Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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27.
RETTA INTENZIONE

Ci sta davanti la figura di Gesù Bambino. «Ecco, un virgulto sorgerà dal tronco di Jesse e un pollone verrà su dalle sue radici» (Is 11,1). Il virgulto dal tronco è Maria, e il pollone che verrà su dalle radici è Gesù, fiore della Vergine. Il Signore ha voluto operare in questo modo, darci il Verbo incarnato per mezzo di Maria e Gesù ha voluto associare alla redenzione la Madre sua. Gesù è il Redentore, Maria è la Corredentrice.
Questo indica che, accanto al sacerdote, ci sta l'opera della donna, ci sta l'opera del fratello laico, dell'apostolo laico, perché la Sacra Famiglia si componeva di Gesù, di Maria e di Giuseppe e così veniva effettuata la redenzione del mondo. La donna associata allo zelo sacerdotale! Il sacerdote troverà sempre un aiuto nella donna pia, nel sesso femminile devoto, il quale è chiamato il sesso debole, ma tante volte è il sesso forte. Durante la passione scomparvero gli apostoli, ma rimase Maria, la quale accompagnò il suo figlio al Calvario e la sua anima fu trapassata da una spada. La donna deve collaborare all'opera del sacerdote, secondo la condizione sua. Maria servì Gesù. Partecipare dunque alle opere che sono di iniziativa dello zelo sacerdotale, in quanto possibile, ma soprattutto pregare. Le relazioni col sacerdote siano sempre ispirate a zelo, al principio soprannaturale, perché la donna deve piuttosto aiutare con l'esempio, con la preghiera e con l'offerta dei suoi sacrifici. Tuttavia sempre tener presente che la donna rappresenta Maria, il Sacerdote rappresenta Gesù. Vivere in un'atmosfera di soprannaturalità, perché terra e acqua, sia pur santa, ma mescolate insieme fanno fango; separata l'acqua dalla terra, ecco che l'acqua benedetta porta grazie dove viene cosparsa.
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Questa mattina abbiamo da fare una considerazione intima che richiede tutta la nostra attenzione, perché si tratta di scrutare il nostro interno. Il Signore ci giudicherà dopo la vita presente; il giudizio non deve spaventare le anime buone, perché vi è il giudizio di retribuzione e il giudizio di castigo (di vendetta è chiamato nella Liturgia). Anche Maria ha subìto il giudizio. Il giudizio consisterà nel proporzionare il premio, la gloria, alla santità della vita. Giudizio di vendetta, invece, è proporzionare il castigo alla cattiveria. Chi ha fatto bene non deve avvicinarsi alla morte con timore, con tremore. Sempre l'umiltà, sempre l'impegno ad aumentare i meriti, ma Gesù è il nostro Salvatore prima di essere giudice, quindi noi umiliamoci e approfittiamo del tempo della misericordia prima che venga il tempo della giustizia, in modo che quando verrà il tempo della giustizia questo sia soltanto un proporzionare il premio alla vita buona che abbiamo fatto. Però nel giorno del giudizio non si pesano solamente le opere buone, ma anche le intenzioni.
Abbiamo da meditare questa mattina se le nostre intenzioni sono sempre rette. Che cosa vuol dire retta intenzione? Vuol dire: nelle nostre opere, anche le ottime mirare sempre a Dio e al suo Paradiso, ossia a compiere il volere di Dio e a meritare per il Paradiso, sempre cioè una intenzione retta.
Perché un'opera sia meritoria davanti a Dio e, nel giudizio, ottenga il suo premio, deve avere tre condizioni. La prima condizione è che sia compiuta in grazia di Dio; chi vive in peccato anche se fa una cosa buona, anche se fa un'opera di carità, come dare il pane ai poveri, non merita perché la sua anima non è unita a Dio, è separata a causa del peccato. Si potrebbe fare anche la comunione in peccato grave! Quanto è bella, quanto è santa la comunione quando è fatta bene; ma chi la fa male e in peccato, commette un sacrilegio e aumenta il suo male.
