occhi in alto, sospirando il paradiso. E più mediteremo il paradiso e più noi avremo coraggio. Abbiamo un torto, ma un poco è rimediato: non si parla abbastanza del paradiso. Però si è cercato di rimediare. Sono stati scritti libri sul paradiso. Sì. Sempre abbiamo da elevare gli uomini alla speranza: il paradiso!


III. La carità

Anche l’atto di fede, come l’atto di speranza e di carità, si deve fare all’inizio della vita spirituale, oltre quello che è stato accennato stamattina. L’inizio della vita spirituale si ha quando si giunge all’uso di ragione, tanto più poi quando si è ammessi alla Comunione, alla prima Comunione, alla Confessione. Del resto l’abitudine di questa giaculatoria è tanto utile: Gesù, io credo in voi; Gesù spero da voi il paradiso; Gesù, vi amo con tutto il cuore. Questa giaculatoria è utile non soltanto per le grazie del momento, ma per stabilire meglio le virtù fondamentali nella nostra anima.
Adesso dobbiamo parlare della carità. Il precetto della carità è uno solo, ma ha due manifestazioni e cioè: amiamo Dio per se stesso e amiamo il prossimo per amor di Dio. La carità è una virtù soprannaturale, purezza infusa dal Signore nel Battesimo. Per questa virtù noi incliniamo a \considerare il Signore come nostro Padre/47, sommo bene, eterna felicità. Incliniamo
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ad amare Gesù, amare l’Eucarestia, amare quindi la Messa, la Comunione, la Visita al SS. Sacramento. Ed è stata la carità, l’amore al Signore che vi ha portato ad offrirvi totalmente a lui, cioè ad un amore perfetto. La professione perpetua, infatti, è la professione di un perfetto, eterno amore a Gesù Cristo, a Dio. Nello stesso tempo nella professione perpetua è pure incluso l’amore al prossimo, perché vi è la dichiarazione che l’anima fa di impegnarsi ad uniformare la sua vita alle Costituzioni delle Figlie di San Paolo, il che significa darsi all’apostolato.
Considerare quello che Gesù ha detto nel santo Vangelo: «Amerai il Signore Dio tuo con tutta la mente, con tutte le forze, con tutto il cuore. Questo è il primo e massimo comandamento. Vi è poi un secondo comandamento che è simile a questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso»48. Questa disposizione di animo ad amare il Signore, si va sempre più accentuando in un’anima quando l’anima corrisponde alle grazie di Dio. Vedete, come il bambino è inclinato ad amare Gesù, ad amare la Vergine santissima, così l’anima che si conserva nell’innocenza, è sempre più penetrata dalla grazia di Dio e quindi l’amore di Dio va sempre aumentando. Chi non pecca, già sta nell’amore di Dio. Perché: «Se uno mi ama, veniamo a lui e dimoriamo in lui»49, dice il Signore. E poi Gesù soggiunge: «Manete in caritate: vivete in carità»50.
L’amore a Dio, perché? L’amore a Dio in forma assoluta è perché egli è perfettissimo, è il sommo bene. L’amore a Dio, perché egli ci ha creati e noi siamo suoi figli; l’amore a Dio, perché ci ha chiamati alla fede cattolica, ci ha fatto nascere in buone famiglie. L’amore a Dio per tutte le grazie particolari, in modo speciale per la vocazione. L’amore a Dio, perché il Signore che è buono provvede a noi, provvede per tutto quello che è necessario per il corpo e per tutto quello che è necessario per l’anima. L’amore a Dio, perché il Signore ci aspetta in paradiso, ed egli è la somma ed eterna felicità. L’amore a Dio! La vita non dovrebbe essere un continuo
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accendersi e ravvivarsi e allargarsi di questa fiamma? Sì, certamente, perché se è il primo e massimo comandamento, occorre sempre.
