Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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II
OBBEDIENZA1


Ogni mattina rinnovare l’offerta di noi al Signore, rimettendoci pienamente nelle sue mani. L’offerta della Messa è l’offerta che Gesù fa di se stesso al Padre celeste in adorazione, in ringraziamento, in soddisfazione e in supplica. Egli è tutto nel Padre celeste. L’atto più perfetto, più alto del suo abbandono al Padre è stato nell’orto del Getsemani, quando eroicamente ha protestato: «Padre, non come voglio io, ma come vuoi tu: Non mea, sed voluntas tua fiat»2.
La suora, il religioso assistendo alla Messa, non lascino andare Gesù Cristo a morire da solo, ma lo seguano e cioè si offrano con lui al Padre celeste, accettando nella giornata tutto quello che egli permetterà nella sua sapienza, nel suo amore per noi. Accompagnare Gesù che va a morire, nell’abbandono al Padre celeste, accompagnarlo con Maria che sale il Calvario con il Figlio divino e lo offre al Padre, stando ai piedi della croce. Che desolazione, diciamo così per esprimerci, se Gesù, morendo sulla croce, e mentre si rinnova questa offerta sopra l’altare, fosse solo e non trovasse che coloro che assistono alla Messa si offrano anche loro! Vi è un modo, è il più intimo, che sorpassa in qualche maniera la formalità liturgica. E cioè: non soltanto offrire il Salvatore e Redentore, ma offrire noi. Allora la Messa ottiene il suo pieno frutto.
Ora veniamo a considerare l’eccellenza della virtù e l’eccellenza del voto di obbedienza. L’eccellenza si mostra particolarmente per quattro ragioni.
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1. Perché è unione con Dio. La santità sta proprio nell’unione con Dio e quanto più la nostra unione, il nostro abbandono in Dio è pieno, perfetto, tanto più andiamo avanti nella santità e quindi andiamo avanti nei meriti. Che cosa possiamo offrire al Signore di meglio della nostra libertà, e perciò della nostra volontà? Di meglio non abbiamo niente. Si preferiscano sempre più, perché sono più devote, quelle lodi e quegli inni che manifestano la donazione della volontà a Dio. Spesso si dice ‘cuore’, allora sta bene quando s’intende con la parola cuore anche il volere, ma sia soprattutto questo: la volontà in Dio. Questo è l’atto più meritorio: l’offerta della nostra volontà a Dio. Quando, tutti i giorni, tutti i momenti si fa l’offerta della nostra volontà a Dio e si uniforma la nostra volontà ai superiori, a Dio, allora c’è l’immolazione continua della nostra volontà. Mactatur voluntas3, non si uccide il Cristo, ma si uccide il nostro volere e lo si crocifigge continuamente in maniera tale che si può dire: «È migliore l’obbedienza che la vittima»4. Queste parole della Sacra Scrittura sono dette di Saulle che aveva offerto sacrifici senza obbedire, cioè senza aspettare che arrivasse il profeta, al quale spettava fare il sacrificio: «Melior est oboedientia quam victimae».
S. Francesco di Sales, in tutta la sua mitezza, prendendo le parole dei santi della Chiesa, dice: Uno muore abbastanza martire quando ha sacrificato in tutto la sua volontà. È abbastanza martire. Anzi aggiunge che è più martire, perché il martirio ordinario, quello che noi consideriamo ordinariamente, è una rinuncia alla vita fatta una volta, ma l’obbedienza è rinuncia a tutto, sempre. Specialmente se si è religiosi o religiose, si supera così il martirio ogni giorno, il martirio che dura un po’ di giorni, un po’ di tempo, o qualche momento.
2. Occorre considerare il secondo vantaggio dell’obbedienza: l’obbedienza è la madre, è la custode delle altre virtù. Perché? Perché è l’esercizio di carità, di amore di Dio. «Si diligitis