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Quindi occorre sempre operare in grazia di Dio. Come seconda condizione bisogna che si tratti di opera buona. Un'opera cattiva non merita il premio. Uno può parlare bene, ma se dice delle bugie, se fa delle mormorazioni, opera, ma non meritoriamente. Bisogna che quel che si fa piaccia a Dio. Bisogna cioè che l'opera sia conforme ai comandamenti; che sia conforme al volere di Dio quello che si sta facendo. Allora anche l'opera minima, ma che piace a Dio, che è nel volere di Dio, acquisterà merito. Come terza condizione occorre che ci sia la retta intenzione. Quindi tre condizioni perché l'opera sia meritoria e abbia il premio nel gran giorno del giudizio: che si faccia in grazia di Dio, che sia un'opera buona, che ci sia retta intenzione.
La retta intenzione che cosa indica? «Vi offro le azioni della giornata, fate che siano tutte conformi alla vostra volontà»; ecco l'offerta. Si offre l'azione al Signore, si vuole che l'azione, che tutto ciò che si fa nella giornata sia di gradimento a Dio, sia a suo onore e sia a merito per il cielo. Delle rette intenzioni ce ne sono tante e ce n'è una sola. La retta intenzione è come una linea che congiunge due punti: a un capo di questa linea ci siamo noi, all'altro capo c'è Dio. Fra due punti non ci può essere che una retta cioè quando noi operiamo, l'intenzione deve essere rivolta al Signore, o per compiere la sua volontà o per ottenere il premio eterno.
Però su una linea ci sono tanti punti. Nella retta intenzione sono comprese tante intenzioni particolari, le quali finiscono in una: «Omnia in gloriam Dei facite», cioè: fate tutto per la gloria di Dio (1Cor 10,31). Questa è l'ultima intenzione, è quella che proprio unisce il nostro spirito a Dio e rende più meritoria l'azione. Ma vi sono tante intenzioni che son comprese in questa; per esempio, compiere un'azione per praticare la tal virtù, per esercitarsi nell'umiltà, per sovvenire ai bisogni del prossimo, per mettere la pace nella famiglia, per portare un po' di serenità, per imitare Gesù nella sua passione, per zelare nelle opere di apostolato la gloria di Dio e il bene delle anime.
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Possono essere tante. Fare un'azione, supponiamo, per amore di Maria, per amore del Cuore di Gesù, per prepararsi bene alla Comunione, per suffragio delle anime del Purgatorio, specialmente per la mamma defunta, per ottenere quella tale grazia perché si desidera che i peccatori si convertano, che gli eretici e gli scismatici si rivolgano di nuovo alla loro madre, la Chiesa, perché si convertano coloro che sono ancora pagani, perché si converta l'Africa, la Russia, il Giappone. Quante volte, ricevendo le lettere dalle varie nazioni, leggo l'invito a far pregare per una nazione. La Famiglia Paolina ha adesso trecentoquarantuno case nel mondo. Da quante parti vengono queste insistenze perché si preghi! Ebbene queste intenzioni particolari entrano tutte in questa intenzione generale ed ultima: «Omnia in gloriam Dei facite»; fate tutto alla gloria di Dio. Oppure, come diceva sant'Ignazio: Per la maggior gloria di Dio, «Ad maiorem Dei gloriam». Tutte queste intenzioni vengono anche riassunte nella preghiera: «Vi offro le azioni della giornata, le orazioni, azioni e patimenti, in unione del Cuore Immacolato di Maria, con le intenzioni con cui voi, Gesù, vi immolate sugli altari».