Poi il paradiso è l’unione eterna con Dio; e allora come ci si prepara al paradiso? Con il vivere sempre più uniti a Dio: uniti di mente, uniti di cuore, uniti di volontà. Sempre più uniti a Dio. Ecco allora che cosa avviene: avviene che gradatamente le cose della terra non ci impressionano più e acquistiamo quella santa indifferenza di cui parlano i maestri di vita spirituale. Si considera soltanto il Signore, sommo bene che dobbiamo raggiungere: sommo bene, somma verità, sommo gaudio, somma beatitudine. La vita allora ci porta a vivere sempre più nel pensiero finale, nel destino finale: paradiso, uniti a Dio. E questo vuol dire perfezionarsi.
Dunque, prima cosa: distaccare il cuore dalla terra. Vedere che non viviamo di egoismo. L’egoismo è come un secchio d’acqua buttato su dei carboni. L’egoismo si presenta in tante forme: a volte si presenta in forme di simpatia o di antipatia che smorzano la carità, sia l’una cosa come l’altra, sia la simpatia come l’antipatia. A volte l’egoismo si manifesta con l’orgoglio: siamo troppo legati a noi stessi, vogliamo la stima, vogliamo l’approvazione, vogliamo occuparci di questo o di quello, e segretamente che cosa avviene? Che si fa amicizia soltanto con coloro che lodano. Chi ci dice la verità, quando è un po’ scottante, viene considerato come nemico, avversario. Vogliamo essere corretti, ma guai se ci dicono il difetto vero e specialmente se mettono il dito sulla piaga più grave.
L’amore di Dio si spegne nell’anima quando l’egoismo porta all’orgoglio. Vogliamo non l’approvazione di Dio, non incontrare i gusti di Dio, ma vogliamo l’approvazione degli uomini, vogliamo quello che ci soddisfa e facciamo quello che ci serve meglio ad acquistare estimazione.
A volte poi questo egoismo porta a tali invidie che non c’è più pace in una casa, non c’è più pace. E questa invidia si presenta sotto tante forme, e porta a sospettare, a giudicare male, porta a disturbi interiori, preoccupazioni. In sostanza, diventiamo indifferenti verso Gesù che aspetta il nostro cuore e ci
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chiama: «Figlio, dammi il tuo cuore: Praebe mihi cor tuum»51. Invece diventiamo sensibili alle cose esterne. A volte abbiamo degli attaccamenti che sono anche ridicoli, delle forme di orgoglio che tutti notano, per cui andiamo magari cercando che ci vogliano bene, abbiano confidenza, e invece le persone vengono sempre più allontanate, perché si comprende che non vi è virtù, non vi è amore vero verso le persone, ma sotto l’aspetto di bontà, si cerca il nostro io. L’amor proprio a volte si presenta sotto forma di avarizia, non nel senso dell’avarizia del mondo, ma nel senso dell’avarizia che si può avere in comunità. A volte l’amor proprio è sotto una forma di amore ancora troppo vivo alla famiglia: non si considera bene cosa vuol dire consacrarsi a Dio e cosa sia l’osservanza del quarto comandamento.
L’egoismo poi va a far centro di noi e in noi. Nelle stesse opere di carità si cerca noi stessi. Forse nelle stesse opere di zelo e nello stesso apostolato. Vediamo che la nostra fiamma ascenda a Dio senza fumo. Certamente che chi si è consacrato a Dio aveva una fiamma che voleva sempre più alimentare. Ma vediamo che la quantità di fumo non oscuri la luce che proverrebbe da questa fiamma, e che la quantità di fumo non avvolga la stessa fiamma così che appena appena la fiamma ancora si possa scorgere.
