Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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30.
IL FINE

Il mio saluto sacerdotale a tutti e a tutte: il Signore sia sempre con voi. Lo diciamo ripetutamente nella Messa: Dominus vobiscum. E i presenti alla Messa rispondono: Et cum spiritu tuo. Avete reso un ossequio graditissimo al Signore usando un po' del vostro periodo di ferie per irrobustire lo spirito. È un riposo questo che serve particolarmente all'anima. «Venite in desertum locum et requiescite pusillum»: Venite in un luogo solitario per riposarvi un po' nel Signore (Mc 6,31). Anche san Giovanni evangelista nell'ultima cena posò il suo capo sopra il petto adorabile del Salvatore Gesù e dal suo cuore attinse quello spirito, quella carità che informò tutta la sua predicazione e la sua vita. Riposare un po' sul cuore amabilissimo di Gesù in questo breve spazio di esercizi, approfittando al massimo della grazia.
Siete venute a portare le vostre belle anime a Gesù, siete venute tutte per abbellirle maggiormente, renderle più sante e, d'altra parte, prendere vigore per l'apostolato che già esercitate a frutto di tante anime. Vi ha condotto qui lo spirito di fede, e adesso abbiate fede che il Signore vi vuole parlare, ascoltatelo; abbiate fede che il Signore vuole aggiungere grazia a grazia, cioè alla vostra santità attuale aggiungere altra santità, altre virtù, vuole aggiungere altre grazie per il cammino della vita fino a che arriveremo alla conclusione.
E allora pensiamo ora a qualche cosa che ci orienti. Servono benissimo le parole che dice Gesù di se stesso: «Exivi a Padre, veni in mundum, relinquo mundum»: sono uscito dal Padre, sono nel mondo, fra poco lascio il mondo (Gv 16,28).
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Ognuno di noi può dire lo stesso: sono uscito dalle mani di Dio creatore; sono qui nel mondo, mi trovo su questa terra per poco tempo; poi lascio il mondo e ritorno a Dio.
Ecco i tre punti: creati da Dio, in cammino per l'eternità, l'arrivo al cielo. Siamo usciti dalle mani di Dio: ci ha creati il Signore, e noi lo ringraziamo ogni giorno: «Vi adoro mio Dio, vi ringrazio di avermi creato». Non c'eravamo, il mondo poteva fare benissimo senza di noi, Dio non aveva bisogno di noi, ma nella sua infinita bontà ci amò sin dall'eternità. Oh! Dio di carità. E allora siamo stati tratti dal nulla, la nostra anima fu unita al corpo ed eccoci nell'esistenza.
Il Signore, creandoci, ebbe un fine e cioè egli ci volle partecipi della sua beatitudine. Egli che è beatissimo, per tutta l'eternità vuole dare la sua felicità, comunicarla in qualche maniera a delle creature. Ecco perché creò gli angeli che egli fece dal nulla; ecco perché creò noi che esistiamo e attualmente siamo qui. Questo Dio creatore posa in questo momento il suo sguardo compiacente sopra di noi. Quando vi ha create, questo Dio vi ha fornito di doni, vi ha dato l'intelligenza. Ringraziamolo! Tante persone sono nate folli, oppure hanno perso con gli anni l'uso della ragione. Il Signore vi ha dato una volontà che vuole il bene, che desidera il bene; mentre disgraziatamente tante persone usano male della volontà, più per il peccato che per il Paradiso. Il Signore vi ha dato la salute, vi ha dato un cuore fatto per amare e per amare Lui; ci ha dato tutto quello che abbiamo. Quando noi facciamo o diamo qualche cosa al Signore, gli restituiamo quello che ci ha dato, anche se gli diamo un fiore, se procuriamo un fiore al tabernacolo, il fiore è suo. Egli si diletta però, di riceverlo dalle nostre mani come un ossequio. Così noi tutto ciò che abbiamo, mettiamolo al servizio di Dio. Questo vuol dire che ciò che ci ha dato lo restituiamo, lo offriamo a Lui.
Il Signore, creandoci, e creando ogni anima, ha segnato una via sulla terra. Tutti sono chiamati al Paradiso, tutti hanno la vocazione al cielo.