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me, mandata mea servate: Se mi amate mostratemelo con l’osservanza della mia volontà, dei miei comandamenti»5. E contiene tutte le virtù, in quanto noi offrendoci con l’obbedienza uniformiamo a Dio tutte le nostre facoltà, tutto il nostro interiore e tutto il nostro esteriore: lo spirito, il cuore, la memoria, l’immaginativa, e poi i sensi esterni che sono gli occhi, l’udito, la lingua, il tatto, ecc. Nell’obbedienza è tutto compreso.
Per l’obbedienza si osserva la povertà. Non dare nulla senza il permesso: Ma io faccio carità. Fai un atto di tua volontà.
Non mettersi nei pericoli riguardo alla purezza. Essere sempre in due quando si tratta ciò che riguarda l’apostolato. E quando si tratta di cose spirituali, si vada al confessionale, e anche per la direzione interna attenersi all’indirizzo dell’Istituto. Una volta fatto il proposito e ottenuta la benedizione di chi guida il vostro lavoro interiore, tutto è nell’obbedienza. Allora l’apostolato si esercita bene. E si incomincia dal mattino al segno della levata a fare un’offerta a Dio di noi stessi. Successivamente, la giornata ha le sue divisioni: sono assegnati i vari uffici, i lavori, gli impegni. Che cosa manca per dire: È una vita di perfezione quella del religioso, quella della religiosa? Questa è una comunione più perfetta della Comunione sacramentale, lo dico per la sua durata. La Comunione sacramentale è l’unione fisica con il Signore. La comunione di volontà è l’unione con Gesù ma, mentre la Comunione sacramentale dura finché sono consumate le specie eucaristiche, la comunione di volontà dura quanto dura l’obbedienza, quindi tutto il giorno, tutta la notte, tutta la settimana, tutto il mese, tutto l’anno, tutta la vita. Quindi questa comunione è perfettissima.
La persona obbediente è un’anima che vive sempre in Dio. Che cosa importa che faccia un lavoro o un altro, che faccia una conferenza o il catechismo ai bambini, che faccia una conversazione con un povero o una conversazione con una sorella, che adoperi la zappa, il pennello o la penna? Questo è nulla. Ciò che vale per tuo merito e per tua santificazione è l’obbedienza. Per obbedienza una adopera le sue forze fisiche: forse sbuccerà le patate, mentre per obbedienza l’altra adopererà le
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forze intellettuali, il sapere che ha ricevuto dalla Congregazione. Guadagna molto di più chi tranquillamente, serenamente è nell’obbedienza di chi volesse fare eccezioni e cose meravigliose fuori dall’obbedienza, le quali, in fondo, non sarebbero che disobbedienze. Fare invece quello che è disposto.
Bisogna poi notare ancora che nell’obbedienza sono custodite tutte le virtù, perché l’obbedienza si fonda nell’umiltà, nell’umile sottomissione. Quando c’è questa disposizione di cuore la preghiera è accolta da Dio, è esaudita. L’umile sottomissione ci fa imparare infinite cose. Il Maestro Gesù diviene il maestro dell’anima: «Ti rendo lode, o Padre, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai prudenti e le hai rivelate ai piccoli, agli umili»6. Chi resiste all’obbedienza resiste a Dio, poiché non c’è potere, autorità all’infuori di Dio, e chi resiste al comando resiste a Dio. E allora anche quando prega, quando ha bisogno: «Deus superbis resistit: Dio resiste al superbo»7. E questo perché non è stato nella sua semplicità, nella sua umiltà, nel suo spirito d’obbedienza, che esprime l’umiltà del cuore.