L’egoismo vive sotto tante forme. È come il serpe, il diavolo, che andò a tentare Eva. Si vestì dei colori più vaghi e si presentò sotto una forma che guadagnò subito le simpatie di Eva, invitandola a mangiare il frutto vietato. E poiché lei faceva difficoltà: «No. Non morrete. Diventerete simili a Dio». Voleva dire: «Dio non vuole che siate simili a lui, perciò vi ha proibito di gustare di quel frutto»52. Il nemico dell’amor di Dio è l’egoismo. Notando che cresce e aumenta se noi non lo combattiamo con il proposito principale, concentrando bene la mente su quel punto in cui si manifesta di più. E se prima era un po’ di ribellione o era forse un qualche attaccamento che lo faceva manifestare, poi con l’esigenza che si ha a una certa
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età si vuole la stima, si vuole il rispetto, il servizio; si vogliono tante altre cose. Vediamo di crescere nell’amore di Dio.
Attenzione però, non intendo dire: tanto da distaccarsi, quanto da avvicinarsi a Gesù. Diventare indifferenti alle cose della terra, stare in una casa o in un’altra, avere un’obbedienza o un’altra, un ufficio o un altro, che ci stimino o non ci stimino; che siamo sani o malati, che ci troviamo con persone di carattere conforme al nostro desiderio o di carattere invece diverso, ecc.: questo è diventare indifferenti. Non tanto con una lotta diretta, quanto con una cura indiretta. Avvicinarsi al tabernacolo, a Gesù, allora quelle cose naturali si spengono da sé. Ma quante volte invece quelle tendenze, quelle cose, manifestano che in noi manca l’amor di Dio vero. C’è tiepidezza per il Signore e molta sensibilità invece per quello che tocca il nostro io. Ad esempio: quanta lotta ci vuole solo per estinguere l’orgoglio; anni ed anni di lotta contro la superbia. Ma chi infiamma il suo cuore di amore verso Gesù, ecco si unisce a lui, le altre cose diventano per lui insipide, senza gusto. Il gusto è tutto e solo in questo: rendere contento Gesù, amare Gesù. Fare tutto per Gesù e poi andare con Gesù in paradiso, il più vicino che si può. E per avvicinarsi a lui quanto è lo spirito della nostra vocazione in cielo, avvicinarsi a Gesù quanto è nello spirito della nostra vocazione sulla terra.
Allora: Confessioni accompagnate da vivo dolore, Comunioni fervorose, Visite fervorose, Messe fervorose. L’amore al Maestro divino nel presepio e nella sua vita privata di fanciullo e lavoratore al banco di falegname e predicatore nella vita pubblica. Gesù ci predica il suo amore con le sue cinque piaghe: le piaghe delle mani, le piaghe dei piedi, la piaga del costato. Io ho sempre notato che la Prima Maestra dava baci numerosissimi alla piccola croce, specialmente a quella che pendeva dalla corona, a volte anche in mezzo alle conversazioni, ecc. Oh, allora il cuore passa a Gesù! E vedete con che semplicità e con che sveltezza tratta le cose. Tutto ricava al mattino dal Tabernacolo! Bisogna che ogni nostra parola, ogni nostro pensiero, ogni nostro modo di fare, ogni nostra occupazione abbia la luce e il calore del Tabernacolo.
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Non farci una pietà che non è pietà, ma una pietà vera. Che cos’è la pietà? La pietà, secondo S. Tommaso, è voluntas prompta semper agendi ad ea quae pertinent ad Dei famulatum53. La volontà generosa, sempre pronta, sempre capace di dire: «Ecce ancilla Domini»54, capace di dire il sì a Gesù, a quello che Gesù vuole ad Dei famulatum, cioè al servizio di Dio, nelle cose di Dio.