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Però se tutti hanno la vocazione comune al Paradiso, non tutti hanno la stessa via da percorrere sulla terra. Quando il Signore sceglie per un'anima una via più bella, allora si dice che ha dato a quest' anima una vocazione. Vocazione vuol dire, oltre che la chiamata al Paradiso, anche la chiamata per una via più bella, per arrivare a un Paradiso più bello. Ecco la vostra via segnata, ecco il fine. Con una vocazione più bella, avete da percorrere una strada più santa per arrivare a un posto più elevato in cielo: «Mansiones multae sunt»: lassù vi sono tanti posti (Gv 14,2). Gesù li ha preparati e ne ha preparato uno per ciascuno di noi. Ha dato la vocazione alla consacrazione a Dio, la vocazione all'apostolato. Ecco, sono uscito dalle mani di Dio.
Secondo: «Veni in mundum»: stiamo nel mondo. Che cosa dobbiamo fare in questo mondo? Perché ci ha mandato? Il Signore ci ha mandato a fare qualche cosa e, se la facciamo bene, avremo il premio eterno, la vita eterna. A ognuno in particolare ha destinato qualche cosa da fare. Ogni persona ha una propria storia. Vi è chi ha scritto l'autobiografia; per esempio santa Teresina ha scritto la Storia di un'anima. Però vi sono cose generali per tutti da fare su questa terra, perché possiamo arrivare al premio, poiché il Signore ci aspetta per giudicarci. Vi è qualche cosa che tutti devono fare. Qui sulla terra siamo in prova. Il Signore, creando gli angeli, li ha messi alla prova e tanti sono rimasti fedeli con a capo l'Arcangelo san Michele; tanti invece sono stati infedeli, si sono ribellati e sono caduti nell'inferno. Non hanno superato la prova. Non sappiamo precisamente quale sia stata la loro prova, ma certo è stata una prova.
Così noi siamo messi allo prova. Quale prova? Una triplice prova: prova di fede, prova di fedeltà, prova di amore.
Prova di fede: chi crede sarà salvo. Vi è chi ha fede e vi è chi non l'ha.
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Coloro che non hanno fede resistono alla voce di Dio, alla predicazione, alla Chiesa, e vanno a degli eccessi che sembrerebbero impossibili per un uomo ragionevole; negano Dio come se l'uomo fosse solo materia e non avesse avuto un'origine divina. «Andate e predicate, chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, chi non crederà sarà condannato» (Mc 16,15-16). Bisogna distinguersi subito: vogliamo essere tra il numero dei salvi? In primo luogo la fede. Vivere secondo la fede. Chi nega la fede, nega anche il Paradiso; e allora come potrà desiderarlo? L'esistenza del Paradiso è un articolo di fede. Il Paradiso è promesso da Dio a chi vive secondo la fede e a chi ha accettato la dottrina e il messaggio della salvezza che ha dato Gesù Cristo al mondo. Bisogna anche aggiungere che nella misura della fede, sarà la misura della gloria nostra in eterno.
La seconda prova che il Signore ha dato agli uomini è l'osservanza dei comandamenti. «Che cosa devo fare per salvarmi?», domandava il giovane ricco a Gesù; e Gesù rispose: «Osserva i comandamenti». Credere sì, ma insieme osservare i comandamenti. Quali? Gesù li ricordò al giovane: «Onora il padre e la madre, non uccidere, non rubare» eccetera. Sono i dieci comandamenti di Dio. Allora l'esame di coscienza di questi giorni è sui comandamenti, ma preceduto dall'esame sulla fede.
La terza prova è una prova di amore. Cos'è la prova di amore? La parte negativa consiste nel non peccare, nel non offendere Dio. Non può amarlo chi commette il peccato. Prova di amore, e cioè chi vive in grazia, unito a Lui. Togliere il peccato e mettere nel cuore la grazia, che è la vita soprannaturale in noi, la vita divina in noi. Chi vive in grazia, non ha il peccato grave, anzi per il battesimo, per la comunione e per tutte le altre buone opere, acquista meriti, aumenta la sua grazia, la sua vita spirituale, poiché la grazia può essere in noi in vari gradi. Il bambino ha un primo dono di grazia. Ma consideriamo un po' san Domenico, di cui celebriamo la festa oggi, ricordiamo un po' sant'Alfonso, di cui abbiamo celebrato la festa ieri. Sant' Alfonso! Quante fatiche, quante predicazioni, quanto ha scritto per le anime fino a 90 anni!
