Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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5.
OBBEDIENZA DELL'ANIMA CONSACRATA

La persona che si consacra al Signore segue l'esempio di Maria, la quale si era donata tutta al suo Dio, interamente. Tutto il suo essere apparteneva al Signore, particolarmente la volontà, nella disposizione totale di compiere sempre quello che piaceva a Lui.
Noi guadagniamo tanti meriti quanto più siamo di Dio, quanto più restituiamo, offriamo e adoperiamo a suo servizio le grazie, i doni, i talenti che il Signore ci ha dato. Ora tra i doni che il Signore ci ha dato il più prezioso è quello della volontà: donare al Signore la libertà. Vi è chi dona al Signore la sua volontà nell'osservanza dei comandamenti e vi è chi dona al Signore la sua volontà anche nell'osservanza dei consigli evangelici, il che è più perfetto.
La vita del buon cristiano si può paragonare a un frutto prodotto da una pianta. Le opere buone sono frutti prodotti dall'uomo, dalle persone, e questi frutti vengono offerti a Dio. Supponiamo che uno faccia la Comunione, che si impegni in un lavoro, che eserciti la carità: tutto questo è frutto che si offre al Signore. Ma chi si consacra a Dio offre anche la pianta, non solo il frutto; cioè tutto il suo essere viene ad appartenere a Dio, il Signore domina totalmente l'anima che gli è consacrata, la domina perché è sua. È sua non solo per creazione, ma perché ella si è fatta come serva o schiava di Dio, fino al punto non solo di fare quello che è strettamente di obbedienza, ma di sottomettersi al Signore non scegliendo più lei il bene da farsi, ma accettando quello che è disposto, ordinato. Una giovane che non appartenga agli Istituti Secolari, o che non sia religiosa, può cercarsi un apostolato o un altro, un direttore spirituale o un altro.
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Quando invece si appartiene a questi Istituti e si è consacrati a Dio, la scelta del confessore viene fatta col consiglio di chi guida l'Istituto, non per le confessioni settimanali, ma per le confessioni abituali, perché può essere che tante volte, nella settimana, una debba confessarsi cambiando confessore. Così le pratiche di pietà dovranno essere quelle che sono stabilite nell'Istituto. Il bene è già determinato. Se è determinato che si fa la Visita al SS. Sacramento, che in alcuni casi si fa anche in casa alla presenza del Crocifisso, è bene fare secondo quanto è determinato. Qualcuno può pensare di fare un'altra pratica più meritoria; invece non c'è merito maggiore di quando si fa una pratica di pietà che è stata determinata. Così si fa il doppio merito dell'adorazione e il merito dell'obbedienza. E si acquistano così, due meriti, perché si esercitano due virtù: la virtù della pietà e la virtù dell'obbedienza.
L'obbedienza è la virtù che ci rende cari al Signore, perché con essa ci disponiamo a fare sempre quello che piace a Dio. La vita religiosa è una imitazione più perfetta, più completa della vita di Gesù Cristo. Come si è comportato Gesù Cristo? Egli ha detto: «Quae placita sunt ei facio semper»: faccio sempre quello che piace al Padre celeste (Gv 8,29). L'anima consacrata a Dio piacerà sempre di più al Signore, quanto più imita Gesù in questo: far sempre tutto e solo quello che piace al Padre celeste.
Il Figlio di Dio s'incarnò per obbedienza nel seno di Maria; per compiere la volontà del Padre celeste il Figlio di Dio nacque in una grotta, nella povertà; il Figlio di Dio si fece bambino, quindi affidato alla cura della Vergine Santissima a cui sottostava e da cui dipendeva in tutto. Ammirare allora, nella casetta di Nazaret, come Gesù era subditus illis (Lc 2,51), era soggetto a Maria e a Giuseppe, come era servizievole, come era pronto a tutte le disposizioni della madre e del padre putativo, san Giuseppe. Andò avanti così per trent'anni nella vita privata, nell'obbedienza totale.
