Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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IV
MARIA E LA POVERTÀ1


Maria è la prima suora, e ieri sera abbiamo considerato: Maria e l’obbedienza, adesso consideriamo: Maria e la povertà.
In questi giorni è stato radunato a Roma un Congresso2, si è fatta un’adunanza delle superiore e l’argomento è stato: La povertà religiosa. La povertà religiosa che fine ha? La povertà religiosa ha il fine di attaccarci a Dio, cioè di cercare il massimo bene. Vi amo con tutto il cuore, sopra ogni cosa, …Bene infinito e nostra eterna felicità.
Questa è la parte positiva della povertà, che non è un privarsi soltanto di certe cose e della libertà di amministrare. La povertà nel suo spirito soprannaturale, giusto, inteso dal Vangelo, la povertà praticata da Maria, è cercare la massima ricchezza, il sommo bene, l’eterno bene che sarà la nostra felicità. Il cuore quando si attacca al Signore, delle altre cose che conto farà? Delle altre cose farà questo conto: in quanto mi servono per amare, conoscere, servire meglio il Signore, cioè le altre cose sono in uso.
Quando il medico ha da fare un’operazione, vuole che la persona, la paziente si liberi da un male e riacquisti la salute, riabbia la salute. E allora volendo che questa persona ritorni a possedere la salute buona, taglia, toglie ciò che è male. Poi, con sapienza medica, sa dare quei rimedi, stabilire quella convale-
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scenza, ecc., che è necessaria, perché l’inferma abbia di nuovo buona salute. Il fine è di ridare la salute, la vita in sostanza, la conservazione della vita e non solamente la vita, ma il miglioramento della vita. E allora che cosa fa? Allora taglia quello che è necessario, adopera un ferro e ne adopera un altro, e non casualmente! Ecco, tutto è in uso: i ferri sono in uso e tutto quello che si fa durante l’operazione ha come fine la salute della paziente.
Così noi, volendo la salute eterna, cioè la salvezza eterna, volendo arrivare al sommo bene che è Dio, dirigiamo il nostro cuore, le nostre mire, i nostri desideri, i nostri sforzi verso il sommo bene. Delle altre cose che sono sulla terra facciamo uso, perché sono in uso, quell’uso che è necessario fare per assicurarci l’eterna salvezza, per arrivare a un posto più alto possibile in paradiso, per conquistare il Signore, il sommo bene. Quindi, prima ancora di venire alla parte negativa: togli, mortificati, si deve lavorare sulla parte positiva: voglio Iddio, sommo bene. Se il cuore si innamora di Dio, se il cuore è teso verso lo Sposo celeste, le altre cose si adoperano in quanto ci servono a meglio conoscere, a meglio amare, a meglio servire Dio, e solo in questo senso. E si lasciano quando impediscono, e allora se ne fa un’offerta al Signore, e il nostro sacrificio assicura il conseguimento più ampio e più sicuro del sommo bene.
Gli attaccamenti sono sempre in dipendenza dal non amare abbastanza Gesù, di non amare abbastanza il sommo bene che è Dio, di non avere il cuore abbastanza teso verso il Signore. Perché quando si cerca proprio Iddio, non ci si attacca a nulla, le cose si adoperano con indifferenza se servono, e si lasciano se impediscono, pur di arrivare sempre al sommo bene, l’eterna felicità. Vi sono persone che nella povertà vedono solo il sacrificio. No, la povertà suppone un grande amore a Dio, l’anima tesa verso il sommo bene. E allora quello che è imposto dalle Costituzioni, dalle regole viene spontaneo. L’anima si libera da ciò che ostacola il suo cammino, si libera da ciò che trattiene il suo volo verso il Signore. La povertà viene spontanea e se non si parte da lì, non si è tesi verso Dio, non si parte mai per il cammino della santità. Quindi il Signore al giovane che gli
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chiedeva che cosa dovesse ancora fare oltre l’osservanza dei comandamenti, che cosa dovesse ancora fare per conseguire l’eterna salute, cosa disse? Non disse prima: «Vieni e seguimi», quello viene dopo. Ma: «Va’, vendi tutto, danne il prezzo ai poveri, poi vieni», che vuol dire: Esci dalla tua famiglia, non pensare più alla tua famiglia, e seguimi, che vuol dire obbedisci, cioè, segui i miei esempi, segui i miei comandamenti, segui i miei consigli: «Vieni e seguimi»3.
Liberare il cuore dagli inciampi, dagli attaccamenti, da quelle cose che impediscono il libero volo. Allora le anime che sono attaccate a Dio, trovano che è perfino poco quel che si richiede dalle Costituzioni, dalle regole. Sì, è poco, però si suppone che l’anima divenga indifferente. Indifferente alle cose della terra, cioè i soldi, gli abiti, l’abitazione, il vitto, le medicine, le cure, ecc., sono allora semplicemente in uso per conseguire il sommo bene.