Preoccuparsi tanto degli altri e non di noi. Ma noi abbiamo l’apostolato. Ma l’apostolato è preoccupazione di noi in primo luogo: Io voglio compiere bene la volontà di Dio. Studio bene le parole da dire, il modo di presentare, il modo di tenere regolato il conto, di tenere bene ordinate le cose in libreria, il modo di fare la pulizia in casa, di servire o per mezzo della cucina o per mezzo della lavanderia o per mezzo della cappella, servire le sorelle, servire Gesù, ecc.. Questo ci deve preoccupare. Come ci deve preoccupare l’arrivare a quella casa e portare un po’ di grazia, come la visita di Maria a S. Elisabetta portò ogni benedizione.
Amore a Gesù, diretto. E allora tutto il resto diverrà insipido. Come S. Bernardo55 scriveva: Se io parlo, mi pare che il mio parlare sia vano se non dico tante volte in mezzo al mio parlare: Gesù. E mi pare inutile scrivere, se dalla penna non esce frequentemente il nome di Gesù, ecc.56. L’amore positivo e allora si fa un lavoro doppio: da una parte ci si distacca da ciò che non è Dio, e dall’altra parte ci uniamo a Dio. E più ti unisci a Dio, più il tuo paradiso sarà bello. Ecco allora la strada dell’amore di Dio, diretta, via diretta. Leggere qualche libro qui sopra. Finora però il miglior libro che conosco è il Trattato dell’amor di Dio di S. Francesco di Sales57. D’altra parte non
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è poi il libro che ci dà l’amor di Dio. L’amor di Dio è un dono soprannaturale e deve venire dal cielo. Chiederlo al Signore e si chiede al Signore quando noi ci avviciniamo al Tabernacolo, quando noi facciamo bene le nostre pratiche di pietà. Però sempre guardare anche nelle cose di pietà non solamente di far riparazione, questa ci vuole, o domanda, la petizione, ma ci sia l’adorazione, il ringraziamento e la lode. Sì, ringraziamo il Signore per la sua grandezza, per la sua amabilità. Poi l’amore a Gesù non è tanto difficile da acquistare con la nostra collaborazione, perché come ho detto, in primo luogo è un dono di Dio, dono soprannaturale, ma noi dobbiamo cooperare, preparare il posto a questo dono soprannaturale, e cercare di svilupparlo. Non è tanto difficile. Leggere la vita di Gesù. Chiederlo alla Madonna che è la Madre del divino Amore, chiederlo a S. Paolo che era infuocato di amor di Dio: «Quis nos separabit a caritate Christi? Tribulatio, an angustia, an fames, an sitis, an persecutio, an gladius?»58. No.
Invece noi ci distaccano da Gesù e ci fanno perdere l’intimità con Gesù una parola sentita che ci ha ferito un poco, un piccolo male che ci disturba… altro che «tribulatio, an angustia»! Unirci a Gesù: una parola ci ha feriti un po’, fortunati noi se possiamo così rassomigliare un po’ più a Gesù, perché egli ha ricevuto tante ferite, le spine, i chiodi, ecc., e con questi dimostrava il suo amore al Padre. E noi sappiamo sopportare qualche cosa per Gesù che ci ha amato? Ci ha amato a perdizione, senza misura in maniera tale che se noi vogliamo una santità grande, se vogliamo arrivare su in paradiso, in altissimo posto tra i santi e grandi santi, ne abbiamo le grazie59. Chi conosce la bontà di Gesù, chi può penetrare in lui? Quanto siamo ancora di terra e poco di cielo! Quanto c’è ancora di umano in noi e tanto poco di divino!
Da domani iniziamo la novena di Pentecoste. Quel fuoco che è disceso sugli Apostoli, voglia discendere anche sopra di noi, ci illumini e ci riscaldi. Una Pentecoste di amor di Dio. La