Non fare resistenza a Dio, no, non vogliamo, ma non bisogna neanche far resistenza alla sua volontà. D’altra parte l’obbedienza porta una grande sicurezza. Non sono così sicuri i superiori di comandare bene, com’è sicura la suddita di far bene a obbedire. Colui o colei che obbedisce, quando si presenta al Signore per il giudizio, dovrà solamente rendere conto di ciò che le era stato comandato o disposto. Il giudice farà una sola domanda. Ma chi dispone e chi comanda, specialmente se deve disporre e comandare a molti, dovrà dare una seconda risposta: Hai comandato bene? La prima è se ha obbedito, e la seconda se ha comandato bene, se ha disposto in meglio, per quanto sapeva, in ordine alla santificazione e all’apostolato.
La vita della persona obbediente è serena, sicura, e la morte tranquilla, perché ha fatto quello che voleva Iddio. Quando l’operaio o l’impiegato fa ciò che ha ordinato il padrone si presenta volentieri, sa di ottenere l’approvazione. Solamente a questa condizione uno è buono: quando è stato obbedien-
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te e ha fatto ciò che era ordinato. Allora può dire: «Cursum consummavi»8, tutto quello che dovevo fare l’ho fatto. E poi? La corona di giustizia. Quando una è obbediente le prosperano le cose in mano. Noi abbiamo sempre un gran timore, cioè che «i primi siano gli ultimi e gli ultimi siano i primi»9, nel senso che intendo dare in questo momento alle parole.
Vi è ancora da aggiungere un’osservazione. L’obbedienza rende belle, preziose le azioni della giornata: il riposare di notte e il ricrearsi di giorno; il cibo che si prende e l’apostolato che si esercita; qualunque ufficio e qualunque cosa debba fare la persona, sia per se stessa, sia per la comunità, nel senso che tutto è voluto dal Signore ed è conforme al volere di Dio. Anche le cose più semplici sono indorate dall’obbedienza. Vi sono azioni che si mettono in vista, cose che sembrano di grande valore, di grande estimazione davanti agli uomini. Oh, come ci appariranno diverse al giudizio di Dio, anzi in punto di morte! La nostra bilancia è falsa: «Statera dolosa in manibus hominis»10, la nostra bilancia è falsa: stima le cose che riempiono l’occhio, riempiono l’orecchio, riempiono l’ammirazione degli altri.
Il Signore ama il Bambino che dormiva nella grotta sopra un po’ di paglia, in quella povertà estrema. Quando Gesù ha ricevuto il battesimo nel Giordano e si è messo nel numero dei peccatori che andavano a ricevere il battesimo di penitenza, e il Padre celeste si è compiaciuto. Il fatto di mettersi nel numero dei peccatori, egli santissimo, è un atto di umiliazione grande più che mettersi tra due animali nel presepio. Gli animali sono innocenti, i peccatori sono macchiati davanti a Dio. Gesù ha fatto quell’atto di estrema umiliazione. Il Padre celeste, possiamo dire, ha voluto mostrare la sua compiacenza mentre Gesù usciva dall’acqua e si metteva in ginocchio a pregare. Ecco, dice il Vangelo: «Si aprirono i cieli e comparve lo Spirito Santo sotto forma di colomba e la voce del Padre si fece sentire: Questo è il Figlio che mi piace: in quo mihi bene complacui»11.
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Quante volte il Padre celeste si compiace di chi zappa, di chi scopa, di chi fa la cucina, di chi sta facendo il bucato, la rammendatura, ecc., e non posa lo sguardo di compiacenza su coloro che forse con meno umiltà compiono altri uffici che sembrano più meritevoli di lode, di stima davanti agli occhi. Quante volte, quando sono all’altare, penso che forse il Signore guarda con più compiacenza chi ascolta la Messa, che me che la celebro. Così quando predico, penso che il Signore guardi con più compiacenza quelli che ascoltano umilmente, anziché chi predica cercando di dire quello che deve dire a nome del Signore.
