Beato Giacomo Alberione

Opera Omnia

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34.
LA CONFESSIONE

Ogni racconto che noi leggiamo nel Vangelo, ha un determinato fine, un determinato insegnamento. Tra i vari racconti che sono narrati nel santo Vangelo uno fa molto impressione. San Pietro era destinato capo della Chiesa, quindi padre di tutta la cristianità, di tutti quelli che avrebbero creduto nel Vangelo, nel messaggio della salvezza. Eppure nostro Signore permise che egli cadesse in una triplice negazione di Gesù stesso; egli che doveva essere il suo vicario, il preferito. E per una volta, una seconda volta, una terza volta rinnega Gesù Cristo, fino a giurare di non averlo mai conosciuto. San Pietro però non fu privato del suo ufficio, quell'ufficio che gli era stato promesso da Gesù, di essere cioè capo della Chiesa. Ma Gesù volle che egli riparasse con una triplice promessa di amore: «Pietro, mi ami tu?». «Signore, io ti amo». Gesù riprese: «Pietro, mi ami davvero?». E Pietro ripeté: «Sì, o Signore, io ti amo». Una terza volta Gesù lo interrogò: «Pietro, mi ami?». E Pietro entrò in se stesso e sentì forse il rimorso che l'aveva accompagnato: «Signore, tu lo sai, tu vedi tutti i cuori; sai che io ti amo». La triplice negazione venne riparata col triplice atto d'amore. E allora Gesù: «Pasci i miei agnelli, pasci le mie pecorelle» (Cfr. Gv 21,15 e ss.).
Che cosa vuol dire questo? Vuol dire che noi siamo tutti peccatori, ma che il Signore è venuto per cancellare il peccato: «Ut deleatur iniquitas», perché fosse cancellato il peccato, perché noi non ci scoraggiassimo se il ricordo della vita passata ci desse rimorso. Noi abbiamo da rivolgere lo sguardo al Crocifisso e dire: Signore, ti amo; sì, o Signore, ti amo; sì, ti voglio amare adesso, in vita, in morte, per l'eternità intera.
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Amare! L'amore cancella anche una quantità di peccati. Difatti Gesù lo disse espressamente quando, invitato a mangiare, andò nella casa di Simone il fariseo. «Essendo entrato nella casa, prese posto sopra un divano, a tavola. Or, ecco, una donna, che era conosciuta nella città come peccatrice, avendo saputo che egli era a tavola nella casa del fariseo, venne portando un vaso di alabastro pieno di profumo e, postasi dietro, vicino ai suoi piedi, piangendo, incominciò a bagnarglieli di lacrime, e li asciugava coi capelli del suo capo, poi li baciava e li ungeva di profumo. Il fariseo, che lo aveva invitato, vedendo questo pensava dentro di sé: Se costui fosse profeta, saprebbe chi è questa donna che lo tocca, e di che razza è, e che è una peccatrice. Ma Gesù, dirigendo a lui la parola, disse: «Simone, ho una cosa da dirti». Ed egli disse: «Maestro di' pure, parla!». «Un creditore aveva due debitori, uno gli doveva cinquecento denari e l'altro cinquanta. Non avendo essi con che pagare, condonò a tutt'e due il loro debito. Chi dunque di loro lo amerà di più?». Simone rispose: «Quello, io penso, a cui ha condonato di più». Ed egli soggiunse: «Hai giudicato bene». Poi, rivolto verso la donna disse a Simone: «Vedi tu questa donna? Io sono entrato in casa tua e tu non mi hai dato acqua per i piedi; questa invece ha bagnato i miei piedi con lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. Tu non mi hai dato il bacio, e lei, da quando sono entrato, non ha cessato di baciare i miei piedi; tu non hai unto di olio il mio capo, e lei ha unto i miei piedi di profumo. Perciò io ti dico: i suoi numerosi peccati sono stati perdonati, perché essa ha amato molto» (Lc 7,36-47).
L'amore è la grande penitenza, la grande riparazione. Amare tanto più quanto più noi siamo stati peccatori. E amare con le opere, coi fatti. Amare Gesù e mai più offenderlo. Assecondare Gesù, cercare la gloria di Dio, seguire Gesù nella sua vita santissima, povera, casta, obbediente.