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Quando poi Gesù incominciò la vita pubblica, ecco, compì perfettamente ciò che piaceva al Padre celeste; compì perfettamente il suo ministero per la durata del tempo e nella maniera e nelle circostanze che piacquero a Lui. E compiendo sempre la volontà del Padre, ecco che il Padre celeste approvò: «Questo è il mio figlio diletto nel quale mi sono compiaciuto» (Mt 3,17).
Nessun'anima piace così al Signore quanto quella che compie sempre il volere di Dio. Volere di Dio anzitutto nella scelta della vocazione. Il volere di Dio, inoltre, può essere la sottomissione a quei superiori o in famiglia, o fuori famiglia, che s'incontrano. Il volere di Dio si manifesta nelle circostanze. Se per esempio viene un male, il volere di Dio è che in quel tempo sopportiamo le nostre pene. Può essere che viviamo in mezzo a persone che non ci sano gradite, persone anche contrarie, ostili, persone di carattere così diverso dal nostro: la volontà di Dio è che accettiamo quella situazione. Compiere la volontà di Dio è accettare la nostra condizione di povertà, di lavorare e di guadagnarci il pane col sudore della fronte. Il Papa nella sua Costituzione per le suore, anche di clausura, dice che devono lavorare e in quanto possibile guadagnarsi il pane col sudore della loro fronte. Nessuno è dispensato da questa legge naturale: è volontà di Dio. «In sudore vultus tui vesceris pane»: mangerai il pane col sudore della tua fronte (Gen 3,19). L'obbedienza, la sottomissione, l'abbandono in Dio.
Iddio può condurci per tante vie; alle volte ci lascia perfino cadere nello scrupolo e alle volte c'impone delle cose che sembrerebbero non utili per la nostra santificazione, quasi un impedimento. L'impossibilità di fare la Comunione perché si sta male, l'impossibilità di recarsi in Chiesa, sembrerebbero impedimenti alla santificazione. Ma se tale è il volere di Dio, non c'è di meglio, e non ci può essere più merito che fare la volontà del Signore anche astenendosi dalla Comunione e qualche volta anche dalla Messa nei giorni feriali, quando non è possibile partecipare.
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Se si ha la grazia di comprendere quello che sto per dire, si capirà quanto è necessario abbandonarsi in Dio. Ho visto in Australia Suore Giuseppine, un Istituto nuovo quivi fondato e che ha raggiunto un numero di circa duemila membri. Tra gli altri impegni hanno anche quello di andare nelle borgate e nelle aziende agricole lontane dalla città per catechizzare, per battezzare i bambini, per istruire gli adulti, e in sostanza perché anche queste persone si ricordino di Dio e della loro anima. Devono stare anche qualche mese senza Messa festiva per aiutare quelle anime. È il volere di Dio. In quei posti non vi sono sacerdoti e devono fare molti chilometri per arrivare a un centro dove ci sia una parrocchia, un convento, e poter così partecipare alla Messa e comunicarsi. Non ci sono strade e quindi non si pensa di poter percorrere frequentemente quella via di 50, 100, 200 chilometri di distanza.
La volontà del Signore è quella che porta l'unione di tutto il nostro essere con Dio, quindi in certi momenti è superiore all'atto di religione, alla Comunione stessa, perché si fa già la comunione della volontà. La Comunione porta l'unione con Dio; ma chi in certe circostanze se ne priva perché tale è il volere di Dio, ha già il frutto della Comunione. La Comunione sarebbe un mezzo, ma questa persona ha già il frutto.
La vita dell'anima consacrata è una vita di obbedienza, perché vi sono i tre voti, obbedienza, povertà, castità; ma quello che riassume gli altri due voti ed è mezzo per osservarli è l'obbedienza. Chi è obbediente non si mette volontariamente in pericolo di peccare, tanto meno di mancare alla castità; chi compie il volere di Dio osserva anche la povertà; e chi vive nell'obbedienza impreziosisce tutti i suoi meriti. L'obbedienza è una virtù e un voto che rendono oro prezioso qualunque minima azione. E allora vi è differenza tra l'obbedienza comune e l'obbedienza religiosa.