Però che cosa avviene? Avviene che è in uso il cibo, ma la golosa tende a sovrabbondare, ad abusare; quindi mortificarsi. Intendo prendere quello che bisogna prendere per potersi conservare in vita e poter così lavorare per Dio e conseguire il sommo bene. E qualche volta quel che si deve prendere dispiace, come un’operazione, come una medicina, e come certe cure, il sottoporsi a certe visite che a volte per una suora sono un vero sacrificio, sì; ma le fa queste cose per il Signore. Quindi certi cibi, certe medicine si prendono con indifferenza per conseguire il sommo bene. Ma quando poi si è preso il necessario, il resto si rinnega, non perché soddisfa il gusto, anzi si cerca sempre di trovare qualche piccola occasione per mortificare un po’ se stesse in questo. Allora ecco l’indifferenza: prendere ciò che è necessario e fare un sacrificio di ciò che non è necessario, che non è utile.
Conservare la salute, che serva a operare per il Signore nella preghiera e nell’apostolato, nel lavoro spirituale e nel lavoro per gli altri. Ecco viene l’indifferenza, tuttavia anche lì, mentre il cibo è in uso, la tavola è in uso, la cucina è in uso, la medicina è in uso, potrebbe esserci qualche abuso, qualche
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attaccamento. E quando si vive con il cuore in cucina, dice quel libro, ci si pensa prima e si soddisfa con voracità il gusto quando si è a tavola, e dopo si pensa a quel che si è mangiato e a quel che non si è mangiato, si vive in cucina, dice quel libro. Allora la teologia morale dice che ci sono sei modi di violare in questo la santa indifferenza; sei modi per conservare un attaccamento che non è giusto perché tutto è in uso e solo in quanto è in uso si prende.
Così l’abito. Ecco perché la suora, come è regolata nel cibo, viene anche regolata nel vestito: l’abito comune, affinché l’ambizione non operi come opera sulle signorine, come opera sulle signore del mondo, che tante volte pensano più al vestito che non a Dio. Allora, da una parte occorre mortificarsi nel portare quell’abito, quindi rispetto e delicatezza che è necessaria, e d’altra parte mortificare l’ambizione, perché non ci sia la libera scelta, ma l’uso. L’abito poi serve anche per osservare la delicatezza.
Così bisogna dire delle abitazioni: di tutto si può abusare. Vi sono persone che non sono mai contente riguardo a quello che l’Istituto provvede e a quello che le Costituzioni permettono. L’uso, non l’abuso. L’uso in quanto le cose ci servono per Dio, e ce ne priviamo in quanto ci impediscono. Ciò che è da farsi è conquistare Dio, sommo bene. Ecco il pensiero fondamentale sulla povertà. Quel tale che cercava perle preziose, venne a conoscerne una la quale era preziosissima, di altissimo valore. E allora, che cosa fece? Allora andò a casa, vendette quel che aveva, mise insieme tutto quel che poteva avere, ed ebbe la somma sufficiente per comperare quella perla preziosissima; la comprò e fu ricchissimo4.
La suora ha scoperto il cielo, ha conosciuto Dio sommo bene, degno di esser amato e servito, ha conosciuto Dio che è la sola felicità dell’uomo. E che tutto il resto è afflizione di spirito, è turbamento e preoccupazione inutile, allora la suora lascia tutto, lascia tutto per acquistare Dio, Dio. Questo è il fondamento della povertà.
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Quei piccoli attaccamenti, quelle preferenze, quella esagerazione che può riguardare o l’ambizione o la sensualità o la golosità, ecc., quello è tutto impedimento ed è un segno che si ama poco il Signore. Non si è ancora arrivati a dire: Dio mi basta: Deus meus et omnia5, notando che per il diavolo fa lo stesso condurci sulla via cattiva, per mezzo di una corda grossa o per mezzo di un filo sottile: basta che ci conduca al male. A volte il cuore resta tenuto un po’ lontano da Dio, non perché si è nella possibilità di grandi ricchezze, ma perché ha quei piccoli attaccamenti, quei fili. E allora l’uccello non si libra liberamente nell’aria se il bambino lo tiene fermo con un filo che ha legato alla gambetta. Suore che non si elevano verso Dio perché hanno dei piccoli attaccamenti.
Liberarsi! Perché poi una cosa tira l’altra. Da principio Giuda, che era economo, non pensava di arrivare un giorno a tradire la sua vocazione e, disperato, a darsi la morte appiccandosi ad una pianta e perdersi eternamente. Ma cominciò ad attaccare il cuore a qualche cosina, a qualche soldo, a qualche denaro, e poi visto che gli andava bene, una cosa tira l’altra, non per malizia, ma perchè si illudeva che fosse cosa da nulla, e aver messo da parte qualche cosa gli sarebbe stato utile forse in avvenire. E dove si finisce? A volte si vive per noi, contenti ed esigenti in piccole cose che poi sono legami del cuore. Vigilare, perché finchè il cuore non è libero da tutto, non può essere di Dio soltanto. Allora non si fa quasi nessun progresso nella virtù.