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Ecco, questo è amore. E non basta: c'è ancora l'amore al prossimo. Quindi due amori: amore verso Dio che ci santifica e che ripara le nostre colpe, e amore verso il prossimo che ripara le colpe anche se avessimo dato cattivi esempi o qualche scandalo. Fare tanto più del bene al prossimo quanto più noi siamo stati freddi, languidi, quanto meno abbiamo operato in carità verso il prossimo. Sì. La confessione ci stabilisca nell'amore a Dio e ci stabilisca nell'amore al prossimo, cioè nell'apostolato.
Ora abbiamo da ricordare il figliol prodigo il quale, nota il Vangelo, era il più giovane dei due figli; e, si capisce, la gioventù tante volte si lascia travolgere verso vie storte, vie del peccato. Quel figliolo si allontanò dal padre e volle la parte della sua eredità. Il padre fu buono e gliela diede; ma il figlio imprudente, appunto perché giovane, sciupò tutte le sostanze, la parte che aveva ricevuto dal padre, in peccati di disonestà. Si avvilì al punto di essere ridotto alla miseria, tanto che per avere un po' di pane si mise a servizio di un contadino che lo mandò a pascere i porci. Infelice! Prima era in casa sua, figlio di un ricco signore, aveva persone di servizio, nulla gli mancava e adesso eccolo là che muore di fame, con un padrone che non voleva neppure che mangiasse le ghiande, perché aveva da ingrassare gli animali. Allora rientrò in sé e pensò: «Hic fame pereo»: qui muoio di fame. Egli non aveva perduto la speranza, il senso della fiducia nel padre. «Surgam et ibo ad patrem meum: mi alzerò e andrò da mio padre; e, arrivando alla sua casa, gli dirò che non sono più degno di essere chiamato suo figlio, ma di prendermi almeno come uno dei suoi servi». Ma il padre eccedette nella bontà, e quando lo vide lo abbracciò, lo alzò da terra. perché il figlio umiliato si era buttato per terra, ordinò che subito fosse vestito degli abiti preziosi che portava una volta e poi ordinò una grande festa. I1 figlio maggiore non era presente quando il minore tornò; ma quando giunse dalla campagna, sentendo che in casa vi erano delle musiche e arrivavano molti convitati, domandò che cosa significasse.
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Gli dissero: il fratello tuo è arrivato e tuo padre ha voluto fare una gran festa. Egli protestò contro il padre e gli disse: «Io ti ho sempre obbedito e non mi hai dato neppure un agnello da consumare coi miei amici; è ritornato questo mio fratello che ha dilapidato tutto e tu gli hai dato tutte queste dimostrazioni, hai ucciso il vitello più grasso, e hai dato anche una festa». E il padre rispose: «Non offenderti; tu lo sai che tutto quello che c'è in casa mia è anche tuo. Ora era necessario fare festa, perché questo figlio era perduto e si è ritrovato, era morto ed è risuscitato dalla sua vita cattiva» (Cfr. Lc 15,11 e ss.). Così - dice Gesù - si fa più festa in paradiso per un peccatore convertito che non per novantanove giusti, i quali non hanno bisogno di penitenza (Lc 15,10).
Ci pare quasi un torto per coloro che conservano l'innocenza, ma non è così; perché chi ha l'innocenza, ha già tutti i tesori, i tesori di Dio, possiede Dio stesso. Che cosa si può pensare di più? E tuttavia colui che risuscita dal suo peccato, ecco, desta in paradiso una grande gioia, perché è una vittoria di Gesù Cristo che è morto per i peccatori e allora ne vede il frutto; Gesù che ha pagato per i peccatori e i peccatori che approfittano della sua misericordia, del suo sangue. Ecco, questa festa che si fa in cielo, va direttamente a Gesù che ha patito ed è morto per noi sulla croce.