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La grazia che aveva da bambino come deve essere aumentata in tanti anni di fatiche, di lavoro, di penitenze, di preghiere! Quindi più abbiamo grazia e più eminente sarà il nostro posto in Paradiso. Non è lo stesso fare una comunione di più o fare una comunione di meno; non è lo stesso dire semplicemente le orazioni del mattino, oppure partecipare alla Messa; non è lo stesso ridursi alle pratiche essenziali, oppure abbondare in orazioni; non è lo stesso fare un po' di bene, o spendere tutta la vita per il bene; fare qualche cosa, o spendere tutta la giornata in bene. Non è la stessa cosa. Noi possiamo aumentare la grazia. Oh! il tempo com'è prezioso per chi vuole arricchirsi per l'eternità! Che dono è il tempo!
Quindi triplice prova, che è poi una prova sola: fede; osservanza dei comandamenti, ossia fedeltà; grazia di Dio, ossia amore. Chi subisce e supera questa triplice prova ha il paradiso eterno. Gesù stesso ha voluto subire una prova, ha voluto essere tentato e ha avuto una triplice tentazione. Il demonio gli propose di fare il prodigio, cioè di cambiare le pietre in pane; poi gli propose un atto di superstizione; e alla fine gli propose niente meno che di adorarlo, dicendo che gli avrebbe dato tutti i beni della terra.
Il diavolo è astuto, tenta tutti e chi lo ascolta va sulla strada non buona, per quella via che è larga, ma che finisce alla perdizione; chi, invece, vince, passa per la strada del sacrificio. Ad esempio, il sacrificio che fate in questi giorni: invece di andare ai monti e al mare, siete qui ad ascoltare la parola di Dio e ad aumentare la vostra grazia. Chi subisce bene e supera la prova, ecco, la strada è stretta, ma dove mette capo, dove ci conduce? Alla città celeste, alla celeste Gerusalemme. Tanti ci hanno già preceduti lassù. E dei 12 Apostoli, 11 sono lassù, uno si è perduto. Quindi tutti possono essere deboli, tutti possono essere tentati; chi subisce e supera la prova, ecco avrà il premio.
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Adesso dobbiamo ancora aggiungere che, siccome il Signore ha dato a ciascuno una vocazione, e a voi l'ha data, occorre corrispondere a questa vocazione, cioè fare quel bene che il Signore aspetta da noi; poiché alla fine della vita chi ha una vocazione può presentare, se ha seguito bene la sua vocazione, anche il bene fatto agli altri, anche il bene che gli altri hanno fatto. Così che se fate del bene agli altri, cioè se esercitate l'apostolato, oltre che presentare le vostre opere buone, la fede, l'osservanza dei comandamenti, lo stato di grazia, cioè la vita spirituale in voi, presentate ancora il bene fatto dagli altri per vostra opera, per il vostro apostolato. Persone che traducono tutta la loro vita in apostolato o di preghiera, o di dedizione, o di sofferenza, o di parola, o di beneficenza, o di opere caritative e sociali, eccetera. Il bene che si fa agli altri lo godremo anche noi, perché lo abbiamo noi meritato, l'abbiamo noi ottenuto per mezzo della nostra fatica, per mezzo del nostro apostolato e il Signore ci premierà. Questa è carità: far del bene. «Qualunque cosa avrete fatto anche al minimo dei miei fratelli, lo ritengo fatto a me» (Mt 25,40), dirà Gesù al giudizio universale - «Venite dunque, o benedetti, nel regno del Padre mio» (Mt 25,34).
Ora, come conclusione, affacciamoci un momento col nostro spirito all'eternità; per un momento, diciamo così, chiudiamo gli occhi a questo mondo e con l'occhio della fede guardiamo al di là della tomba. Fra non molti anni la vostra salma riposerà nel cimitero, ma al di là del cimitero che cosa c'è? Al di là ci sono tre posti o tre stati. Vi è il Paradiso. Contempliamo lassù il numero immenso di anime che hanno superato la prova di fede, di fedeltà e di amore: martiri, apostoli, vergini, confessori, santi tutti, bambini, persone anziane di tutte le parti e nazioni.