Pensiamo alle intenzioni di Gesù durante la consacrazione nella Messa: sono le più belle intenzioni che riguardano la gloria del Padre Celeste e le più belle intenzioni che riguardano l'umanità intera. Riguardano anche il Purgatorio. E se noi siamo raccolti, nel corso della Messa, in quel momento in cui si compie la consacrazione e si fa l'elevazione, ecco, un'ondata di gloria sale a Dio in cielo, alla Trinità e va ad aumentare la gloria degli eletti, di tutti i Santi, di tutti gli angeli. Un'ondata di suffragi noi possiamo mandare al Purgatorio per ciascun'anima che là soffre e attende l'ingresso al cielo; è un'ondata di grazia che noi intendiamo che arrivi a tutti gli uomini viventi che sono due miliardi e ottocento milioni. Quando si ha il cuore simile a quello di Gesù, come si unificano le nostre intenzioni con quelle di Gesù!
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Adesso bisogna dire che quanto più l'intenzione è intensa, più numerose sono le intenzioni che mettiamo in un'opera, tanto maggiore è il merito. Il merito aumenta non per l'opera in sé, ma per l'amore con cui si agisce. Allora le anime che sono prudenti, le anime che desiderano realmente e intimamente di aumentare i loro meriti, aumentano le loro intenzioni buone, sante, nelle opere, e le intensificano manifestando un amore acceso verso Dio. Esse pregano perché i peccatori ritornino al Signore, perché siano tanti a fare la Pasqua, per l'intenzione del Papa, per il Concilio Ecumenico, per l'aggiornamento del codice, eccetera. Queste intenzioni sono dal Signore benedette con molta grazia. Se il merito aumenta in proporzione delle intenzioni, cioè in proporzione dell'amore e della intensità, bisogna dire che non ci può essere un numero maggiore di intenzioni buone e con maggiore intensità che quelle di Gesù quando si immola sugli altari. Allora, immedesimarsi con le intenzioni di Gesù, specialmente dalla consacrazione alla comunione, quando viene consumato il SS. Sacramento con la comunione del sacerdote e dei fedeli. Sono questi i momenti più preziosi per chiedere le grazie. Ah, una Messa di più! La Messa è il sole; le altre devozioni sono le stelle che sono illuminate dal sole. Dunque, essere ispirati, animati, portati da questo amore e che sia un amore largo. Pensate come, alle volte, ci perdiamo in piccole cose! Vivete lo spirito della preghiera: «Cuore divino di Gesù...»
Bisogna dire ancora che l'azione nostra può essere umilissima, per esempio, lavarsi la faccia, e può essere invece un'azione distinta; può essere che uno faccia una conferenza, oppure che appartenga a un'associazione in cui occorrono opere esteriori che attirano magari l'attenzione. Ma quando si fa la volontà del Signore, anche l'azione minima guadagna il merito, e il merito non è secondo l'azione, ma secondo l'amore, cioè secondo l'intenzione. Per questo devono farsi tutti coraggio; perché uno può essere spazzino, carbonaio, può essere una persona tribolata e dimenticata, e guadagnare più meriti di un'altra che fa opere esteriori, opere pubbliche che attirano l'attenzione e magari meritano gli applausi.
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Gli uomini stimano l'esterno, quello che si vede, ma Dio guarda l'interno. Sì, l'uomo guarda la faccia, insegna la Scrittura, ma il Signore scruta il cuore, le intenzioni. E quante opere esteriormente meritano applausi e davanti a Dio non contano nulla! E invece quante opere che non sono neppure vedute dagli uomini, anzi sono opere che richiedono sacrificio, arricchiscono l'anima per l'eternità.
Passavano davanti alla cassetta dell'elemosina nel Tempio di Gerusalemme dei ricchi e dei poveri a mettere l'offerta, e Gesù stava osservando. Dopo aver osservato, egli disse ai suoi Apostoli che chi aveva meritato di più era una donna vedova, la quale aveva dato due soldini soltanto, mentre gli altri avevano dato monete di valore, di grande valore. Lei aveva dato tutto ciò che aveva, e quindi si era privata anche del vitto della giornata. Gli altri avevano dato il superfluo, quindi non avevano fatto nessun sacrificio, anzi avevano avuto un po' di ambizione ad essere veduti a fare un'elemosina un po' vistosa. Ecco, le due piccole monete hanno guadagnato di più che le grosse monete, le grosse cifre, date da coloro che erano ricchi. Il Signore guarda il cuore, i sacrifici che si fanno, le intenzioni che ci sono.