Divina obbedienza che oggi non è più stimata come una volta! Si stima la personalità di chi pensa da sé e sa condursi nella vita. Ma la personalità unica e veramente santa è la personalità in Cristo Maestro, cioè nell’obbedienza.
Un altro errore gravissimo riguardo all’obbedienza è questo: il superiore in tanto è ascoltato in quanto ha prestigio, non in quanto rappresenta Dio. Prestigio, cioè che è istruito, che è garbato, che comanda bene, che piuttosto prega anziché dare disposizioni, uno che sa far bella figura, che sa parlare bene. E se domani ne viene un altro che non ha la voce così bella, né la presenza così bella, né la scienza così sviluppata... Sull’autorità di Dio bisogna obbedire!
Veniamo alla pratica. L’obbediente deve possedere tre cose: la sua obbedienza sia soprannaturale, sia universale e poi integrale.
Primo. Obbedienza soprannaturale: nell’obbedire intendere di sottomettersi a Dio. Chi comunica l’obbedienza lo fa a nome di Dio. Chi è superiore non dice cose sue ma comunica il volere di Dio. S. Ignazio dice che è come un tale che porta i decreti del re, del governo. I decreti, le disposizioni, le leggi sono di chi governa, egli le porta e le comunica e niente più. Chi esegue la legge e si sottomette al decreto non si sottomette a chi ha portato il foglio o a chi ha comunicato a voce i voleri di chi guida, di chi regna. No, non ci pensa neppure. Chi esegue, esegue gli ordini del re, l’ordine di chi ha disposto. Il superiore è come un altoparlante, il quale trasmette la voce di colui che predica e non di più: è un esecutore materiale. S. Ignazio lo
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chiama il luogotenente. Obbedire al Signore, questo è voler fare un’obbedienza soprannaturale. Primo, perché considera l’autorità di Dio. Secondo, perché si appoggia alla grazia di Dio, perché a volte l’obbedienza è durissima, è durissimo piegare specialmente il giudizio. L’esecuzione esterna è più facile che riesca, ma il giudizio è difficile. Terzo, occorre farla con semplicità, come se si obbedisse al Signore, senza tante eccezioni, senza tanti non vorrei, proprio se... lo farò.... Non cercare sotterfugi. Neppure cercare la maniera che ci ordinino come vogliamo noi.
Talvolta si obbedisce «ad oculum servientes»12, dice S. Paolo. Questo è male: obbedite come a Cristo. Parlando dei servi e degli operai S. Paolo dice: Non tanto per timore che vi manchino le paghe, ma «propter conscientiam»13, cioè per farvi un merito. Obbedite ai vostri padroni «tamquam Christo: come a Cristo»14, anche se a volte sono troppo severi ed esigenti. Egli porta un paragone per farci capire come la nostra obbedienza non deve essere come «ad oculum servientes», ma vera, sincera, profonda sottomissione.
[Secondo.] L’obbedienza deve essere universale. Questo mi piace, e quello non mi piace. I superiori a volte sono obbligati a domandare al suddito: Vorresti fare questo? Vorresti fare quell’ufficio? Vorresti andare nel tal posto? Vorresti... Cioè: giacché sei attaccata alla tua volontà, esprimila ed io mi assoggetto. Il superiore si assoggetta ad accontentare. È vero che il sacerdote, quando è vero sacerdote fa anche il voto di servizio delle anime, ma poi nella pratica non s’intende così. Non che si debba assoggettare al volere, no: deve disporre, disporre per obbedienza e che l’anima debba servire in quell’ufficio che per lei è più producente.
Se per caso avvenisse che noi non fossimo per niente stimati, o che una persona non venisse capita, oppure le sue attitudini e qualità non fossero abbastanza considerate, e rimanesse nell’oscurità per tutta la vita, stiamo sicuri che quella