Che cosa dici parlando di Dio sommo bene, del paradiso? Ma queste hanno sempre il pensiero teso a star bene anche qua. E vogliono anche il paradiso, sì, ma non sanno liberarsi dalle cose, dalle tendenze vane, ambiziose, dallo spirito di comodità, dal soddisfare il gusto e dal privarsi di certe cose, dall’obbligo di chiedere i permessi. E un po’ di amministrazione libera la vogliono conservare, e soddisfarsi un po’ in questo: con i regali che vengono loro fatti; con il preferire certe volte che la famiglia stia bene e che abbia certe soddisfazioni e che sia loro riconoscente. Quante cose! Siamo di Dio o siamo an-
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cora della famiglia? O siamo, ancora peggio, schiavi della gola o del senso o dell’ambizione o dell’orgoglio che non vuole sottomettersi neppure a chiedere le cose necessarie, o a domandare i permessi, o in altri abusi?
Ora dovremmo parlare della Madonna. Il suo cuore era teso verso Dio. La sua casetta era povera, non pensate che avesse tappeti e tutte le comodità. Il suo cibo era modesto: non pensiamo all’economia. Tutto il suo abbigliamento, il suo vestito, il lettino, tutto povero. È un’illusione volere il paradiso, illuderci che lavoriamo per il paradiso, mentre nelle nostre cose poi si introducono certi fili di amor proprio che non si sanno scoprire, ma sono proprio quelli che sovente finiscono con il tenerci un po’ lontani dalla santità. All’estremo non si andrà subito, certo non si farà come Giuda che poi decise di vendere Gesù, perché pensava: Trenta denari sono pur qualche cosa. Vendere Gesù! Non sappiamo dove ci può portare un attaccamento, e specialmente, anche se non si va all’estremo, come raramente avviene, ma può avvenire qualche volta, per quello star sempre indietro nella santità, privarsi di tanti meriti, diventare indifferenti all’amore di Gesù, fino a ciò che qualche volta si chiama aridità.
Ma di aridità ce ne sono di due specie: ce ne sono di quelle che sono prove di Dio, perché ci facciamo più meriti, e ci sono quelle che dipendono dalla nostra colpa, dalla nostra colpa. Perché tante volte non si ha il gusto della meditazione, il gusto dell’esame di coscienza, particolarmente il gusto della Visita? Bisogna che si faccia allora una ricerca su ciò che domina l’anima, su quello che domina il cuore. Ecco quindi la povertà: sempre domandare a Gesù che è poverissimo che faccia il nostro cuore simile al suo; sempre domandare a Maria che è poverissima, che faccia il nostro cuore simile al suo che cercava solo Dio. Sempre domandare a S. Giuseppe che ci faccia come egli era. Spirito di povertà. Ecco! Allora quali sono gli esempi da seguire? Gli esempi da seguire sono quelli di Gesù là al banco del lavoro. Sono gli esempi di Maria che filava la sua lana e faceva tutte le faccende di casa, secondo l’uso delle donne di quei tempi, in spirito di povertà, sempre guardando a Dio, sempre guardando a Dio. Adoperava tutto quello che
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aveva in casa, dai piccoli e poveri mobili a quello che riguardava il cibo, ecc., in vista di acquistare meriti per l’eternità, a conquistare Dio. Guardare a S. Giuseppe. Ecco gli esempi che dobbiamo seguire.
Non le vanità del mondo, perché il mondo è tutto nel maligno: «Mundus totus in maligno positus est»6, ha detto il Salvatore. Il mondo cerca di farci pensare al presente. E quelli che seguono il mondo si chiamano mondani, perché cercano solo il mondo presente. Invece le anime di Dio cercano Dio. La vita presente serve in quanto si acquista più merito, in quanto si conquista più facilmente Dio e lo si godrà più abbondantemente.
Ecco la conclusione riguardo alla meditazione sulla povertà: vedere se seguiamo la parte positiva, cioè se cerchiamo Dio con tutto il cuore sopra ogni cosa, Dio sommo Bene.
Poi, se piacerà al Signore, parleremo anche della parte negativa.
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1 Predica tenuta ad Albano il 10 novembre 1957 durante il corso di Esercizi spirituali. Trascrizione da nastro A6/an 37b = ac 62b. Stampata in RA, 12 (1957) 1-4 insieme alla successiva con il titolo: Povertà religiosa.

2 In vista del “Secondo Congresso generale degli istituti di perfezione” (Roma, 8-14 dicembre 1957), probabilmente a Roma le superiore generali si incontrarono per prepararsi all’evento (cf G. Liévin-J. Torres, Congressi degli Istituti religiosi e secolari in Dizionario degli Istituti di perfezione, Vol. II, a cura di G. Pelliccia e G. Rocca, Edizioni Paoline, Roma 1975, pp. 1593-1594). Dopo alcune ricerche, si è avuto conferma che di queste riunioni non sono stati pubblicati gli atti.

3 Cf Mc 10,21.

4 Cf Mt 13,44-46.

5 Cf med. 20, nota 8.

6 Cf 1Gv 5,19: «Tutto il mondo sta in potere del maligno».