Sappiamo noi regolarci bene nella nostra vita? Sappiamo dare importanza più alle opere che sono occulte, nascoste? Leggevo in questi giorni la vita di una santa regina, la quale precedeva tutti al mattino nel levarsi e, prima che gli altri si alzassero, aveva già messo a posto la casa, preparato quello che era necessario durante la giornata, e aveva anche già messo in ordine tutto quello che riguardava l'infermeria, i servizi più umili. Per un po' di tempo nessuno seppe come si trovassero già così le cose quando si alzavano da letto, e poi fu scoperto. Quella persona operava nel segreto, nel silenzio.
Ricordiamo anche un episodio della vita di san Bonaventura, dottore della Chiesa e cardinale.
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Un giorno, mentre stava scrivendo, arrivò il frate laico a fare la pulizia. Vedendo il cardinale tutto intento a scrivere, gli disse: «Beato voi, Padre Bonaventura, che sapete tante cose; voi sì che vi fate tanti meriti. Io sono un povero fraticello ignorante, non so neppure scrivere il mio nome». Allora il cardinale gli rispose: «Basta amare il Signore. Se una vecchierella ama il Signore più di me, è più beata di me». Egli voleva insegnare al frate di non sentirsi umiliato e infelice per dover compiere certi lavori e certi servizi, e per essere privo di cultura, perché egli avrebbe potuto amare il Signore più di Padre Bonaventura.
È stato canonizzato san Carlo da Selve. Selve non è molto lontano di qua. Era un frate laico, molto umile, il quale da principio non sapeva neppure leggere. I suoi uffici furono quello di andare alla questua, fare il portinaio e il sacrestano tutta la vita. Intanto egli è canonizzato, elevato agli onori degli altari, glorificato in cielo e glorificato sulla terra; e tanti che avevano maggiori studi e mostravano con la loro eloquenza quanto sapevano, non hanno raggiunto quella glorificazione che ha raggiunto san Carlo da Selve.
Occorre guardare quale amore portiamo nelle nostre cose, come operiamo. Allora riflettiamo su noi stessi ed esaminiamo se alcune delle opere che facciamo non perdono il merito per la santità o per fini non buoni. Una lettera se è scritta e chiusa nella busta, e poi le si mette un indirizzo falso, non va a destinazione perché l'indirizzo è sbagliato. Se un'opera è buona in sé, anche ottima, ma non c'è la retta intenzione, non va a Dio, non sarà premiata. E se la lettera è senza indirizzo a chi la porteranno? L'ufficio postale la riceve e poi la metterà nel cestino, perché dove dovrebbe recapitarla? Se noi non mettiamo la retta intenzione, le nostre opere sono come una lettera senza indirizzo. La lettera perché vada a destinazione bisogna che abbia l'indirizzo giusto; così noi dobbiamo sempre mettere l'intenzione retta, che vada a Dio direttamente o anche solo indirettamente.
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Perché se uno prega per la conversione di un peccatore, sembra che l'intenzione vada solo a lui, ma in realtà va a Dio; cioè si desidera che quell'anima viva unita a Dio e raggiunga la sua salvezza; quindi è un'intenzione a gloria di Dio. Così tutte le intenzioni buone in sé, si uniscono con le intenzioni che ha il Cuore di Gesù nella Messa, e si uniscono con le intenzioni finali: «ad maiorem Dei gloriam», alla gloria di Dio.