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Gesù, «factus oboediens usque ad mortem, mortem autem crucis», fatto obbediente fino alla morte e alla morte di croce (Fil 2,8), obbedì anche ai carnefici quando gli diedero ordine di distendere le mani e i piedi per adattarli alla croce e venir crocifisso. Quale obbedienza! Quando un'anima è obbediente è crocifissa con Gesù Cristo e non ha altra volontà che quella del suo sposo celeste: forma uno spirito unico con lui, una volontà unica, gli appartiene totalmente.
Adesso consideriamo un poco come dev'essere l'obbedienza. Anzitutto deve essere soprannaturale. In chi guida, in chi comanda, vedere Dio che è rappresentato da quella persona, la quale può essere più giovane, più difettosa, meno dotta di noi, ma rappresenta Dio. Quando Gesù obbediva a san Giuseppe, egli ne sapeva infinitamente di più, ma obbediva; e se Giuseppe gli comandava di raccogliere i trucioli di legno caduti dal banco o di andare nel bosco a raccogliere legna, o di riordinare il laboratorio da falegname, Gesù obbediva. Spesso Gesù avrebbe potuto comandare molto meglio e poteva capire che certe disposizioni di Giuseppe non erano le più giuste in sé; ma fare la volontà di Dio è il più giusto, anche se qualche volta si commette qualche errore innocente. Si capisce che non si può mai obbedire quando si danno disposizioni che sono peccato, perché allora «oboedire oportet Deo, magis quam hominibus»: bisogna obbedire piuttosto a Dio che agli uomini (At 5,29). E alle volte può darsi che vengano impartite certe disposizioni che sono contro il volere di Dio, anche dalle persone più care. Ma quando si tratta del volere di Dio non c'è padre, né madre, né altra persona per quanto ci sia cara e da rispettarsi, che debba essere obbedita.
Gesù a dodici anni fu condotto a Gerusalemme; ma il giorno in cui doveva ripartire con Maria e Giuseppe non lo fece; si fermò a Gerusalemme ed entrò là dove i Dottori della Legge interpretavano le Scritture. Cominciò ad ascoltarli con gran rispetto e poi rispose alle loro domande; a sua volta li interrogò e dimostrò tale sapienza che lo fecero sedere come privilegio in mezzo a loro, perché il popolo e i fanciulli dovevano stare in piedi, non potendo star seduti alla presenza di quei Dottori.
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Gesù allora dette un saggio della sua sapienza e della futura missione di predicare il Vangelo. Quando Giuseppe e Maria lo ritrovarono, ecco il rimprovero che gli fece Maria: «Perché ci hai fatto questo? Non sapevi che tuo padre ed io ti cercavamo?». Gesù non disse: «Ho sbagliato», ma: «E non sapevate che io devo occuparmi delle cose che riguardano il Padre mio?» (Cfr. Lc 2,41-50). Essi non capirono per allora, ma capirono più tardi. Quello era un saggio della sua vocazione di maestro universale.
È necessario molte volte, specialmente per i membri degli Istituti Secolari, pensare così: nelle cose giuste, buone o almeno indifferenti, obbedienza; nelle cose invece che sono contrarie a Dio, mai piegarsi, piuttosto la morte. Quando si disobbedisce all'uomo per obbedire a Dio, non solo si ha il merito e l'aumento di grazia, ma si ottiene anche grazia a chi ha comandato male, e se corrisponderà alla grazia, potrà avere quella luce che lo porterà al ravvedimento, quindi forse anche alla conversione. Sì, otterremo grazie anche per coloro che ci comandano ingiustamente. Però è necessario obbedire ai superiori, dice la Scrittura, anche quando i superiori non sono buoni (Cfr. 1Pt 2,18), sempre però se comandano lecitamente nelle cose buone o almeno indifferenti.