Un momento uno sguardo al purgatorio, dove quelle anime con l'espiazione si preparano al cielo. Sono salve, ma devono ancora pagare gli ultimi debiti con Dio. Approfittiamo del tempo; usciamo dagli esercizi con l'indulgenza plenaria e con ogni debito con Dio saldato.
Terzo, uno sguardo agli infelici perduti nell'inferno.
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Il nostro sguardo non può resistere allo spettacolo di sofferenze. «Sono bruciato da questa fiamma», diceva il ricco epulone. Amiamo ritirare il nostro sguardo da questa realtà, ma pure san Bernardo diceva che qualche volta conviene che discendiamo, mentre siamo vivi, col nostro pensiero nell'inferno per non cadervi dopo la vita presente; e il timore santo di Dio ci tenga sempre lontano dal peccato.
Che cosa sarà di noi? Quale avremo dei tre posti, dopo che l'anima nostra sarà uscita dal corpo e lo avrà lasciato freddo e senza vita?
Il Signore ci ha raccontato la parabola dei talenti. «Un uomo, stando per fare un lungo viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno dette cinque talenti, all'altro due, e a un altro uno solo, a ciascuno secondo la sua capacità, e partì. Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti, se ne andò a negoziarli e ne guadagnò altri cinque. Come pure quello che aveva ricevuto i due talenti, ne guadagnò altri due. Ma colui che ne aveva ricevuto uno solo andò a fare una buca nella terra e vi nascose il denaro del suo padrone. Ora, dopo molto tempo, ritornò il padrone di quei servi e li chiamò a render conto. Venuto dunque colui che aveva ricevuto cinque talenti, ne presentò altri cinque, dicendo: Signore tu mi desti cinque talenti, ecco, io ne ho guadagnati atri cinque. E il padrone gli disse: Bene, servo buono e fedele, tu sei stato fedele nel poco, io ti darò autorità su molto: entra nella gioia del tuo signore. Si presentò poi l'altro, che aveva ricevuto due talenti, e disse: Signore, tu mi desti due talenti; ecco, io ne ho guadagnati altri due. Il suo padrone gli disse: Bene, servo buono e fedele, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto; entra nella gioia del tuo signore. Presentatosi infine quello che aveva ricevuto un talento solo: Signore, disse, so che tu sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso; ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra; ecco, quello che ti appartiene.
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Il suo padrone gli rispose: Servo malvagio e infingardo, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e che raccolgo dove non ho sparso, tu dovevi dunque mettere il mio denaro in mano ai banchieri e, al ritorno, io avrei ritirato il mio con l'interesse. Toglietegli perciò il talento e datelo a colui che ne ha dieci. Poiché a chi ha sarà dato, e sovrabbonderà; ma a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha» (Mt 24,14-29).
Avanti con coraggio: vita eterna. È l'ultimo articolo del Credo, mentre il primo è: io credo in Dio Padre creatore. Usciti dalle mani di Dio, siamo sulla terra nella prova. Presto lasceremo questo mondo, ritorneremo a Dio. Chi ha cinque talenti, ne guadagni altri cinque, cioè chi ha molta salute, molta intelligenza, molti doni, molte grazie; e chi ne ha due, ne guadagni altri due, trafficando con amore quello che ha. E poi a tutti il Paradiso. Non è molto distante il Paradiso, ci avviciniamo ad esso giorno per giorno. Ogni giorno stacchiamo un foglio dal calendario, vuol dire che c'è un giorno di meno da vivere. Ci avviciniamo, nessuno perda tempo, riposeremo in Paradiso, perché il Paradiso è il riposo e il gaudio eterno, così come noi diciamo per i defunti: «L'eterno riposo dona loro, Signore, e splenda ad essi la luce perpetua», la luce che rende le anime felici. Avanti, nessuno si scoraggi, questi santi giorni possono segnare una risurrezione non solo, ma possono indicare anche una ripresa di fervore, un cammino più deciso verso il cielo. Per questo uniamo tutte le preghiere insieme, perché tutti possiamo uscire da questi giorni più infervorati.
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