Andare volentieri al confessionale. Vi sono dei Santi che si confessavano anche ogni giorno, ma non è questa la cosa comune. Per i religiosi ogni otto o almeno ogni quindici giorni. Però vi è questo da tener presente: non correggere soltanto l'esterno, non accusare soltanto i peccati di parola, di lingua e i peccati di azione, ma particolarmente confessare, per emendarci, i peccati di pensiero, di sentimento; i peccati interni: l'orgoglio, l'invidia, le malevolenze, i rancori, gli atti di ira, che magari non si manifestano all'esterno; accusare i desideri cattivi: contro l'obbedienza, contro la carità, contro la purezza, contro la fede, contro la speranza. Mondare il cuore, mondare la mente in primo luogo.
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Il peccato esterno è sempre frutto dell' interno, e i peccati esterni sono sempre meno numerosi dei peccati interni, perché non si dà un peccato esterno che prima non sia già interno, perché per fare il peccato vero ci vuole il consenso della mente. E quanti vorrebbero rubare e non possono perché ci sono i carabinieri! Ma nel cuore hanno già rubato, perché hanno già desiderato la roba altrui, o in altro campo, perché hanno desiderato la donna altrui. I1 Signore Gesù lo ha ripetuto nel discorso della montagna che bisogna in primo luogo purificare l'interno. Vi sono tra i comandamenti due, gli ultimi due, che proibiscono i desideri cattivi, sia riguardo alla roba altrui, sia riguardo alla purezza. Perché? Perché è sempre più facile il peccato interno e molte volte non viene rilevato. Le persone superficiali fanno l'esame soltanto sull'esterno sulle azioni e anche sulle parole, ma soprattutto sulle azioni.
Quando facciamo l'esame per la confessione, discendere a leggere il libro interno della coscienza, quel libro segreto nel quale nessuno può entrare, la cui porta può essere aperta solo al confessore. E il santuario della coscienza, in cui noi possiamo trovare quello che piace a Dio e possiamo anche trovare quello che gli dispiace. Trovare quello che piace a Dio, lo spirito di fede, l'amore a Dio; e trovare anche quello che dispiace a Dio, cioè le mancanze di fede, le mancanze di fiducia, le mancanze di obbedienza sincera, le mancanze di castità sincera, le mancanze che possono riguardare la carità stessa.
Riguardo poi alla confessione bisogna ricordare questo: nel Padre nostro diciamo: rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori. Dunque diamo il metro, per parlare così, al Signore di quanto ci deve perdonare. E il metro qual è? Quanto noi perdoniamo agli altri, ecco. La misura con cui noi vogliamo essere perdonati la diamo a nostro Signore, perché Egli misuri il perdono a noi. Chi non perdona, non è perdonato. «Va' prima a riconciliarti col tuo fratello, che hai offeso, e poi vieni e offri il tuo dono».
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Prima il Signore vuole che perdoniamo agli altri e poi che andiamo a chiedere perdono a Lui. E in che misura egli ci perdonerà? Come noi perdoniamo: se noi perdoniamo l'offesa, è perdonato il peccato; e se noi andiamo più avanti e non solo perdoniamo, ma preghiamo perché il Signore benedica colui che ci ha offeso, allora il Signore dà più grazia a noi. Se poi facciamo ancor del bene a colui che ci ha offeso, il Signore fa cadere sopra di noi un numero straordinario di grazie; in sostanza, dà a noi tutto il bene che noi desideriamo agli altri. Quindi vedere bene se interiormente noi perdoniamo di cuore. I1 Signore non perdonerà i tuoi peccati, se tu non perdonerai di cuore a colui che ti ha offeso, insegna il Vangelo.
La confessione poi non deve solamente essere come la grazia, il sacramento per cancellare il passato che non fosse stato buono, per cancellare i peccati; ma soprattutto deve essere mezzo per progredire nel futuro.