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sarà ben gloriosa in paradiso se ha accettato tutto in spirito di obbedienza, e nella santa umiltà si è uniformata a chi guidava. Oh, come risplenderà gloriosa in paradiso! Noi passeremo di meraviglia in meraviglia a vedere quello che è la vera virtù da quello che è solo splendore di virtù. Sì, c’è chi fa splendere le poche virtù che ha e c’è chi le sa dissimulare, e allora al giudizio di Dio sentiremo dire: «I primi saranno gli ultimi, e gli ultimi i primi». Obbedire in tutto, obbedienza universale. E che cos’è se si sa fare qualche cosa, se si sa scrivere qualche pagina più o meno dotta o qualche lavoro distinto! Credersi di più di chi prepara la tavola? E che cos’è sdegnare gli uffici umili: Va’ tu a lavorare! Andrà lei, ma i meriti saranno suoi. Pretese di mille riguardi!
[Terzo] Inoltre l’obbedienza deve essere integrale, che significa, in primo luogo, fatta volentieri cioè: «Hilarem datorem diligit Deus»15. Il Signore ama chi è pronto. Quando i carnefici hanno comandato a Gesù di inginocchiarsi e stendersi sulla croce che egli stesso aveva portato, ha continuato ad avere il volto sereno. Come la Vergine aveva disteso le sue manine allorché era Bambinello, e gli baciava devotamente le mani, così egli ha disteso devotamente, semplicemente, in obbedienza, le sue mani. E se invece del bacio della Vergine c’era il chiodo che veniva battuto fortemente dal carnefice, egli continuò nella sua serenità. Vedeva il Padre celeste, soltanto la volontà del Padre celeste. E tanta era la sua serenità che appena sollevato sulla croce alla vista di tutti, non si preoccupò di sé, ma dei poveri carnefici, pregando per loro: «Perdona loro perché non sanno quello che fanno»16. Si preoccupava del loro peccato, peccato che da parte dei carnefici è da presumere che fosse solo materiale, ma quelli che veramente avevano peccato mortalmente, erano quelli che maliziosamente lo avevano condannato.
Volentieri! Volentieri! Ubi amatur non laboratur: Quando si fa volentieri non si sente il sacrificio17. Quando invece non si fa volentieri, non si sa sottomettere la propria volontà, allora
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tutto è pesante e il religioso finisce con l’essere un criticone. Uno che fa per forza, fa più fatica, soffre e perde i meriti dopo aver lavorato. Siamo almeno furbi! Giacché ci tocca soffrire, ci tocca sottometterci e rinunciare a certe nostre volontà, a certi nostri desideri, guadagnare almeno per l’eternità. Non perdiamo il merito sulla terra e la gloria in cielo. Dunque fare volentieri l’obbedienza. Ma non mi piace! In Gesù Cristo ti piacerà. Prega, offriti di nuovo, rinnova la professione e dopo, con un buon rosario, con un bacio a Gesù che è sulla croce, sentirai una luce nuova e una forza nuova. Quindi anche quello che ti pareva così duro ti sembrerà più semplice, e anche se lo compirai con le lacrime agli occhi, quelle lacrime saranno le gemme che orneranno la tua corona, purché il cuore segua, cioè nel cuore s’intenda obbedire.
Poi la nostra obbedienza ha ancora da essere un’obbedienza illuminata. La faccio per Dio? Non cerchiamo troppe ragioni umane. Quante volte il volerci persuadere, il volerci convincere, ecc., fa perdere molto merito. Una cosa sola: Piace a Dio? È chiaro che piace, perché mi fu ordinato, dunque piace anche a me. Ci arriviamo fino lì? Ma non capisco perché l’abbiano ordinato proprio a me, perché l’abbiano detto così... E allora se non capisci entra nella perfezione: solo per il Signore, sempre per il Signore, in tutto per il Signore. Il merito sarà più grande. Perché noi diciamo: un Dio solo in tre Persone. E chi capisce? Ma il merito sta lì, nel credere al mistero. E nell’obbedienza chi capisce sempre i motivi? Ma il merito sta nel sottomettere la volontà, non nel capire, perché il capire, il voler ragionarci sopra, voler chiedere spiegazioni molte volte diminuisce il merito. Prontezza quindi, prontezza!