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Pentecoste è la festa dell’amore. Ma vediamo di andar più al fondo di noi stessi e scoprire ciò che impedisce quel progresso spirituale nell’amor di Dio che tanto lamentiamo. Come mai andiamo così adagio nella perfezione? Come mai avviene che in certe case non c’è pace? Oppure che non si possono parlare con quel senso di bontà che si dovrebbe? Perché non c’è abbastanza amor di Dio. L’amore è unitivo. Quando amiamo Gesù finiamo con il trovarci tutti nel suo cuore, tutte insieme noi che mangiamo lo stesso pane eucaristico. Abbiamo un solo cibo: Panem de coelo praestitisti eis: omne delectamentum in se habentem60 . E invece ciò che infiammava S. Paolo: la tribolazione, l’angustia, la persecuzione, le malevolenze, le contraddizioni, la persecuzione, la spada, perché serve a noi a distaccarci61 da Gesù? A S. Paolo serviva proprio per innamorarsi, felice di poter mostrare il suo amore e imitare il Salvatore Gesù, il quale si è donato tutto per noi, ha sacrificato se stesso: «Dilexit me et tradidit semetipsum pro me»62.
Bisognerebbe adesso parlare della carità verso il prossimo. Ma non c’è mezzo più adatto e sicurissimo di amarci veramente che questo: trovarci tutti uniti in Gesù, cioè di amare Gesù, amare Gesù. Allora non c’è più difficoltà ad amare anche i peccatori, non c’è più difficoltà ad andare in propaganda per portare un po’ di libri a queste anime, perché amino Gesù. E non c’è difficoltà nella convivenza con le persone che sono insieme a noi, perché sono persone che Gesù ama, sono persone che sono chiamate all’amore divino, hanno la vocazione all’amore eterno e stanno lavorando per conquistare sempre di più questo amore vero e profondo a Gesù. Quindi il prossimo non si deve amare né perché è bello, né perché è grazioso, ecc. Il prossimo lo amiamo per amore di Dio e solo per amore di Dio. E allora se amiamo Dio, di conseguenza ameremo anche il prossimo.
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Dunque, una novena per conquistare l’amore di Dio. Primo: chiederlo come dono celeste; secondo: accrescerlo con l’amore positivo al Signore, concentrando i nostri sforzi verso Gesù. Poi considerare tutto ciò che ci impedisce di amare Gesù come cose che dobbiamo allontanare da noi. Quindi successivamente pensare che ogni anno di vita religiosa è una salita, un tratto della salita che dobbiamo fare verso il divino amore.
«Fides, spes, caritas, maior caritas»63, perché «caritas manet in aeternum»64. Cesserà la fede, perché un giorno vedendo Iddio non avremo più bisogno della fede, lo vedremo, non avremo più bisogno di crederlo. Ma lo vedremo. E cesserà la speranza, perché avremo conseguito l’oggetto del nostro amore. Quindi il nostro cuore sarà acquietato nell’amore e nel possesso del bene eterno. Questo amore eterno, ecco dura: «manet in aeternum».
La fede che dobbiamo chiedere e la speranza che dobbiamo chiedere sono ordinate all’amore. Quindi il frutto della fede e il frutto della speranza è l’amore. Perciò vedere di orientarci bene nella nostra vita spirituale. Tutti gli altri propositi sono ordinati all’amore di Dio. E se gli altri propositi sono per l’acquisto di una virtù o di un’altra, o per allontanarci da un difetto o da un altro, questi propositi sono parte di quel proposito che è l’acquisto dell’amor di Dio. E tutto serve a portarci ad un amore sempre più intenso verso Dio. Amiamolo, che tutto cadrà e cadremo nel sepolcro. Ma rimarrà Dio, il nostro bene eterno, la nostra eterna felicità.
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1 Ritiro tenuto a Napoli il 29-30 maggio 1957. Trascrizioni da nastro: A6/an 30a = ac 51a; A6/an 30b = ac 51b; A6/an 31a = ac 52a.