Per prepararci alla confessione ci vuole il dolore, ma unito al proposito: il pentimento del passato e il proposito di non più peccare per l'avvenire. Il pentimento è la detestazione dei difetti, e il proposito di praticare la virtù contraria. Se, per esempio eravamo stati superbi, ora praticare l'umiltà; se eravamo stati tiepidi, ora praticare il fervore; se noi avevamo avuto nel cuore degli attaccamenti non buoni, ora attaccare il nostro cuore a Dio, amare il Signore di più. Quindi la confessione frequente è ordinata specialmente al progresso, alla conversione, al cambiamento, al miglioramento della vita, al futuro, in sostanza. Quei Santi che si confessavano ogni giorno, per esempio san Carlo Borromeo, vescovo di Milano, mica lo facevano perché ogni giorno avessero peccato e non potessero celebrare la Messa o ricevere la Comunione; ma si confessavano per migliorare, e perché dei difetti ne commettevano ogni giorno. Per lo più non sono peccati, sono debolezze, sono imperfezioni. Se una ha una distrazione involontaria nella preghiera, è un difetto, non è un peccato.
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Ma questi Santi si confessavano frequentemente per migliorare la vita e cioè per amare di più il Signore e progredire nello spirito di fede, nell'osservanza dei comandamenti, dei consigli evangelici, per progredire nell'amore di Dio.
Anche quando facciamo l'esame di coscienza, non perché vogliamo confessarci, ma perché è arrivata la sera e vogliamo dare uno sguardo alla giornata per vedere com'è trascorsa, dobbiamo promettere per il giorno dopo di comportarci meglio; lo facciamo per progredire nel bene. E al mattino quando andiamo in chiesa, vi andiamo per ottenere le grazie di passare bene la giornata; si vorrà che tale giornata sia migliore di quella passata. E allora chiediamo le grazie perché la giornata sia bella, piaccia al Signore.
Per fare una buona confessione soprattutto è necessaria la preghiera per conoscere noi stessi, per capire e detestare il peccato, per imparare e per sentire il bisogno di cambiare. Se dopo tante confessioni, non vi è stato un miglioramento, possiamo essere sicuri che le nostre confessioni siano state accompagnate da vero pentimento, da vero dolore, da vero proposito? Qualche volta c'è da dubitare che le confessioni vengano fatte per abitudine, per comunicare un po' con il sacerdote e parlare un po' di cose particolari. La confessione riguardo al passato è per ottenere il perdono, riguardo al futuro è per il progresso. Al confessionale è assolutamente necessaria la sincerità, però si sa che ciò che è assolutamente necessario che venga accusato è il peccato mortale che fu certamente commesso, e che certamente non fu confessato, e di cui certamente non si è avuto dolore sufficiente. Non cadere negli scrupoli e non pensare sempre al passato. Il passato viene messo a posto con la confessione; noi guardiamo al futuro e al presente. Il passato, ormai, come è stato è stato. Ci servirà da ammaestramento e per mantenerci nell'umiltà, ma quello che ora aspetta da noi il Signore è operare bene al presente e in futuro. Quindi l'obbligo di confessare è soltanto per il peccato veramente commesso, veramente grave, peccato mai accusato. Queste sono le tre condizioni; per il resto stare in pace.
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Poi il peccato si deve accusare quanto al numero, se è stato ripetuto, e anche con le circostanze che aggravassero notevolmente la colpa. Se si è fatto un discorso cattivo e se c'erano ragazze che ascoltavano, oppure vi erano parecchie persone, si comprende che quella circostanza va espressa in confessionale, perché c'è stato lo scandalo. Ancor più se c'è un peccato commesso in luogo sacro, perché questa è una circostanza che aggrava notevolmente e che costituisce qualche volta un peccato a parte.
Quanto poi alla penitenza, quale sia la migliore, l'ho già detto in principio: amare, amare, amare Dio; amare, amare il prossimo. Ogni opera, ogni impegno d'apostolato cancella il male passato e ristabilisce nel vero amore di Dio. Ma oltre questo, la penitenza maggiore è la correzione. Operare il contrario di quello che si è fatto prima, questa è veramente penitenza e nello stesso tempo serve al progresso spirituale.
Chiediamo al Signore la grazia che le nostre confessioni siano sempre ben fatte e portino frutto alle nostre anime. Nessuno scrupolo, ma delicatezza sì, costantemente delicatezza. E non siamo superficiali, ma entriamo in noi stessi; sfogliamo un po' il libro della nostra coscienza e leggiamo che cosa c'è in quelle pagine, che cosa c'è in quelle pieghe della nostra coscienza, affinché non portiamo nulla al giudizio, ma vi arriviamo già perdonati, già giudicati.
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