Poi ubbidienza a tutti quelli che sono preposti ad un ufficio in cui ci sono altre persone che dipendono da loro: chi va a scuola alla maestra, al maestro; chi è in un reparto a chi sta a capo del reparto. E quante volte bisogna star sottomessi alla cuoca che questa volta ha pensato di fare quella tal vivanda! A volte bisogna star soggetti a persone che, o si trovano in circostanze differenti o altro, e cambiano gli orari, dispongono diversamente. E poi vi è sempre questo: chi è delicato trova sempre modo di obbedire anche quando sembra che comandi;
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chi invece non è delicato, mostra un po’ del suo volere e magari del suo capriccio.
Allora veniamo a questo: Mi hanno detto di dare qualche ricordo per gli Esercizi e di chiudere. Chiudiamo così. L’obbedienza continuata. Immessi nella Congregazione come è detto di Gesù: Nec velle nec nolle: Né volere, né non volere, ma quello che è detto. La religiosa non deve avere né il velle né il nolle. Vediamo di essere tutti nella serenità dell’obbedienza. Non stare a guardare gli altri: Quando avrai l’ufficio lo farai, se non l’hai, guarda te stessa. Chi ti ha messa superiora? L’ufficio di guardare gli altri è come un altro ufficio, ma quando tale ufficio non viene affidato dall’obbedienza non dobbiamo osservare gli altri, ma noi stessi. Non dimenticare noi per far camminare meglio gli altri. Lo stare a guardare gli altri tante volte significa non fare il nostro dovere, la nostra parte, il nostro ufficio.
Il Signore ci dia la grazia di essere veramente religiosi. Tutto il nostro essere in Dio, perché possa disporre sempre, continuamente in ogni cosa come gli piace, come è meglio per la sua gloria. Che l’Istituto possa disporre di noi anzitutto secondo il maggior vantaggio dell’Istituto e poi, secondo il maggior vantaggio per l’anima nostra, perché il primo è il bene comune e il secondo è il bene individuale.
Si concluda quindi con un’offerta al Signore di tutto il nostro essere: Signore sono vostro, chi sta nelle vostre mani sta in buone mani, mi dono tutto a voi: «In manus tuas, Domine, commendo spiritum meum»18. Ora, domani, tutta la vita, in morte. E siccome la volontà di Dio è di glorificarti in paradiso, allora abbandonati in Dio, si entra nel gaudio: «Intra in gaudium Domini tui: Entra nella gloria, nella beatitudine del Signore tuo»19.
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1 Predica tenuta a Grottaferrata (Roma) il 22 gennaio 1957 durante il corso di Esercizi spirituali. Trascrizione dattiloscritta, di cui non è stato conservato il nastro, carta comune, fogli 8 (22x32). L’autore e la data sono stati aggiunti a mano. Esiste un dattiloscritto successivo.

2 Cf Mt 26,39.

3 “Per oboedientiam mactatur propria voluntas: Mediante l’obbedienza si offre in sacrificio la propria volontà”. Cf S. Gregorio Magno, Moralia in Job, libro XXV, cap. 10 citato da Tanquerey nel Compendio di teologia ascetica e mistica, n. 1069, nota 2.

4 Cf 1Sam 15,22.

5 Cf Gv 14,15.

6 Cf Lc 10,21.

7 Cf Gc 4,6.

8 Cf 2Tm 4,7: «Ho terminato la corsa».

9 Cf Mt 19,30.

10 Cf Pr 11,1.

11 Cf Mt 3,17.

12 Cf Ef 6,6: «Non servendo per farsi vedere».

13 Cf Rm 13,5: «…per ragioni di coscienza».

14 Cf Ef 6,7.

15 Cf 2Cor 9,7: «…Dio ama chi dona con gioia».

16 Cf Lc 23,34.

17 S. Agostino d’Ippona, De bono viduitatis, 21,26.

18 Cf Lc 23,46: «Padre, nelle tue mani, consegno il mio spirito».

19 Cf Mt 25,21.