Come fare allora per acquistare la retta intenzione? Per prima cosa togliere le intenzioni sciocche, di vanità, per mostrare quel che sappiamo, o anche fare il bene come fine a se stesso. Quello è un fine umano, bisogna che mettiamo l'intenzione retta. E può essere che uno abbia sentimenti buoni e che faccia volentieri la carità, che porti volentieri i regali ai bambini nell'occasione di Natale, dell'Epifania; ma così, per mostrarsi generoso, oppure perché prova una soddisfazione nel vedere lieti quei bambini. Sì, la consolazione in questo caso è buona, ma non del tutto indirizzata a Dio. Il Signore nel fare il bene concede la consolazione, ma noi dobbiamo indirizzare sia l'opera che la consolazione a Lui. Quindi dire sempre bene il «Vi adoro..», il «Vi offro le azioni della giornata...». Almeno questo. Se poi uno dice: «Cuore divino di Gesù, vi offro...», come recitiamo durante Messa, allora quanto più il merito cresce!
Togliere le intenzioni cattive. A volte le intenzioni non buone si infiltrano anche nelle cose sante: farsi vedere pii, far vedere che si prega molto, mostrare che si ha zelo e che si precede gli altri nelle attività di apostolato. Non lasciare il bene, ma farlo bene; cioè compierlo in grazia di Dio e con la retta intenzione. Togliere le intenzioni non buone e mettere le intenzioni buone.
Gioverà fare l'esame, scrutare i cuori, perché il punto più difficile dell'esame di coscienza è sempre quello che riguarda l'interno, i pensieri e i desideri. Soprattutto è difficile esaminare l'intenzione. Giova fin d'adesso proporci di condannare ogni intenzione inutile e vana, di non approvarla anche se ci passerà per la mente.
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Sì, non approvarla. Volere che tutto e sempre sia di Dio. Che la nostra lampada che brucia per Gesù non si estingua, ma che il nostro cuore sia sempre ardente come una luce, un fuoco. Che sia una luce che si espande verso il prossimo in opere buone, in apostolato, e un fuoco che arde e sale verso Dio. Ma stare attenti sempre, perché in mezzo alla fiamma non ci sia il fumo. Vi sono persone le quali alimentano l'ambizione perfino nel confessarsi. Che la nostra fiamma non sia mescolata col fumo; che sia una fiamma pura che indichi un amore santo, un amore puro verso il Signore.
Ci benedica il Signore e che non ci avvenga, come forse capiterà a tante anime, che hanno passato una vita abbastanza buona, ma l'hanno sprecata; hanno messo le loro opere buone in un sacco bucato, perché non c'era l'intenzione retta. E mettere del grano in un sacco bucato è sprecarlo. Che non ci sia questa delusione. «Tutta la notte ho lavorato» disse Pietro a Gesù. Gesù invitava Pietro a gettare le reti nell'acqua del lago per la pesca, e Pietro si fece avanti: «Maestro, abbiamo già lavorato tutta la notte e non abbiamo preso neppure un pesciolino». E allora Gesù gli disse: «Gettale a destra». E Pietro, col comando di Gesù, gettò le reti a destra della barca e la quantità dei pesci fu tanto grande che dovette chiamare altri ad aiutarlo a raccogliere tutti i pesci che erano entrati nella rete (Cfr. Lc 5,1-7).
Intenzione retta e santa anche nel mangiare, per mantenersi nel servizio di Dio. E chi fa l'apostolato può dire: «Date, o Signore, la vostra santa benedizione al cibo che prendo per mantenermi nel servizio di Dio e nell'apostolato». E così anche il riposo preso per il Signore è meritorio. Uno direbbe: Non faccio niente, dormendo! Se dormi fai la volontà di Dio, no? E se è offerto al Signore, come dev'essere offerto al Signore l'atto di prendere il cibo, è un merito davanti a Dio. «Sia che mangiate, sia che beviate, dice san Paolo, fatelo a gloria di Dio e guadagnerete merito» (1Cor 10,31).
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