Nel caso vostro, a chi obbedire? Se si entra nell'Istituto vi saranno le superiore dell'Istituto. Per adesso devo fare, posso dir così, tutto io, ma poi si stabiliranno le superiore. Ubbidire alle superiore in quello che possono e devono disporre, comandare. Ma vi sono i regolamenti, raccolti nello Statuto che vi verrà comunicato durante il noviziato: lì c'è lo spirito dell'Istituto. Perciò l'obbedienza al regolamento o Statuto diviene un'obbedienza religiosa, un'obbedienza che ha il doppio merito e diviene un'obbedienza necessaria. Non ogni cosa è comandata sotto pena di peccato. E anche spiegato nello Statuto quello che è veramente comandato e quello che non obbliga sotto pena di peccato.
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Nello Statuto leggerete delle cose che sono sotto pena di peccato, per esempio l'obbligo della Messa ogni domenica, e altre cose che non obbligano sotto pena di peccato e che sono poi cose accidentali.
Seguire il regolamento è seguire lo spirito dell'Istituto. Quello è poi la spiritualità, la via da tenere. Ora potete seguire più la spiritualità, supponiamo, del Marmion, o la spiritualità di santa Teresina del Bambino Gesù o quella di san Francesco di Sales, di san Domenico, eccetera. Dopo resta la spiritualità paolina nel senso che è espresso nello Statuto. E allora avendo una via sicura, una via che è benedetta dal Papa, approvata, essa diviene la vostra norma. Allora quanti meriti! Se poi si prosegue per questa via i meriti saranno ancora maggiori. Quando si sarà professe, negli esercizi vi fate un orario, un regolamento di vita, in cui si mettono le opere di pietà a cui si vuole attendere, il lavoro che si fa nella giornata, e poi tutte quelle opere di apostolato a cui volete dedicarvi, che scegliete come vostro compito. Con l'approvazione di chi guida, tutto viene poi fatto per obbedienza e quindi qualunque cosa si compia, anche il mangiare, il riposare, il dormire e il prendere un po' di sollievo, come è stato scritto e preventivato durante il vostro anno, tutto acquista doppio merito, perché tutto è in obbedienza. Poi, nel corso dell'anno, se vi saranno delle eccezioni importanti, si possono notificare; e se invece sono piccole eccezioni o permessi che occorrono alla vostra vita, o permessi urgenti, potete liberamente seguire quello che è necessario secondo il momento che si attraversa.
Per l'obbedienza che avete da praticare fuori dell'Istituto, qualche volta vi sono delle difficoltà. Circa il confessore vi sono cose in cui si deve obbedire sempre a lui; poi vi sono altre cose in cui il confessore deve uniformarsi a chi è consacrata a Dio. Faccio due esempi. Vi è una obbedienza che può sempre imporre il confessore. Quando ci mettiamo in pericolo grave di cadere in peccato, il confessore può imporci, per esempio, di evitare una certa occasione o una certa persona.
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E noi siamo obbligati a obbedirgli. Invece vi è anche il caso in cui il confessore deve accompagnare l'anima e deve rispettarla nelle sue decisioni già prese. Sì, perché quando poi si è abbracciato uno stato, un Istituto Secolare, si deve vivere secondo quello spirito e con quelle regole che ci sono nell'Istituto. Il confessore non può allora dare un consiglio contrario, e non può imporre che si viva con lo spirito, supponiamo, dei Domenicani o di un altro Istituto, o di qualunque altra spiritualità. Egli deve sentire l'anima, comprendere la missione, la vocazione dell'anima e seguirla con le esortazioni, con la benedizione, con l'assoluzione e con la preghiera. Questo è quanto vi concerne circa i confessori.