2 Dalla formula della professione religiosa secondo le Costituzioni della Pia Società Figlie di San Paolo, ed. 1953, art. 79.

3 Cf 1Cor 13,13.

4 Cf Mt 28,19: «…ammaestrate tutte le nazioni».

5 Cf Credo niceno-costantinopolitano.

6 Cf Ab 2,4; Rm 1,7.

7 Cf Gv 14,2: «Io vado a prepararvi un posto».

8 Cf Sant’Ignazio di Loyola, Esercizi Spirituali, n. 23.

9 Cf Rm 8,28.

10 Cf Mt 5,3-11.

11 Cf Mt 11,29.

12 E per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno di Maria Vergine e si è fatto uomo.

13 Cf Rm 8,11: «Per mezzo dello Spirito che abita in noi».

14 Cf Rm 5,5: «L’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori».

15 Modo di dire per significare: chiacchiere, sciocchezze.

16 Cf Lc 7,47: «Le sono perdonati i suoi molti peccati, perché ha molto amato».

17 Cf Simbolo degli Apostoli.

18 Brano ripreso da trascrizione precedente.

19 Cf Mc 9,24: «aiuta la mia incredulità».

20 Soprattutto.

21 Cf Le preghiere della Famiglia Paolina, ed. 1985, p. 156.

22 Cf Gv 3,18.

23 Cf Aeterne Rex altissime, in Breviarium Romanum, Inno del mattutino, proprio dell’Ascensione.

24 Cf Ef 4,8: «Condusse schiava la schiavitù» (Volgata).

25 Cf Mt 16,24.

26 Messa dell’Ascensione del Signore. In quel tempo in Italia la solennità si celebrava di giovedì.

27 Cf Oremus della Messa della IV domenica dopo Pasqua.

28 Cf Tt 2,11-13: «…nell’attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo».

29 Dossologia a conclusione della preghiera eucaristica.

30 Definizione del peccato data da S. Tommaso d’Aquino: “Scelta interiore contro Dio e volgersi disordinato, verso la creatura”. Cf Summa Theologiae III, q. 86, a. 4, ad 1.

31 Parola non certa.

32 Cf Mt 6,10: «Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra».

33 Cf Rm 8,17: «Se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di

Cristo».

34 Cf Lc 6,38.

35 Cf Mt 5,3.

36 Cf Mt 25,21.

37 Cf Mt 25,34.

38 Cf Gv 10,10: «…e l’abbiano in abbondanza».

39 Ave, o Stella del mare. Inno della liturgia delle ore, molto popolare, di autore incerto. Può essere certamente datato almeno al IX sec.

40 Cf Mt 20,4: «Andate anche voi nella mia vigna».

41 Cf 1Cor 3,8: «Ciascuno riceverà la propria ricompensa secondo il proprio lavoro».

42 Cf Eb 12,2: «Egli, di fronte alla gioia che gli era posta dinanzi, si sottopose alla croce».

43 Cf Mt 16,24: «Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua».

44 Cf 2Cor 12,15: «Per conto mio ben volentieri mi prodigherò, anzi consumerò me stesso per le vostre anime».

45 Pio XI, Achille Ratti (1857-1939), milanese, Papa dal 1922. Stipulò con l’Italia il concordato tra Chiesa e Stato (1929). È detto “il Papa delle missioni e dell’Azione Cattolica”. Di notevole rilievo il suo insegnamento sulla vita sociale con l’enciclica Quadragesimo anno e la promozione delle “Settimane sociali dei cattolici”.

46 Cf S. Agostino, Le Confessioni, I, 1.

47 Interruzione. Testo ricuperato da trascrizione precedente.

48 Cf Mt 22,37-39.

49 Cf Gv 14,23.

50 Cf Gv 15,9.

51 Cf Pr 23,26.

52 Cf Gen 3,4-5.

53 “La volontà sempre pronta a fare ciò che riguarda il servizio di Dio”.

54 Cf Lc 1,38.

55 Bernardo di Chiaravalle (1090-1153), abate e teologo francese, fondatore dell’abbazia di Clairvaux e di altri monasteri, Dottore della Chiesa.

56 Cf Bernardo di Chiaravalle, Discorsi sul Cantico dei Cantici, Disc. 15,6, in Breviarium Romanum, Sanctissimi Nomini Iesu, Matutinum, II Nocturno, Lectio 6.

57 Il trattato dell’amor di Dio o Teotimo insieme a Introduzione alla vita devota o Filotea, sono le opere principali di S. Francesco di Sales (1567-1622), vescovo di Ginevra, Dottore della Chiesa, fondatore dell’Ordine della Visitazione insieme a S. Giovanna Fremiot de Chantal (1572-1641).

58 Cf Rm 8,35: «Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada?».

59 Parola incomprensibile.

60 Hai dato loro il pane disceso dal cielo: che porta in sé ogni dolcezza. Versetto e risposta dopo il canto del Tantum ergo alla benedizione con il SS.mo Sacramento.

61 Parola non certa.

62 Cf Gal 2,20: «…mi ha amato e ha consegnato se stesso per me».

63 Cf 1Cor 13,13: «…la fede, la speranza e la carità. Ma la più grande di tutte è la carità».

64 Cf 1Cor 13,8: «La carità non avrà mai fine».