Ma voi vivete anche in circostanze esterne. Ci può essere la figlia che vive con la mamma e appartiene a un Istituto Secolare. Vi sono dei casi in cui deve obbedire alla mamma, e vi sono altri casi in cui non può assecondare la mamma. Se la mamma ha una certa necessità, la figlia obbedirà; se si tratta di cose indifferenti e che non impediscono i suoi doveri, obbedirà. Invece in ciò che impedisce i suoi doveri come anima consacrata a Dio, allora deve obbedire a Dio prima che agli uomini. Naturalmente non può mai obbedire in ciò che è male. Ma vi sono tante circostanze, tante maniere di fare in cui si compiace la mamma e si fa quello che comporta la condizione di anime consacrate a Dio. È delicato alle volte; però non cadete nello scrupolo. Se vi sono poi dei dubbi, sull'atto potete fare quello che vi sembra più ragionevole, più utile, più meritorio, e poi si potrà esporre il dubbio più tardi o a un sacerdote, oppure a chi guida l'Istituto.
Vi sono, inoltre, superiori nell'apostolato. Se un'Annunziatina si è impegnata per il catechismo, deve seguire le disposizioni del parroco negli orari, nel modo di insegnare il catechismo e in tutte quelle altre cose che il parroco disporrà per il maggior frutto del catechismo, per il maggior bene dei bambini.
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Se invece una ha un apostolato proprio, per esempio, l'iniziativa di organizzare il gruppo delle anime vittime per la Chiesa, per i peccatori, in questo è lei che guida. Non è un'apostolato già organizzato, come l'apostolato dell'Azione Cattolica in cui bisogna uniformarsi, o un apostolato catechistico nel quale ci si uniforma a chi guida quell'opera di apostolato. Così vi può essere una persona, la quale si propone un altro apostolato. So di un gruppo, per esempio, che si è impegnato a lavorare per le missioni: prepara la biancheria per i seminaristi dell'Africa, raccoglie offerte da mandare ai missionari o per il mantenimento di quei giovani che studiano per essere sacerdoti nell'Africa. La Società San Paolo ha un bel gruppo di queste anime le quali non si conoscono tra di loro, ma sono guidate dalla Società San Paolo stessa per compiere questo apostolato missionario. Non potendo andare in missione, aiutano ugualmente le missioni e fanno tanto bene senza rumore. Dio conta tutti i passi che fanno e tutti i sacrifici che compiono. Quindi, se l'apostolato è già organizzato da un'altra persona la quale diviene responsabile di quel determinato apostolato, bisogna uniformarsi; se viene organizzato da voi, allora siete voi le responsabili di quell'opera e dovete compierla come vedete che riesce più fruttuosa.
In alcune città vi sono giovani che vivono in parrocchie molto grandi, di 40, 50 mila abitanti, dove il parroco non vede tutte le famiglie, non conosce tutte le persone. Queste giovani allora vigilano e si informano dei malati che sono in parrocchia, li visitano e magari li servono anche materialmente, li soccorrono con aiuti, ma specialmente li aiutano spiritualmente per preparare la venuta del Sacerdote, se vorranno accettarlo, o almeno li preparano con qualche atto di dolore, con qualche altro mezzo spirituale, perché muoiano riconciliati con Dio, se tale è il divino volere. Queste giovani devono organizzarsi da sé, perché l'apostolato è di loro iniziativa. Quindi, nell'apostolato organizzato da voi, siete voi le responsabili; nell'apostolato organizzato da superiori, fosse pure dall'Istituto, si asseconda quello che viene disposto.
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Ci può essere una giovane che si dedica alla diffusione della stampa, prende perciò l'indirizzo e le disposizioni dalla casa editrice. Può essere un apostolato liturgico: persone che si mettono insieme per fare delle giornate di lavoro per confezionare paramenti sacri. Vi sarà una che guida, le altre collaborano e dipendono da essa. Così si procede in obbedienza e in merito grande per la salute eterna.
Ringraziate il Signore se potete trascorrere la vostra vita in obbedienza; siete sicure di camminare bene, siete sicure di piacere a Dio e siete sicure che il premio sarà grande.
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